CASSAZIONE FISCALITA

Quando non si deve pagare l’IRAP

Tributi – IVA – IRAP – Professionisti – Accertamento – Riscossione – Cartella esattoriale – Dichiarazione dei redditi – Autonoma organizzazione – Esclusione

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 30225 del 22 novembre 2018, intervenendo in materia di IRAP ha stabilito che ai fini dell’imposta non assumono rilevanza i compensi corrisposti per la tenuta della contabilità del professionista al commercialista non dipendente. La decisione del Supremo collegio segue l’attuale linea giurisprudenziale, che ritiene l’assoggettabilità di un contribuente ai fini IRAP legata alla presenza di un’autonoma organizzazione. Questa sussiste quando si è in presenza di un cospicuo numero di risorse umane, di mezzi e di luoghi ove poter svolgere l’attività che contribuisce alla formazione del reddito. Ai sensi dell’art. 2, D.lgs. 446/1997, il presupposto dell’IRAP insiste sull’esercizio abituale di un’attività, autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi. La nozione di autonoma organizzazione è stata frequentemente oggetto di controversie, spesso incentrate sull’eventuale soggettività passiva di quelle categorie di contribuenti che, per caratteristiche intrinseche relative all’attività svolta, si avvalgono di un apparato strumentale di mezzi e persone ridotte al minimo indispensabile.

Il riferimento è ai lavoratori autonomi che tendenzialmente non impiegano fattori produttivi, se non per necessità essenziali strettamente connesse allo svolgimento la professione. Anche sotto il profilo civilistico la libera professione si distingue dal fenomeno imprenditoriale per la presenza di un’organizzazione c.d. minimale, costituita dal lavoro prevalentemente proprio (art. 2222, cod. civ.). Tuttavia, non mancano situazioni in cui risulta importante individuare la soglia oltre la quale il requisito organizzativo assume rilevanza ai fini dell’imposta, e ciò tenuto conto sia del capitale fisico (beni strumentali), sia della componente lavoro (collaboratori).

Con una recente pronuncia, l’ordinanza n. 6439/2018, la Corte di Cassazione ricorda che l’accertamento del suddetto requisito non può basarsi sul solo riscontro dei dati economico-reddituali dichiarati dal professionista. Ciò, in particolare, si aggiunge a un vena interpretativa in via di potenziamento (cfr. Cass. n. 29863/2017, Cass. n. 17199/2017, Cass. n. 6673/2017) secondo la quale la verifica della sussistenza dell’organizzazione eccedente il minimo indispensabile va condotta valutando, caso per caso, anche sulla natura degli acquisti sostenuti dal contribuente, senza soffermarsi al dato quantitativo.

La decisione, per quanto recente, in verità riproduce quanto stabilito in precedenza dalla Suprema Corte nella sentenza n. 9451/2016. In quell’occasione venivano dettati criteri per l’individuazione del limite oltre il quale l’organizzazione non è considerabile minimale, chiarendo che ciò accade, a prescindere da indicatori economico reddituali, quando congiuntamente il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse; inoltre, il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

I limiti sopra indicati poggiano indubbiamente sui principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 156/2001, in cui si chiarisce che il presupposto impositivo dell’IRAP è rappresentato dall’attitudine dell’unità produttiva a generare valore aggiunto, da intendersi quale nuova ricchezza che viene, mediante l’IRAP, assoggettata ad imposizione prima ancora di essere distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione.

Anche nel caso de quo la Suprema Corte, seguendo questa interpretazione, ha respinto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTP che in materia di IRAP dichiarando l’insussistenza del presupposto impositivo del reddito del contribuente, nello specifico un professionista ingegnere.

La Cassazione evidenzia che dal ricorso e dalla sentenza impugnata non emerge che il contribuente abbia uno studio professionale e si sia avvalso di dipendenti o collaboratori, né che abbia impiegato beni strumentali eccedenti secondo l’id plerumque accidit il minimo indispensabile per esercitare l’attività in assenza di organizzazione.

Secondo la Suprema Corte: “E’ ormai consolidato orientamento di questa Corte, all’esito delle sentenze rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 26 maggio 2009; Cass. Sez. U, 26 maggio 2009 n. 12108; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12109; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12110), che, in tema di IRAP, il professionista « è escluso dall’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni>>. Si è pure precisato (Cass. 25 settembre 2013, n. 25109) che l’applicazione dell’imposta deve trovare giustificazione in una specifica capacità contributiva del soggetto colpito, che coinvolge la capacità produttiva dell’obbligato se accresciuta e potenziata da una attività autonomamente organizzata, nel cui ambito assume rilievo anche la presenza di un solo dipendente – quale elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito – ma senza che di per sé l’apporto del lavoro altrui induca ad affermare il requisito di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, spettando tale apprezzamento al giudice di merito. Dal ricorso e dalla sentenza impugnata non emerge che il contribuente, ingegnere, abbia uno studio professionale e si sia avvalso di dipendenti o collaboratori, né che abbia impiegato beni strumentali eccedendi secondo l’id plerumque accidit il minimo indispensabile per esercitare l’attività in assenza di organizzazione. La C.T.R. ha, infatti, accertato l’inesistenza della prova che il B. abbia esercitato la propria attività professionale avvalendosi di dipendenti e collaboratori, rilevando, altresì, che i compensi erogati a terzi, riscontrati dall’Ufficio, di ammontare non rilevante, riguardano professionisti esterni, ossia commercialisti; a fronte di tale accertamento in fatto, l’Amministrazione non ha allegato alcun elemento da cui possa desumersi che quei compensi concernono prestazioni diverse da quelle di professionisti esterni e siano relativi a prestazioni continuative svolte da parte di collaboratori. I dati riportati dall’Agenzia delle Entrate negli “specchietti” elaborati nel ricorso per cassazione, indicanti l’ammontare dei compensi per ogni anno in contestazione — che l’Agenzia assume di avere evidenziato in appello, omettendo di trascrivere, in omaggio al principio di autosufficienza, il contenuto dell’atto di appello – risultano imprecisi e contraddittori e sono stati puntualmente contestati dalla controparte, sicché non possono essere di supporto alla tesi difensiva prospettata dall’Amministrazione, poiché non introducono elementi significativi e sono piuttosto finalizzati a suggerire una diversa ricostruzione dei requisiti fattuali dell’autonoma organizzazione, non consentita in sede di legittimità”.

Corte di Cassazione Ordinanza 22 novembre 2018, n. 30225

 

Sul ricorso iscritto al n. 1097/12 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro B. D. rappresentato e difeso dall’avv. Sveva Bernardini, che lo rappresenta e difende, in virtù di mandato a margine del controricorso, con domicilio eletto in Roma, via Cicerone, n. 49;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 179/3/11 depositata in data 19 settembre 2011

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.10.2018 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello

Rilevato che

Con separati ricorsi, B.D., esercente l’attività di ingegnere, impugnava tre cartelle esattoriali emesse a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. 600/1973 – con le quali era stato intimato il pagamento di Iva ed IRAP relative agli anni d’imposta 2000, 2001, 2003 e 2004 – deducendo la insussistenza del presupposto impositivo per l’assoggettabilità ad IRAP e dichiarando di avere già versato l’Iva per l’anno 2003.

La Commissione provinciale, previa riunione dei ricorsi, li accoglieva parzialmente, confermando solo la pretesa riguardante l’Iva dovuta per l’anno 2001 e compensando le spese di lite.

Avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio, eccependo che: a) il contribuente aveva aderito alla definizione automatica ex art. 9 bis della legge n. 289/2002 per gli anni 2000, 2001 e 2002 b) i ricorsi erano inammissibili, perché non fondati su vizi propri delle cartelle c) sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’IRAP, in quanto dalle dichiarazioni dei redditi presentate dal contribuente risultavano compensi corrisposti a terzi, da cui si desumeva l’esistenza di una struttura organizzativa esterna.

La Commissione regionale non prendeva in esame i primi due motivi di gravame, in quanto “nuovi”, e, con riguardo alla questione di merito, rigettava l’appello, osservando che dalle dichiarazioni dei redditi risultava che il contribuente, nell’esercizio della sua attività di ingegnere, non si era avvalso di dipendenti né di collaboratori e, con riguardo ai compensi in favore di terzi, che essi erano di modesto importo e comunque si riferivano a professionisti esterni (ossia a commercialisti), sicchè da tali elementi non era possibile desumere l’esistenza di quel minimo di organizzazione che costituiva il presupposto per l’assoggettabilità ad IRAP.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi.

B.D. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ.

Considerato che

  1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato “insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.” – la difesa erariale lamenta che la decisione impugnata sarebbe viziata laddove non ha motivato sull’esistenza di ingenti compensi a terzi sostenuti dal contribuente per ogni annualità in contestazione, circostanza che si pone in evidente contrasto con la dedotta insussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione.
  2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 446/1997, per avere la C.T.R. affermato che tra i collaboratori di cui tenere conto per desumere il quid pluris rispetto al minimo dell’organizzazione ai fini dell’assoggettabilità ad IRAP non rientrino anche i collaboratori e professionisti esterni.
  3. Il contribuente, sia in controricorso che nella memoria ex art. 380- bis.1. cod. proc. civ., ribadendo che ha svolto l’attività di ingegnere senza stabile organizzazione, ha contestato i dati riportati nel ricorso per cassazione, sottolineando che a) essi sono errati, in quanto i redditi di imposta vengono indicati in euro, pur se espressi in lire, e poi vengono nuovamente convertiti in lire b) non si fa menzione degli anni 2000 e 2004 oggetto delle cartelle, mentre viene indicato l’anno 2002, non rientrante tra le pretese oggetto delle cartelle di pagamento c) sono errate le indicazioni relative al numero dei percipienti.
  4. I motivi che possono essere trattati unitariamente, in quanto strettamente dipendenti, sono infondati e vanno rigettati.
  5. E’ ormai consolidato orientamento di questa Corte, all’esito delle sentenze rese dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U., 26 maggio 2009; Cass. Sez. U, 26 maggio 2009 n. 12108; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12109; Cass. Sez. U., 26 maggio 2009, n. 12110), che, in tema di IRAP, il professionista « è escluso dall’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito della autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al Giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quanto il contribuente a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile della organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità od interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni>>.
  6. Si è pure precisato (Cass. 25 settembre 2013, n. 25109) che l’applicazione dell’imposta deve trovare giustificazione in una specifica capacità contributiva del soggetto colpito, che coinvolge la capacità produttiva dell’obbligato se accresciuta e potenziata da una attività autonomamente organizzata, nel cui ambito assume rilievo anche la presenza di un solo dipendente – quale elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito – ma senza che di per sé l’apporto del lavoro altrui induca ad affermare il requisito di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, spettando tale apprezzamento al giudice di merito.
  7. Dal ricorso e dalla sentenza impugnata non emerge che il contribuente, ingegnere, abbia uno studio professionale e si sia avvalso di dipendenti o collaboratori, né che abbia impiegato beni strumentali eccedendi secondo l’id plerumque accidit il minimo indispensabile per esercitare l’attività in assenza di organizzazione.
  8. La C.T.R. ha, infatti, accertato l’inesistenza della prova che il B. abbia esercitato la propria attività professionale avvalendosi di dipendenti e collaboratori, rilevando, altresì, che i compensi erogati a terzi, riscontrati dall’Ufficio, di ammontare non rilevante, riguardano professionisti esterni, ossia commercialisti; a fronte di tale accertamento in fatto, l’Amministrazione non ha allegato alcun elemento da cui possa desumersi che quei compensi concernono prestazioni diverse da quelle di professionisti esterni e siano relativi a prestazioni continuative svolte da parte di collaboratori.

I dati riportati dall’Agenzia delle Entrate negli “specchietti” elaborati nel ricorso per cassazione, indicanti l’ammontare dei compensi per ogni anno in contestazione — che l’Agenzia assume di avere evidenziato in appello, omettendo di trascrivere, in omaggio al principio di autosufficienza, il contenuto dell’atto di appello – risultano imprecisi e contraddittori e sono stati puntualmente contestati dalla controparte, sicché non possono essere di supporto alla tesi difensiva prospettata dall’Amministrazione, poiché non introducono elementi significativi e sono piuttosto finalizzati a suggerire una diversa ricostruzione dei requisiti fattuali dell’autonoma organizzazione, non consentita in sede di legittimità.

  1. La decisione del giudice regionale, seppure sintetica, non si discosta, d’altro canto, dai principi costantemente enunciati da questa Corte, secondo cui, in tema di imposta regionale sulle attività produttive, ad integrare il presupposto dell’autonoma organizzazione richiesto dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997 non è sufficiente il pagamento, da parte del contribuente, di compensi (anche elevati) a terzi non inseriti nella struttura organizzativa del professionista (Cass., ord. n. 20610 del 12/10/2016; Cass. n. 16368 del 3/7/2017), stante l’irrilevanza del ricorso a professionisti di supporto (Cass. n. 22695 del 2016; Cass. 20088 del 2016), soprattutto quando, come nel caso di specie, il contribuente manchi di peculiari attrezzature (Cass. n. 20848 del 14/10/2016).
  2. Questa Corte ha anche avuto modo di precisare che non assumono rilevanza, ai fini della ricorrenza del presupposto dell’autonoma organizzazione del contribuente, i compensi corrisposti a commercialista non dipendente per la tenuta della contabilità. Ciò perché l’attività remunerata dal professionista per attività diversa da quella nella quale opera non può incidere sul requisito dell’autonoma organizzazione, semmai qualificandosi come necessaria alla gestione minimale di qualunque attività professionale, soprattutto se correlata alla tenuta della contabilità, per la quale è richiesto necessariamente un apporto tecnico in ragione delle responsabilità che sul professionista incombono anche dal punto di vista fiscale (Cass. n. 27000 del 19/12/2014).
  3. Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo B.D. deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e difetto di motivazione in ordine alla compensazione delle spese di lite, rilevando che i giudici di appello non hanno posto a carico dell’Agenzia delle Entrate, totalmente soccombente, le spese processuali e non hanno validamente motivato la disposta compensazione, nonostante il rigetto di tutti i motivi di appello dedotti dall’Agenzia delle Entrate.

11.1. Il ricorso incidentale va rigettato.

11.2. La disposta compensazione delle spese di lite trova giustificazione nella mancanza, sulle questioni dedotte in giudizio, di un orientamento univoco e consolidato della giurisprudenza di legittimità all’epoca della proposizione del ricorso e, pertanto, la motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, si sottrae alle denunciate censure di violazione di legge e di vizio di motivazione.

  1. In conclusione, il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno rigettati.

Le spese del presente giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29 ottobre 2018

 

 

 

 

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