CASSAZIONE

Public utilities e riduzione del cuneo fiscale IRAP: va riconosciuto alle imprese che applicano una tariffa non remunerativa

Tributi –  IRAP – Riduzione del cuneo fiscale – Imprese che svolgono attività regolamentata (c.d. ‘Public Utilities’) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa – Esclusione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7273 del 4 marzo 2022 si è occupata nuovamente, dopo l’arresto n. 7112 del 3 marzo 2022, della deduzione, per le public utilities, del cuneo fiscale dalla base imponibile IRAP, affermando in particolare che tale agevolazione non è applicabile quando siamo di fronte a un’attività “in concessione” e a “tariffa”.

In altre parole, e attingendo ad una vasta giurisprudenza sull’argomento (ex multis Cass. n. 32633/2019), gli Ermellini hanno confermato l’orientamento che in tema di IRAP il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, comma 266, della legge 296/2006 (riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del D.lgs. 446/1997, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (cd. “public utilities”) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la ratio giustificatrice del cuneo fiscale.

Tale chiarimento segue quanto viene affermato, con dei pregevoli distinguo, anche nella citata sentenza n. 7112/2022 – disponibile in lettura integrale nello spazio dedicato alle sentenze news nella corrente pubblicazione (N.d.A.) – che conferma che le imprese che operano in regime di concessione e a tariffa sono escluse dal godimento del cuneo fiscale.

Appare quindi determinante che per accedere alla suddetta agevolazione per la base imponibile, rileva principalmente il regime in cui opera il contribuente, tenuto conto che nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto esso consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante.

E’ noto che per public utility solitamente ci si riferisce a quel tipo di azienda che fornisce, in regime di monopolio o quasi, servizi o beni necessari alla comunità, e che pertanto è soggetta a controlli da parte dello Stato, dove in campo tributario, con l’art. 11, c. 1, lett. a, del D.lgs. 446/1997, sono stati introdotti specifici sgravi per ridurre la base imponibile IRAP in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato, escludendo al contempo dalla fruizione delle suddette deduzioni quei soggetti operanti in concessione e a tariffa.

Al riguardo si è reso necessario nel tempo, attraverso un notevole lavoro interpretativo svolto dai giudici di merito (tributari e amministrativi) e dai giudici di legittimità, stabilire una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti ‘in concessione e a tariffa’ e quelle operanti in ‘appalto di servizi’, al fine di chiarire le caratteristiche delle une e delle altre, magari specificando anche quando ricorrano i presupposti tesi a consentire il diritto alle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP.

Sinteticamente è possibile affermare che la giurisprudenza ha specificamente precisato che si è in presenza di ‘concessione’ quando l’operatore assume su di sé i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio e dove, in buona sostanza, seguendo anche  l’elaborazione della giurisprudenza europea: ‘… la caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori e i servizi …’ (direttiva 2014/23/UE).

Sempre ai fini dell’ordinamento comunitario, la demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi  è netta, poiché l’appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione, riguarda di regola servizi resi alla Pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, e infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario (Consiglio di Stato, Sent. n. 4682/2012 e Cass. Ord. n. 9139/2015). Ciò posto, può concludersi che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’amministrazione (Consiglio di Stato, Sent. nn. 4682/2012, 5068/2011 e 3377/2011).

In definitiva, per la Suprema corte consentire indiscriminatamente a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni IRAP darebbe luogo a un utile insperato, generando una “sovracompensazione” capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’Autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe. Per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato. Un ragionamento che ha trovato riscontro nella giurisprudenza della Corte Ue e nella posizione della Commissione europea, secondo cui l’esclusione del beneficio fiscale nei confronti delle public utilities è legittima considerato che le autorità italiane hanno sostenuto che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura, in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte. L’esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa, dunque, non determinerà un vantaggio o uno svantaggio selettivo. Una neutralità che ha indotto la Commissione a negare che la misura costituisse aiuto di Stato.

Infine, tornando alle motivazioni dette in premessa, sarà dunque fondamentale capire, in sede di dichiarazione IRAP, se l’impresa in questione abbia le caratteristiche di una impresa in concessione traslativa e a tariffa o, al contrario, di un’impresa appaltatrice di servizi, posto che la giurisprudenza, soffermandosi preliminarmente sulla natura giuridica del contratto, ha sempre affermato che il diritto alle agevolazioni in questione (cioè, alle deduzioni in sede di dichiarazione IRAP) deve riconoscersi solo in capo alle società che espletano servizi in favore di enti pubblici mediante contratti riconducibili nell’alveo degli appalti e non in quello delle concessioni (Cass. n. 16889/2020).

Tanto premesso e ritornando alla vicenda odierna, l’Agenzia delle entrate emanava un avviso di accertamento a una società contribuente non riconoscendo l’applicabilità dell’agevolazione consistente nella deduzione del cuneo fiscale dalla base imponibile IRAP, in quanto beneficio non spettante alle imprese operanti in concessione e a tariffa nei servizi pubblici. L’atto impositivo era riferito a due diverse fattispecie contrattuali aventi a oggetto servizi di trasporto: da un lato, i contratti per la gestione di servizi di trasporto pubblico locale stipulati dalla contribuente con la Tevere TPL società consortile a r.l., a sua volta contraente con ATAC S.p.a. per la gestione di una rete di trasporto pubblico nel Comune di Roma; dall’altro lato, contratti aventi a oggetto la gestione di linee interregionali stipulati dalla contribuente con la Regione Lazio.

La società adiva alla giustizia tributaria ottenendo ragione in primo grado, mentre in CTR il verdetto veniva parzialmente modificato, ritenendo i giudici che non sussisteva una tariffa, pagata dall’utenza, che remunerava l’attività dell’impresa, che quindi non poteva ritenersi operante in regime di concessione. L’Agenzia, quindi, proponeva ricorso in Cassazione con tre motivi in cui essenzialmente si doleva che la CTR avesse erroneamente interpretato sia la normativa in materia di deduzioni IRAP, sia le pattuizioni negoziali oggetto di accertamento, e per aver conseguentemente qualificato i contratti di trasporto pubblico locale eseguiti dalla società contribuente come appalti di servizi e non quali concessioni di servizi.

La parte contribuente contro ricorreva con sei motivi di lagnanza. I Supremi Giudici di legittimità non hanno ritenuto valide le motivazioni addotte dall’Avvocatura erariale, affermando che “… la distinzione tra concessione ed ‘appalto si rinviene nel fatto che, nel contratto di concessione, il corrispettivo derivante dall’erogazione del servizio ̀ proprio il diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto, diversamente da quanto accade nell’appalto, nel quale il corrispettivo che deriva dall’esecuzione di lavori o dalla gestione di servizi ̀ l’erogazione di un contributo economico che viene pattuito con la stazione appaltante e dalla stessa viene erogato. In questo senso si sono pronunciate recentemente anche le Sezioni Unite di questa Corte che, sia pure nel contesto del riparto della giurisdizione, hanno chiarito che « In tema di affidamento di servizi da parte della P.A. ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ciò, che i primi, a differenza delle seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario; pertanto, nell’ipotesi in cui l’amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi.». (Cass., Sez. Un., 28/05/2020, n. 10080). Ricordato che, come rilevato anche nella citata Decisione della Commissione Europea, ai fini dell’ esclusione dell’agevolazione il requisito della concessione deve concorrere con quello della ‘tariffa’, l’interpretazione corretta di tale ultimo elemento è stata chiarita recentemente da questa Corte, alla luce soprattutto della valutazione espressa dalla Commissione Europea: « In tema di IRAP, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (cd. ‘public utilities’) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la ‘ratio’ giustificatrice del cd. cuneo fiscale.» (Cass. 12/12/2019, n. 32633).Infatti la Commissione europea ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale, nei confronti delle public utilities, prendendo atto che: (§ 33.) «le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. In effetti i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene già interamente conto dell’onere fiscale nella determinazione della tariffa. (§ 34.) Inoltre, per quanto riguarda il futuro, le autorità italiane si sono impegnate a far sì che l’esclusione non determini né vantaggi né svantaggi per i pubblici servizi in quanto i costi fiscali continueranno a essere presi in considerazione. Per questi motivi l’esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa non determinerà un vantaggio o uno svantaggio selettivo.». Proprio per la neutralità dell’esclusione del beneficio fiscale rispetto ai servizi pubblici operanti in concessione e a tariffa la Commissione europea ha quindi negato che la misura costituisse aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi dell’art. 87, § 1., del trattato CE. Infatti consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni IRAP darebbe luogo a un utile insperato, generando una ‘sovracompensazione’ capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato (così Cass. 12/12/2019, n. 32633).La relazione logica e funzionale tra i due presupposti, necessariamente concorrenti, dell’esclusione dal beneficio fiscale ne chiarisce la ratio di scongiurare il vantaggio che ne trarrebbe l’impresa che, in regime concessorio, riceva già il corrispettivo rappresentato dalla tariffa che le paga l’utenza. Ove tale tariffa (di regola fissata dalla pubblica amministrazione e non dipendente dal mercato) sia anche remuneratoria e compensativa del servizio prestato, sommare ad essa anche la deduzione de qua darebbe quindi luogo alla ridetta ‘sovracompensazione’. Pertanto, nel contesto del regime concessorio, la tariffa pagata dall’utenza costituisce una componente necessaria della remunerazione dell’impresa, giacché non avrebbe altrimenti senso imporre la verifica della sua remuneratività. In questo senso, del resto, ̀ esplicita la stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria, quando rileva che ̀ ‘concessione’ «un’attività il cui corrispettivo ̀ costituito da una tariffa: ossia da un prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l’equilibrio economico- finanziario dell’investimento e della connessa gestione». Chiara, sul punto, ̀ anche l’affermazione di questa Corte, secondo cui «la netta distinzione tra le due figure è stata recentemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha sancito che, in tema di affidamento di servizi da parte della pubblica amministrazione ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ciò, che i primi, a differenza delle seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario; pertanto, nell’ipotesi in cui l’ amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi (in termini: Cass., Sez. Un., 28 maggio 2020, n. 10080)» (Cass.15/09/2021, n. 24977, in motivazione). Date tali premesse, ha fatto buon governo di tali principi la CTR, con riferimento ai rapporti relativi alla gestione di servizi di trasporto pubblico locale stipulati dalla contribuente con la Tevere TPL società consortile a r.l., a sua volta contraente con A.T.A.C. S.p.a. Infatti il giudice d’appello (pur dando contestualmente rilievo anche ad altri indicatori non altrettanto determinanti) ha comunque accertato in fatto (con giudizio quindi non sindacabile in questa sede, tanto più per l’applicabilità del limite della c.d. doppia conformità di cui all’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ.) che i compensi spettanti alla contribuente sono «stabiliti forfettariamente sulla base dei chilometri percorsi, il ricavo dei biglietti rimanendo invece riservato all’ATAC […] non risultano previsti sistemi di adeguamento del corrispettivo». Nella sostanza, quindi, nel caso di specie non sussiste una «tariffa» (compensativa o meno), pagata dall’utenza pubblica, che remuneri l’attività svolta dall’impresa, che quindi non può ritenersi operante in regime di concessione, quanto meno non al fine di escludere l’applicazione del beneficio controverso.Va poi aggiunto che ai contratti controversi si applica il d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, che in materia di trasporto pubblico locale, all’art.19, prescrive la stipulazione di contratti di servizio quali appalti di servizi (Cass. 22/10/2014, n. 22425; Cass. 15/06/2021, n. 29504; Cons. Stato 21/06/ 2018, n. 3822 e 07/02/2012, n. 645), gravando sulla ricorrente (che non l’ha assolto), l’onere di provare la non conformità del caso di specie al modello legale. 3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti. 4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; dell’art.30, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; degli artt. 6,18,19, d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422; dell’ art. 24 e ss. legge reg. Lazio n.300 del 1998. Con il terzo motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la contraddittorietà e illogicità della motivazione e la nullità in parte qua della sentenza. 5.1. I tre motivi, con i quali la contribuente censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto che il servizio di trasporto pubblico regionale eseguito dalla S.I.R.A. s.r.l. configurasse un’attività di impresa in concessione e a tariffa, escludendo pertanto rispetto ai relativi contratti la deducibilità prevista dall’art. 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, vanno trattati congiuntamente, atteso che dal corpo degli stessi si ricava una censura in diritto sovrapponibile e comune a tutti, anche se comunque specificata nel secondo mezzo. Invero, la ricorrente incidentale «impugna la sentenza […] nella parte in cui, con riferimento ai contratti per la gestione dei servizi interregionali con la Regione Lazio, riconosce l’esistenza del requisito escludente della concessione traslativa […] limitandosi a considerare il solo dato testuale», quindi in violazione dei criteri e dei principi espressi in sede di trattazione del ricorso principale, peraltro condivisi dalla stessa CTR a proposito dei contratti relativi al servizio urbano. Infatti la CTR qualifica i rapporti, al fine che qui rileva, come ‘concessioni’ sulla base della mera circostanza che la parte introduttiva dei relativi contratti menziona precedenti atti di ‘concessione’, via via prorogati «con atti amministrativi accettati dalla parte privata». Tale qualificazione – posta dalla CTR esplicitamente a presupposto del successivo esame della sussistenza della tariffa e della sua remuneratività – è quindi fondata su un dato letterale e formale, mentre prescinde del tutto dai criteri, in questa sede già ampiamente richiamati, rispetto ai quali il giudice a quo avrebbe dovuto condurre la relativa indagine, al fine di qualificare i rapporti in questione come concessioni o quali appalti di servizi, nel senso ed ai fini che qui rilevano. I primi tre motivi di ricorso incidentale della contribuente vanno quindi accolto, con rinvio alla CTR per gli accertamenti in fatto necessari. Con il quarto motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti. Con il quinto motivo di ricorso incidentale la contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e dell’art. 19, d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422; Con il sesto motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la contraddittorietà e illogicità della motivazione e la nullità in parte qua della sentenza impugnata. I motivi in questione, da trattare congiuntamente, attingono la sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento ai contratti con la Regione Lazio, escludono la deducibilità controversa per la sussistenza del requisito della tariffa remunerativa. Poiché l’accertamento del requisito concorrente in questione presuppone necessariamente la verifica della natura dei rapporti controversi in termini di concessioni o di appalti di servizi, i motivi in decisione restano assorbiti dall’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso incidentale”.

Corte di Cassazione – Sentenza 4 marzo2022, n. 7273

sul ricorso iscritto al n. 9275/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

 – ricorrente, controricorrente incidentale –

contro UMBRIA TPL E MOBILITÀ SPA, elettivamente domiciliata in Roma Via Ovidio n. 32 presso lo studio Massimo Malena & Associati, rappresentata e difesa dall’avvocato Michele Mascolo.

– controricorrente, ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 5317/35/15, depositata il 14/10/2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’08 febbraio 2022 ex art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere dott. Michele Cataldi;

dato atto che il Sostituto Procuratore Generale dott. Fulvio Troncone ha chiesto il rigetto del ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. La Società Industriale Romana Autolinee a r.l. (S.I.R.A s.r.l., successivamente incorporata dalla Umbria TPL e mobilità spa), svolgente attività di trasporto pubblico locale di persone, impugnò l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva disconosciuto l’applicabilità alla contribuente dell’agevolazione consistente nella deduzione del c.d. cuneo fiscale dalla base imponibile dell’IRAP, in quanto beneficio non spettante alle imprese operanti in concessione e a tariffa nei servizi pubblici.

L’atto impositivo era riferito a due diverse fattispecie contrattuali, aventi ad oggetto servizi di trasporto: da un lato i contratti per la gestione di servizi di trasporto pubblico locale stipulati dalla contribuente con la Tevere TPL società consortile a r.l., a sua volta contraente con A.T.A.C. s.p.a. per la gestione di una rete di trasporto pubblico nel Comune di Roma; dall’altro lato contratti aventi ad oggetto la gestione di linee interregionali, stipulati dalla contribuente con la Regione Lazio.

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Roma accolse il ricorso con la sentenza n. 15406/8/14. Avverso tale sentenza l’Ufficio ha proposto appello di fronte alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con la sentenza n.5317/35/15, depositata il 14 ottobre 2015, lo ha accolto in parte. Infatti, la CTR ha distinto tra i contratti aventi ad oggetto il trasporto pubblico urbano di linea di Roma e quelli aventi ad oggetto l’affidamento, da parte della Regione Lazio, di due servizi di linea interregionali. Quanto ai primi ha rigettato l’appello proposto dall’ Agenzia, confermando l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente, già disposto in primo grado; mentre per i secondi ha accolto l’impugnazione erariale, riformando parzialmente la sentenza appellata e confermando pertanto in parte qua l’atto impositivo. L’Ufficio ha quindi proposto ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della CTR, nella parte in cui quest’ultima ha rigettato parte dell’appello erariale, relativamente al servizio di trasporto pubblico urbano di linea di Roma.

La contribuente, in persona dell’ Umbria TPL e mobilità spa (già costituitasi in appello come incorporante la S.I.R.A s.r.l.), si è costituita con controricorso ed ha contestualmente presentato ricorso incidentale, affidato a sei motivi, avverso la sentenza d’appello, nella parte in cui, relativamente ai servizi di trasporto interregionali, ha accolto l’appello erariale. L’Ufficio ha prodotto controricorso al ricorso incidentale. La contribuente ha prodotto memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale l’Ufficio lamenta, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli art. 11, comma 1, lettera a), d.lgs. 15 dicembre 1997 n.446; dell’art. 30, d.lgs. 12 Aprile 2006 n.163; dell’art.1362 cod. civ., per avere la CTR erroneamente interpretato sia la normativa in materia di deduzioni IRAP, sia le pattuizioni negoziali oggetto di accertamento, e per aver conseguentemente qualificato i contratti di trasporto pubblico locale eseguiti da S.I.R.A. s.r.l. come appalti di servizi e non quali concessioni di servizi.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale l’Ufficio denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ., la violazione  e la falsa applicazione degli art. 11, comma 1, lettera a), d.lgs. 15 dicembre 1997 n.446 e dell’art. 19 del d.lgs. 19 novembre 1997 n.422, per aver la CTR erroneamente escluso, avendo rilevato che l’impresa ha ‘operato nell’ambito di un mercato concorrenziale affrontando i relativi rischi di impresa nel formulare le condizioni che le hanno consentito di assicurarsi l’aggiudicazione’, la remuneratività della tariffa stabilita nel rapporto tra A.T.A.C. e Tevere TPL e in quello tra questa e S.I.R.A. s.r.l.

2.1. I due motivi di ricorso, per la loro connessione, vanno trattati assieme e sono infondati.

Nel caso di specie si discute dell’applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, così come modificato dalla legge 27 dicembre 2006 n.296, il quale esclude dal beneficio fiscale della deduzione, ai fini IRAP, di alcune poste relative al costo del lavoro, le « imprese operanti in concessione e a tariffa nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento rifiuti».

La Commissione Europea, con la decisione C (2007) n. 4133, del 12 ottobre 2007, ha ritenuto di non sollevare obiezioni relativamente alla misura di cui dell’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2,3 e 4, d.lgs. n. 446 del 1997, in ragione della neutralità dell’esclusione rispetto ai servizi operanti in concessione ed a tariffa. 2.2. Premesso che, ai fini dell’esclusione del beneficio, debbono concorrere ambedue i presupposti di legge della ‘concessione’ e della ‘tariffa’, in ordine al primo questa Corte ha già avuto occasione di precisare che « In tema di IRAP, poiché le imprese che svolgono attività regolamentata (cd. ‘public utilities’), caratterizzate dall’operare in regime di concessione e a tariffa, sono escluse dal godimento degli sgravi sul costo del lavoro (cd. cuneo fiscale) previsti dall’art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, a fini agevolativi di riduzione della base imponibile rileva il regime in cui opera il contribuente, tenuto conto che nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto esso consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante.» (Cass. 11/08/2020, n. 16889; nello stesso cfr. Cass. n. 24977 del 2021).

A sostegno di tale arresto è stato argomentato che, come rilevato già da questa Corte (Cass. 06/05/2015, n. 9139), anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato 09/09/2011, n. 5068) ha ritenuto che «….le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell’attività̀, ń per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), ń per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell’appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell’alea inerente una certa attività̀ in capo al soggetto privato». Quindi, la concessione, ovvero l’autorizzazione a gestire o sfruttare un’opera o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario del rischio operativo di natura economica di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati ed i costi sostenuti per realizzare i lavori o i servizi. Invero, «la qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza che il corrispettivo non ̀ a carico dell’Amministrazione e che l’erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, ̀ compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio» (Cons. Stato 12/05/2016, n. 1927). Pertanto, si ravvisa una concessione se, in base al titolo, l’operatore assume i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un canone o di una tariffa; mentre si configura un contratto di appalto se l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione.

E’ stato poi sottolineato (Cass. 11/08/2020, n. 16889, cit., in motivazione) che nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza comunitaria, secondo la quale si ̀ in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi (Corte Giust. CE, 15 ottobre 2009, in C- 196/08); mentre in caso di assenza di trasferimento al prestatore del rischio legato alla prestazione, l’operazione rappresenta un appalto di servizi (Corte Giust. CE, 10 settembre 2009, C-206/08, per la quale, nel caso di un contratto avente ad oggetto servizi, il fatto che la controparte contrattuale non sia direttamente remunerata dall’amministrazione aggiudicatrice, ma abbia il diritto di riscuotere un corrispettivo presso terzi, ̀ sufficiente per qualificare quel contratto come «concessione di servizi» ai sensi dell’art. 1, n. 3, lett. b) della direttiva 2004/17/CE, se il rischio di gestione nel quale incorre l’amministrazione aggiudicatrice, per quanto considerevolmente ridotto in conseguenza della configurazione giuspubblicistica dell’organizzazione del servizio, ̀assunto integralmente o in misura significativa dalla controparte contrattuale). Infine, è stato rilevato (Cass. 11/08/2020, n. 16889, cit., in motivazione) che è concorde, sul punto, anche l’art. 2, par. 1, lett. a) e b), della direttiva comunitaria 2014/23/CE («direttiva concessioni»), che ha definito «concessione di servizi» il contratto, a titolo oneroso, stipulato per iscritto, in virtù del quale una o più̀ amministrazioni aggiudicatrici o uno o più̀ aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori ad uno o più̀ operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Ed anche secondo l’art. 3, primo comma, lett. vv), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici) ̀ « ‘concessione di servizi’ un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi;».

Dunque, la distinzione tra concessione ed ‘appalto si rinviene nel fatto che, nel contratto di concessione, il corrispettivo derivante dall’erogazione del servizio ̀ proprio il diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto, diversamente da quanto accade nell’appalto, nel quale il corrispettivo che deriva dall’esecuzione di lavori o dalla gestione di servizi ̀ l’erogazione di un contributo economico che viene pattuito con la stazione appaltante e dalla stessa viene erogato. In questo senso si sono pronunciate recentemente anche le Sezioni Unite di questa Corte che, sia pure nel contesto del riparto della giurisdizione, hanno chiarito che « In tema di affidamento di servizi da parte della P.A. ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ciò, che i primi, a differenza delle seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario; pertanto, nell’ipotesi in cui l’amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi.». (Cass. , Sez. Un., 28/05/2020, n. 10080).

2.3. Ricordato che, come rilevato anche nella citata Decisione della Commissione Europea, ai fini dell’ esclusione dell’agevolazione il requisito della concessione deve concorrere con quello della ‘tariffa’, l’interpretazione corretta di tale ultimo elemento è stata chiarita recentemente da questa Corte, alla luce soprattutto della valutazione espressa dalla Commissione Europea: « In tema di IRAP, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dall’art. 1, comma 266, della l. n. 296 del 2006 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, del d.lgs. n. 446 del 1997, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (cd. ‘public utilities’) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la ‘ratio’ giustificatrice del cd. cuneo fiscale.» (Cass. 12/12/2019, n. 32633).

Infatti la Commissione europea ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale, nei confronti delle public utilities, prendendo atto che: (§ 33.) «le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere IRAP prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. In effetti i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene già interamente conto dell’onere  fiscale nella determinazione della tariffa. (§ 34.) Inoltre, per quanto riguarda il futuro, le autorità italiane si sono impegnate a far sì che l’esclusione non determini né vantaggi né svantaggi per i pubblici servizi in quanto i costi fiscali continueranno a essere presi in considerazione. Per questi motivi l’esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa non determinerà un vantaggio o uno svantaggio selettivo.». Proprio per la neutralità dell’esclusione del beneficio fiscale rispetto ai servizi pubblici operanti in concessione e a tariffa la Commissione europea ha quindi negato che la misura costituisse aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi dell’art. 87, § 1., del trattato CE. Infatti consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni IRAP darebbe luogo a un utile insperato, generando una ‘sovracompensazione’ capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato (così Cass. 12/12/2019, n. 32633).

2.4. La relazione logica e funzionale tra i due presupposti, necessariamente concorrenti, dell’esclusione dal beneficio fiscale ne chiarisce la ratio di scongiurare il vantaggio che ne trarrebbe l’impresa che, in regime concessorio, riceva già il corrispettivo rappresentato dalla tariffa che le paga l’utenza.

Ove tale tariffa (di regola fissata dalla pubblica amministrazione e non dipendente dal mercato) sia anche remuneratoria e compensativa del servizio prestato, sommare ad essa anche la deduzione de qua darebbe quindi luogo alla ridetta ‘sovracompensazione’. Pertanto, nel contesto del regime concessorio, la tariffa pagata dall’utenza costituisce una componente necessaria della remunerazione dell’impresa, giacché non avrebbe altrimenti senso imporre la verifica della sua remuneratività. In questo senso, del resto, ̀ esplicita la stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria, quando rileva che ̀ ‘ concessione’ « un’attività il cui corrispettivo ̀ costituito da una tariffa: ossia da un prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l’equilibrio economico- finanziario dell’investimento e della connessa gestione». Chiara, sul punto, ̀ anche l’affermazione di questa Corte, secondo cui «la netta distinzione tra le due figure è stata recentemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha sancito che, in tema di affidamento di servizi da parte della pubblica amministrazione ad imprese private, la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi risiede in ciò, che i primi, a differenza delle seconde, riguardano di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comportano il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione e non determinano, infine, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario; pertanto, nell’ipotesi in cui l’ amministrazione debba versare un canone al gestore dei servizi e questi non percepisca alcun provento dal pubblico indifferenziato degli utenti, il rapporto va qualificato in termini di appalto di servizi (in termini: Cass., Sez. Un., 28 maggio 2020, n. 10080)» (Cass.15/09/2021, n. 24977, in motivazione).

Date tali premesse, ha fatto buon governo di tali principi la CTR, con riferimento ai rapporti relativi alla gestione di servizi di trasporto pubblico locale stipulati dalla contribuente con la Tevere TPL società consortile a r.l., a sua volta contraente con A.T.A.C. s.p.a.. Infatti il giudice d’appello (pur dando contestualmente rilievo anche ad altri indicatori non altrettanto determinanti) ha comunque accertato in fatto (con giudizio quindi non sindacabile in questa sede, tanto più per l’applicabilità del limite della c.d. doppia conformità di cui all’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ.) che i compensi spettanti alla contribuente sono «stabiliti forfettariamente sulla base dei chilometri percorsi, il ricavo dei biglietti rimanendo invece riservato all’ATAC […] non risultano previsti sistemi di adeguamento del corrispettivo». Nella sostanza, quindi, nel caso di specie non sussiste una «tariffa» (compensativa o meno), pagata dall’utenza pubblica, che remuneri l’attività svolta dall’impresa, che quindi non può ritenersi operante in regime di concessione, quanto meno non al fine di escludere l’applicazione del beneficio controverso.

Va poi aggiunto che ai contratti controversi si applica il d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, che in materia di trasporto pubblico locale, all’art.19, prescrive la stipulazione di contratti di servizio quali appalti di servizi ( Cass. 22/10/2014, n. 22425; Cass. 15/06/2021, n. 29504; Cons. Stato 21/06/ 2018, n. 3822 e 07/02/2012, n. 645), gravando sulla ricorrente (che non l’ha assolto), l’onere di provare la non conformità del caso di specie al modello legale.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ, l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia, ai sensi dell’art.360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446; dell’art.30, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163; degli artt. 6,18,19, d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422; dell’ art. 24 e ss. legge reg. Lazio n.300 del 1998.

5. Con il terzo motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ, la contraddittorietà e illogicità della motivazione e la nullità in parte qua della sentenza.

5.1. I tre motivi, con i quali la contribuente censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto che il servizio di trasporto pubblico regionale eseguito dalla S.I.R.A. s.r.l. configurasse un’attività di impresa in concessione e a tariffa, escludendo pertanto rispetto ai relativi contratti la deducibilità prevista dall’art. 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, vanno trattati congiuntamente, atteso che dal corpo degli stessi si ricava una censura in diritto sovrapponibile e comune a tutti, anche se comunque specificata nel secondo mezzo.

Invero, la ricorrente incidentale « impugna la sentenza […] nella parte in cui, con riferimento ai contratti per la gestione dei servizi interregionali con la Regione Lazio, riconosce l’esistenza del requisito escludente della concessione traslativa […] limitandosi a considerare il solo dato testuale», quindi in violazione dei criteri e dei principi espressi in sede di trattazione del ricorso principale, peraltro condivisi dalla stessa CTR a proposito dei contratti relativi al servizio urbano. Infatti la CTR qualifica i rapporti, al fine che qui rileva, come ‘concessioni’ sulla base della mera circostanza che la parte introduttiva dei relativi contratti menziona precedenti atti di ‘concessione’, via via prorogati «con atti amministrativi accettati dalla parte privata».

Tale qualificazione – posta dalla CTR esplicitamente a presupposto del successivo esame della sussistenza della tariffa e della sua remuneratività – è quindi fondata su un dato letterale e formale, mentre prescinde del tutto dai criteri, in questa sede già ampiamente richiamati, rispetto ai quali il giudice a quo avrebbe dovuto condurre la relativa indagine, al fine di qualificare i rapporti in questione come concessioni o quali appalti di servizi, nel senso ed ai fini che qui rilevano.

I primi tre motivi di ricorso incidentale della contribuente vanno quindi accolto, con rinvio alla CTR per gli accertamenti in fatto necessari.

6. Con il quarto motivo di ricorso incidentale la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5 cod. proc. civ, l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti.

7. Con il quinto motivo di ricorso incidentale la contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 cod. proc. civ, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e dell’art. 19, d.lgs. 19 novembre 1997, n. 422;

8. Con il sesto motivo di ricorso incidentale la contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4 cod. proc. civ., la contraddittorietà e illogicità della motivazione e la nullità in parte qua della sentenza impugnata.

8.1. I motivi in questione, da trattare congiuntamente, attingono la sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento ai contratti con la Regione Lazio, escludono la deducibilità controversa per la sussistenza del requisito della tariffa remunerativa.

Poiché l’accertamento del requisito concorrente in questione presuppone necessariamente la verifica della natura dei rapporti controversi in termini di concessioni o di appalti di servizi, i motivi in decisione restano assorbiti dall’accoglimento dei primi tre motivi di ricorso incidentale.

9. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale; accoglie i primi tre motivi del ricorso incidentale e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, in data 8 febbraio 2022

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