Prima casa: sanzioni senza sconto per la dichiarazione di falso sull’immobile di lusso
Tributi – sanzioni – Agevolazione “prima casa” – Art. 33 del d.lgs. n. 175 del 2014 – Irretroattività – Limiti – Incidenza a fini sanzionatori – Rilevanza – Disciplina delle agevolazioni tributarie – Art. 33 d.lgs. n. 175/2014
Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13145 del 27 aprile 2022 sulla questione relativa alle agevolazioni per l’acquisto della prima casa e delle intervenute modifiche legislative, con rideterminazione dei criteri per ottenerne la fruizione, ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’Iva, dall’art. 33 del d.lgs. n. 21 novembre 2014 n. 175, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna “abolitio criminis”.
Con parole più sintetiche è possibile affermare che in tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’IVA, dall’art. 33 del D.lgs. 175/2014, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata non verificandosi alcuna abrogazione di una fattispecie di reato a opera del legislatore.
Come è noto le agevolazioni prima casa, introdotte dalla legge 22 aprile 1982, n. 168, sono disciplinate dalla nota 2-bis, dell’articolo 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR 131/86, contenente il T.U. dell’imposta di registro, aggiunta dall’art. 16 del Dl 155/1993, convertito dalla L. 243/1993, con contestuale modifica del comma 1 del citato art. 16, nonché dal D.lgs. 437/90, dal DPR 643/1972 e dalla Tabella A, parte seconda e terza, allegata al DPR 633/1972. L’art. 10 del D.lgs. 23/2011, come modificato dall’art. 26, c. 1, del Dl 104/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 128/2013, e dall’art. 1, c. 608, della legge 147/2013, ha introdotto, a decorrere dall’1 gennaio 2014, importanti novità nel regime impositivo applicabile ai fini delle imposte indirette agli atti a titolo oneroso, traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari. A decorrere dall’1 gennaio 2014, dunque, l’applicabilità delle agevolazioni prima casa risulta vincolata alla categoria catastale in cui è classificato o classificabile l’immobile e non più alle caratteristiche individuate dal D.M. Lavori Pubblici del 2 agosto 1969, così come previsto dall’art. 1, per. 5, della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, nella formulazione applicabile fino al 31 dicembre 2013.
Resta fermo che le agevolazioni prima casa non possono essere fruite in relazione a immobili che rientrano in categorie catastali diverse da quelle previste per gli immobili abitativi. Il mutamento dei presupposti per beneficiare dell’agevolazione ha posto nel dubbio l’applicazione del favor rei, e la conseguente inoperatività della sanzione, in favore di coloro che avevano acquistato una casa di lusso applicando l’agevolazione, tuttavia sottostando all’accertamento dopo il 2014.
Secondo le Sezioni Unite l’abitazione qualificata di lusso in virtù del disposto del Dm del 1969 non può beneficiare dell’agevolazione prima casa, in quanto la disciplina sopravvenuta lo vieta per le abitazioni acquistate in epoca precedente all’entrata in vigore della medesima. L’imposta risulta dovuta per il periodo anteriore alla novella che l’ha in seguito esclusa, e pertanto per il medesimo periodo risultano dovute pure le sanzioni. Quindi, non può essere invocato il favor rei né essere pretesa la non irrogazione della sanzione applicabile alla mendacità, e cioè al fatto di aver domandato l’agevolazione fiscale in mancanza dei presupposti.
Per le Sezioni Unite il precetto consiste nell’obbligo di rendere la dichiarazione in ordine ai presupposti dell’agevolazione, che deve essere vera in ragione della fruizione automatica del beneficio, e l’infrazione consiste nella dichiarazione mendace che del resto la sanzione, come regolata, è rimasta immutata. Il posteriore intervento legislativo sulla norma che disciplina i presupposti del riconoscimento del beneficio prima casa, infatti, non incidendo sul precetto, non ha eliminato la specifica infrazione conseguente alla violazione dello stesso.
Pertanto, secondo i Giudici, nel caso di specie non entra in campo una valutazione in merito all’operatività o meno del principio del favor rei (ossia dell’applicabilità di un trattamento sanzionatorio più favorevole al contribuente in virtù di una successione di leggi, a seguito delle quali l’infrazione continua a sussistere ma è disciplinata in maniera diversa), bensì una diversa valutazione riguardante la possibilità di escludere del tutto la sanzione stessa.
Non si discute, dunque, dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio mitigato e quindi più favorevole, ma si assume che il trattamento sanzionatorio debba essere escluso, in ragione della sopravvenuta eliminazione dell’oggetto della dichiarazione, dovuta all’espunzione dei criteri stabiliti dal Dm del 1969: perché non rileva la mitigazione del trattamento sanzionatorio, non viene in considerazione il principio del favor rei, il quale postula che, a seguito di una successione di leggi, l’infrazione continui a sussistere, ma è regolata in modo diverso.
L’istituto del favor rei, disciplinato dall’articolo 3, D.lgs. 472/1997, quale declinazione del principio di legalità, si applica in presenza di qualsiasi modifica in melius della disciplina sanzionatoria, salvo espressa indicazione contraria del legislatore. Va peraltro ricordato che la deroga al favor è ammessa soltanto in presenza di giustificazioni ragionevoli e in assenza di lesione del principio di eguaglianza, ex articolo 3 della Costituzione. L’ambito di operatività dell’istituto non è tuttavia precisamente definito nella giurisprudenza di Cassazione, che in alcuni casi ne ha tenuto conto anche in presenza di innovazioni della normativa sostanziale del tributo.
Per quanto riguarda l’abrogazione dell’illecito il favor determina il venir meno dell’obbligazione sanzionatoria, anche in presenza di provvedimenti definitivi, nella parte non ancora pagata. Nel secondo caso, invece, si applica sempre la misura più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo. Il favor è applicato d’ufficio dal giudice, anche in assenza di espressa richiesta di parte (Cass. civ. n. 12392/2021). La sfera naturale di efficacia della norma in esame è, per l’appunto, la modifica della disciplina sanzionatoria.
In buona sostanza le Sezioni Unite oggi riprendendo il bandolo, affermano che le modifiche del 2014 (abolizione del concetto di “lusso”), seguendo il ragionamento seguito recentemente dai Supremi Giudici che con l’ordinanza n. 2414/2019 ricordavano l’applicazione dell’art. 3, D.lgs. 472/1997 quando le sanzioni siano state inflitte non si estendono in modo retroattivo, per avere il contribuente dichiarato che l’immobile acquistato possedeva, contrariamente al vero, qualità intrinseche “non di lusso”, vale a dire, per aver reso una dichiarazione che, per effetto della modifica normativa introdotta dal D.lgs. 23/2011, non ha più alcuna rilevanza per l’ordinamento.
In altri termini, il mendacio contestato, costituente l’espresso fondamento della sanzione, così come stabilito dal quarto comma dell’art. 1, Parte Prima, Tariffa, DPR 131/1986, non potrebbe più realizzarsi, in quanto caduto su un elemento (caratteristiche non di lusso dell’immobile) espunto dalla fattispecie agevolativa.
Nel caso concreto, pertanto, si rilevava come l’Amministrazione finanziaria manteneva la potestà di revocare l’agevolazione in questione per il solo fatto del carattere di lusso rivestito al momento del trasferimento, e sulla base della disciplina all’epoca applicabile, dall’immobile trasferito, senza però avere titolo per applicare le sanzioni conseguenti a comportamenti che, dopo la riforma legislativa, non erano più rilevanti, non certo in quanto tali (false dichiarazioni), ma in quanto riferiti a parametri normativi non più vigenti.
La Sentenza n. 10656/2021 può allora risultare illuminante per chiarire che in n tema di IVA, nel caso oggi proposto in cui la cessione di un’abitazione di lusso venga assoggettata, usufruendo indebitamente dell’agevolazione per la prima casa, all’aliquota ridotta del 4% ai sensi del n. 21, parte seconda, della Tabella A allegata al DPR 633/1972 (nel testo vigente “ratione temporis”) in luogo di quella ordinaria, se la revoca del beneficio è dovuta a circostanze non imputabili in via esclusiva a un determinato comportamento dell’acquirente, come una dichiarazione mendace sulla sussistenza dei presupposti per fruire del trattamento agevolato, ma ad elementi oggettivi del contratto stipulato tra le parti, di cui esse sono necessariamente a conoscenza, l’ufficio può emettere l’avviso di liquidazione della maggiore imposta dovuta irrogando le relative sanzioni, sia nei confronti del cedente, quale soggetto passivo ex art. 17, DPR 633/1972 (e salva la rivalsa successiva, in caso di pagamento, nei limiti di cui all’art. 60, comma 7, dello stesso DPR, come modificato dall’art. 93, comma 1, del Dl 1/2012, conv., con modif., in legge 27/2012), sia nei confronti dell’acquirente dell’immobile medesimo, col primo tenuto quale coobbligato in forza del disposto dell’art. 1 della nota II-bis della tariffa allegata al DPR 131/1986, richiamato dal predetto n. 21 – norma così eurounitariamente interpretata – applicabile a tutte le ipotesi di accertata non spettanza del beneficio fiscale.
Sul tema del diritto sopravvenuto sul regime sanzionatorio è stato rilevato dalla Corte un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento, alla novella legislativa sopradetta conseguirebbe il venir meno del titolo per l’applicabilità della sanzione, poiché per effetto della stessa viene determinata l’interruzione del collegamento tra la norma impositiva e la norma sanzionatoria. Le conclusioni in termini di disapplicazione delle sanzioni vengono presentate in questo filone di sentenze in termini di inesigibilità delle sanzioni per intervenuta abolitio criminis o di applicazione del principio del favor rei. Così ragionando possiamo citare, infine, sia l’ordinanza n.1164/202, nella quale si statuiva che in tema di agevolazioni prima casa, pur non potendo trovare applicazione, quanto alla debenza del tributo, agli atti negoziali anteriori alla data della sua entrata in vigore e, cioè, all’1 gennaio 2014, può tuttavia, rispetto ad essi, spiegare effetti a fini sanzionatori in applicazione del principio del favor rei, posto che proprio in ragione della più favorevole disposizione sopravvenuta, la condotta che prima integrava una violazione fiscale non costituisce più il presupposto per l’irrogazione della sanzione. Minoritario è stato anche ritenuto l’orientamento espresso da Cass. n. 18421/17 e Cass. n. 8148/21, che affermavano la persistenza della sanzione derivante dalla permanenza della norma precetto, posto che l’abitazione acquistata dal contribuente che sia da qualificare di lusso ai sensi dell’art. 6 del Dm 2 agosto 1969 non può comunque godere dei benefici prima casa, poiché la normativa sopravvenuta ancora lo vieta per le abitazioni acquistate in epoca precedente alla sua entrata in vigore.
Un diverso orientamento considera la validità della sanzione irrogata in forza della permanenza della norma di precetto.
E’ del resto ricorrente l’affermazione che, qualora da una certa data un’imposta non sia più dovuta, ma lo resti per il periodo precedente, non si verifica alcuna abolitio criminis, la quale richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo. Se, dunque, l’imposta continua a essere dovuta per il periodo antecedente all’intervento normativo che l’ha poi esclusa, per quel periodo sono dovute anche le sanzioni. Secondo la Corte, inoltre, poiché la dichiarazione mendace continua a restar tale anche dopo la novella legislativa, la soluzione della questione va ricercata applicando i principi che governano il microcosmo del diritto sanzionatorio e, in ragione di ciò, la sanzione non può che rimanere in piedi. Se la dichiarazione è mendace si configura, pertanto, un’infrazione cui consegue l’irrogazione di una sanzione rimasta immutata.
E’ possibile concludere affermando che le modifiche legislative, benché non abbiano abolito né l’imposizione, né le previsioni sanzionatorie derivanti dalla dichiarazione mendace, hanno comunque cancellato dall’ordinamento l’oggetto della dichiarazione, che costituisce elemento normativo della fattispecie, di modo che si potrebbe verificare che l’agevolazione spetti in base ai nuovi parametri sebbene non spettasse secondo quelli vecchi. Il diritto sopravvenuto avrebbe dunque spezzato il collegamento fra la norma sanzionatoria e quella impositiva, facendo perdere l’efficacia giuridica all’applicazione della sanzione.
Tanto premesso e occupandoci della questione al vaglio delle Sezioni Unite, una contribuente aveva acquistato un immobile fruendo dell’aliquota IVA agevolata del 4%, prevista per l’acquisto della prima casa. L’Agenzia delle entrate, ritenendo che l’abitazione fosse di lusso in virtù dei parametri contemplati all’art. 6 del Dm 2 agosto 1969, all’epoca applicabile, rigettava il beneficio per l’acquisto della prima casa, recuperava con avviso di liquidazione la maggiore IVA, data dalla differenza tra l’applicazione dell’aliquota del 20% e quella del 4%, e irrogava le conseguenti sanzioni. La contribuente impugnava l’avviso, senza successo in primo grado né in secondo. Da qui il ricorso per Cassazione, in cui la parte contribuente essenzialmente lamentava che la qualificazione di immobile di lusso non rileverebbe più per effetto della novella introdotta dall’art. 33, D.lgs. 175/2014 (in vigore dal 13 dicembre 2014), che ha rideterminando i criteri per fruire dell’agevolazione per l’acquisto della prima casa. A seguito di tale riformulazione, il beneficio si configura come “fruizione automatica”, citando quanto affermato in Cass. 22 aprile 2021 n. 10656. Il ricorso è stato respinto dai Supremi Giudici, i quali hanno affermato che: “La soluzione della questione va ricercata applicando i principi che governano il microcosmo del diritto sanzionatorio. La sanzione tributaria postula la violazione e la violazione, a propria volta, implica l’inosservanza, disciplinata dalla legge, di una norma che prevede un obbligo attinente alla materia fiscale: occorre dunque una norma concernente la fattispecie legale astratta, che descrive la condotta rilevante e sintetizza il precetto, e una norma che fissa la disciplina, cioè le conseguenze dell’infrazione del precetto sul piano sanzionatorio (cfr., in termini, Cass. n. 5897/13). Il diritto sanzionatorio ha manifestato vocazione all’autonomia (Cass., sez. un., n. 2145/21): al centro del microcosmo della sanzione v’è l’infrazione, sanzionata con l’inflizione di svantaggi non immediatamente correlati alla soddisfazione dell’interesse pubblico pregiudicato (Corte cost. n. 151/21).Nel caso in esame il precetto consiste nell’obbligo di rendere la dichiarazione in ordine ai presupposti dell’agevolazione, che dev’essere vera, in ragione della fruizione automatica del beneficio, e l’infrazione consiste nella dichiarazione mendace. A fronte dell’infrazione, la sanzione, come regolata dalla richiamata nota II-bis, è rimasta immutata. Non si discute, dunque, dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio mitigato e quindi più favorevole, ma si assume che il trattamento sanzionatorio debba essere escluso, in ragione della sopravvenuta eliminazione dell’oggetto della dichiarazione, dovuta all’espunzione dei criteri stabiliti dal d.m. del 1969. E poiché non rileva la mitigazione del trattamento sanzionatorio, non viene in considerazione il principio del favor rei, il quale postula che, a seguito di una successione di leggi, l’infrazione continui a sussistere, ma è regolata in modo diverso. L’oggetto della dichiarazione riguarda, peraltro, l’antecedente di fatto dell’infrazione: a essere cambiata è la disciplina normativa dell’agevolazione, mediante la modifica del criterio d’individuazione degli immobili che possono fruirne. Ciò che occorre determinare è, allora, se sia configurabile un’abolitio criminis, ossia se l’infrazione sia stata o no abolita in esito alla modificazione della norma riguardante i presupposti oggettivi del riconoscimento del beneficio per l’acquisto della prima casa. Si deve quindi stabilire se l’intervento legislativo posteriore abbia alterato, anche mediatamente, il precetto e, quindi, abbia escluso la figura di infrazione scaturente dalla violazione di esso.In realtà, nessuna abolitio criminis si è verificata. Indubbio è, anzitutto, che, nel caso in esame, la dichiarazione fosse e sia rimasta mendace. Per affermare che il mendacio, benché sussistente, sia divenuto irrilevante, e non debba essere sanzionato, occorre allora verificare se la dichiarazione che ne è oggetto sia diventata ininfluente ai fini impositivi. Sono di utile applicazione, allo scopo, i principi fissati dalla giurisprudenza penale di questa Corte: l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico, sia pure modellato, qualora incida sulle materie di competenza dell’Unione, dai principi unionali di adeguatezza, proporzionalità ed effettività; e quest’impianto s’impernia sul principio di legalità, del quale la regola dell’abolitio criminis è architrave. Ebbene, la giurisprudenza delle sezioni unite penali, inaugurata dalla sentenza Giordano (n. 25887/03), sviluppata, a proposito delle modifiche mediate, dalla sentenza Magera (n. 2451/08), e ribadita dalle sentenze Niccoli (n. 19601/08) e Rizzoli (n. 24468/09), ha ormai ripudiato, ai fini dell’abolitio criminis, il criterio della doppia punibilità in concreto (conf., tra le più recenti, Cass. pen. n. 3269/19, T.). È, allora, decettivo l’argomento, su cui fa leva l’orientamento della sezione tributaria favorevole alla sopravvenuta inapplicabilità della sanzione, il quale sottolinea la circostanza che l’agevolazione possa risultare spettante in base ai nuovi parametri, benché non spettasse secondo quelli vecchi: in questo modo si evoca giustappunto la doppia punibilità in concreto, poiché si richiede, per poter lasciar ferma la sanzione, che il fatto, punito in base alla legge anteriore, lo sia anche in base a quella posteriore. Al contrario, se, nonostante la modificazione normativa, l’imposta, per il passato, continua ad essere dovuta, la modificazione segna il passaggio tra due contesti giuridici, con le correlate situazioni di fatto: fare applicazione al primo contesto del trattamento riservato al secondo, sia pure ai soli fini sanzionatori, si traduce in un’inammissibile applicazione della norma nuova a una situazione diversa da quella alla quale essa si riferisce.Che, nel caso in esame, resti dovuta la maggiore imposta pretesa perché l’immobile acquistato col beneficio della prima casa non rispondeva alle caratteristiche dell’immobile di lusso, è stabilito dal legislatore: basti il richiamo al comma 5 dell’art. 10 del d.lgs. n. 23/11, a norma del quale «Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014». Non ne dubitano, d’altronde, la sezione tributaria con le pronunce che, pure, reputano inapplicabile la sanzione, e la stessa contribuente, la quale riconosce che la modifica normativa non ha abolito l’imposizione, né le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione. Il mendacio, dunque, oltre che sussistente, resta rilevante. E lo resta perché quel che conta è la fattispecie astratta della dichiarazione mendace, e non l’oggetto di essa, che, in quanto antecedente di fatto, rappresenta un elemento esterno alla struttura della violazione. È difatti con riguardo alla struttura della fattispecie che va condotta l’indagine sugli effetti della successione di norme che hanno regolato quell’elemento, al pari dell’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali. Hanno chiarito sul punto le sezioni unite penali, con riguardo alla successione di norme extrapenali (si veda, in particolare, Cass. pen. n. 19601/2008, Niccoli, cit., a proposito del mutamento del presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e dei presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, ai fini del giudizio sul reato di bancarotta), che l’atto giuridico richiamato in una fattispecie penale conta per gli effetti giuridici che esso produce e non per i fatti con esso definiti; sicché, se muta, per ius superveniens, la definizione legale dei presupposti di un certo atto, non può dirsi che le norme sopravvenute, che quei presupposti mutino, incidano sulla struttura del reato.La modifica dell’elemento avrebbe acquistato rilevanza, ai fini dell’abolitio criminis, soltanto se avesse comportato l’eliminazione del mendacio. Il che sarebbe potuto accadere se la norma successiva, che ha diversamente disciplinato l’oggetto della dichiarazione, fosse stata retroattiva: in tal caso la norma non avrebbe soltanto qualificato un elemento di fatto, ma avrebbe mutato l’assetto giuridico della fattispecie astratta. Ed è appunto ciò che la giurisprudenza penale di questa Corte ha ritenuto che sia avvenuto con riguardo alla fattispecie dell’omesso versamento della tassa di soggiorno (Cass. pen. n. 9213/22, Khvostova, in part. punto 4, secondo cui, in virtù dell’art. 5- quinquies del d.l. n. 146/21, aggiunto in sede di conversione con I. n. 215/21, che ha attribuito con effetto retroattivo la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva, il mancato, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, anche per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020, non è più sussumibile nel delitto di peculato, perché è venuta meno retroattivamente la veste giuridica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio). La sanzione in questione resta dunque dovuta. Essa, d’altronde, risponde ai canoni di adeguatezza, proporzionalità ed effettività in chiave unionale, rilevanti nel caso in esame poiché afferisce all’iva, tributo armonizzato. La sanzione è adeguata, avuto riguardo al suo scopo, che è quello d’indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell’imposta e, pertanto, di raggiungere l’obiettivo di assicurarne l’esatta riscossione (Corte giust., causa C-935/19, Grupa Warzywna Sp. z o.o., punto 31). Risponde, inoltre, al canone di effettività una sanzione d’importo elevato, perché volta a evitare che lo Stato membro d’imposizione sia privato della possibilità di controllare efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta (Corte giust., grande sezione, causa C-482/18, Google). Il legislatore ha poi tenuto conto del principio di proporzionalità commisurando la gravità del trattamento sanzionatorio all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo, soprattutto considerando che si discute di mendacio relativo alle caratteristiche oggettive dell’immobile, delle quali entrambe le parti non possono non essere a conoscenza (si veda ancora Cass. n. 10656/21, cit.). Il motivo in questione va quindi respinto, con applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’iva, dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis”. Il ricorso è rigettato”.
Corte di Cassazione SS. UU. – Sentenza 27aprile 2022, n. 13145
sul ricorso 24872-2015 proposto da:
P. G., elettivamente domiciliatasi in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 32, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FISCHIONI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI FERRAJOLI;
– ricorrente –
contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA„ VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1014/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata il 17/03/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/03/2022 tenutasi con le modalità previste dall’art. 23, comma 8- bis, del d.l. n. 137/20, come convertito dalla I. n. 176/20, e ribadite dall’art. 16, comma 1, del d.l. n. 228/21, convertito con I. n. 15/22, dal Consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale FULVIO TRONCONE, il quale conclude affinché le Sezioni Unite vogliano accogliere il quarto motivo del ricorso, cassando la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, accogliere il ricorso originario della contribuente G. P., limitatamente alle sanzioni, da dichiararsi non dovute.
Fatti di causa
Come emerge dalla sentenza impugnata, G. P. acquistò un immobile fruendo dell’aliquota agevolata iva del 4°/o, prevista per l’acquisto della prima casa.
L’Agenzia, tuttavia, assumendo che l’abitazione fosse da definire di lusso, in base ai parametri fissati dall’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969, all’epoca applicabile, e che per conseguenza non potesse essere riconosciuto il beneficio per l’acquisto della prima casa, recuperò con avviso di liquidazione la maggiore iva, data dalla differenza tra l’applicazione dell’aliquota del 20% e quella del 4%, e irrogò le conseguenti sanzioni; successivamente rettificò in autotutela l’avviso, reputando applicabile l’aliquota del 10%, perché l’immobile aveva costituito oggetto di un intervento di ristrutturazione edilizia su fabbricato abitativo ceduto dall’impresa al termine dei lavori.
La contribuente impugnò l’avviso, senza successo in primo grado, né in secondo. In particolare, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha escluso la sussistenza dei presupposti per la fruizione dell’aliquota agevolata, poiché la superficie dell’appartamento compravenduto era risultata pari a mq 248,28 (misura evidentemente calcolata operando la sottrazione tra la superficie complessiva di mq 283,28 riportata nell’avviso e quella del box auto, di mq 35,00, che, secondo la contribuente, andava esclusa dal computo) e l’appellante non aveva dimostrato che l’immobile avesse una diversa dimensione.
Contro questa sentenza propone ricorso G. P. per ottenerne la cassazione, che ha affidato a quattro motivi, cui l’Agenzia delle entrate non ha replicato con difese scritte.
La sezione tributaria di questa Corte, ravvisato, quanto ai profili sanzionatori, un contrasto in relazione al diritto intertemporale, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per consentirgli di valutare l’assegnazione del ricorso a queste sezioni unite. Ne è seguita la fissazione dell’udienza odierna, in prossimità della quale la contribuente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.- Queste sezioni unite sono interpellate per la soluzione della questione evocata dal quarto motivo di ricorso, col quale la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, perché il giudice d’appello non ha applicato il principio del favor rei, escludendo le sanzioni irrogate. Per affrontare questo tema vanno, tuttavia, esaminati i primi tre motivi di ricorso, che pongono quello, logicamente preliminare, che riguarda la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’aliquota agevolata dell’iva.
2.- Di questi motivi, il primo, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., perché il giudice d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, addossandolo a lei, e perdipiù ponendo a base della decisione un documento, ossia la perizia redatta dall’Ufficio del territorio, non allegato all’avviso di liquidazione e prodotto soltanto nel corso del giudizio, è infondato; ciò perché l’onere di provare la spettanza del beneficio, che deroga al regime ordinario, spetta a chi intende valersene (tra varie, Cass. n. 11556/16).
2.1.- Il secondo motivo, col quale si denuncia l’omesso esame del fatto decisivo costituito dal mancato rilievo, da parte del giudice d’appello, del fatto che la perizia dell’Agenzia del territorio non era stata allegata all’avviso di liquidazione, è inammissibile, in quanto non si deduce l’omesso esame di un fatto in senso storico- naturalistico.
2.2.- Inammissibile è altresì il terzo motivo di ricorso, col quale la contribuente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.m. 2 agosto 1969, perché il richiamo operato al documento dell’Ufficio del territorio non consentirebbe di comprendere quali superfici fossero state inserite nel computo di quella complessiva. Non v’è difatti specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme che regolano la fattispecie o con l’interpretazione che di esse sia stata fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (tra varie, Cass. n. 16132/05; n. 25419/14; n. 287/16).
3.- A fondamento del quarto motivo, dunque, la contribuente espone che le caratteristiche assunte dal d.m. del 1969 per la qualificazione di immobile di lusso non rilevano più, per effetto della novella introdotta dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, in vigore dal 13 dicembre 2014. Con questa norma il legislatore ha modificato il n. 21 della Tabella A, parte II, allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e ha per conseguenza rideterminato i criteri per la fruizione del beneficio per l’acquisto della prima casa: sicché il riconoscimento di esso è impedito non già dal fatto che l’immobile sia da qualificare di lusso in base ai parametri stabiliti dal suddetto d.m. (ossia che abbia una superficie superiore ai 240 mq), bensì dalla circostanza che esso rientri nell’ambito delle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, corrispondenti alle abitazioni signorili, a quelle in ville e ai castelli e ai palazzi di eminenti pregi architettonici e storici.
3.1.- Sul piano sistematico, il diritto sopravvenuto rileva anche sul fronte dell’imposta di registro, applicabile in base al principio di alternatività stabilito dall’art. 40 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (c.d. TUR): in relazione a quest’imposta l’art. 10, comma 1, lett. a), del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nel modificare l’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, ha stabilito che debba essere assoggettato all’imposta di registro nella misura del 2% il trasferimento che ha per oggetto case di abitazione, ad eccezione, appunto, di quelle di categoria catastale A/1, A/8 e A/9, ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-bis ai richiamato art. 1 della parte prima della Tariffa.
4.- Per godere del beneficio l’acquirente deve dichiarare la sussistenza delle condizioni fissate dal comma 1 della nota II-bis nell’atto pubblico di acquisto (o anche nel contratto preliminare, in caso di cessioni soggette ad imposta sul valore aggiunto, pur se in riferimento al momento in cui si realizza l’effetto traslativo: comma 2 della medesima nota) di case di abitazione dotate delle caratteristiche oggettive indicate. Si tratta, dunque, come questa Corte ha sottolineato, di un beneficio “a fruizione automatica” (Cass. n. 10656/21, punto 10.8).
4.1.- Comune è la norma sanzionatoria, che si rinviene nel comma 4 della nota II-bis, secondo la quale «In caso di dichiarazione mendace…, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte. Se si tratta di cessioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate presso cui sono stati registrati i relativi atti deve recuperare nei confronti degli acquirenti la differenza fra l’imposta calcolata in base all’aliquota applicabile in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché irrogare la sanzione amministrativa, pari al 30 per cento della differenza medesima…».
Ad avviso della contribuente, dunque, il diritto sopravvenuto avrebbe eliso la rilevanza della condotta in precedenza sanzionata, di modo che la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto prenderne atto e disapplicare la sanzione irrogata.
5.- Sull’incidenza del diritto sopravvenuto sul regime sanzionatorio la sezione tributaria di questa Corte ha censito con l’ordinanza interlocutoria un contrasto d’interpretazioni. Da un lato, si afferma che non sussistono più i presupposti per l’irrogazione delle sanzioni.
Le modifiche legislative, benché non abbiano abolito né l’imposizione, né le previsioni sanzionatorie derivanti dalla dichiarazione mendace, si argomenta, hanno comunque cancellato dall’ordinamento l’oggetto della dichiarazione, che costituisce elemento normativo della fattispecie, di modo che si potrebbe verificare che l’agevolazione spetti in base ai nuovi parametri, benché non spettasse secondo quelli vecchi.
Il diritto sopravvenuto avrebbe dunque spezzato il collegamento fra la norma sanzionatoria e quella impositiva, caducando il titolo per l’applicazione della sanzione (Cass. n. 13235/16; nn. 2889, 2890, 2893, 2900, 3357, 3358, 3359, 3360, 3361, 3362, 11621, 11624, 11636, 11639/17; n. 2010/18, n. 14964/18; n. 26423/18; nn. 32304 e 32305/18; n. 354/19; n. 2414/19; n. 24343/19; n. 29390/19; n. 30902/19; nn. 31489 e 31490/19; n. 1164/21; n. 10656/21; n. 12392/21; nn. 12467 e 12468/21; n. 30761/21).
5.1.- Sul piano della ricostruzione di sistema, quest’indirizzo oscilla tra la dichiarata applicazione del principio del favor rei (al quale fa pressoché esclusivamente riferimento l’ordinanza che ha inaugurato l’orientamento, ossia Cass. n. 13235/16), stabilito dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, secondo cui «se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo», e l’affermazione dell’inesigibilità delle sanzioni per intervenuta abolitio criminis (cui si riferiscono, evocandola insieme col favor rei, talora declinato come generale favore per il contribuente, le altre pronunce), in base all’art. 3, comma 2, del medesimo decreto, a norma del quale «Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile».
6.- Apparentemente minoritario è, poi, dall’altro lato, l’orientamento (espresso da Cass. nn. 18421/17 e 8148/21), che afferma la persistenza della sanzione, derivante dalla permanenza della norma precetto, posto che l’abitazione acquistata dal contribuente che sia da qualificare di lusso ai sensi dell’art. 6 del d.nn. 2 agosto 1969 non può comunque godere dei benefici «prima casa», poiché la normativa sopravvenuta ancora lo vieta per le abitazioni acquistate in epoca precedente all’entrata in vigore di essa. Questa seconda opzione è soltanto apparentemente minoritaria, perché in realtà s’inserisce nella più vasta elaborazione della sezione tributaria relativa alla portata dell’abolitio criminis. Costante è, difatti, l’affermazione che, qualora da una certa data un’imposta non sia più dovuta, ma lo resti per il periodo precedente, non si verifica alcuna abolitio criminis, la quale richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo. Se, dunque, l’imposta continua a essere dovuta per il periodo antecedente all’intervento normativo che l’ha poi esclusa, per quel periodo sono dovute anche le sanzioni. Si è fatta applicazione del principio, in via d’esempio, a proposito dell’abolizione dell’INVIM (Cass. nn. 6189/06, 24991/06, 2226/15 e n. 29328/21), in riferimento alla soppressione dell’obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini ici con decorrenza dall’anno 2007 (Cass. n. 12936/19), in relazione al subentro di un aspetto della disciplina dell’imu a quella dell’ici (Cass. nn. 8554 e 8555/16). Armonico con quest’indirizzo è altresì quello, consolidato e mai smentito, in base al quale la violazione formale dell’obbligo di separata indicazione, nella dichiarazione annuale dei redditi, delle spese e degli altri componenti negativi inerenti a operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi “black list”), quando commessa anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 144, legge n. 208 del 2015, è comunque soggetta alla sanzione amministrativa di cui all’art. 8, comma 3-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, senza che rilevi l’avvenuta abrogazione dei commi da 10 a 12-bis dell’art. 110 del d.P.R. n. 917 del 1986 ad opera della citata I. n. 208, priva di efficacia retroattiva, secondo cui le disposizioni dell’indicato art. 1, commi 142 e 143, si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015 (tra varie, Cass. n. 4030/15, n. 15285/15; n. 27613/18; n. 8068/20; n. 9338/20; n. 9723/21; n. 16522/21; n. 24648/21; n. 34278/21; n. 10652/22).
6.1.- A maggior ragione si è esclusa l’abolitio criminis al cospetto della continuità normativa, che comporta la punibilità degli illeciti commessi prima del diritto sopravvenuto, qualora questo abbia soppiantato l’obbligo in precedenza previsto e sanzionato con altro omologo. Sono state dunque ritenute ferme le sanzioni nel caso della successione dell’Irap all’Ilor (Cass. nn. 8717/03, 25053/06, 21168/08, 17981/12, 16610/15), nonché con riguardo alla modifica degli Ric. 2015 n. 24872 sez. SU – ud. 22-03-2022 -8- (49- adempimenti del cedente/prestatore disposta dall’art. 20 del d.lgs. n. 175/2014, che ha modificato l’art. 7, comma 4-bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 (Cass. n. 19738/21; n. 202/22).
7.- La soluzione della questione va ricercata applicando i principi che governano il microcosmo del diritto sanzionatorio. La sanzione tributaria postula la violazione e la violazione, a propria volta, implica l’inosservanza, disciplinata dalla legge, di una norma che prevede un obbligo attinente alla materia fiscale: occorre dunque una norma concernente la fattispecie legale astratta, che descrive la condotta rilevante e sintetizza il precetto, e una norma che fissa la disciplina, cioè le conseguenze dell’infrazione del precetto sul piano sanzionatorio (cfr., in termini, Cass. n. 5897/13).
7.1.- Il diritto sanzionatorio ha manifestato vocazione all’autonomia (Cass., sez. un., n. 2145/21): al centro del microcosmo della sanzione v’è l’infrazione, sanzionata con l’inflizione di svantaggi non immediatamente correlati alla soddisfazione dell’interesse pubblico pregiudicato (Corte cost. n. 151/21).
8.- Nel caso in esame il precetto consiste nell’obbligo di rendere la dichiarazione in ordine ai presupposti dell’agevolazione, che dev’essere vera, in ragione della fruizione automatica del beneficio, e l’infrazione consiste nella dichiarazione mendace. A fronte dell’infrazione, la sanzione, come regolata dalla richiamata nota II-bis, è rimasta immutata. Non si discute, dunque, dell’applicazione di un trattamento sanzionatorio mitigato e quindi più favorevole, ma si assume che il trattamento sanzionatorio debba essere escluso, in ragione della sopravvenuta eliminazione dell’oggetto della dichiarazione, dovuta all’espunzione dei criteri stabiliti dal d.m. del 1969. E poiché non rileva la mitigazione del trattamento sanzionatorio, non viene in considerazione il principio del favor rei, il quale postula che, a seguito di una successione di leggi, l’infrazione continui a sussistere, ma è regolata in modo diverso.
8.1.- L’oggetto della dichiarazione riguarda, peraltro, l’antecedente di fatto dell’infrazione: a essere cambiata è la disciplina normativa dell’agevolazione, mediante la modifica del criterio d’individuazione degli immobili che possono fruirne. Ciò che occorre determinare è, allora, se sia configurabile un’abolitio criminis, ossia se l’infrazione sia stata o no abolita in esito alla modificazione della norma riguardante i presupposti oggettivi del riconoscimento del beneficio per l’acquisto della prima casa. Si deve quindi stabilire se l’intervento legislativo posteriore abbia alterato, anche mediatamente, il precetto e, quindi, abbia escluso la figura di infrazione scaturente dalla violazione di esso.
9.- In realtà, nessuna abolitio criminis si è verificata. Indubbio è, anzitutto, che, nel caso in esame, la dichiarazione fosse e sia rimasta mendace. Per affermare che il mendacio, benché sussistente, sia divenuto irrilevante, e non debba essere sanzionato, occorre allora verificare se la dichiarazione che ne è oggetto sia diventata ininfluente ai fini impositivi. Sono di utile applicazione, allo scopo, i principi fissati dalla giurisprudenza penale di questa Corte: l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico, sia pure modellato, qualora incida sulle materie di competenza dell’Unione, dai principi unionali di adeguatezza, proporzionalità ed effettività; e quest’impianto s’impernia sul principio di legalità, del quale la regola dell’abolitio criminis è architrave.
9.1.- Ebbene, la giurisprudenza delle sezioni unite penali, inaugurata dalla sentenza Giordano (n. 25887/03), sviluppata, a proposito delle modifiche mediate, dalla sentenza Magera (n. 2451/08), e ribadita dalle sentenze Niccoli (n. 19601/08) e Rizzoli (n. 24468/09), ha ormai ripudiato, ai fini dell’abolitio criminis, il criterio della doppia punibilità in concreto (conf., tra le più recenti, Cass. pen. n. 3269/19, T.).
10.- È, allora, decettivo l’argomento, su cui fa leva l’orientamento della sezione tributaria favorevole alla sopravvenuta inapplicabilità della sanzione, il quale sottolinea la circostanza che l’agevolazione possa risultare spettante in base ai nuovi parametri, benché non spettasse secondo quelli vecchi: in questo modo si evoca giustappunto la doppia punibilità in concreto, poiché si richiede, per poter lasciar ferma la sanzione, che il fatto, punito in base alla legge anteriore, lo sia anche in base a quella posteriore. Al contrario, se, nonostante la modificazione normativa, l’imposta, per il passato, continua ad essere dovuta, la modificazione segna il passaggio tra due contesti giuridici, con le correlate situazioni di fatto: fare applicazione al primo contesto del trattamento riservato al secondo, sia pure ai soli fini sanzionatori, si traduce in un’inammissibile applicazione della norma nuova a una situazione diversa da quella alla quale essa si riferisce.
10.1.- Che, nel caso in esame, resti dovuta la maggiore imposta pretesa perché l’immobile acquistato col beneficio della prima casa non rispondeva alle caratteristiche dell’immobile di lusso, è stabilito dal legislatore: basti il richiamo al comma 5 dell’art. 10 del d.lgs. n. 23/11, a norma del quale «Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2014». Non ne dubitano, d’altronde, la sezione tributaria con le pronunce che, pure, reputano inapplicabile la sanzione, e la stessa contribuente, la quale riconosce che la modifica normativa non ha abolito l’imposizione, né le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla falsa dichiarazione.
11.- Il mendacio, dunque, oltre che sussistente, resta rilevante. E lo resta perché quel che conta è la fattispecie astratta della dichiarazione mendace, e non l’oggetto di essa, che, in quanto antecedente di fatto, rappresenta un elemento esterno alla struttura della violazione. È difatti con riguardo alla struttura della fattispecie che va condotta l’indagine sugli effetti della successione di norme che hanno regolato quell’elemento, al pari dell’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali.
11.1.- Hanno chiarito sul punto le sezioni unite penali, con riguardo alla successione di norme extrapenali (si veda, in particolare, Cass. pen. n. 19601/2008, Niccoli, cit., a proposito del mutamento del presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell’impresa e dei presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell’imprenditore, ai fini del giudizio sul reato di bancarotta), che l’atto giuridico richiamato in una fattispecie penale conta per gli effetti giuridici che esso produce e non per i fatti con esso definiti; sicché, se muta, per ius superveniens, la definizione legale dei presupposti di un certo atto, non può dirsi che le norme sopravvenute, che quei presupposti mutino, incidano sulla struttura del reato.
12.- La modifica dell’elemento avrebbe acquistato rilevanza, ai fini dell’abolitio criminis, soltanto se avesse comportato l’eliminazione del mendacio. Il che sarebbe potuto accadere se la norma successiva, che ha diversamente disciplinato l’oggetto della dichiarazione, fosse stata retroattiva: in tal caso la norma non avrebbe soltanto qualificato un elemento di fatto, ma avrebbe mutato l’assetto giuridico della fattispecie astratta.
12.1.- Ed è appunto ciò che la giurisprudenza penale di questa Corte ha ritenuto che sia avvenuto con riguardo alla fattispecie dell’omesso versamento della tassa di soggiorno (Cass. pen., n. 9213/22, Khvostova, in part. punto 4, secondo cui, in virtù dell’art. 5- quinquies del d.l. n. 146/21, aggiunto lin sede di conversione con I. n. 215/21, che ha attribuito con effetto retroattivo la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva, il mancato, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno, anche per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020, non è più sussumibile nel delitto di peculato, perché è venuta meno retroattivamente la veste giuridica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio).
13.- La sanzione in questione resta dunque dovuta. Essa, d’altronde, risponde ai canoni di adeguatezza, proporzionalità ed effettività in chiave unionale, rilevanti nel caso in esame poiché afferisce all’iva, tributo armonizzato. La sanzione è adeguata, avuto riguardo al suo scopo, che è quello d’indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell’imposta e, pertanto, di raggiungere l’obiettivo di assicurarne l’esatta riscossione (Corte giust., causa C-935/19, Grupa Warzywna Sp. z o.o., punto 31). Risponde, inoltre, al canone di effettività una sanzione d’importo elevato, perché volta a evitare che lo Stato membro d’imposizione sia privato della possibilità di controllare efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta (Corte giust., grande sezione, causa C-482/18, Google).
13.1.- Il legislatore ha poi tenuto conto del principio di proporzionalità commisurando la gravità del trattamento sanzionatorio all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo, soprattutto considerando che si discute di mendacio relativo alle caratteristiche oggettive dell’immobile, delle quali entrambe le parti non possono non essere a conoscenza (si veda ancora Cass. n. 10656/21, cit.).
14.- Il motivo in questione va quindi respinto, con applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di agevolazioni per l’acquisto della prima casa, la modifica dei parametri ai quali ancorare i presupposti per il riconoscimento del beneficio, disposta, quanto all’iva, dall’art. 33 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, non ha inciso retroattivamente e l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, della quale è soltanto cambiato l’oggetto, è rimasta immutata; ne consegue che non si è verificata alcuna abolitio criminis”. Il ricorso è rigettato.
14.1.- Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva dell’Agenzia.
Sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/02.
Per questi motivi la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto. Roma, il 22 marzo 2022