CASSAZIONE

Prima casa, nessun obbligo di contraddittorio preventivo

Acquisto prima casa – Revoca delle agevolazioni fiscali – Recupero a tassazione della differenza tra l’aliquota ordinaria e quella agevolata per l’imposta di registro, ipotecaria e catastale e l’imposta sostitutiva sul mutuo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 5 dicembre 2016 n. 24831, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha ritenuto non necessario il contraddittorio nel in caso di contestazioni sulla legittimità del bonus prima casa quando si è già proceduto all’emanazione di avvisi di liquidazione per il recupero a tassazione della differenza tra l’aliquota ordinaria e quella agevolata.

Com’è noto, laddove sussistano determinati requisiti, l’acquisto della prima casa è soggetto ad alcune agevolazioni fiscali che comprendono, ad esempio, l’esenzione dall’IVA o l’applicazione dell’aliquota ridotta al 4%, come anche l’imposizione di una soglia fissa sulle imposte ipotecaria e catastale. È altrettanto noto che in caso di dichiarazione mendace in merito ai requisiti necessari per applicare le suddette agevolazioni, è prevista la cosiddetta “decadenza” dal beneficio, la quale “comporta il recupero della differenza d’imposta non versata e degli interessi, nonché l’applicazione di una sanzione pari al 30% dell’imposta stessa”.

Ora, nel caso in cui il contribuente abbia dichiarato il falso pur di assicurarsi le agevolazioni prima casa, l’Agenzia delle Entrate avrà a disposizione tre anni per poter reclamare le imposte dovute e non versate. La conferma del termine triennale ai fini dell’accertamento è arrivata da un’ordinanza della Corte di Cassazione che, in pratica, non ha fatto altro che seguire l’orientamento già indicato nel 2005 dalla Circolare 38/E dell’Agenzia delle Entrate, contenente un intero paragrafo dedicato, appunto, alla decadenza dai benefici prima casa.

Tanto premesso, è utile ricordare che la tutela dei diritti dei contribuenti attraverso il contraddittorio procedimentale o precontenzioso per gli accertamenti a tavolino era stata generosamente affermata dalla Cassazione con numerose sentenze (Cass. SS.UU. 29 luglio 2013, n. 18184; 18 settembre 2014 n. 19667 e 19668, cui aveva fatto seguito la meritevole sentenza 132/2015 della Corte Costituzionale). Con la prima era stato sostenuto che “l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un principio fondamentale immanente nell’ordinamento, operante anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa a pena di nullità dell’atto finale del procedimento per violazione del diritto di partecipazione dell’interessato al procedimento stesso”. Con la seconda è stato precisato che “la sanzione di nullità dell’atto conclusivo del procedimento assunto in violazione del termine (di 60 giorni) trova dunque ragione in una divergenza dal modello normativo che, lungi dall’essere qualificabile come meramente formale o innocua o come di lieve entità, è invece di particolare gravità in considerazione della funzione di tutela dei diritti del contribuente della previsione presidiata dalla sanzione della nullità e del fatto che la violazione del termine da essa previsto a garanzia dell’effettività del contraddittorio procedimentale impedisce il pieno svolgersi di tale funzione”.

Infine, con la sentenza Cass. SS.UU. 25561/2014, è stato affermato che è “principio fondamentale immanente nell’ordinamento tributario che prescrive la tutela del diritto di difesa del contribuente mediante l’obbligo di attivazione da parte dell’amministrazione del “contraddittorio endoprocedimentaleogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo. Principio il cui rispetto è dovuto da parte dell’amministrazione indipendentemente dal fatto che ciò sia previsto espressamente da una norma positiva e la cui violazione determina la nullità dell’atto lesivo che sia stato adottato senza la preventiva comunicazione al destinatario”.

A loro volta le richiamate sentenze si rifanno all’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, dalla causa C-349/07 Sopropè alle recenti C-129/13 e C-130/13 Kamino.

A fronte di siffatta generalizzazione dell’obbligo del contraddittorio stabilito nel nostro ordinamento dall’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente, è iniziata con l’ordinanza di rimessione 527/15 alle Sezioni Unite la retromarcia a tutela del gettito e della inefficienza dell’Amministrazione. Sulla base di tale ordinanza le SS.UU. con sentenza 24823/15, dopo avere ricostruito tutta la giurisprudenza precedente, affermano in primo luogo, sulla base della formulazione testuale della rubrica dell’art. 12 che richiama i diritti e le garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali e poi del coordinamento tra diritto interno e diritto comunitario, che mentre per i tributi armonizzati l’obbligo del contraddittorio procedimentale è generalizzato sia pure con la necessità di provare che, in mancanza, il procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”, per i tributi non armonizzati (imposte sul reddito, IRAP) l’obbligo di contraddittorio a pena di nullità è previsto solo in relazione ai singoli atti per i quali esso è esplicitamente contemplato.

In linea con questa impostazione si era anche espressa l’ordinanza n. 527/2015, affermando testualmente che “ … Sulla suddetta questione – che evidentemente sottende quella dell’esistenza di un principio generale del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria – la giurisprudenza di questa Corte si e’ già pronunciata con le sentenze nn. 16354/12, 15583/14, 7598/14, 13588/14, che hanno espressamente affermato (le prime due con rifermento ad atti impositivi emessi nei confronti di soggetti diversi da quello presso cui erano stati effettuati gli accessi) che il perimetro applicativo della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, e’ limitato agli accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente. Le ragioni che sorreggono l’indirizzo interpretativo ora menzionato possono sintetizzarsi come segue.

  1. a) Si valorizza l’argomento letterale desumibile dal primo comma della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, che esplicitamente contempla gli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”; in proposito e’ stato sottolineato che anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 18184/2013, che ha statuito l’illegittimità’ dell’atto impositivo emanato senza il rispetto del termine dilatorio di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, nell’enunciare il principio di diritto ha correlato la decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento al momento del “rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività’, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni”. L’argomento letterale viene altresì supportato dal rilievo che tutte le disposizioni contenute nella Legge n. 212 del 2000, articolo 12, commi 7, appaiono palesemente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco.
  2. b) Si argomenta, sul piano teleologico, che la limitazione alle sole verifiche in loco della particolare garanzia del contraddittorio procedimentale di cui alla Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, si giustifica con il rilievo che solo in tale ipotesi (che si caratterizza perché l’Amministrazione invade la sfera del contribuente nei luoghi di sua pertinenza, ricercando direttamente gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate) sussiste la specifica esigenza di bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione, derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda, e, quindi, di espandere il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali; laddove tale esigenza sarebbe fortemente attenuata quando la verifica si fondi, almeno in prevalenza, su documenti presentati all’Ufficio dallo stesso contribuente (argomento, quest’ultimo, che peraltro non copre le ipotesi – nelle quali pure le citate sentenze nn. 16354/12 e 15583/14 hanno escluso l’applicabilità’ della Legge n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, – dell’avviso di accertamento fondato su dati acquisiti in accessi presso un soggetto diverso rispetto a colui che viene investito dall’accertamento e, quindi, con l’utilizzazione di documenti e dati che il contribuente nella normalità dei casi ignora).
  3. c) Si afferma, sul piano sistematico, che l’esistenza di un principio generale che imponga in ogni caso il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale, sotto pena di invalidità dell’atto impositivo, non sarebbe ravvisabile ne’ nell’ordinamento interno, ne’ nel diritto comunitario. In particolare, quanto al diritto interno, si richiama il precedente di questa Corte n. 26316/10 – secondo il quale, anche dopo l’entrata in vigore dello Statuto del contribuente, non può ritenersi esistente un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale – e si sottolinea che, quando il legislatore ha inteso estendere al di fuori dell’ambito degli accertamenti in loco il meccanismo di garanzia del contraddittorio endoprocedimentale costituito dalla previsione di un termine, decorrente dalla chiusura delle operazioni di verifica, entro il quale il contribuente possa proporre osservazioni e prima del cui decorso non possa emanarsi l’atto impositivo, lo ha stabilito espressamente”.

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Inoltre, con la sentenza 24823/15 gli Ermellini ribadivano che non esiste nel nostro ordinamento un obbligo generalizzato per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto, salvo non sia espressamente previsto per legge, demolendo nei fatti una interpretazione giurisprudenziale – espressa con la nota decisione delle Sezioni n. 19667/2014 – con la quale era stato riconosciuto il generale diritto al contraddittorio preventivo quale espressione di un principio immanente nell’ordinamento sia nazionale sia europeo. Tuttavia, a parere della Corte, in quell’occasione era stato affrontato “solo” il tema con specifico riguardo alle iscrizioni ipotecarie (ex articolo 77, DPR 602/73) e quindi i principi sanciti erano riferiti alla fase post procedimentale, ossia successiva al perfezionamento dell’atto. In definitiva si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e pertanto applicabile solo ai tributi “armonizzati”.

Come si vede, la limitazione del principio di partecipazione costituito dal contraddittorio obbligatorio è molto sentita perché nel caso dei tributi armonizzati si riduce a poco, visto che provare l’esito del procedimento diverso è in sostanza impossibile. D’altro canto, la limitazione rispetto ai tributi non armonizzati lascia fuori consistenti ipotesi in cui il processo verbale non è previsto o comunque redatto ovvero in cui la verifica non è effettuata presso i locali del contribuente.

Rispetto a queste congetture, le SS.UU. si sono peraltro prospettate l’interrogativo che a fronte di una istruttoria tributaria limitata di alcune possibilità probatorie “… l’anticipazione dei poteri partecipativi del contribuente a momento anteriore all’emanazione all’emanazione dell’atto impositivo si proietterebbe sulla stessa effettività della tutela giurisdizionale del contribuente” e dunque potrebbe rendere sindacabile la disparità ex art. 24 Cost.

Per compiutezza del quadro delineato occorre anche ricordare che recentemente anche la Corte Costituzionale (sentenza n. 132/2015) si è pronunciata sulla legittimità degli atti emessi per la contestazione di operazioni elusive (articolo 37-bis, DPR 600/73, ora abrogato), affermando che l’atto è nullo se emesso in violazione del termine dilatorio imposto dal legislatore (60 giorni) e ciò con riferimento a tutti gli accertamenti relativi, più in generale, all’abuso del diritto. In riferimento alla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale il contraddittorio costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento europeo, è stato precisato che tale interpretazione non può che riferirsi ai tributi armonizzati. Tuttavia in tale ipotesi, purché scatti la nullità dell’atto, occorre provare che nel caso in cui vi fosse stato il contraddittorio esso avrebbe svolto un ruolo concreto ai fini difensivi. I giudici di legittimità hanno concluso che nel nostro ordinamento non esiste una clausola generale di contraddittorio preventivo, poiché si rinvengono una pluralità di disposizioni che espressamente lo impongono. In conclusione, quindi, è stato affermato che per i tributi “non armonizzati” non esiste un obbligo generalizzato, salvo non sia espressamente previsto dal legislatore, mentre per i tributi armonizzati la norma va interpretata secondo i principi comunitari e pertanto l’Amministrazione deve convocare il contribuente prima dell’emissione dell’atto. Tuttavia, l’eventuale violazione comporterà la nullità solo ove sia dimostrato in concreto il “danno” subito in termini difensivi.

Tornando ora al caso in esame, l’Agenzia delle Entrate denunciava che i giudici di appello, nell’accogliere il gravame della parte contribuente, avessero sostenuto la fondatezza dell’illegittimità degli avvisi di liquidazione in quanto erano stati emessi senza consentire al contribuente, con limitazione dei diritti, la possibilità di un contraddittorio preventivo.

La censura dell’Agenzia delle Entrate è parsa fondata ai giudici di Piazza Cavour, in quanto hanno voluto ribadire che “… Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass. 24823/2015) il seguente principio di diritto: ‘Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attirare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito’. Nella specie, non è contestato che si verteva in ipotesi di controllo fiscale, eseguito presso gli uffici dell’Amministrazione, della sussistenza dei presupposti per fruizione dei benefici fiscali della c.d. ‘prima casa’. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. del Veneto (per esame di altre questioni rimaste assorbite), in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità”.

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CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 5 dicembre 2016, n. 24831

 

In fatto

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di L.M. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 182/19/2015, depositata in data 13/01/2015, con la quale – in controversia concernente le riunite impugnazioni di due avvisi di liquidazione emessi per il recupero a tassazione della differenza tra l’aliquota ordinaria e quella agevolata per l’imposta di registro, ipotecaria e catastale e l’imposta sostitutiva sul mutuo, a seguito di revoca delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, ex art. 1 della Tariffa parte prima allegata al DPR 131/1986, stante il mancato trasferimento della residenza nel Comune dell’immobile acquistato entro il termine previsto ex lege – è stata riformata la decisione di primo grado, che aveva respinto i ricorsi riuniti della contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nell’accogliere il gravame della contribuente, hanno sostenuto la fondatezza dell’eccezione preliminare di illegittimità degli avvisi di liquidazione, per violazione dell’art. 12 comma 7 l. 212/2000, essendo stati gli stessi emessi senza consentire al contribuente la possibilità di un contraddittorio preventivo.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti. Si dà atto che il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

In diritto

  1. La ricorrente lamenta, con unico morivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 1 della unita parte 1 all. A al DPR 131/1986, avendo i giudici della C.T.R. ritenuto necessaria l’instaurazione di un contraddittorio preventivo con il contribuente anche in ipotesi di verifica, con esito negativo, presso gli uffici dell’amministrazione finanziaria, dei presupposti per la fruizione di benefici fiscali della c.d. “prima casa” e non di verifica previo accesso o ispezione presso i locali del contribuente e previa redazione di P.V.C.
  2. La censura è fondata.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno invero affermato (Cass. 24823/2015) il seguente principio di diritto:

“Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attirare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito”.

Nella specie, non è contestato che si verteva in ipotesi di controllo fiscale, eseguito presso gli uffici dell’Amministrazione, della sussistenza dei presupposti per fruizione dei benefici fiscali della c.d. “prima casa”.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del ricorso, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. del Veneto (per esame di altre questioni rimaste assorbite), in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. del Veneto.

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