CASSAZIONE

Pretesa erariale temeraria? Si può chiedere il risarcimento

Tributi – Processo tributario – Lite temeraria – Competenza del giudice tributario – Applicabilità – Art. 96 c.p.c – Risarcimento danni subiti per emissione avviso accertamento sintetico illegittimo – Art. 39, DPR n. 2 –  Sussiste

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 26920 del 13 settembre 2022 è intervenuta su un principio molto importante riguardante il rapporto Fisco/contribuente, enunciando nello specifico che anche il Fisco può essere condannato a risarcire il contribuente se la pretesa erariale si mostra “temeraria”. Ne consegue il seguente principio di diritto: “… L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non può essere proposta in sede di cognizione nel giudizio presupposto, qualora sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede – come allorquando i gradi di merito del giudizio di merito si siano esauriti ancor prima dell’insediamento delle commissioni tributarie e provinciali, in base al combinato disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 546/1992 e del d.m. 26.4.1996 – ne l qual caso ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo”.

In termini generali il giudice tributario può quindi liquidare il danno alla parte contribuente che vince la causa contro le Entrate, se la condotta dell’Agenzia risulta connotata da malafede o colpa grave. Ricordiamo anche che l’istanza sulla condanna per lite temeraria può essere proposta in un giudizio autonomo, se risulta impossibile avanzarla nel giudizio presupposto; la nozione di responsabilità processuale, infatti, comprende la fase amministrativa.

Non vi sono dubbi, allora, che la responsabilità per lite temeraria, così come quella per l’abuso del processo, sia applicabile al processo tributario: pesa il rinvio generale alle norme del codice di procedura civile contenuto nell’articolo 1, comma secondo, del decreto legislativo 546/1992, secondo cui “i giudici tributari applicano le norme” di quel provvedimento e “per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

In definitiva, anche l’Agenzia delle entrate può essere condannata al risarcimento se sussistono i requisiti di malafede e colpa grave che costringono il contribuente a instaurare un processo “ingiusto” per sottrarsi alla pretesa erariale illegittima.

Pertanto, e sotto questa luce, la richiesta di risarcimento ex art. 96, c.p.c. è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito dipende l’accertamento della responsabilità aggravata di parte resistente, non solo “perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati” (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010).

L’articolo 96, c.p.c. però non detta una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto “un fenomeno endoprocessuale”. Così la domanda si può proporre, di regola, soltanto nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della responsabilità processuale: nessun giudice può giudicare la temerarietà dell’azione meglio di quello che decide sulla domanda che si assume pretestuosa, il tutto perché la valutazione della responsabilità processuale è strettamente legata alla decisione di merito.

Il principio vale per tutte le ipotesi disciplinate dall’articolo 96, Cpc compreso l’abuso del processo previsto dal terzo comma, secondo cui “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Orbene, tale decisivo argomento è stato nel tempo ampiamente approfondito e dibattuto.

Al riguardo sembrerebbe sufficiente rammentare che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con l’Ordinanza n. 13899/2013 aveva in proposito già affermato che: “E’ consentito al giudice tributario di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità da parte del contribuente di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo ingiusto”.  Di conseguenza, appare evidente che le Sezioni Unite avevano ben puntualizzato che la giurisdizione va regolata con l’attribuzione alla competenza del giudice tributario anche delle pretese risarcitorie, che pur non avendo a oggetto “accessori” del tributo, (art. 2, D.lgs. 546/1992) “presentano tuttavia un diretto ed immediato nesso causale con l’atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario, il quale non è esaurito, ma, anzi, costituisce l’oggetto del giudizio”.

Da sottolineare, inoltre, che in precedenza le stesse Sezioni Unite avevano rappresentato che la giurisdizione vale alle pretese risarcitorie, che, pur non avendo a oggetto accessori del tributo (art. 2, D.lgs. 546/1992) “… presentano tuttavia un diretto ed immediato nesso causale con l’atto tributario impugnato ed uno stretto collegamento con il rapporto tributario, il quale non è esaurito, ma, anzi, costituisce l’oggetto del giudizio” (Cass. n. 4145 del 2013).

Ad avviso della Suprema Corte il concetto di responsabilità processuale riguarda anche la fase amministrativa, per cui l’art. 96 c.p.c. è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al D.lgs. 546/1992. Tale principio regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità.

Ricapitolando, è possibile infine ritenere che la Cassazione abbia ben motivato le ragioni che inducono a ritenere la temerarietà processuale come un fenomeno endoprocessuale, per cui la relativa domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si assume la manifestazione della suddetta responsabilità, soprattutto perché – come si è detto – nessun giudice potrà giudicare meglio di quello stesso chiamato a pronunciarsi sulla domanda che si ritiene temeraria. Pertanto, lo stesso giudice tributario potrà liquidare in via equitativa, in favore del contribuente vittorioso, una somma a titolo di risarcimento dei danni subìti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di un provvedimento temerario, ossia derivato da malafede o colpa grave, dovendosi intendere il concetto di “responsabilità processuale” comprensivo anche della fase amministrativa.

L’istanza di condanna ex art. 96, secondo comma, c.p.c. va proposta, ripetiamo, di norma, in sede di processo di cognizione, ovvero nel giudizio presupposto, tuttavia, nel caso di impossibilità di fatto o di diritto alla presentazione in tale sede, si potrà avanzare tale domanda in un giudizio autonomo.

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, un contribuente proponeva ricorso davanti alla giustizia tributaria per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali asseritamente subiti a causa dell’emissione, da parte dell’Agenzia delle entrate, di un avviso di accertamento sintetico che aveva assodato illegittimamente un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato.

La CTP, però, confutava tale richiesta dichiarandola inammissibile. Sul successivo appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale rigettava il gravame, rilevando che la tutela apprestata dall’art. 96 c.p.c. non poteva essere azionata in sede diversa dal processo nel quale era stata fatta valere la domanda principale.

Avverso la sentenza della CTR il contribuente proponeva ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, essenzialmente lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, c.p.c. e 39, DPR 636/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR dichiarato l’inammissibilità della domanda risarcitoria da lui avanzata, senza considerare che il ricorso avverso l’avviso di accertamento, causativo dei danni, era stato depositato sotto la vigenza del DPR 636/1972, il quale prevedeva l’inapplicabilità nel processo tributario delle norme in tema di responsabilità per lite temeraria ex artt. 90 ss. c.p.c. La suprema Corte ha ritenuto convincenti le motivazioni addotte dalla parte contribuente, affermando di conseguenza che “Il motivo è fondato. In termini generali, il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto (Sez. U, Ordinanza n. 13899 del 03/06/2013). L’art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata, a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 (a norma del quale “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.”); b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010); c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010). L’ampia previsione della norma consente al giudice di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità da parte del contribuente di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo “ingiusto”.  Tuttavia, l’art. 39 del d.P.R. n. 636/1972 prevedeva che “Al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie si applicano, in quanto compatibili con le norme del presente decreto e delle leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel libro I del codice di procedura civile, con esclusione degli articoli da61 a 67, dell’art. 68, primo e secondo comma, degli articoli da 90 a 97”. Il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha disposto (con l’art. 80, comma 2) che “Le disposizioni del presente decreto hanno effetto dalla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali, salvo quanto stabilito dagli articoli 74 e 75 che, per le controversie pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si applicano a partire dalla predetta data di entrata in vigore.” Pertanto, per quanto, in base all’art. 80 del d.lgs. n. 546/1992, il decreto sia entrato in vigore il 15 gennaio 1993, la data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali è, ex d.m.26.4.1996, il primo aprile 1996. Orbene, risultando proposta la fase d’appello del giudizio presupposto “nel corso del 1993” (cfr. pag. 2 del ricorso) dall’allora Ufficio Distrettuale delle imposte dirette (risultato soccombente all’esito del primo grado, con decisione del 22.2.1992), il contribuente non avrebbe potuto proporre in quella sede la domanda risarcitoria per lite temeraria. Ciò per quanto la domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. possa essere proposta per la prima volta nella fase di gravame con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio, quali la colpevole reiterazione di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero la proposizione di censure la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata in modo da evitare il gravame, e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall’art. 345, comma 1, c.p.c., tutelando un diritto conseguente alla situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, strettamente collegato e connesso all’agire od al resistere in giudizio, sicché non può essere esercitato in via di azione autonoma (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1115 del 21/01/2016). Trova in siffatta evenienza applicazione il principio secondo cui l’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio presupposto, ove quel giudizio sia ancora pendente, e non vi siano preclusioni di natura processuale. Qualora, invece, sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede, ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo (Sez. U, Sentenza n. 25478 del 21/09/2021; conf. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 42119 del 31/12/2021).  Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla CTR della Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – la quale si atterrà al seguente principio di diritto:L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non può essere proposta in sede di cognizione nel giudizio presupposto, qualora sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede – come allorquando i gradi di merito del giudizio di merito si siano esauriti ancor prima dell’insediamento delle commissioni tributarie e provinciali, in base al combinato disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 546/1992 e del d.m. 26.4.1996 – nel qual caso ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo” .

Corte di Cassazione – Ordinanza 13 settembre 2022, n. 26920

sul ricorso 14166/2020 proposto da:

B. D., nato l‘11 marzo 1954 a Reggio Calabria ed ivi residente, alla frazione Rosali Via Emilia , rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Leonardo (C.F.: LNRMRA 62844 G082R),con studio in Reggio Calabria alla via Tommaso Campanella n. 46, unitamente e disgiuntamente all’Avv. Salvatore Rijli (C.F.: RJL SVT 62C25 H224Y), con studio alla Via Demetrio Tripepi n. 78/b, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ Avv. Bruno Chiarantano in Roma, alla Via Ovidio n. 32, presso lo studio LBM, giusta procura speciale rilasciata su foglio separato;

-ricorrente –

contro Agenzia delle Entrate;

-intimata –

avverso la sentenza n. 3 285/06 /2019 emessa dalla CTR Calabria il 11/09/2019 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Ritenuto in fatto

1. B. D. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali asseritamente subiti a causa dell’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, nei suoi confronti di un avviso di accertamento sintetico con il quale, sulla scorta di una presunzione di reddito correlato al possesso di diverse autovetture, aveva accertato illegittimamente (tant’è che l’avviso era stato annullato dalla CTP con sentenza poi confermata in sede d’appello e passata in giudicato) un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato.

2. La Commissione Tributaria Provinciale dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto la domanda risarcitoria era stata proposta al di fuori dei presupposti di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. 3. Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Calabria – sez. staccata Reggio Calabria – rigettava il gravame, evidenziando che la tutela apprestata dall’art. 96, c.p.c. non poteva essere azionata in sede diversa dal processo nel quale era stata fatta valere la domanda principale.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione B. D. sulla base di un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese.

5. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Ritenuto in diritto

1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, c.p.c. e 39 d.P.R. n. 636/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., per aver la CTR dichiarato l’inammissibilità della domanda risarcitoria da lui avanzata senza considerare che il ricorso avverso l’avviso di accertamento, causativo dei danni, era stato depositato sotto la vigenza del d.P.R. n. 636/1972, il quale prevedeva l’inapplicabilità nel processo tributario delle norme in tema di responsabilità per lite temeraria ex artt. 90 e ss. c.p.c.

1.1. Il motivo è fondato.

In termini generali, il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96, c.p.c., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto (Sez. U, Ordinanza n. 13899 del 03/06/2013).

L’art. 96, c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata, a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 (a norma del quale “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.”); b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010); c) non detta tanto una regola sulla competenza, ma disciplina piuttosto un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010).

L’ampia previsione della norma consente al giudice di liquidare in favore del contribuente vittorioso una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità da parte del contribuente di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo “ingiusto”.

1.2. Tuttavia, l’art. 39 del d.P.R. n. 636/1972 prevedeva che: “Al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie si applicano, in quanto compatibili con le norme del presente decreto e delle leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel libro I del codice di procedura civile, con esclusione degli articoli da61 a 67, dell’art. 68, primo e secondo comma, degli articoli da 90 a 97.”

Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha disposto (con l’art. 80, comma 2) che “Le disposizioni del presente decreto hanno effetto dalla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali, salvo quanto stabilito dagli articoli 74 e 75 che, per le controversie pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si applicano a partire dalla predetta data di entrata in vigore.”

Pertanto, per quanto, in base all’art. 80 del D.Lgs. n. 546/1992, il decreto sia entrato in vigore il 15 gennaio 1993, la data di insediamento delle Commissioni tributarie provinciali e regionali è, ex d.m.26.4.1996, il primo aprile 1996. Orbene, risultando proposta la fase d’appello del giudizio presupposto “nel corso del 1993” (cfr. pag. 2 del ricorso) dall’allora Ufficio Distrettuale delle imposte dirette (risultato soccombente all’esito del primo grado, con decisione del 22.2.1992), il contribuente non avrebbe potuto proporre in quella sede la domanda risarcitoria per lite temeraria.

Ciò per quanto la domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. possa essere proposta per la prima volta nella fase di gravame con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio, quali la colpevole reiterazione di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice ovvero la proposizione di censure la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata in modo da evitare il gravame, e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall’art. 345, comma 1, c.p.c., tutelando un diritto conseguente alla situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, strettamente collegato e connesso all’agire od al resistere in giudizio, sicché non può essere esercitato in via di azione autonoma (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1115 del 21/01/2016).

Trova in siffatta evenienza applicazione il principio secondo cui l’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio presupposto, ove quel giudizio sia ancora pendente, e non vi siano preclusioni di natura processuale. Qualora, invece, sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede, ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo (Sez. U, Sentenza n. 25478 del 21/09/2021; conf. Sez. 6-3 Ordinanza n. 42119 del 31/12/2021).

2. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va accolto, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla CTR della Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – la quale si atterrà al seguente principio di diritto: “L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non può essere proposta in sede di cognizione nel giudizio presupposto, qualora sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede – come allorquando i gradi di merito del giudizio di merito si siano esauriti ancor prima dell’insediamento delle commissioni tributarie e provinciali, in base al combinato disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 546/1992 e del d.m. 26.4.1996 – ne l qual caso ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla CTR della Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – in differente composizione. Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-V Sezione civile

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