Prelevamenti bancari sul conto del professionista e onere della prova
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14087/2017 del 7 giugno 2017 ha stabilito che in caso di accertamenti sulle movimentazioni bancarie, spetta al fisco l’onere di provare che i prelevamenti effettuati dal professionista dal suo conto corrente sono destinati ad investimenti per la sua attività produttiva di redditi.
Inoltre, spiega la S.C., sempre in tema di accertamenti bancari per i professionisti, non opera la presunzione sui prelevamenti ingiustificati. L’Amministrazione finanziaria deve perciò dimostrare che gli importi prelevati sono stati destinati a un investimento nell’ambito dell’attività professionale produttivo di reddito.
È ormai un principio consolidato in giurisprudenza che, in tema di accertamenti bancari, opera una presunzione legale relativa, per cui spetta al contribuente fornire una prova adeguata e rigorosa al fine di giustificare i movimenti finanziari riscontrati di sede di verifica (cfr Cassazione 25884/2013, 2895/2013 e 16650/2011). Principio ripreso recentemente anche dalla sentenza n. 4153 del 2 marzo 2016, ove gli Ermellini tornarono ad esprimersi sulla corretta applicazione della presunzione in materia di indagini bancarie, affermando il principio per cui il giudice di merito, laddove ritenga assolto dal contribuente l’onere probatorio a suo carico, ha l’obbligo di fornire una motivazione adeguata e non generica a supporto del proprio convincimento.
Da ricordare che nell’ambito del Decreto c.d. “Collegato alla Finanziaria 2017” sono state modificate le disposizioni in materia di accertamenti bancari, quindi ricordiamo che la disciplina previgente stabiliva che sia in relazione ai prelevamenti che ai versamenti risultanti dai rapporti (normalmente, c/c bancari) acquisiti dagli organi verificatori nell’ambito delle c.d. indagini finanziarie opera la presunzione dell’esistenza di ricavi / compensi non dichiarati qualora il contribuente non sia in grado di indicare il soggetto beneficiario o dimostrare che i prelevamenti / versamenti hanno (già) concorso alla formazione del reddito in quanto risultano dalle scritture contabili.
Il meccanismo della presunzione può essere così sintetizzato. I versamenti sul c/c (fatto noto) non considerati nella determinazione del reddito rappresentano ricavi / compensi “in nero” (fatto ignoto) se il contribuente non dimostra l’estraneità delle somme accreditate rispetto all’attività economica esercitata.
Mente per i prelevamenti (fatto noto) sono considerati ricavi / compensi occulti (fatto ignoto) se il contribuente non ne indica il beneficiario, in quanto l’uscita finanziaria non giustificata si presume abbia finanziato acquisti “in nero” di beni / servizi impiegati nell’attività e che successivamente hanno dato origine a vendite / prestazioni “in nero”.
In sede di conversione del DL n. 193/2016, c.d. “Collegato alla Finanziaria 2017”, è stata disposta la modifica dell’art. 32, comma 2, DPR n. 600/73 contenente la disciplina degli accertamenti basati sulle movimentazioni bancarie.
In particolare, ora, il secondo periodo del citato comma 2 risulta così formulato. I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati … sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.
Per effetto di tali modifiche, per le imprese è previsto che i prelevamenti bancari non risultanti dalle scritture contabili e per i quali non è stato indicato il beneficiario sono considerati (per presunzione) ricavi soltanto se superiori determinati limiti. Mentre per i lavoratori autonomi, è eliminata la presunzione in base alla quale i predetti prelevamenti bancari sono considerati compensi. Va evidenziato che l’estensione della presunzione ai lavoratori autonomi, con l’introduzione del riferimento ai “compensi”, intervenuta ad opera della Legge n. 311/2004, è stata oggetto di censura da parte della Corte Costituzionale con la sentenza 6.10.2014, n. 228.
In particolare, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittima la presunzione prelevamenti/ compensi sulla base del fatto che nel reddito di lavoro autonomo non valgono le correlazioni logico-presuntive tra costi e ricavi, tipiche del reddito d’impresa. Il prelevamento sarebbe un fatto estraneo all’attività di produzione del reddito professionale e per l’applicazione razionale della norma sarebbe necessario per il contribuente fornire non solo l’indicazione del beneficiario ma anche la giustificazione causale del prelevamento.
In definitiva “… la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito”.
Peraltro, il sistema di contabilità “semplificata” adottato generalmente e legittimamente dai lavoratori autonomi comporta un’inevitabile promiscuità delle entrate e delle spese professionali / personali. Va evidenziato che la sentenza in esame ha dato luogo ad una questione interpretativa riguardante l’estensione delle conclusioni della Corte non solo ai prelevamenti ma anche ai versamenti.
In particolare, è utile osservare che la Corte di Cassazione, nelle sentenze 5.8.2016, n. 16440 e 9.8.2016, n. 16697, non sempre è pervenuta ad identiche conclusioni.
Nella sentenza 16440/16, la Corte asserisce da un verso che:”… è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione sia dei prelevamenti sia dei versamenti sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo “.
Diversamente, con la sentenza n.16697/2016, i Giudici del Palazzaccio hanno affermato che:” … è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività di lavoratore autonomo … spostandosi sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati … per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi. Con riferimento ai versamenti … resta … invariata la presunzione legale posta dalla predetta disposizione a favore dell’Erario”.
Infine, di particolare interesse è la recente pronuncia della quinta sezione della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 711 del 13 gennaio 2017, nella quale la S.C. ha ritenuto che qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rilevanza fiscale (Cass. nn. 15857/2016, 4829/2015); ciò vale anche in tema di IVA, al fine di superare la presunzione di imponibilità delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie posta a carico del contribuente dall’art. 51, secondo comma, numero 2, del DPR n.633/1972 (Cass. sent. n.21303/2013). Al contempo, tuttavia, l’Ufficio deve esaminare le ragioni del contribuente e provare eventualmente l’inefficacia degli elementi giustificativi da questi addotti a sostegno delle proprie difese.
Tanto premesso e tornando al caso in esame, l’Agenzia delle Entrate a seguito di una verifica eseguita sulle movimentazioni bancarie di un commercialista, esercente anche l’attività di amministratore di condominio, notificava a quest’ultimo un avviso di accertamento di un maggior valore della produzione ed un maggior volume di affari ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, in quanto lo stesso non aveva giustificato alcuni prelievi e versamenti eseguiti sul proprio conto corrente.
Il suddetto avviso veniva impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che rigettava il ricorso. La sentenza di primo grado veniva impugnata dal professionista innanzi alla Commissione Tributaria Regionale, la quale accoglieva parzialmente il gravame rideterminando in diminuzione l’importo dei maggiori ricavi accertati dall’Agenzia delle Entrate. Anche la sentenza di Appello veniva impugnata dal contribuente in Cassazione sulla scorta di quattro motivi.
Gli Ermellini, hanno confermato il principio già espresso in altre sentenze successive alla decisione della Corte Costituzionale, secondo il quale in sede di accertamento del reddito professionale fondato su movimentazioni bancarie, i prelevamenti non giustificati non possono essere considerati automaticamente come elementi presuntivi di costi produttivi di compensi non dichiarati, come invece può succedere per i ricavi derivanti dalle attività d’impresa in quanto quest’ultima è caratterizzata dalla necessità di continui investimenti, segnalando inoltre che :” … Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR erroneamente ritenuto insufficiente la comunicazione delle generalità dei soggetti beneficiari per ritenere superata la presunzione posta in materia di prelevamenti bancari dalle predette disposizioni. Il motivo deve ritenersi fondato ma per ragione pregiudiziale diversa da quelle prospettate dal ricorrente. Invero, sulla questione posta nel motivo in esame è intervenuta la nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 228 del 24 settembre 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973 , ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale fosse . E’, quindi, definitivamente venuta meno la presunzione, che la citata disposizione poneva, di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale – come è nella specie il contribuente, dottore commercialista e amministratore di condomini – spostandosi, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata laddove il giudice di appello, in relazione ai prelevamenti risultanti dai conti correnti intestati al contribuente, ha posto a carico di quest’ultimo un onere probatorio (cioè quello di giustificare i prelevamenti) che non gli spettava e la causa va, quindi, rimessa al giudice di merito che dovrà verificare se invece risulti in qualche modo provato dall’amministrazione finanziaria che gli importi prelevati dal professionista dai propri conti correnti fossero destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale produttivo di reddito”.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14200/2012 R.G. proposto da:
C.R., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti Sandro Censi e Gabriele Pafundi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale del secondo difensore, in Roma, viale Giulio Cesare n. 14;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, n. 22/04/2011, depositata in data 19 aprile 2011.
CORTE DI CASSAZIONE
Sentenza n. 14087 del 7 giugno 2017
FATTI DI CAUSA
- L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti di R. C., esercente la professione di dottore commercialista ed amministratore di condomini, avviso di accertamento di maggiori redditi, di un maggiore valore della produzione ed un maggior volume di affari, rispettivamente ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, relativamente all’anno di imposta 2003, risultanti dalla verifica delle movimentazioni bancarie effettuate dal predetto professionista nel periodo di imposta considerato, da cui erano emersi versamenti e prelevamenti che il contribuente non era riuscito a giustificare.
1.1. L’impugnazione proposta dal contribuente avverso detto atto impositivo veniva parzialmente accolta dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna che con sentenza n. 22 del 19 aprile 2011 rideterminava in diminuzione l’importo dei maggiori ricavi accertati, ritenendo giustificati gli importi relativi alla vendita di titoli, al corrispettivo di una vendita di bene immobile ed ai canoni di locazione dello studio professionale, confermando per il resto la pretesa impositiva sul presupposto che a giustificare i prelevamenti effettuati non fosse sufficiente la mera indicazione dei beneficiari di quelle somme, e che non erano stati giustificati né il versamento dell’importo di 595.000,00 euro, in quanto la scrittura privata del 2 gennaio 2003, di concessione al contribuente di un prestito gratuito, non era opponibile a terzi perché privo di autenticazione delle sottoscrizioni e, quindi, di data certa, né il giroconto di 200.000,00 euro, in quanto non era stato dimostrato che l’importo costituisse provento della vendita di titoli.
- Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con memoria, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR erroneamente ritenuto insufficiente la comunicazione delle generalità dei soggetti beneficiari per ritenere superata la presunzione posta in materia di prelevamenti bancari dalle predette disposizioni.
- Il motivo deve ritenersi fondato ma per ragione pregiudiziale diversa da quelle prospettate dal ricorrente. Invero, sulla questione posta nel motivo in esame è intervenuta la nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 228 del 24 settembre 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973 , ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma con riferimento ai compensi percepiti dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale fosse . E’, quindi, definitivamente venuta meno la presunzione, che la citata disposizione poneva, di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale – come è nella specie il contribuente, dottore commercialista e amministratore di condomini – spostandosi, quindi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi. 2.1. Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata laddove il giudice di appello, in relazione ai prelevamenti risultanti dai conti correnti intestati al contribuente, ha posto a carico di quest’ultimo un onere probatorio (cioè quello di giustificare i prelevamenti) che non gli spettava e la causa va, quindi, rimessa al giudice di merito che dovrà verificare se invece risulti in qualche modo provato dall’amministrazione finanziaria che gli importi prelevati dal professionista dai propri conti correnti fossero destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale produttivo di reddito.
- Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere i giudici di appello omesso di valutare la documentazione che aveva prodotto in giudizio per giustificare i prelevamenti ed i versamenti effettuati sul conto corrente oggetto di verifica. 3.1. Deduce il contribuente di avere assolto all’onere su di esso incombente, quale amministratore di condomini, di provare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria erano riferibili (come richiesto da Cass. n. 13818 del 2007), avendo depositato una serie di documenti, elencati nel ricorso, tra cui la copia di quasi tutti gli assegni ed i bonifici, con la specificazione del motivo per i quali erano stati versati od emessi, nonché una perizia di parte in cui erano stati indicati i nominativi .
- Il motivo di ricorso in esame, laddove censura la motivazione della sentenza impugnata relativamente alla ripresa a tassazione dei versamenti effettuati sul conto corrente bancario, è inammissibile per vizio di autosufficienza, avendo il ricorrente trascurato di riprodurre il contenuto rilevante dei documenti la cui valutazione sarebbe stata omessa dal decidente, così impedendo a questa Corte di effettuare il necessario vaglio di decisività delle risultanze processuali non esaminate, nel senso che queste ultime sarebbero state in grado, ove prese in esame dalla Commissione di appello, di (cfr., ex multis, Cass. n. 19150 del 2016). Peraltro, quello di specificare i documenti che il ricorrente assume non essere stati valutati e di riprodurne il contenuto rilevante per il superamento della presunzione legale, era onere che, nel caso di specie, necessitava di puntuale adempimento alla stregua dell’affermazione dei giudici di appello secondo i quali, fatta eccezione per la , né nell’atto di appello né nella perizia prodotta dal contribuente era ricavabile una qualche .
4.1. Il motivo di censura in esame, laddove proposto con riferimento ai prelevamenti effettuati dal contribuente dal conto corrente in verifica, deve invece ritenersi assorbito dalla decisione sul primo motivo.
- Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, sia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, sostenendo che i giudici di appello avevano erroneamente ritenuto che la presunzione posta in materia di accertamenti bancari dalle predette disposizioni potesse essere superata dal contribuente mediante una e non con un’altra presunzione di non riconducibilità della movimentazione bancaria ad operazioni imponibili.
5.1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché il ricorrente, deducendo il vizio di motivazione sotto i tre diversi profili contemplati dalla citata disposizione processuale, opera un’impropria mescolanza di censure benché non sia consentita (Cass. n. 19443 del 2011; conf. n. 5130 del 2016, 398 e n. 54 del 2015; n. 8350 del 2012). E ciò in quanto .
5.2. Il mezzo di impugnazione proposto con riferimento alla violazione di norme di diritto è, invece, infondato in quanto l’affermazione rinvenibile nella sentenza impugnata, secondo cui il contribuente, per vincere la presunzione legale posta dalle disposizioni tributarie in materia di accertamenti bancari, deve fornire di averne tenuto conto per la determinazione del reddito imponibile o della loro irrilevanza a tal fine, non si pone affatto in contrapposizione con la tesi sostenuta dal ricorrente, , come espressamente ha affermato questa Corte nella sentenza n. 25502 del 2011 – riportata nel motivo di ricorso a fondamento del medesimo -, non essendo prospettabile una distinzione tra prova e presunzione sulla base della concretezza che, come erroneamente ritiene il ricorrente, caratterizzerebbe la prima, ma non invece la seconda.
- Con il quarto motivo deduce sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e 2704 cod. civ., sia il vizio motivazionale della sentenza impugnata, sostenendo che i giudici di appello, omettendo di valutare la documentazione prodotta in giudizio, avevano erroneamente ritenuto che non fosse giustificato il versamento sul conto corrente di due assegni per l’importo complessivo di 595.000,00 euro, sul presupposto che la scrittura privata del 2 gennaio 2003, di concessione di un prestito gratuito, prodotto a giustificazione di quel versamento, non avesse data certa, che invece avrebbe dovuto individuare nella data del primo dei due assegni versati.
- Il motivo è infondato.
7.1. In tema di prova della data certa di una scrittura privata non autenticata, l’art. 2704 cod. civ. richiede che, in mancanza di una delle situazioni tipiche di certezza contemplate dalla prima parte della citata norma (registrazione, morte od incapacità di un sottoscrittore, riproduzione in atto pubblico), si deduca e dimostri un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento (in termini già Cass. n. 4945 del 1985 e numerose successive pronunce conformi). La disposizione civilistica in esame non contiene un’elencazione tassativa dei fatti in base ai quali tale data deve ritenersi certa rispetto ai terzi e lascia al giudice del merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso da quelli indicati, idoneo secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa (così già in Cass., 28 giugno 1963, n. 1760; conf. n. 13813 del 2001). Tale fatto può essere oggetto di prova per testi o per presunzioni – non ammessa se direttamente vertente sulla data della scrittura (Cass. n. 27793 del 2006) – ma solo a condizione che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine, non anche quando tali prove siano rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento (in termini Cass. n. 4945 del 1985; conf. n. 24329 del 2007, n. 13943 del 2012).
7.2. Orbene, i giudici di merito hanno fatto rigorosa applicazione dei suddetti principi, con motivazione immune da vizi logici e, in esito alla valutazione ad essi spettante, hanno ritenuto che i due assegni collegati alla scrittura privata non fossero idonei a provare, in modo ugualmente certo, l’anteriorità della scrittura contenente la concessione di un prestito gratuito. In tal senso, peraltro, militano alcune circostanze – come il fatto che solo uno degli assegni sia posteriore alla data riportata sulla scrittura e che non vi sia corrispondenza tra l’importo complessivo degli assegni e quello indicato nella scrittura – che consentono di inferire da quegli assegni soltanto un giudizio di mera verosimiglianza e non di certezza della data apposta sulla scrittura.
- Conclusivamente, quindi, va accolto il primo motivo di ricorso, seppur per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente, assorbito il secondo motivo di censura proposto con riferimento ai prelevamenti effettuati dal contribuente dal conto corrente, e rigettati tutti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo con riferimento ai prelevamenti in conto corrente, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di merito.