Plusvalenze da cessioni di fabbricati da demolire, le Entrate si allineano alla Cassazione
La circolare 23 /E del 29 luglio 2020 affronta il trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di fabbricati da demolire: La normativa di riferimento è l’articolo 67, comma 1, lettera b, del TUIR, che
inserisce fra i redditi diversi – se non costituiscono redditi di capitale o non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in qualità di lavoratore dipendente – “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in ogni caso, le plusvalenze a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.
Due casi distinti
In pratica, la norma prevede due differenti ipotesi di plusvalenza: una scaturisce dalla cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, mentre l’altra dalla cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.
Nel primo caso, ai fini dell’imponibilità della plusvalenza la vendita dell’immobile deve avvenire entro cinque anni dall’acquisto o dalla costruzione, salvo particolari eccezioni, come nel caso di esclusione dei beni acquisiti per successione e degli immobili urbani che per la maggior parte del periodo trascorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono adibite ad abitazione principale del cedente e dei suoi familiari. L’obiettivo è di tassare i guadagni derivanti dalle vendite immobiliari realizzate con fine speculativo, che si suppone quando trascorre un periodo inferiore a cinque anni tra la data di acquisto o costruzione e quella di vendita dell’immobile.
Nei casi di cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria (seconda ipotesi), l’imponibilità della plusvalenza non dipende da alcuna condizione e si ricollega al semplice intervento della destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni ceduti. Ne consegue che per determinare il corretto trattamento fiscale applicabile, diventa fondamentale stabilire se l’oggetto della compravendita sia un fabbricato o un terreno soggetto a utilizzazione edificatoria. In proposito l’Agenzia cita la risoluzione 395/E del 2008, con la quale è stato chiarito che la vendita a titolo oneroso di fabbricati ubicati in un’area oggetto di un piano di recupero approvato in via definitiva dal Comune, rientra nella casistica della cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria (articolo 67, comma 1, lettera b, del TUIR), che prevede la tassabilità della plusvalenza a prescindere dal periodo di possesso del cespite. Alla base di questa interpretazione, la considerazione che se i fabbricati ceduti rientrano in un piano di recupero, dal quale discende la possibilità di sviluppare – incrementandole – le cubature esistenti, l’oggetto della compravendita non possono più essere i fabbricati oramai privo di effettivo valore economico, ma l’area sulla quale insistono, “riqualificata in relazione alla potenzialità edificatorie in corso di definizione”.
La posizione del Fisco
Il principio espresso nella citata risoluzione 395/2008 è stato quindi applicato dall’Amministrazione finanziaria in sede di risposta alle istanze di interpello e nell’emanazione degli avvisi di accertamento, e riferito anche ad altre casistiche, tra le quali le cessioni di fabbricati da demolire.
In tal modo si è quindi andata consolidando la posizione del Fisco secondo cui, ai fini dell’imposizione diretta, le singole fattispecie di cessioni immobiliari vanno definite a seconda dell’effettivo e reale oggetto della vendita, ricavabile dagli accordi contrattuali e/o da altri elementi di fatto, tra i quali sono rilevanti, ad esempio, l’esistenza di un piano di recupero o riqualificazione dell’area su cui insiste il fabbricato, il prezzo di vendita superiore al valore venale e in linea con il prezzo di mercato delle aree edificabili o l’avvenuto rilascio del permesso di demolizione e/o di ricostruzione.
Su queste basi è quindi possibile riqualificare l’oggetto della cessione da ‘fabbricato’ a ‘terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria’, applicando il trattamento fiscale riservato a quest’ultima ipotesi.
La Cassazione non è d’accordo
Tale interpretazione non ha però avuto un riscontro favorevole da parte della Corte di Cassazione. Secondo gli Ermellini, infatti, ai fini dell’imponibilità della plusvalenza, se l’oggetto della vendita è un edificio, il trasferimento di proprietà non può mai essere riqualificato come cessione di area edificabile, nemmeno quando l’edificio è destinato alla successiva demolizione e ricostruzione oppure quando lo stesso non assorbe la capacità edificatoria del lotto su cui insiste (Cassazione n. 22409 del 6 settembre 2019; n. 16718 del 21 giugno 2019; n. 13276 del 16 maggio 2019; n. 9606 del 5 aprile 2019; nn. 5088 e 5089 del 21 febbraio 2019; n. 23409 del 27 settembre 2018; nn.13628 e 13629 del 30 maggio 2018; n.1674 del 23 gennaio 2018).
In particolare, nella pronuncia n. 5088 del 2019 sono stati esposti diversi principi di diritto, tra i quali: – la cessione di un edificio non può essere riqualificata come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria del lotto su cui insiste;
– nella cessione di edificio l’accordo delle parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile;
– il potere generale dell’Amministrazione finanziaria “di riqualificare un negozio giuridico in base all’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione precisa di carattere tassativo del legislatore, ove – nell’esercizio di discrezionalità politica che non trascende i limiti costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. – ha previsto per la cessione di edifici un regime fiscale/temporale e per la cessione di terreni edificabili un diverso regime fiscale”.
In pratica, sostengono i giudici di legittimità, se su un’area insiste un qualsiasi fabbricato, l’area stessa deve considerarsi già edificata e non può essere rapportata alla previsione di area suscettibile di utilizzazione edificatoria (art. 67 del TUIR), poiché la potenzialità edificatoria si è già realizzata.
La marcia indietro delle Entrate
Considerato che i principi espressi dalla Suprema Corte sono stati riportati in un contesto di contenziosi aventi a oggetto casistiche diverse, tra le quali anche quella della vendita di fabbricati inseriti in un piano di recupero (sentenza n. 9606 del 5 aprile 2019), che l’indirizzo assunto dalla giurisprudenza di legittimità è da ritenersi consolidato, e che, inoltre, i pareri dell’Avvocatura generale dello Stato hanno ritenuto non opportuna la prosecuzione in cassazione dei giudizi in materia, l’Agenzia delle entrate considera superate le indicazioni contenute nella risoluzione 395/E del 2008 “e, più in generale, non ulteriormente sostenibili le pretese dell’Amministrazione in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza richiamata”.