CASSAZIONE

Per l’atto di costituzione del Trust si applica l’imposta di registro in misura fissa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15469 del 13 giugno 2018 ha stabilito che quando un trust che non è oneroso né contempli un’operazione a contenuto patrimoniale, va assoggettato all’imposta di registro in misura fissa e non proporzionale.

Ricordiamo che il trust è un rapporto giuridico basato sull’affidamento mediante il quale un soggetto, detto disponente, affida beni e diritti a un altro soggetto, detto trustee, affinché, diventandone proprietario, li amministri e li utilizzi nell’interesse di altri soggetti, detti beneficiari, o per il perseguimento di determinate finalità. L’atto tramite il quale si istituisce un trust deve necessariamente contenere il programma di atti e obiettivi che il trustee deve concretizzare utilizzando i beni che sono stati divisi per tali fini.

In questo senso è fondamentale definire l’entità dei poteri che il disponente affida al trustee per raggiungere gli scopi prefissati.

In Italia l’istituto è stato disciplinato sotto il profilo fiscale per la prima volta dalla legge finanziaria 2007 e da alcune circolari dell’Agenzia delle Entrate, prima fra tutte la n. 48/E del 2007, al solo fine di regolamentarne gli aspetti fiscali e tributari.

Da tali provvedimenti emerge, per i trust liberali, l’applicazione dell’imposta di successione e donazione. Da allora si è spesso discusso, con una forte contrapposizione tra la posizione della dottrina e della giurisprudenza di merito da una parte, e quella dell’Agenzia delle Entrate dall’altra, se il momento in cui applicare l’imposta fosse quello della dotazione dei beni al trustee o quello successivo dell’attribuzione dei beni dal trustee ai beneficiari.

Esaminando quindi la ratio dell’istituto è possibile evidenziare una volontà di trasferire beni e diritti, per il raggiungimento di uno scopo preciso; pertanto il trasferimento non potrà che essere temporaneo. Il trasferimento dei beni al trustee, inoltre, avviene a titolo gratuito, non essendo previsto alcun corrispettivo in favore del disponente; l’interesse di quest’ultimo, infatti, non è arricchire il trustee, ma fare in modo che questo gestisca i beni e diritti per la realizzazione di uno scopo indicato dell’atto istitutivo. L’intestazione dei beni al trustee, pertanto, deve ritenersi, fino allo scioglimento del trust, soltanto temporanea.

La questione sembrava essere stata definitivamente risolta dalla recente sentenza della Corte di Cassazione 975 del 17 gennaio 2018, con la quale la Suprema Corte dichiarava che l’atto di dotazione relativo ai trust “…si può considerare non immediatamente produttivo di effetti traslativi in senso proprio, dal momento che sono tali solo quelli finali, costituenti il presupposto dell’imposta di registro, prima mancando l’elemento fondamentale dell’attribuzione definitiva dei beni al soggetto beneficiario”. La Suprema Corte, intervenendo oggi sull’annosa questione della natura del trust, ai fini dell’assoggettamento alle imposte di registro ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che, invece, chiedeva applicazione dell’imposta in misura proporzionale, ne deduceva la violazione dell’art. 10, D.lgs. 347/1990, e dell’art. 1 della tariffa allegata al medesimo decreto n. 347 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in quanto le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura proporzionale. Nell’analizzare la questione, i giudici della Suprema Corte hanno voluto ricordare i recenti chiarimenti forniti al riguardo dalla sentenza 21614/2016, che ribaltando il precedente orientamento aveva affermato il seguente principio di diritto: “… L’istituzione di un trust cosiddetto autodichiarato, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la segregazione quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una segregazione da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale”.

Se con la sentenza 21614/16 gli Ermellini avevano ritenuto di avallare la tesi più convincente dal punto di vista tecnico, peraltro condivisa anche precedentemente da parte della dottrina e dal notariato, anche nel confronto odierno per analoghi fatti è possibile ritenere sbagliata la lettura fatta dall’Ufficio, poiché il trust in oggetto deve essere invece considerato come una donazione indiretta, soprattutto in ragione del fatto che il trustee non è infatti il proprietario dei beni, ma si limita ad “amministrarli”: detti beni verranno per forza di cose trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito e l’imposizione proporzionale si realizzerà solo in quel momento.

La costituzione del trust, l’affidamento dei beni in amministrazione al trustee, non produce reale trasferimento di un patrimonio da assoggettare a tassazione proporzionale, ma deve essere assoggettata a tassa fissa. Il trust, quindi, non può essere considerato un soggetto giuridico come una società o una persona fisica: è un rapporto giuridico, in forza del quale determinati beni o diritti sono sottoposti al controllo del trustee affinché quest’ultimo li amministri.

L’atto di dotazione non può che essere assoggettato alle imposte in misura fissa, atteso il fatto che “manca il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti”.

Da aggiungere, seppur a livello provinciale, che anche la CTP di Brescia, Sez. 3, con la sentenza n. 23 del 16 gennaio 2018 aveva stabilito, in analoghe circostanze, che l’atto di conferimento in trust non ha effetto traslativo e realizza una mera segregazione patrimoniale del bene.

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, la Corte di Cassazione ha voluto precisare anche che :” … Quanto invece all’altra tesi, pur sostenuta nella presente controversia dalla Agenzia delle Entrate nel proprio ricorso, e secondo cui il Trust rappresenta “un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, cui dovrebbe applicarsi, in via residuale, l’imposta in via proporzionale del 3%, proprio a mente dell’art. 9 tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86, la Sezione Tributaria di codesta Corte è intervenuta da ultimo sul punto con sent. n. 975/2018 affermando che l’art. 9 della tariffa ”rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni purché però onerose e in questo specifico senso aventi contenuto patrimoniale”. Ebbene, ha chiarito la predetta sentenza (n. 975/2018) che per “operazioni di carattere patrimoniale” ai sensi dell’art. 43, I comma lettera h, D.P.R. n. 131/1986, ove viene fissata la base imponibile, si ha riguardo “all’ammontare dei corrispettivi in danaro pattuiti per l’intera durata del contratto”. Nel caso del trust di cui al caso di specie, non essendovi alcuna previsione di corrispettivo o di altra prestazione a carico del trustee, non può dunque parlarsi di “operazione a carattere patrimoniale” tale da essere soggetta all’imposta del 3% ai sensi dell’art. 9 della tariffa. E lo stesso vale anche per la imposta ipotecaria e catastale (Cass. n. 975/2018). Il Collegio ritiene dunque che il trust di cui è causa, non potendo definirsi né “oneroso” né “operazione a contenuto patrimoniale”, ove il concetto di “patrimonialità”, come può desumersi dalla interpretazione della disposizione sull’imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986), non può intendersi in senso civilistico ai sensi degli artt. 1174 e 1321 c.c. come mera “suscettibilità di valutazione economica” della prestazione bensì come prestazione, a fronte della quale figura la pattuizione “di corrispettivi in danaro” e quindi onerosa per tale ragione, non può che essere assoggettato all’imposta in misura fissa e non proporzionale”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 13 giugno 2018, n. 15469

 

Sul ricorso 26249-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro M.C, M.A. in q. di disponente del TRUST H., TRUST D. TRUST R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA IPPONIO 8, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FERRI, che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 707/2011 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 29/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. ALESSANDRO DI MAJO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto l’accoglimento;

udito per i controricorrenti l’Avvocato DI GREGORIO per delega dell’Avvocato FERRI che si riporta agli atti.

Fatti di causa

  1. I sigg. M.C., nella qualità di trustee del T.M., del T.D., del T.R., e A.M., in qualità di disponente dei predetti trust, hanno chiesto alla Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone di pronunciare l’annullamento del dell’avviso dell’ 1.03.2007 di liquidazione dell’imposta di registro stabilita in misura proporzionale anziché fissa e ciò ai sensi dell’art. 11 tariffa allegata al d.p.r. n. 131/1986.

La CTP ha dichiarato il ricorso inammissibile per la presenza di elementi di incertezza ex art. 18, comma 2, lett. D del d.lgs. n. 546/1992, in quanto il ricorso si riferiva solo al T.M. e non agli altri due Trusts, oltre che per il fatto che l’Amministrazione Finanziaria identificava come bene conferito al Trust un immobile oggetto di compravendita.

  1. Proposto appello dei contribuenti e superata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, essendo stato impugnato l’avviso di liquidazione solo a carico del T.M., nel merito la Commissione Tributaria Regionale del Lazio (Sez. Latina), dopo ampia dissertazione, specie dottrinale, è giunta alla conclusione, dopo aver escluso l’assimilazione del Trust al Fondo patrimoniale, così come alla donazione, affermando che esso deve definirsi “un negozio giuridico a contenuto patrimoniale” per il quale tuttavia occorre valutarne la patrimonialità non ai sensi dell’art. 1321 del cod. civile “ma sotto il profilo del diritto tributario”. Tale, secondo la CTR, è l’atto capace di manifestare “valenza economica e la sua idoneità a determinare accrescimento economico” (pag 11 della sentenza). Secondo la decisione della CTR tale “valenza economica” è da escludere nel Trust “il quale determina un diverso assetto degli interessi e delle facoltà scaturenti da un diverso e peculiare statuto proprietario, i quali, per sé, non determinano alcuna conseguenza economica nella sfera delle parti contraenti, ma sono esclusivamente destinati a disciplinare la gestione della proprietà in maniera radicalmente diversa da quella propria della tradizionale figura romanistica …” (pag. 12 sentenza). A seguito di ciò la CTR, anche in attuazione di quanto stabilito dalla Cassazione n. 10666/2003 e n. 8289/2003, ha ritenuto applicabile all’atto di costituzione del Trust non il regime di tassazione dell’imposta proporzionale ma quello “della categoria residuale “disciplinata dall’art. 11 della tariffa stessa” allegata al D.P.R. n. 131/1986 e cioè l’imposta nella misura fissa.
  2. Avverso la sentenza della CTR del Lazio, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione formulando tre motivi. Parte resistente si è costituita in giudizio con controricorso, chiedendo l’inammissibilità del ricorso principale e la conferma della sentenza impugnata. La stessa ha depositato la memoria ex art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

  1. Con un primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione degli artt. 9 e 11 tariffa Parte Prima allegati al d.p.r. n. 131/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Secondo l’Agenzia delle Entrate la ricostruzione della CTR è erronea, dovendosi ritenere che il Trust costituisce un atto avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, non ricompreso tra quelli contemplati dalla normativa sul Registro, al quale si applica in via residuale l’imposta proporzionale del 3%, proprio ai sensi dell’art. 9 della tariffa allegata, ove si fa riferimento “ad atti aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
  2. Con un secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 57 del D.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. L’Agenzia delle Entrate afferma infatti che i contribuenti avevano impugnato l’avviso di liquidazione, deducendo l’erronea applicazione dell’imposta di registro perché applicata in misura proporzionale anziché fissa mentre solamente in sede di appello gli stessi contribuenti avevano censurato l’accertamento anche sotto il profilo della misura dell’imposta catastale ed ipotecaria, deducendo l’applicabilità della sola misura fissa in luogo di quella proporzionale del 2 %, applicata in sede di avviso di liquidazione. Trattavasi pertanto, a tenore dei ricorrenti, di domanda nuova nel giudizio di appello, che la CTR avrebbe dovuto dichiarare inammissibile.
  3. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 10 del D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 e dell’art. 1 della tariffa allegata al D.lgs 31 ottobre 1990 n. 347 in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c. Si deduce la predetta violazione, in quanto le imposte ipotecarie e catastali sono dovute in misura proporzionale.
  4. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminare unitariamente perché connessi, sono infondati.

Sull’annosa questione della natura del Trust, ai fini dell’assoggettamento di esso alle imposte di registro, è intervenuta varie volte questa Corte di legittimità. Quanto, in primo luogo, alla qualificazione del Trust, recante la costituzione “di un vincolo di destinazione”, ha osservato questa Corte con sent. n. 21614/2016 che, pur volendo tenere presente che, ai sensi dell’art. 2 (comma 47; della I. n. 286/2006 (recante legge sulle successioni e donazioni), anche per “i vincoli di destinazione” è prevista un’imposta, è comunque da escludere che “il conferimento dei beni in trust dia luogo ad un reale trasferimento imponibile”, perché contrario “al programma negoziale di donazione indiretta per cui è stato predisposto e che prevede la temporanea preservazione del patrimonio a mezzo della sua segregazione fino al trasferimento vero e proprio a favore dei beneficiari” (così Cass. n. 21614/2016). Quindi il richiamo, nel ricorso dell’ Agenzia delle Entrate, al D.l. n. 262/2006, riguardante la costituzione di vincoli al destinatario, non può essere come tale rilevante. Quanto invece all’altra tesi, pur sostenuta nella presente controversia dalla Agenzia delle Entrate nel proprio ricorso, e secondo cui il Trust rappresenta “un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, cui dovrebbe applicarsi, in via residuale, l’imposta in via proporzionale del 3%, proprio a mente dell’art. 9 tariffa allegata al D.P.R. n. 131/86, la Sezione Tributaria di codesta Corte è intervenuta da ultimo sul punto con sent. n. 975/2018 affermando che l’art. 9 della tariffa ”rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni purché però onerose e in questo specifico senso aventi contenuto patrimoniale”.

Ebbene, ha chiarito la predetta sentenza (n. 975/2018) che per “operazioni di carattere patrimoniale” ai sensi dell’art. 43, I comma lettera h, D.P.R. n. 131/1986, ove viene fissata la base imponibile, si ha riguardo “all’ammontare dei corrispettivi in danaro pattuiti per l’intera durata del contratto”.

Nel caso del trust di cui al caso di specie, non essendovi alcuna previsione di corrispettivo o di altra prestazione a carico del trustee, non può dunque parlarsi di “operazione a carattere patrimoniale” tale da essere soggetta all’imposta del 3% ai sensi dell’art. 9 della tariffa.

E lo stesso vale anche per la imposta ipotecaria e catastale (Cass. n. 975/2018).

Il Collegio ritiene dunque che il trust di cui è causa, non potendo definirsi né “oneroso” né “operazione a contenuto patrimoniale”, ove il concetto di “patrimonialità”, come può desumersi dalla interpretazione della disposizione sull’imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986), non può intendersi in senso civilistico ai sensi degli artt. 1174 e 1321 c.c. come mera “suscettibilità di valutazione economica” della prestazione bensì come prestazione, a fronte della quale figura la pattuizione “di corrispettivi in danaro” e quindi onerosa per tale ragione, non può che essere assoggettato all’imposta in misura fissa e non proporzionale.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto il testo del ricorso di primo grado. In tal guisa, questa Corte non è in grado di verificare se la domanda relativa alla applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa fosse stata o meno proposta in primo grado. La ricorrente ha trascritto infatti solamente l’atto d’appello.

Le spese processuali si compensano in considerazione dell’affermarsi del principio giurisprudenziale sul punto controverso in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo motivo. Compensa le spese processuali.

 

 

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