CASSAZIONE

Pensioni di reversibilità

La Corte Costituzionale, con l’Ordinanza n.274 del 22.12.2015, si è pronunciata sulla retroattività e diritti acquisiti in materia pensionistica, nello specifico la pensione di reversibilità corrisposta dall’INPDAP a favore di coniuge superstite di titolare di pensione diretta,

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l’indennità integrativa speciale mensile, la previsione, con norma auto qualificata di interpretazione autentica, ma a contenuto innovativo, dell’attribuzione nella stessa misura del sessanta per cento stabilita per il trattamento di reversibilità indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta e la prevista salvezza dei trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge censurata, già definiti in sede di contenzioso con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici, nonché dell’ordinanza della Sezione lavoro della Corte di Cassazione del 20 febbraio 2014 che riteneva la normativa in contrasto con l’art. 117 della Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo europea (CEDU).

La vicenda aveva avuto un particolare sviluppo con il giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e T.M.T. con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2014. I giudici di legittimità aditi espongono di dover decidere il ricorso, proposto dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) contro la sentenza della Corte d’appello di Roma, che ha confermato la decisione di prime cure, accogliendo la richiesta di T.M.T. di beneficiare – con riguardo alla pensione di reversibilità – dell’intera indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità, così come disciplinata dall’art. 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324 (Miglioramenti economici al personale statale in attività ed in quiescenza). Inoltre la domanda della ricorrente era accolta dal Tribunale e la Corte d’appello sulla base dell’interpretazione che la giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sezioni riunite, sentenza 17 aprile 2002, n. 8) ha prospettato dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Tale norma sanciva l’applicazione del vecchio regime di calcolo dell’indennità integrativa speciale sui trattamenti di pensione “limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite”. Inoltre, secondo l’orientamento recepito dai giudici di merito, soltanto dal 1° gennaio 1995 si applicherebbe il nuovo sistema di liquidazione, introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare): ne discende, da questo punto di vista, che l’indennità integrativa speciale deve essere corrisposta in misura intera per le pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità riferite a tali pensioni, senza alcuna distinzione tra le pensioni di reversibilità liquidate prima e quelle liquidate dopo il 31 dicembre 1994.

Nello specifico la tesi proposta dalla Cassazione, peraltro in linea con la vigente linea giurisprudenziale e, in particolare con la pronuncia n. 4050 del 20 febbraio 2014, riteneva che tutti i crediti contributivi, compresi quelli dei liberi professionisti, avessero un termine di prescrizione di 5 anni e che, secondo l’orientamento recepito dai giudici di merito, soltanto dal 1° gennaio 1995 si applicherebbe il nuovo sistema di liquidazione, introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare): ne discende, da questo punto di vista, che l’indennità integrativa speciale deve essere corrisposta in misura intera per le pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità riferite a tali pensioni, senza alcuna distinzione tra le pensioni di reversibilità liquidate prima e quelle liquidate dopo il 31 dicembre 1994. Dinanzi alla Corte di cassazione, però l’INAIL lamenta la violazione dell’art. 1, commi 774, 775 e 776 della legge n. 296 del 2006, intervenuta ad offrire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, stabilendo che «per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennità integrativa speciale già in godimento da parte del dante causa, parte integrante del complessivo trattamento pensionistico percepito, è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità»: tale norma, che contestualmente stabiliva l’abrogazione della citata norma dell’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994 (comma 776) e si premurava di salvaguardare i trattamenti più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, già definiti in sede di contenzioso (comma 775). Ai fini dell’applicazione della disciplina innovativa, la disposizione in esame attribuisce rilievo al momento della liquidazione della pensione di reversibilità, e non più al momento in cui sorge il diritto alla pensione diretta, alla quale la pensione di reversibilità si correla. É proprio questa interpretazione ad essere stata criticata dalla Corte Cassazione, secondo la quale essa avrebbe smentito le affermazioni di principio della giurisprudenza contabile e, in difetto di motivi imperativi d’interesse generale, avrebbe interferito con i giudizi in corso, sacrificando l’affidamento legittimo dei consociati.

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I giudici costituzionali, dopo aver rammentato che la norma censurata ha già superato il vaglio di costituzionalità (sentenza n. 74/2008), hanno dichiarato manifestamente infondata la questione con l’ordinanza n. 274/2015 in quanto ritengono che la Cassazione non affronta in alcun modo la sentenza n. 1/2011, con cui la Corte Costituzionale ha già esaminato gli stessi dubbi di costituzionalità, né tantomeno enuncia argomenti che inducano a discostarsi da tali affermazioni di principio, ribadite con la sentenza n. 227/2014 e recepite dalla stessa Corte di legittimità, che ha concluso di recente per la manifesta infondatezza di analoghe censure (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 gennaio 2015, n. 157).

Ad avviso della Consulta, la norma censurata rinviene la sua ragion d’essere in un contesto, contrassegnato da rilevanti contrasti interpretativi e dal ravvicinato succedersi di norme, che ha reso più acuta l’esigenza di coordinarle e di interpretarle sistematicamente. Non solo, perché la norma è anche coerente con il principio di autonomia del diritto alla pensione di reversibilità come diritto originario (sentenza n. 74/2008). Le tesi della Cassazione sono state così respinte e i giudici della Consulta hanno dichiarato infondata la questione di illegittimità costituzionale della norma della “finanziaria 2007” – segnatamente, dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della “legge finanziaria 2007” (legge n. 296/2006) – sollevata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, per violazione dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel dettaglio, la norma era stata introdotta dalla “finanziaria 2007” per offrire l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995, stabilendo che: “dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe”.


CORTE COSTITUZIONALE – ORDINANZA N. 274/2015

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774, 775 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e T.M.T. con ordinanza del 20 febbraio 2014, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione dell’INAIL, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 18 novembre 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra… continua per leggere la sentenza completa

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