CASSAZIONE IVA

Operazioni soggettivamente inesistenti e onere della prova

Tributi – IVA – Operazioni soggettivamente inesistenti – Acquisto di autoveicoli provenienti da un rivenditore europeo – Interposizione di altri soggetti – Frode carosello – Consapevolezza dell’evasione fiscale – Onere di prova a carico dell’Amministrazione – Orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte – Conformità alla giurisprudenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26463 del 19 ottobre 2018 è tornata a esaminare la questione attinente il recupero IVA su operazioni soggettivamente inesistenti e, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Unite n. 8053 del 7/4/2014, ha evidenziato quale sia l’anomalia motivazionale denunciabile nel ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, come oggi previsto dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..

Secondo la Suprema Corte l’anomalia è da intendersi come quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico.

Vale la pena di ricordare che secondo l’orientamento della Corte di legittimità, in caso di frode carosello la buona fede si presume e la mala fede va provata. Questo noto principio giuridico ha trovato un’opportuna precisazione ricordando che spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare la connivenza del destinatario della fattura con gli artefici della frode e, cioè, che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione strutturata. Peraltro la Corte, con due ordinanze gemelle (n. 3473 e n. 3474 del 13 febbraio 2018) aveva affermato che tocca all’Amministrazione finanziaria che contesti una fattispecie di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti e neghi il diritto alla detrazione della corrispondente imposta, provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante.

Tale contestazione non deve necessariamente essere supportata da una prova certa e incontrovertibile, bensì bastano presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi rivelatori della violazione. In presenza di tali elementi indiziari spetterà poi al contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente e i precedenti fornitori: “si riversa sul contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori, ovvero, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione”.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha nel tempo anche individuato quali siano i più ricorrenti elementi sintomatici delle operazioni soggettivamente inesistenti, al ricorrere dei quali l’onere probatorio del Fisco deve sostanzialmente ritenersi assolto: in breve, si riassumono nell’assenza di personale e di cespiti dell’emittente (Cassazione nn. 607 e 2398 del 2018), la conclamata inidoneità a svolgere l’attività economica e a una non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione, (Cassazione n. 23166/2017) oppure il riscontro di prezzi del prodotto inferiori rispetto a quelli di mercato (Cassazione n. 3473/2018). Lo stesso orientamento è stato confermato con l’ordinanza n. 9721 del 19 aprile 2018, in cui è ancora ben precisato che spetta all’Amministrazione finanziaria allegare elementi oggettivi che dimostrino che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto avere conoscenza che l’operazione si iscriveva in una fattispecie fraudolenta.

Con la recente ordinanza – n. 13354 del 28 maggio 2018 – infine, la VI Sezione della Corte di Cassazione aveva affermato che era sufficiente che l’Amministrazione finanziaria dimostrasse la mancanza di strutture logistiche e di adeguata organizzazione della società cedente, mentre la stessa non è tenuta a fornire evidenza della complicità tra cedente e cessionario, con l’effetto di addossare sul contribuente l’onere della prova dell’inconsapevolezza che il fatturante non era l’effettivo fornitore del bene e che vi era stato un comportamento fraudolento.

Nel caso in dibattimento, tre contribuenti avevano proposto ricorso avverso alla sentenza con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia riteneva legittimi gli avvisi di accertamento per IVA, IRAP e IRPEF 2003 loro notificati all’esito di una verifica avente ad oggetto una c.d. frode carosello ordita da tal G. Auto S.r.l. e riguardante l’introduzione in Italia, in evasione di IVA per interposizione di altri soggetti, di autoveicoli provenienti da un rivenditore tedesco. La motivazione della CTR giungeva alla conclusione che gli imputati fossero a conoscenza o, meglio, “non potessero non essere a conoscenza” della frode perpetrata mediante interposizione soggettiva nella fornitura intracomunitaria di autovetture usate.

Di diverso avviso i Supremi giudici, che al riguardo ritengono che “… Si ritiene che la sentenza impugnata sia affetta dal denunciato vizio motivazionale, sebbene riguardato alla luce della nuova disciplina dell’art. 360, 1A co. n. 5 cod. proc. civ.; come introdotta dal d.l. 83/12 convertito con modificazioni nella legge 134/12 (sentenza CTR pubblicata dopo l’11 settembre 2012). Disciplina in base alla quale la sentenza può essere impugnata, in sede di legittimità, non più per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (previgente formulazione del n. 5 dell’articolo 360 in esame), bensì nei più ristretti limiti dell’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cosi, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed innumerevoli altre). Ora, nel caso di specie la commissione tributaria regionale è giunta alla conclusione che E. snc, in persona dei soci, fosse a conoscenza o, meglio, “non potesse non essere a conoscenza” della frode perpetrata mediante interposizione soggettiva nella fornitura intracomunitaria di autovetture usate. Sennonché, tale conclusione poggia su una serie di osservazioni ed argomenti non pertinenti, ed inidonei a logicamente e giuridicamente sorreggerla; così da doversi in concreto ravvisare – secondo gli indicati dettami interpretativi – appunto un’ipotesi radicale di statuizione priva di reale motivazione. Da un lato, la commissione tributaria regionale ascrive a fondamento del proprio convincimento circostanze di causa tanto pacifiche quanto ininfluenti ai fini dell’accertamento del fatto decisivo rappresentato dalla buona fede di E., quali l’esercizio abituale da parte della società di “attività commercio autoveicoli”; ovvero l’effettivo acquisto delle auto presso l’operatore interposto; ovvero, ancora, la obiettiva fittizietà del ruolo da quest’ultimo esercitato, in evasione dell’Iva, nella vicenda (là dove non di questo si trattava, ma di verificare la consapevolezza di ciò in capo al socio amministratore di E.). Dall’altro, la commissione tributaria regionale reputa invece dirimenti, acriticamente recependole dagli avvisi di accertamento impugnati, circostanze del tutto neutrali, ed in realtà prive di un logico sostrato dimostrativo univocamente finalizzato all’accertamento del suddetto “fatto decisivo”. Il che vale tanto per la mancata indicazione in fattura delle spese di trasporto e ricondizionamento delle vetture (assumibili in proprio dalla cessionaria, senza che ciò potesse di per sé denotare qualsivoglia consapevolezza della frode); quanto per l’ammissione di interposizione resa dal legale rappresentante della T. srl (vale a dire, da un soggetto diverso da E., e le cui dichiarazioni hanno riguardato fatti che non possono sic et simpliciter imputarsi a conoscenza diretta di quest’ultima). L’esito al quale la commissione tributaria regionale è così pervenuta (in forza di una motivazione, come detto, meramente apparente) si è pertanto posto anche in contrasto con il principio di legittimità per cui: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. 9851/18). Sulla stessa linea interpretativa, si è anche affermato che: “In tema di IVA, il principio di neutralità dell’imposizione comporta che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode” (Cass. 9721/18). Nella concretezza del caso, non può dirsi che la commissione tributaria regionale abbia reso vera e propria motivazione del perché l’amministrazione finanziaria avesse fornito dimostrazione – anche se soltanto presuntiva ed indiziaria – non già della frode in sé, ma della consapevolezza di essa in capo ad E.”.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza 19 ottobre 2018, n. 26463

 

sul ricorso 25741-2013 proposto da:

G.B.M., T. G., E.D.G.T. & C. SNC, elettivamente domiciliati in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RAFFAELLO LUPI;

– ricorrenti –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 83/2013 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 29/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA.

Rilevato che

Par. 1. E. snc di G. T. & c., nonché i soci G. T. e B. M. G. in proprio, propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 83/34/13 del 16 maggio 2012, depositata il 29 aprile 2013, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento per Iva, Irap ed Irpef 2003 loro notificati all’esito di una verifica condotta su impulso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Forlì.

Verifica avente ad oggetto una c.d. “frode carosello” ordita da tal G. Auto s.r.l., e concernente l’introduzione in Italia, in evasione di Iva per interposizione di altri soggetti, di autoveicoli provenienti da un rivenditore sedente in Germania (A. S. di Engen).

La commissione tributaria regionale, per quanto ancora in discussione, ha rilevato che:

  1. E. s.n.c. aveva acquistato, nell’anno 2003, vari autoveicoli presso un rivenditore, la T. s.r.l., che aveva appunto pacificamente operato quale interposto della suddetta G. Auto srl, preordinatamente omettendo il versamento dell’Iva incassata;
  2. come sostenuto dall’amministrazione finanziaria, la società doveva ritenersi a conoscenza della frode in evasione dell’Iva, trattandosi di operazione soggettivamente inesistente, stante il ruolo di mera interposizione assunto da T.;
  3. ciò doveva desumersi, in particolare, da vari elementi di prova: – mancata indicazione, nelle fatture emesse dalla fornitrice interposta, di spese di trasporto e di ricondizionamento delle vetture; – dichiarazione dell’amministratore di T. con la quale veniva confermato il ruolo di interposizione della società, a fronte dell’erogazione di un compenso di circa 500/800 euro per ogni autovettura fornita.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate.

La società ricorrente ha depositato memoria allegando sentenza n. 501 del 26.6.12, passata in giudicato il 20.9.12, con la quale il Tribunale di Pavia ha assolto G. T., per insussistenza del fatto, dal reato di cui all’art.2 d.lgs.74/2000; ciò con riguardo a fatti analoghi (fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti, anno 2004) dedotti negli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio di legittimità.

Par. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1A co. n. 5 cod. proc. civ. – “omesso esame” su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; costituito dalla buona fede di E. e dalla sua estraneità alla frode Iva (ad essa totalmente ignota) perpetrata dalla G. Auto e dalla T. s.r.l.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360, 1A co. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli articoli 17 – 19 dpr 633/72. Per avere la commissione tributaria regionale escluso il diritto di E. alla detrazione dell’Iva oggetto di recupero, nonostante la mancanza di prova della sua consapevolezza della frode; in quanto ordita da soggetti posti a monte della catena commerciale di fornitura delle automobili, e con i quali essa non aveva intrattenuto rapporti.

Con il terzo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360, 1A co. n. 3 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’articolo 5 d.lvo 472/97.

Per avere la commissione tributaria regionale ritenuto legittima, in aggiunta al recupero dell’Iva, l’irrogazione della sanzione amministrativa, nonostante il difetto dì prova di dolo o colpa in capo ad E.: alla quale poteva attribuirsi, al più, la violazione di un generico dovere di diligenza nella scelta dei fornitori, tale da determinare il pagamento dell’imposta, non anche delle sanzioni.

Par. 2.2 E’ fondato, con assorbimento delle altre censure, il primo motivo di ricorso.

Si ritiene che la sentenza impugnata sia affetta dal denunciato vizio motivazionale, sebbene riguardato alla luce della nuova disciplina dell’art. 360, 1A co. n. 5 cod. proc. civ.; come introdotta dal d.l. 83/12 convertito con modificazioni nella legge 134/12 (sentenza CTR pubblicata dopo l’11 settembre 2012).

Disciplina in base alla quale la sentenza può essere impugnata, in sede di legittimità, non più per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (previgente formulazione del n. 5 dell’articolo 360 in esame), bensì nei più ristretti limiti dell’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (cosi, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 ed innumerevoli altre).

Par. 2.3 Ora, nel caso di specie la commissione tributaria regionale è giunta alla conclusione che E. snc, in persona dei soci, fosse a conoscenza o, meglio, “non potesse non essere a conoscenza” della frode perpetrata mediante interposizione soggettiva nella fornitura intracomunitaria di autovetture usate.

Sennonché, tale conclusione poggia su una serie di osservazioni ed argomenti non pertinenti, ed inidonei a logicamente e giuridicamente sorreggerla; così da doversi in concreto ravvisare – secondo gli indicati dettami interpretativi – appunto un’ipotesi radicale di statuizione priva di reale motivazione.

Da un lato, la commissione tributaria regionale ascrive a fondamento del proprio convincimento circostanze di causa tanto pacifiche quanto ininfluenti ai fini dell’accertamento del fatto decisivo rappresentato dalla buona fede di E., quali l’esercizio abituale da parte della società di “attività commercio autoveicoli”; ovvero l’effettivo acquisto delle auto presso l’operatore interposto; ovvero, ancora, la obiettiva fittizietà del ruolo da quest’ultimo esercitato, in evasione dell’Iva, nella vicenda (là dove non di questo si trattava, ma di verificare la consapevolezza di ciò in capo al socio amministratore di E.).

Dall’altro, la commissione tributaria regionale reputa invece dirimenti, acriticamente recependole dagli avvisi di accertamento impugnati, circostanze del tutto neutrali, ed in realtà prive di un logico sostrato dimostrativo univocamente finalizzato all’accertamento del suddetto “fatto decisivo”. Il che vale tanto per la mancata indicazione in fattura delle spese di trasporto e ricondizionamento delle vetture (assumibili in proprio dalla cessionaria, senza che ciò potesse di per sé denotare qualsivoglia consapevolezza della frode); quanto per l’ammissione di interposizione resa dal legale rappresentante della T. srl (vale a dire, da un soggetto diverso da E., e le cui dichiarazioni hanno riguardato fatti che non possono sic et simpliciter imputarsi a conoscenza diretta di quest’ultima).

L’esito al quale la commissione tributaria regionale è così pervenuta (in forza di una motivazione, come detto, meramente apparente) si è pertanto posto anche in contrasto con il principio di legittimità per cui: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. 9851/18).

Sulla stessa linea interpretativa, si è anche affermato che: “In tema di IVA, il principio di neutralità dell’imposizione comporta che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode” (Cass. 9721/18).

Nella concretezza del caso, non può dirsi che la commissione tributaria regionale abbia reso vera e propria motivazione del perché l’amministrazione finanziaria avesse fornito dimostrazione – anche se soltanto presuntiva ed indiziaria – non già della frode in sé, ma della consapevolezza di essa in capo ad E..

Ne segue dunque la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa alla commissione tributaria regionale della Lombardia la quale, in diversa composizione, riconsidererà la fattispecie dando congrua motivazione della decisione assunta. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

– accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 17 luglio 2018.

 

 

 

 

 

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