CASSAZIONE

Omesso versamento IVA: attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore

La Corte di Cassazione, con la sentenza 13 marzo 2018 n. 11035, ha dichiarato che l’omesso versamento dell’IVA può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, ai quali lo stesso non abbia potuto porre rimedio per cause estranee alla sua volontà. È pertanto irrilevante la cosiddetta “crisi di liquidità” del debitore alla scadenza del termine per operare il versamento dell’IVA, poiché lo stesso ha l’obbligo non solo di accantonare le risorse necessarie per l’adempimento dell’obbligazione tributaria, ma devono essere assolti, al riguardo, precisi oneri di allegazione che devono investire l’aspetto della non impunibilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda.

Questa pronunzia segue immediatamente la sentenza n. 10810 del 12 marzo 2018, nella quale gli Ermellini hanno affrontato il tema delle nuove soglie di punibilità con restrizione dell’ambito applicativo dei reati di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA.

In questa decisione la C.S. ha dichiarato che le condanne divenute definitive devono essere revocate e che “… La mutata soglia di punibilità dei reati di omesso versamento delle ritenute certificate e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto – hanno precisato i Giudici – rientra pertanto nell’abrogazione parziale dei due reati, nei quali il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della loro penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia. Configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo di entrambe le fattispecie legali astratte delle suddette disposizioni, è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia”.

Difatti, hanno poi dimostrato gli Ermellini, che modificando gli artt. 10-bis e 10-ter del D.lgs. 74/2000, il Legislatore ha in sostanza operato una abolitio criminis parziale in riferimento alle condotte che hanno a oggetto somme pari o inferiori a 150 e 250.000 euro (per quanto concerne, rispettivamente, l’omesso versamento delle ritenute e dell’IVA).

Tornando invece alla sentenza in commento, i giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso di un imprenditore che sosteneva la tesi che l’omesso versamento IVA, nelle annualità contestate, non era dovuto a una condotta volontaria ma alla crisi di liquidità nella quale versava l’azienda, che vantava crediti non riscossi per importi di gran lunga superiori al debito fiscale, dichiarando inoltre che l’efficacia estintiva del reato e non solo attenuante, nel caso di integrale pagamento dei debiti tributari, anche se nel mentre è già iniziato il dibattimento (memoria difensiva del 15/5/2017 la difesa del ricorrente ha esposto che il reato di cui al capo b), a seguito della novella del D.lgs. 158/2015, non è più previsto come reato dalla legge e chiesto il rinvio del procedimento al fine di consentite l’estinzione del debito tributario ai sensi dell’art. 13, D.lgs. 74/2000, come novellato dal predetto D.lgs. 158/2015 .

In seguito al rinvio, con memoria depositata in data 30/8/2017, la difesa del ricorrente ha documentato pagamenti parziali e chiesto una proroga del termine per provvedere all’integrale estinzione del debito tributario, mentre in data 12/9/2017 ha depositato memoria integrativa nella quale ha dichiarato di aver provveduto, in data 31/8/2017, all’estinzione totale del debito tributario inerente all’omesso versamento IVA per l’anno 2009, allegando le copie dei pagamenti effettuati.

La Suprema Corte, riassumendo i fatti, ha allora evidenziato come, in tema di omesso versamento IVA, “ … Diversamente deve valutarsi in relazione alla questione proposta con memoria difensiva del 15.5.2017, in ragione del novum normativo. L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, d.lgs 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, tale causa di non punibilità è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. Igs. n. 158 del 2015 (che ha sostituito, nei termini anzidetti, l’art. 13, d. Igs. n. 74 del 2000), anche qualora, a quel momento, fosse già stato aperto il dibattimento (Sez. 3, n. 40314 del 30/3/2016, Fregolent, Rv. 267807, alla quale si rimanda, secondo cui «la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale ‘fatto’ che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario», nonché in termini identici Sez.3, n.15237 del 01/02/2017, Rv.269653; e da ultimo Sez. 3 n. 52640 /2017).Va, pertanto, affermata la applicabilità anche al presente procedimento della causa di non punibilità in oggetto”.

 

Corte di Cassazione Sentenza 13 marzo 2018, n. 11035

Sul ricorso proposto da:

  1. G., nato a Teolo il 20/11/1952 avverso la sentenza del 08/01/2015 della Corte di appello di Trieste visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo annullamento senza rinvio per il capo a) per estinzione del reato e per il capo b) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;

udito per l’imputato l’avv. Valerio Toneatto, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 08/01/2015, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del 10.5.2013 del Tribunale di Udine che aveva dichiarato M.G. responsabile del reato di cui all’art. 10 ter d.lvo 74/2000- perché quale legale rappresentante della società “M. sas di G. C. M & C.” ometteva di versare entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale Iva per i periodi di imposta 2008 e 2009- e lo aveva condannato alla pena di mesi cinque di reclusione, riduceva la confisca per equivalente disposta con la sentenza appellata all’ammontare di euro 200.000, confermando nel resto la decisione impugnata.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.G., per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen, basato su violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art 42 cod.pen.

Il ricorrente deduce che l’omesso versamento dell’IVA relativa alle annualità 2008 e 2009 non era dovuto ad una condotta volontaria ma alla crisi di liquidità nella quale versava l’impresa che vantava crediti non riscossi per importi di gran lunga superiori al debito fiscale; argomenta che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, alcun obbligo di accantonamento dell’Iva incassata era configurabile a carico dell’imprenditore; inoltre, essendo stati comprovati crediti scaduti sufficienti per il pagamento delle annualità contestate le omissioni erano da ascrivere a colpa consistita nell’errata previsione dei tempi di incasso e non a dolo; su tale ultimo aspetto alcuna argomentazione era stata esposta dalla Corte territoriale.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Con memoria difensiva del 15.5.2017 la difesa del ricorrente ha esposto che il reato di cui al capo b), a seguito della novella del d.lgs 158/2015 non è più previsto come reato dalla legge e chiesto il rinvio del procedimento al fine di consentite l’estinzione del debito tributario ai sensi dell’art. 13 d.lgs 74/2000, come novellato dal predetto d.lgs 158/2015, con riferimento all’ulteriore imputazione di cui al capo a).

In seguito al rinvio, con memoria depositata in data 30.8.2017 la difesa del ricorrente ha documentato pagamenti parziali e chiesto una proroga del termine per provvedere all’integrale estinzione del debito tributario;

in data 12.9.2017 la difesa del ricorrente ha depositato memoria integrativa nella quale ha dichiarato di aver provveduto in data 31.8.2017 all’estinzione totale del debito tributario inerente all’omesso versamento IVA per l’anno 2009, allegando le copie dei pagamenti effettuati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Va, preliminarmente, considerato che l’art. 8 del d.lgs. 24/09/2015 n. 158, entrato in vigore in data 22/10/2015, ha modificato l’art. 10 ter del d.lgs 74/2000. nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di omesso versamento dell’imposta per un ammontare superiore ad euro 250.000 per ciascun periodo di imposta;

va aggiunto che tale modifica, in quanto comportante una disposizione più favorevole rispetto alla precedente, si applica, ex art. 2, comma 4, c.p., anche ai fatti posti in essere antecedentemente.

Nella specie, limitatamente al reato di cui al decreto di citazione n. 1461/12 RG per il periodo di imposta 2008, l’ammontare non versato è, come da contestazione, pari ad euro 221.297,00, importo inferiore al limite di legge di cui sopra.

Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio con riferimento al predetto reato con la formula «il fatto non sussiste», posto che la soglia di rilevanza penale deve ritenersi elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore (in tal senso, tra le altre, oltre a Sez. U., n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975, da ultimo, Sez.3, n.3098 del 05/11/2015,dep.25/01/2016, Rv.265938).

  1. Ciò posto, con riferimento alla residua imputazione il ricorso è fondato nei limiti appresso precisati. 2.1. Il motivo di ricorso proposto è infondato. Le questioni sollevate dal ricorrente trovano risposta negli approdi ermeneutici di Sez. U., n. 37424 del 28/03/2103, Romano, Rv. 255757, secondo la quale:
  2. a) il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte;
  3. b) la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, entro il termine lungo previsto;
  4. c) il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, pertanto, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta organizzativa (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sé considerate (v., in riferimento alla parallela norma dell’art. 10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale).

Questa Corte ha ulteriormente precisato che è necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Occorre cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055, Sez.3, n. 43599 del 09/09/2015, dep.29/10/2015, Rv.265262).

Poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, tanto da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).

Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).

Ne consegue l’affermazione che l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez.3,n.8352 del 24/06/2014, dep.25/02/2015, Rv.263128).

Nel caso in esame, la Corte territoriale facendo buon governo dei principi suindicati ha esposto sul punto un congruo apparato argomentativo e la deduzione difensiva riguardante la crisi di liquidità è in più parti generica, perché non si confronta con le specifiche argomentazioni della Corte territoriale, e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche ne’ concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento.

2.2. Diversamente deve valutarsi in relazione alla questione proposta con memoria difensiva del 15.5.2017, in ragione del novum normativo.

L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, d.lgs 74 del 2000, efficacia estintiva, e non più soltanto attenuante. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, tale causa di non punibilità è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. Igs. n. 158 del 2015 (che ha sostituito, nei termini anzidetti, l’art. 13, d. Igs. n. 74 del 2000), anche qualora, a quel momento, fosse già stato aperto il dibattimento (Sez. 3, n. 40314 del 30/3/2016, Fregolent, Rv. 267807, alla quale si rimanda, secondo cui «la diversa natura assegnata al pagamento del debito tributario, quale ‘fatto’ che non riguarda più soltanto il quantum della punibilità, ma l’an della punibilità, comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purché prima del giudicato.

La preclusione assegnata, in maniera non irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito tributario», nonché in termini identici Sez.3, n.15237 del 01/02/2017, Rv.269653; e da ultimo Sez. 3 n. 52640 /2017).

Va, pertanto, affermata la applicabilità anche al presente procedimento della causa di non punibilità in oggetto.

2.3. Va, poi, rilevato che, implicando una questione di fatto la valutazione della documentazione allegata alla istanza ex art 13 dlgs 74/2000, la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, affinché valuti l’integralità del pagamento del debito tributario relativo alla residua imputazione.

2.4. Deve, infine, darsi atto che, trattandosi di annullamento parziale della sentenza afferente a statuizioni diverse da quelle sottese alla responsabilità del ricorrente, l’accertamento di responsabilità per il reato di omesso versamento IVA per l’anno 2009 diviene irrevocabile con la presente sentenza di legittimità, per cui, nel caso di insussistenza delle condizioni per l’applicazione della causa di non punibilità, il Giudice del rinvio provvederà alla rideterminazione della pena.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al decreto di citazione n. 1461/12 RG per il periodo di imposta 2008 perché il fatto non sussiste e con rinvio limitatamente al residuo reato ad altra sezione della Corte d’appello di Trieste sul punto dell’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art 13 d.lgs n. 74 del 2000.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 09/11/2017

 

 

Desidero ricevere in abbonamento gratuito il vostro periodico FiscotoDay