CASSAZIONE FISCALITA SANZIONI

Omessa tenuta scritture contabili: per la Cassazione non è reato

Conservazione scritture contabili – Soggetti obbligati ed esonerati – Modalità di tenuta – Modalità di conservazione – Aspetti fiscali – Giurisprudenza rilevante – Riferimenti – Art. 6, comma 1, D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 dicembre 2018, n. 57506, intervenendo in merito alla corretta conservazione delle scritture contabili, ha sancito che per rispondere del reato di occultamento o distruzione della contabilità è necessario che sia dimostrata l’esistenza delle scritture contabili; in assenza di esse, non è possibile contemplare il reato.

Ne consegue che la mancata tenuta delle scritture contabili potrebbe rilevare unicamente come illecito amministrativo (previsto dall’art. 9, D.lgs. 471/1997).

La legge prevede che sia punito chiunque, al fine di evadere le imposte direttamente o di favorire tale condotta a terzi, occulti o distrugga (in tutto o in parte) le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Secondo la giurisprudenza – ex multis la sentenza 1441/2018 della Cassazione – il reato non potrebbe quindi essere configurato dal manifestarsi di un comportamento meramente omissivo, richiedendo dunque l’aggravante costituita dalla condotta penalmente rilevante. Solo l’occultamento o la distruzione, quindi, consentirebbero di evidenziare quel determinato e concreto atteggiamento mirato alla sottrazione dall’obbligo fiscale e per questo penalmente rilevante in modo autonomo.

Nel caso in esame i giudici hanno fondato l’annullamento della precedente condanna del titolare di un’impresa individuale ritenendo insufficiente la prova dell’istituzione delle scritture contabili e della produzione di reddito da parte dell’impresa.

Il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente.

Sostanzialmente, nel caso di distruzione di documenti contabili o occultamento degli stessi, la condotta è penalmente rilevante: se invece la contabilità è totalmente omessa, si tratta solo di un illecito amministrativo.

Questo l’effetto pratico della normativa vigente, come già evidenziato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 57506 del 19 dicembre 2018.

In particolare, specificano gli Ermellini, il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del citato D.lgs. 471, cosicché per la configurabilità di tale reato non è sufficiente un mero comportamento omissivo – ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, che renda obiettivamente più difficoltosa ma non impossibile la ricostruzione della situazione contabile – ma è necessario un quid pluris, a contenuto commissivo, consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge.

Ricordiamo che il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, all’art. 10 (Occultamento o distruzione di documenti contabili), come modificato dall’ art. 6, comma 1, D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, specifica direttamente che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.

Nel caso in esame un imprenditore era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10, D.lgs. 74/2000 per avere, quale titolare dell’impresa individuale e al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultato o distrutto le fatture emesse in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi.

Il mancato rinvenimento della documentazione contabile e la dichiarazione di non sapere dove tale documentazione si trovasse, resa dall’imputato alla Guardia di Finanza, costituivano fattori che non consentivano di ritenere che tali documenti fossero davvero esistenti.

La Suprema Corte ha dato rilevo a quanto riferito dall’imputato in occasione della verifica fiscale, allorquando lo stesso ebbe a dichiarare di non sapere dove si trovasse la documentazione fiscale: erroneamente, da ciò si è tratta la prova della condotta di occultamento delle scritture contabili.

Infatti, la motivazione con cui l’imputato era stato condannato è apparsa insufficiente, sia quanto alla prova della istituzione delle scritture contabili e della produzione di reddito da parte dell’impresa dell’imputato, sia quanto all’accertamento della condotta di occultamento o di distruzione.

Punto questo, per la Suprema Corte, ritenuto illogico, in quanto: “Va premesso che, come ricordato anche nella sentenza impugnata, il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep. 15/01/2018, Andriola, Rv. 272034; Sez. 3, n. 38224 del 07/10/2010, Di Venti, Rv. 248571), cosicché per la configurabilità di tale reato non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, che renda obiettivamente più difficoltosa, ma non impossibile, la ricostruzione della situazione contabile, ma è necessario un quid pluris, a contenuto commissivo, consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge (Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270809; Sez. 3, n. 19106 del 02/03/2016, Chianese, Rv. 267102). La condotta può consistere, come notato, sia nella distruzione, sia nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 24/03/2017, Quaglia, Rv. 269898; Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015, Palermo, Rv. 264676; Sez. 3, n. 5974 del 05/12/2012, Buonocore, Rv. 254425; Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006, Cesarini, Rv. 234239). Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel disattendere l’eccezione di prescrizione del residuo reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, fondata dall’imputato sul rilievo che tale reato, anche qualora configurabile (pur in assenza della prova della istituzione delle scritture contabili), sarebbe stato consumato al momento della cessazione della attività dell’impresa dell’imputato medesimo, cioè alla fine dell’anno 2006, anziché nel 2012, quando venne eseguito l’accertamento fiscale, con la conseguente estinzione dello stesso per prescrizione anteriormente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ha evidenziato il rinvenimento di fatture emesse dall’impresa dell’imputato presso la sede di altre imprese (Eukos Distribuzione S.r.I., Mali Service S.r.l., MM Trasporti S.r.l.), nonché quanto riferito dall’imputato medesimo in occasione della verifica fiscale, allorquando lo stesso ebbe a dichiarare di non sapere dove si trovasse la documentazione fiscale, traendone la prova della condotta di occultamento delle scritture contabili. Si tratta, però, di motivazione insufficiente, sia quanto alla prova della istituzione delle scritture contabili e della produzione di reddito da parte dell’impresa dell’imputato, sia quando all’accertamento della condotta di occultamento, o di distruzione. La sola emissione di alcune fatture non consente, infatti, di per sé, in assenza di altri elementi in ordine all’effettivo svolgimento di attività di impresa e alla conseguente produzione di reddito (che non sono stati indicati), di ritenere che, oltre alle citate fatture (astrattamente riconducibili anche a operazioni inesistenti), fossero state istituite le scritture contabili obbligatorie e vi fosse stata produzione di reddito, cosicché la conclusione che ne hanno tratto i giudici di merito, circa l’esistenza delle scritture, risulta illogica. Il mancato rinvenimento della documentazione contabile e la dichiarazione resa dall’imputato alla polizia tributaria, di non sapere dove tale documentazione si trovasse (dichiarazione di cui non è, peraltro, stata chiarita l’utilizzabilità, non essendo stato precisato se allorquando venne resa agli agenti di polizia tributaria fossero già emersi indizi di reato a carico dell’imputato medesimo), non consentono, poi, di ritenere che tale documentazione fosse esistente e sia stata occultata dall’imputato, risultando illogica la deduzione, da tali generiche circostanze, della realizzazione della condotta comnnissiva di occultamento, sicché anche sotto tale profilo la motivazione della sentenza impugnata risulta, a fronte delle specifiche censure formulate sul punto dall’imputato, insufficiente. Tale insufficienza si riverbera, poi, anche sulla determinazione del momento consumativo del reato, incidente sulla eventuale prescrizione dello stesso, oltre che sulla configurabilità della recidiva, anch’esse oggetto di contestazione da parte dell’imputato”.

 

Corte di Cassazione Sentenza 19 dicembre 2018, n. 57506

 

Sul ricorso proposto da C.L., nato a Napoli il 1/1/1959 avverso la sentenza del 15/12/2017 della Corte d’appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Pietro Molino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con sentenza del 15 dicembre 2017 la Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione proposta dall’imputato nei confronti della sentenza del 8 ottobre 2015 del Tribunale di Alessandria, con cui Luigi Corcione era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000 (per avere, quale titolare dell’impresa individuale denominata E. al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultato o distrutto le fatture emesse, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari di tale impresa).

Con la medesima sentenza è stato revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso all’imputato con tre diverse precedenti sentenze. qs,

  1. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo, mediante il quale ha lamentato la violazione degli artt. 195, comma 4, cod. proc. pen. e 220 disp. att. cod. proc. pen., e l’illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) et e), cod. proc. pen.

Dopo aver richiamato l’elaborazione interpretativa della giurisprudenza di legittimità riguardo al delitto di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, in particolare in ordine alla struttura e al momento consumativo di tale reato, ne ha eccepito l’estinzione per prescrizione anteriormente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, in quanto la condotta doveva ritenersi consumata anteriormente al dicembre 2006, allorquando il ricorrente non aveva subito condanne (essendo solo successivamente, il 3 maggio 2010, stato emesso nei suoi confronti un decreto penale divenuto esecutivo il 29 settembre 2010), sicché ad essa avrebbero dovuto essere applicati il termine ordinario di sette anni e sei mesi prescrizione, essendo tale condotta anteriore alla introduzione del comma 1 bis nell’art. 17 d.lgs. 74/2000, per opera del d.l. 138/2011, convertito con modificazioni dalla I. 148/2011.

Ha poi affermato la illogicità della affermazione della esistenza della documentazione di cui erano stati contestati l’occultamento o la distruzione, in quanto tale esistenza era stata desunta solamente dal rinvenimento presso la sede di altre imprese di copie di fatture emesse dalla E., da cui era stata ricavata, in modo illogico, la prova della esistenza della documentazione occultata o distrutta, giacché dalla sola prova della formazione e dell’invio della copia cliente di alcun fatture non poteva trarsi, in modo razionale, la prova che tali fatture fossero state compilate in duplice esemplare e annotate nei relativi registri, della cui istituzione non vi era alcuna prova.

Ha inoltre eccepito l’inutilizzabilità delle testimonianze degli agenti di polizia giudiziaria, nella parte in cui gli stessi avevano riferito quanto loro dichiarato dall’imputato, allorquando erano già emersi indizi di reato, in violazione del disposto dell’art. 220 disp att. cod. proc. pen., testimonianze dalle quali, tra l’altro, era stata ricavata la prova dell’occultamento delle scritture contabili e non della loro distruzione.

Tale prova era, comunque, stata ricavata in modo illogico, giacché dalla sola risposta dell’imputato, di non sapere (allorquando venne sentito, nel 2012) dove fossero le scritture contabili, era stata tratta, in modo illogico, la prova dell’occultamento da parte sua della documentazione contabile della E. e, con essa, anche della natura permanente dell’illecito, ricondotto alla ipotesi dell’occultamento, solamente sulla base di tali generiche e, comunque, inutilizzabili, dichiarazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è fondato per quanto riguarda l’accertamento della condotta contestata, se di occultamento o distruzione delle fatture emesse dall’impresa amministrata dall’imputato, e, con esso, anche del momento di consumazione del reato, che ha rilievo al fine della eventuale prescrizione dello stesso.

Va premesso che, come ricordato anche nella sentenza impugnata, il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, e pertanto non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep. 15/01/2018, Andriola, Rv. 272034; Sez. 3, n. 38224 del 07/10/2010, Di Venti, Rv. 248571), cosicché per la configurabilità di tale reato non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia la omessa tenuta delle scritture contabili, che renda obiettivamente più difficoltosa, ma non impossibile, la ricostruzione della situazione contabile, ma è necessario un quid pluris, a contenuto commissivo, consistente nell’occultamento o nella distruzione dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge (Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270809; Sez. 3, n. 19106 del 02/03/2016, Chianese, Rv. 267102).

La condotta può consistere, come notato, sia nella distruzione, sia nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 24/03/2017, Quaglia, Rv. 269898; Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015, Palermo, Rv. 264676; Sez. 3, n. 5974 del 05/12/2012, Buonocore, Rv. 254425; Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006, Cesarini, Rv. 234239). Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel disattendere l’eccezione di prescrizione del residuo reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, fondata dall’imputato sul rilievo che tale reato, anche qualora configurabile (pur in assenza della prova della istituzione delle scritture contabili), sarebbe stato consumato al momento della cessazione della attività dell’impresa dell’imputato medesimo, cioè alla fine dell’anno 2006, anziché nel 2012, quando venne eseguito l’accertamento fiscale, con la conseguente estinzione dello stesso per prescrizione anteriormente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ha evidenziato il rinvenimento di fatture emesse dall’impresa dell’imputato presso la sede di altre imprese (Eukos Distribuzione S.r.I., Mali Service S.r.l., MM Trasporti S.r.l.), nonché quanto riferito dall’imputato medesimo in occasione della verifica fiscale, allorquando lo stesso ebbe a dichiarare di non sapere dove si trovasse la documentazione fiscale, traendone la prova della condotta di occultamento delle scritture contabili.

Si tratta, però, di motivazione insufficiente, sia quanto alla prova della istituzione delle scritture contabili e della produzione di reddito da parte dell’impresa dell’imputato, sia quando all’accertamento della condotta di occultamento, o di distruzione.

La sola emissione di alcune fatture non consente, infatti, di per sé, in assenza di altri elementi in ordine all’effettivo svolgimento di attività di impresa e alla conseguente produzione di reddito (che non sono stati indicati), di ritenere che, oltre alle citate fatture (astrattamente riconducibili anche a operazioni inesistenti), fossero state istituite le scritture contabili obbligatorie e vi fosse stata produzione di reddito, cosicché la conclusione che ne hanno tratto i giudici di merito, circa l’esistenza delle scritture, risulta illogica.

Il mancato rinvenimento della documentazione contabile e la dichiarazione resa dall’imputato alla polizia tributaria, di non sapere dove tale documentazione si trovasse (dichiarazione di cui non è, peraltro, stata chiarita l’utilizzabilità, non essendo stato precisato se allorquando venne resa agli agenti di polizia tributaria fossero già emersi indizi di reato a carico dell’imputato medesimo), non consentono, poi, di ritenere che tale documentazione fosse esistente e sia stata occultata dall’imputato, risultando illogica la deduzione, da tali generiche circostanze, della realizzazione della condotta comnnissiva di occultamento, sicché anche sotto tale profilo la motivazione della sentenza impugnata risulta, a fronte delle specifiche censure formulate sul punto dall’imputato, insufficiente.

Tale insufficienza si riverbera, poi, anche sulla determinazione del momento consumativo del reato, incidente sulla eventuale prescrizione dello stesso, oltre che sulla configurabilità della recidiva, anch’esse oggetto di contestazione da parte dell’imputato.

  1. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio ad altra Sezione della medesima Corte territoriale, per nuovo giudizio, nel quale verificare sia la configurabilità del reato di occultamento o distruzione di scritture contabile, sia il momento della sua eventuale consumazione (che dipende dal tipo di condotta accertata e ascritta all’imputato), sia la configurabilità della recidiva, sia l’eventuale estinzione per prescrizione di tale reato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Torino.

Così deciso il 13/9/2018

 

 

 

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