CASSAZIONE

Occorre documentare il denaro proveniente dall’eredità

Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Denaro ricevuto in eredità, impiegato per donazioni a familiari e accrediti su altri conti correnti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19257 del 28 settembre 2016, ha stabilito che l’accertamento sul maggior reddito nei confronti di un contribuente è legittimo se non riesce a dimostrare che le spese familiari sono il frutto di una eredità ricevuta. Peraltro, è con costante giurisprudenza che si ritiene che i beni ricevuti in eredità non necessariamente vadano a incrementare il reddito del contribuente. In una situazione di documentata provenienza del maggior reddito, dunque, è illegittimo l’accertamento fiscale effettuato con il redditometro e basato sull’acquisto di beni e spese superiori alle possibilità economiche del soggetto. Nel caso in cui la successione abbia avuto a oggetto una somma di denaro, e con tali attività il contribuente abbia acquistato determinati beni di lusso, non è assolutamente necessario dimostrare la perfetta convergenza tra i beni acquistati e i soldi pervenuti dall’eredità, ossia che proprio con tale denaro si sia fatto fronte alla spesa contestata dal Fisco. È sufficiente dar prova della propria qualità di erede e, quindi, della successione in una quota del patrimonio del defunto.

L’accrescimento della propria disponibilità economica a seguito dell’apertura dell’eredità – senza l’obbligo di dimostrare l’impiego specifico di tale incremento pecuniario – è una valida prova contraria alle pretese eventualmente avanzate dall’Agenzia delle Entrate. Quindi, in tema di accertamento sintetico riferito al caso di specie, il contribuente che in controversia avente a oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento emessi ex art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, relativi a IRPEF per gli anni 2007 e 2008, non ha giovato argomentare di aver ricevuto ricchezze in eredità in modo semplicistico e senza offrire appropriata documentazione, se poi risulta che il loro impiego è stato utilizzato per donazioni a familiari e accrediti su conti correnti di altri.

La pronunzia in oggetto segue di fatto il solco interpretativo con il quale gli Ermellini affrontano tale materia (cfr. Cass. n. 8995/2014) e richiamando la norma dell’art. 38, comma sesto D.P.R. n. 600 del 1973, hanno confermato che non si impedisce al contribuente di dimostrare, con idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta.

La norma chiede qualcosa di più della semplice dichiarazione della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede espressamente una prova documentale sulle circostanze sintomatiche del fatto e che ciò sia accaduto. È peraltro appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulterebbe particolarmente gravosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi, non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente).

La stessa Cassazione, con l’Ordinanza n. 1638 del 28/01/2016, ricordava che il contribuente può sottrarsi all’indagine dell’Agenzia delle Entrate dimostrando semplicemente che il proprio patrimonio è cresciuto grazie al lascito pervenuto grazie alla successione.

Nel caso di specie anche il Giudice di appello aveva ritenuto che la contribuente non avesse fornito la prova che quanto ricevuto in eredità fosse stato utilizzato per fare fronte alle normali spese di gestione familiare o che fosse rimasta nella disponibilità dell’appellata, essendo di contro risultato che il reddito contestato era stato invece utilizzato per altri scopi.

Gli Ermellini intervenendo nel caso e confermando i giudizi intervenuti, hanno voluto ricordare che: “… In materia, questa Corte (cfr.Cass.n.8995/2014) ha avuto modo di chiarire che la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte) e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati”.

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CORTE DI CASSAZIONE Ordinanza n. 19257 del 28 settembre 2016

In fatto

M.O. ricorre, affidandosi ad unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento emessi ex art. 38 del d.p.r. n. 600/73, relativi ad Irpef per gli anni 2007 e 2008 – aveva riformato, in accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione finanziaria, la decisione di secondo grado favorevole alla contribuente.

In particolare, il Giudice di appello riteneva che la contribuente non avesse fornito la prova che quanto ricevuto in eredità fosse stato utilizzato per fare fronte alle normali spese di gestione familiare o che fosse rimasta nella disponibilità dell’appellata essendo, di contro, risultato che quel denaro era stato, invece, utilizzato per altri scopi.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c. e di fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio, ritualmente comunicate, la ricorrente ha depositato memoria.

In diritto

Con l’unico motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 n..3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione di legge dell’art. 38 del d.p.r. n. 600/1973 laddove la Commissione Regionale aveva ritenuta necessaria la prova dell’effettivo e puntuale utilizzo delle somme ricevute in eredità.

A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, infatti, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta.

In materia, questa Corte (cfr.Cass.n.8995/2014) ha avuto modo di chiarire che: “… la norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della “durata” del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati. È, peraltro, appena il caso di aggiungere che la prova documentale richiesta dalla norma in esame non risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la “durata” del possesso dei redditi in esame (quindi non il loro semplice “transito” nella disponibilità del contribuente)”.

Nella specie, la sentenza impugnata si è mossa lungo tale solco interpretativo laddove, peraltro, con accertamento in fatto rimasto incontrastato, il Giudice di appello ha affermato che, per contro, come risultato, il denaro ricevuto in eredità era stato utilizzato per altri scopi, quali donazioni ai figli ed accrediti su altri conti correnti, come emerso dalle registrazioni delle movimentazioni bancarie.

Ne consegue il rigetto del ricorso c la condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese processuali liquidate in complessivi euro 2.050,00 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma  1 bis dello stesso articolo 13.

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