Obblighi IVA per i compensi professionali percepiti dagli eredi
Il figlio di un professionista deceduto nel 2011, espone un caso riguardante gli adempimenti IVA ai quali è tenuto in qualità di erede. Nel dicembre 2024 ha percepito, come erede e in quota parte, un compenso professionale, al netto dell’IVA corrispondente, spettante al de cuius per le prestazioni professionali rese nei confronti di una società nel frattempo fallita.
Dopo aver evidenziato che la partita IVA del padre era già stata chiusa in vita dallo stesso, fa presente che il curatore fallimentare:
– con una Pec del novembre 2024, nel preannunciare la liquidazione del compenso ha precisato che il pagamento sarebbe stato documentato tramite un’autofattura da parte della curatela fallimentare che, trattenendo l’importo dell’imposta, avrebbe provveduto a versarla all’Erario;
– con una successiva Pec del gennaio 2025, ha comunicato che, a seguito della recente modifica del D.lgs. 471/1997 (articolo 6, comma 8), non gli era più consentito emettere l’autofattura, e ha chiesto all’erede di emettere, “mediante avvio di una posizione fiscale”, una fattura nei confronti della società fallita, al ricevimento della quale la curatela fallimentare avrebbe corrisposto l’importo dell’IVA trattenuta.
Ciò premesso, l’istante chiede chiarimenti sulle modalità di assolvimento degli obblighi IVA relativi al compenso percepito in qualità di erede.
La cessazione dell’attività professionale
In merito alla cessazione dell’attività professionale, con conseguente estinzione della partita IVA, l’Agenzia delle entrate, con la circolare 11/E del 2007 ha chiarito che “l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, e, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale”.
Con la risoluzione 232/E del 2009 è stato inoltre precisato che la cessazione dell’attività per il professionista non coincide con il momento in cui smette di effettuare prestazioni professionali ma con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile, l’attività professionale non può ritenersi cessata. Questa posizione è conforme a quella espressa dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che nella sentenza n. 8059 del 2016, ha affermato che il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA “anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione”.
La cessazione dell’attività, quindi, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate: per questa ragione il professionista che non svolge più l’attività professionale non può estinguere la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese ancora da fatturare nei confronti dei propri clienti.
L’obbligo si trasferisce agli eredi
Nella risposta 118/2025 l’Agenzia rammenta che riguardo agli obblighi fiscali sorti dopo il decesso del professionista, in base all’articolo 35-bis del DPR 733/1972, quelli derivanti dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto possono essere adempiuti dagli eredi, sebbene i relativi termini siano scaduti non oltre quattro mesi prima della data della morte del contribuente, entro i sei mesi da tale data.
Con la risoluzione 34/E del 2019, inoltre, è stato chiarito che in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del de cuius fino a quando non viene incassata l’ultima parcella, salvo anticipare la fatturazione delle prestazioni dallo stesso rese. In pratica, se il de cuius non ha fatturato la prestazione, l’obbligo si trasferisce agli eredi, che dovranno fatturare la prestazione non in nome proprio, ma in nome del contribuente deceduto. In merito al caso in commento, l’Agenzia ribadisce quanto già chiarito con la risposta a interpello 163/E del 2021, nella quale è stato precisato come, in caso di partita IVA cessata anticipatamente in violazione delle predette indicazioni di prassi, colui che agisce per conto del cedente/prestatore – nel caso in questione l’erede – mantiene l’obbligo di emettere la fattura riaprendo a posteriori una nuova partita IVA e di effettuare i successivi adempimenti.
Dunque, l’erede che percepisce il compenso spettante al de cuius che aveva chiuso la partita IVA, per assolvere gli obblighi fiscali deve riaprire la partita IVA del padre, emettere la fattura relativa al compenso incassato ed effettuare gli adempimenti relativi al pagamento.