Obbligatori, facoltativi? I contributi previdenziali sono sempre deducibili
Questa volta a presentare l’istanza di interpello non è un contribuente o una società, ma un sostituto d’imposta, che a seguito delle numerose richieste di chiarimento giunte dal personale dipendente iscritto nei propri
ruoli, chiede a sua volta delucidazioni in merito alla disciplina sulla deducibilità dei contributi previdenziali versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, relativi al riscatto degli anni di laurea ai fini della buonuscita.
I chiarimenti richiesti riguardano la corretta interpretazione dell’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR, e derivano dall’ordinanza 436 dell’11 gennaio 2017, nella quale la Corte di Cassazione, pronunciandosi negativamente con riferimento a una particolare casistica, ha fatto sorgere dubbi sull’applicabilità della deduzione.
In particolare, il sostituto chiede di sapere se per i contributi previdenziali versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, relativi al riscatto degli anni di laurea ai fini della buonuscita, i propri dipendenti abbiano diritto a dedurre la spesa sostenuta dal reddito complessivo, come previsto dal citato articolo 10 del TUIR, anche a seguito di tale sentenza della Suprema Corte.
Peraltro, nella soluzione interpretativa prospettata, l’istante ritiene che i contributi versati per il riscatto degli anni di studi ai fini di buonuscita sono da considerare come oneri integralmente deducibili, alla stregua dei contributi versati per il riscatto degli anni di studio ai fini pensionistici.
La sentenza della Cassazione
Il punto saliente dell’ordinanza è quello in cui si legge che dal reddito imponibile ai fini dell’IRPEF dovuta sull’indennità di buonuscita, che è erogata al dipendente dello Stato cessato dal servizio, non deve essere esclusa la quota di detta indennità correlata ai versamenti volontari effettuati dal dipendente per riscattare il periodo di studi universitari. Questo principio trova applicazione “anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 17 del DPR 22 dicembre 1986 n. 917, (…) il quale dispone che l’ammontare netto delle indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto comunque denominate, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo previdenza – atteso che tale disposizione non è applicabile nelle ipotesi di contribuzione volontaria totalmente a carico del lavoratore (sez. 1 n. 10584 del 1997)”.
Inoltre, tale orientamento è stato successivamente ribadito anche dopo la modifica legislativa intervenuta: “In tema di determinazione della base imponibile ed ai fini IRPEF, a norma dell’art. 2 della legge 26 settembre 1985, n. 482, ove la formazione di una parte dell’indennità di buonuscita spettante al dipendente pubblico a tempo indeterminato venga alimentata con contributi interamente ed esclusivamente a carico del dipendente, versati volontariamente per servizi pre-ruolo ammessi a riscatto (e relativi, nella specie, a lavoro prestato presso la medesima P.A.), tale parte dell’indennità non va sottratta all’imposizione fiscale ordinaria, posto che, in tal caso, la funzione del versamento consegue essenzialmente il riconoscimento normativo di un’anzianità convenzionale, con il beneficio della valutazione di periodi altrimenti non valutabili (Sez. 5 n. 8403 del 2013)”.
La Risposta 482 del 19 ottobre 2020
L’Agenzia delle entrate, dopo aver sottolineato che ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera e), del TUIR, “Dal reddito complessivo si deducono (…) i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge, nonché quelli versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, ivi compresi quelli per la ricongiunzione di periodi assicurativi”, afferma che in riferimento ai contributi versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, è stato più volte chiarito che gli stessi sono deducibili qualunque sia la causa che origina il versamento, che può riguardare i riscatti – come nel caso del corso di laurea – oppure la prosecuzione volontaria del versamento dei contributi e, ancora, la ricongiunzione di periodi assicurativi maturati presso altre gestioni previdenziali obbligatorie: e cita, al riguardo, le risoluzioni 2983 del 2002 e 25/E del 2011 e, da ultimo, circolare 8 luglio 2020, n. 19/E.
Per quanto concerne, nel caso in questione, la pronuncia della Corte di Cassazione, fa infine presente che, a differenza di quanto sostenuto dall’istante, il punto non è la corretta interpretazione dell’articolo 10, comma 1, lettera e) del TUIR, ma la determinazione dell’indennità di buonuscita ai sensi dell’articolo 19, comma 2-bis, dello stesso TUIR.
E conferma infine, fornendo una interpretazione autentica dopo sentenza, che in base alla norma primaria – il citato articolo 10, comma 1, lettera e) – sono deducibili dal reddito complessivo i contributi previdenziali versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza qualunque sia la causa che origina il versamento.