FISCALITA

Nuovo interpello, gli effetti delle risposte

Prosegue la trattazione inerente la revisione dell’istituto dell’interpello operata dalla legge n. 23/2014 e dal D.Lgs. n. 156/2015, attuativo della legge delega, attraverso i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 9/E del 2016.

La richiesta di documentazione integrativa

L’articolo 4 del decreto 156/2015 stabilisce che quando non è possibile fornire risposta sulla base della documentazione ricevuta con l’istanza, l’Amministrazione finanziaria può richiedere al contribuente di fornire ulteriore documentazione. C’è da dire che tale possibilità era prevista solo per gli interpelli ordinari – con effetti sui tempi di risposta – e per quelli che, pur con finalità diverse, contenevano un espresso richiamo alla procedura di cui all’art. 11 dello Statuto del contribuente.

Quali sono le novità previste dal decreto:

– la richiesta di documentazione integrativa diventa attivabile per qualunque tipologia di interpello, quindi anche per gli interpelli per i quali non era prevista;

– per effetto della richiesta i termini della risposta sono sospesi, con una novità rispetto al passato, nel senso che la risposta deve essere resa dal Fisco entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione. Si ha, quindi, un termine unico che, a differenza di quanto previsto per i termini “ordinari” di lavorazione delle istanze (differenziati secondo il tipo di interpello presentato), vale per qualunque tipologia di istanza.

Il contribuente deve fornire tutta la documentazione richiesta con le stesse modalità di presentazione dell’istanza (consegna a mano, raccomandata a/r, PEC e posta elettronica libera solo per i soggetti cui ne è consentito l’utilizzo), preferibilmente su supporto informatico; se parte o tutta la documentazione richiesta non può essere esibita, devono esserne spiegati i motivi. Quali sono le conseguenze ai fini della risposta? Fermo restando che la mancata presentazione della documentazione integrativa entro un anno determina un’ipotesi di rinuncia implicita all’interpello, in assenza di alcuni documenti richiesti, secondo “i principi di trasparenza e collaborazione che informano il rapporto, l’Amministrazione potrà comunque non essere nelle condizioni di fornire una puntuale risposta alla richiesta del contribuente”.

 

La risposta del Fisco

Riguardo alla risposta del contribuente, il decreto ha introdotto novità significative essenzialmente per i tempi. Il nuovo comma 3 del citato art. 11, anche per l’esigenza di ridurre i tempi di lavorazione delle istanze, ha previsto che l’Amministrazione finanziaria debba fornire il parere:

– entro 90 giorni dalla ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente per gli interpelli ordinari, sia “puri” che “qualificatori”;

– entro 120 giorni per tutte le altre tipologie di istanze.

La riduzione dei tempi (prevista dalla legge delega) viene realizzata non solo con la contrazione dei tempi per la risposta – che per gli interpelli ordinari il termine si riduce da 120 a 90 giorni – ma anche attribuendo a tutti i termini previsti quel carattere di perentorietà non previsto per tutte le tipologie di istanze dalla precedente disciplina.

Viene confermata la regola del silenzio assenso, per cui quando la risposta non è comunicata entro il termine previsto, il silenzio equivale alla condivisione della soluzione prospettata dal contribuente.

La circolare 9/E evidenzia la grande e innovativa portata della estensione della perentorietà ai termini di risposta per tutte i tipi di interpello, che offre al contribuente l’ulteriore garanzia della significatività del silenzio, anche per le richieste che nel vecchio sistema prevedevano termini ordinatori (ad esempio, le istanze di disapplicazione della normativa antielusiva, ex art. 37-bis, comma 8, DPR 600/1973) o per le quali la perentorietà del termine era collegata a un ulteriore atto ulteriore di parte, la “diffida” (per le istanze antielusive art. 21, legge 413/1991).

 

Le risposte a istanze inammissibili

Un’altra significativa novità del decreto riguarda i casi di inammissibilità per i quali è stato ipotizzato, “in omaggio alle esigenze di tutela del contribuente e di maggiore certezza del diritto”, il carattere della tassatività.

L’art. 5 del decreto 156 individua le seguenti ipotesi:

  1. a) carenza dei dati identificativi dell’istante e mancanza della specifica descrizione della fattispecie (si ricorda che tali requisiti non sono previsti tra quelli regolarizzabili, costituendo il nucleo minimo indispensabile dell’istanza);
  2. b) mancanza di preventività;
  3. c) mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza;
  4. d) reiterazione di istanze per le quali si sia già ottenuto un parere. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il contribuente si limita a richiedere una revisione delle risposte ricevute, senza presentare circostanze nuove rispetto a quelle già evidenziate;
  5. e) presentazione di istanze su materie oggetto delle procedure espressamente escluse dalla disciplina comune degli interpelli: gli accordi preventivi di cui all’art. 31-ter, DPR 600/1973, che costituiscono una figura autonoma e distinta da quella dell’interpello e l’interpello sui nuovi investimenti, che presenta delle tipicità, anche nell’istruttoria, tali da suggerirne una totale autonomia. Si è già visto che analoga esclusione vale, riguardo a qualsiasi tipo di interpello, per le istanze dei contribuenti che hanno avuto accesso al regime dell’adempimento collaborativo;
  6. f) istanze che interferiscono con l’esercizio dei poteri accertativi, perché riguardanti questioni per le quali sono state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’istanza per evitare che, attraverso l’attività svolta in sede di lavorazione delle istanze, il contribuente possa ottenere l’effetto di una “revisione” degli esiti delle attività che si svolgono in sede di accertamento;
  7. g) istanze non regolarizzate nel termine di 30 giorni stabilito dal decreto.

Nei casi in cui l’interpello sia dichiarato inammissibile per mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza perché l’Agenzia delle Entrate ha già fornito la soluzione di casi corrispondenti a quello presentato mediante atti resi pubblici nelle forme previste dalla legge, spetta all’Agenzia fornire al contribuente l’indicazione dell’atto nel quale può trovare la risposta al quesito e fornire una sintetica descrizione della risposta. Viene confermato che alle istanze inammissibili non si fornisce riscontro nemmeno a titolo di consulenza giuridica (circolare 32/E del 2010).

 

La rettifica della risposta

Il nuovo comma 3 dell’art. 11 dello Statuto contiene un preciso riferimento alla possibilità di rettifica della risposta resa dal Fisco, in linea di continuità con quanto espressamente previsto dal decreto attuativo della disciplina dell’interpello (DM 209 del 2001). La nuova disposizione prevede, infatti, che l’Agenzia – alla luce del generale potere di autotutela – ha sempre la possibilità di comunicare al contribuente un cambio di orientamento rispetto alla precedente risposta fornita (risposta rettificativa vera e propria) o consolidatasi per effetto del silenzio (risposta tardiva). Il citato comma 3 dell’art. 11 prevede che gli effetti della risposta all’istanza siano in qualche modo interrotti dalla comunicazione di un nuovo parere che integra e/o corregge quello precedente. Lo Statuto specifica che per effetto della nuova risposta il contribuente non potrà beneficiare degli effetti del primo parere per i comportamenti assunti dopo la comunicazione della risposta rettificativa. Nel caso in cui, invece, la nuova risposta sia notificata o comunicata prima che l’istante abbia tenuto il comportamento prospettato o abbia dato attuazione alla norma oggetto dell’interpello, l’Amministrazione finanziaria, con il parere contenuto nella nuova risposta e disatteso dal contribuente può recuperare le imposte eventualmente dovute e i relativi interessi, senza tuttavia irrogare le sanzioni (principio di tutela dell’affidamento).

La rinuncia. Una vera e propria novità della nuova disciplina è rappresentata dalla precisa regolamentazione della rinuncia all’interpello. Mentre il decreto ha disciplinato la sola rinuncia implicita all’interpello, rappresentata dalla mancata presentazione della documentazione integrativa entro un anno dalla richiesta, il provvedimento ha correttamente disciplinato l’istituto anche con riferimento alla rinuncia espressa. Viene previsto, infatti, che “in pendenza dei termini di istruttoria dell’interpello, resta ferma la possibilità per i contribuenti di presentare con le modalità consentite la rinuncia espressa all’interpello all’ufficio competente”. La rinuncia è trasmessa con le consuete modalità e, come per l’istanza, deve essere sottoscritta dall’istante o dal legale rappresentante o dal procuratore generale o speciale. La presentazione della rinuncia espressa determina una anticipata chiusura del procedimento, senza che la risposta venga resa e senza che, evidentemente, assuma significato il silenzio. In relazione alla rinuncia implicita – quando la documentazione richiesta non è trasmessa entro un anno dalla relativa richiesta – per esigenze di certezza, l’ufficio prende atto della rinuncia all’interpello effettuando tempestivamente la relativa notifica o comunicazione.

La pubblicità delle risposte. Un’importante novità dello Statuto consiste nella codificazione delle ipotesi in cui il Fisco provvede a dare pubblicità alle risposte fornite in sede di interpello. Il nuovo comma 6 dell’art. 11, infatti, “detta una norma programmatica che rispetto alla pregressa regola contenuta nel precedente comma 4 amplia le ipotesi di pubblicazione delle risposte, individuando più che una mera facoltà una regola di comportamento, quando”:

  1. a) la medesima questione o questioni analoghe sono presentate da un numero elevato di contribuenti;
  2. b) sia stata fornita l’interpretazione di norme di recente approvazione o di disposizioni per le quali manchino indicazioni ufficiali dell’Amministrazione finanziaria;
  3. c) sulla questione oggetto dell’istanza la stessa Amministrazione sia a conoscenza di comportamenti non uniformi da parte degli uffici;
  4. d) più in generale, in ogni altro caso in cui l’Amministrazione attribuisca al chiarimento fornito un interesse generale.

La pubblicazione della risposta non esenta l’Amministrazione dal provvedere alla sua ordinaria comunicazione a ciascuno dei contribuenti istanti.

 

Gli effetti della risposta sull’attività di accertamento

Sulla traccia della precedente formulazione, il nuovo testo dell’art. 11 conferma che la risposta, scritta e motivata, vincola “ogni organo dell’amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza”, “e limitatamente al richiedente”. Il vincolo si evidenzia nella previsione della nullità di eventuali atti impositivi e/o sanzionatori difformi dalla risposta (compreso il silenzio) e si estende, fatta salva la possibilità di rettifica, ai successivi comportamenti del contribuente purché “riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello”, come accade soprattutto per le problematiche soggette a ripetersi nel tempo.

Per effetto della nuova formulazione resta, quindi, confermato che:

– i principi contenuti nella risposta inibiscono la possibilità di sollevare rilievi già in sede ispettiva, sia da parte dell’Agenzia che da parte della Guardia di Finanza;

– la risposta produce gli effetti sopra citati solo nei limiti della richiesta della parte e dal tenore della risposta fornita, chiarimento, questo, che assume particolare importanza per i nuovi interpelli antiabuso per i quali – come si è detto – spetterà al contribuente individuare, oltre che le norme di riferimento, più in generale anche il settore impositivo o i settori rispetto ai quali l’operazione pone dubbi;

– la risposta produce gli effetti tipici solo per il contribuente istante, precisazione di fondamentale importanza nei casi in cui la risposta sia resa pubblica mediante risoluzione o circolare.

 

Gli effetti della risposta sul contenzioso

L’art. 6 del decreto, al comma 1, contiene un’importante regola di raccordo con le norme sul contenzioso. Come evidenziato nella relazione illustrativa al decreto stesso, uno dei punti basilari cui la legge delega ha cercato di porre rimedio è quello che riguarda l’impugnabilità diretta delle risposte fornite dall’Agenzia in sede di interpello alla luce del criterio guida di “assicurare maggiore omogeneità (alla disciplina), anche ai fini della tutela giurisdizionale”. La regola contenuta nel citato comma 1 – “la risposta alle istanze di interpello di cui all’articolo 11 non sono impugnabili” – conferma sostanzialmente il consolidato orientamento dell’Amministrazione finanziaria (da ultimo, circolare 32/E del 2010), volto a negare tutela giurisdizionale, sia dinanzi al giudice tributario che a quello amministrativo, avverso le risposte a istanze di interpello, conformemente alla loro natura di “pareri” (quindi, atti privi dei caratteri necessari per la loro immediata ricorribilità in giudizio) e alle regole di istruttoria che non attribuiscono mai al Fisco poteri sulla verifica della completezza e veridicità delle informazioni fornite dal contribuente.

La risposta resa in sede di interpello, infatti, non presenta i requisiti minimi per l’impugnabilità in quanto “non è esercizio di un potere autoritativo con il quale si esercita una pretesa fiscale, ma ha natura meramente consultiva”. Poiché l’Amministrazione finanziaria esprime il proprio parere esclusivamente sulla base dei documenti prodotti dal contribuente, si tratta quindi di monitoraggio preventivo, che a differenza di quanto avviene in sede di accertamento, non comporta attività tese a riscontrare la veridicità di quanto affermato nei documenti presentati.

Il carattere non vincolante del parere, direttamente ricavabile dalla natura consultiva dell’attività svolta dall’Amministrazione, etichetta la risposta all’interpello come un atto amministrativo non provvedimentale, che privo dei requisiti di esecutività (non produce automaticamente ed immediatamente effetti) ed esecutorietà (non impone coattivamente l’adempimento di alcun obbligo), risulta privo delle caratteristiche “che potrebbero determinare una lesione dei diritti dell’istante, suscettibile di immediata tutela giurisdizionale”.

Nella circolare 9/E si evidenzia come sulla questione della autonoma impugnabilità delle risposte rese in sede di interpello, si sono espresse la Corte costituzionale (sentenza 14 giugno 2007, n. 191), il Consiglio di Stato (decisione 26 gennaio 2009, n. 414) e la Corte di Cassazione (sentenza 5 ottobre 2012, n. 17010).

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