CASSAZIONE SENTENZE

Nullo l’accertamento emesso prima dei sessanta giorni, anche se la notifica è successiva

Tributi – Accertamento – Sottoscrizione dell’avviso di accertamento da funzionario incaricato con delega – Mancato deposito della delega da parte del titolare dell’ufficio delle Entrate – Nullità dell’atto

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 5360 del 17 marzo 2016, ha disposto che l’atto impositivo emanato dall’Agenzia delle Entrate prima della scadenza dei 60 giorni viola il contraddittorio endoprocedimentale. Quindi l’accertamento emesso prima di sessanta giorni dalla conclusione della verifica anche se notificato dopo quel termine è nullo. L’accertamento prematuro non è quindi in ogni caso salvabile, come peraltro richiamato recentemente dalla Consulta con la Sentenza 26 maggio – 7 luglio 2015, n. 132, in merito alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis, comma 4, del DPR 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, che di fatto ha confermato che il rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni previsto, a pena di nullità, dal comma 4 dell’art. 37-bis, ha lo scopo di consentire che l’avviso di accertamento sia “specificamente motivato” dall’ufficio tributario, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente, come prescrive, sempre a pena di nullità, il comma 5 dello stesso art. 37-bis.

Ma nel caso di specie i giudici di legittimità hanno anche affrontato una questione diventata nel tempo di una certa importanza e che può sinteticamente riassumersi su chi è veramente legittimato a firmare l’avviso di accertamento. Inoltre, l’art. 42 del DPR 600/73 prescrive, a pena di nullità, che l’avviso di accertamento va sottoscritto dal capo dell’ufficio o altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato (per effetto dell’art. 15, co. 7, del DL 78/2009, attuato con provvedimento direttoriale 2.11.2010), ad esempio in merito agli accertamenti parziali, anche per le imposte sui redditi, ai fini della validità dell’atto non è più necessaria la sottoscrizione, potendo questa essere sostituita dall’indicazione a stampa del soggetto responsabile della sua adozione, quindi del Direttore provinciale o del funzionario della carriera direttiva da questi delegato (Cass. 27.7.2012 n. 13461)). Detta norma è chiara nell’affermare che l’avviso di accertamento non sottoscritto, o sottoscritto illegittimamente, è nullo (anche il Ministero delle Finanze, peraltro, si era espresso in tal senso (C.M. 30.4.77 n. 77, § 57).

Nell’attuale strutturazione dell’Agenzia delle Entrate il “capo dell’ufficio” dovrebbe essere individuato nella persona del Direttore provinciale. L’art. 5, co. 6 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate stabilisce infatti che: “… gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore, o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti”.

Per appurare, in concreto, quali soggetti possono essere delegati dal Direttore provinciale alla sottoscrizione degli atti, occorre considerare l’organizzazione interna all’Agenzia delle Entrate, ivi compreso il relativo CCNL. In dottrina la questione è stata considerata, giungendo alla conclusione che, sull’esame del CCNL, i soggetti delegati dovrebbero essere i capi degli uffici controllo istituiti presso le varie Direzioni provinciali, soggetti che, ex art. 5, co. 6 del regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, possono essere inquadrati come “direttori dell’ufficio preposto all’attività accertatrice” e i funzionari appartenenti alla terza area professionale, che, sulla base del CCNL, svolgono mansioni di direzione, controllo e coordinamento di attività rilevanti.

L’elemento dirimente, quindi, è l’appartenenza alla carriera direttiva del soggetto delegato, che va di volta in volta verificata, alla luce di quanto esposto. Come sancito dalla giurisprudenza di merito, la sola qualifica di “capo area” o di “capo team” non è un elemento sufficiente per ritenere la sottoscrizione legittima (C.T. Reg. Roma 11.7.2005 n. 108/9/05), tesi confermata dalla Suprema Corte (Cass. 10.11.2000 n. 14626 e Cass. 23.4.2008 n. 10513), salvi i casi di sostituzione e di reggenza. In giurisprudenza è stato affermato che l’accertamento circa la legittimità della delega non può essere censurato poiché rappresenta: “… un controllo non sull’organizzazione interna della p.a., ma sulla legittimità dell’esercizio dell’azione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione” (Cass. 27.10.2000 n. 14195).

Il potere di firma al funzionario viene talvolta conferito non mediante una formale delega, ma con apposito “ordine di servizio” (C.M. 30.4.77 n. 77, § 57). Del resto, la Cassazione ha sancito che gli ordini di servizio hanno valore di delega, derivando dal potere organizzativo dell’Agenzia delle Entrate, e che è irrilevante la loro sottoscrizione (Cass. 20.6.2011 n. 13512).

La validità degli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate è, da diverso tempo, al centro di una vera e propria “inquietudine giudiziaria”.

Citando la sentenza soprarichiamata della C.T.P. di Lecce, la n. 2044/02/2015 del 22/6/2015, anche i giudici tributari ricordavano al riguardo che: “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”, come, appunto, prevede il citato art. 42, terzo comma. La Corte di Cassazione, sulla questione, ha stabilito i seguenti principi:

– la figura del capo dell’Ufficio deve sempre coincidere con quella del dirigente titolare;

– la figura del personale appartenente alla nona qualifica professionale soltanto in casi eccezionali può sostituire il dirigente in caso di assenza o impedimento o può tenere la reggenza dell’ufficio, in attesa della destinazione del dirigente titolare;

– è onere sempre dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare e documentare tutto.
In tal senso, si citano le sentenze della Corte di Cassazione n. 18515/2010, n. 17400/2012, n. 8166/2002, n. 17044/2013.

Di conseguenza, se un non-dirigente firma un avviso di accertamento, lo stesso è nullo e non vale il riferimento all’ufficio di appartenenza, che si applica nella diversa ipotesi di firma illeggibile, ipotesi totalmente diversa da quella oggetto del presente giudizio (in tal senso, Cassaz. Sentenze n. 874/09, n. 9673/04, n. l0773/06, n. 12768/06 e n. 9600/07), né è ammessa la conservazione dell’atto illegittimo”.

In realtà nel sistema tributario non è rinvenibile una norma, di carattere generale, che disponga la nullità degli atti impositivi sottoscritti da funzionari non legittimati a ciò. Infatti, sino a quando non sarà approvato un vero e proprio “Codice tributario”, i profili di legittimità continueranno tendenzialmente ad essere disciplinati dai corpi normativi delle singole imposte. Per verificare poi se, in relazione ad atti impositivi emessi per il recupero di un determinato tributo, sia possibile eccepire il vizio di sottoscrizione, è vincolante controllare se la legge istitutiva del’atto prevede l’esistenza di detto vizio. Le considerazioni effettuate valgono anche per la tipologia di atto che è stato notificato al contribuente; può infatti succedere che, esaminando i testi normativi del caso, si finisca con l’appurare che la necessità della sottoscrizione è prevista solo con riferimento agli accertamenti, e non per gli atti di riscossione, o viceversa.

Infine la Corte di Cassazione ha stabilito che spetta all’Amministrazione dimostrare la presenza della delega (Cass. 10.11.2000 n. 14626, Cass. 11.10.2012 n. 17400 e Cass. 4.6.2013 n. 14942). Nel caso poi che dalla delega risulti che la sottoscrizione è avvenuta in un momento antecedente alla validità della delega stessa, l’atto è nullo (C.T. Prov. Caltanissetta 21.5.2013 n. 257/1/13). Come, non può essere esibita una delega innominata (C.T. Prov. Reggio Emilia 13.3.2015 n. 87/3/15).

Non è nemmeno possibile, per il resistente, censurare nel giudizio di legittimità il mancato esercizio, da parte del giudice di merito, dei poteri attribuiti dall’art. 7 del DLgs. 546/92, cioè sui poteri delle commissioni tributarie.  L’art. 7, infatti, pretende che il giudice si attenga esclusivamente ai fatti dedotti dalle parti, derivandone che egli, nel decidere, deve emarginare tutto ciò che, per quanto riguarda il materiale offerto dalla parte pubblica, è estraneo all’avviso di accertamento (naturalmente deve tenere il medesimo comportamento in relazione ad eventuali elementi non dedotti dal contribuente, che quindi non potrà utilizzare).

Ne deriva che un principio generale è quello dettato dall’esigenza secondo cui l’onere probatorio incombe sull’Amministrazione finanziaria la quale assume la veste di attore sostanziale del rapporto processuale, in cui l’avviso di accertamento non è assistito da alcuna presunzione di legittimità

(Cass. 5.9.2014 n. 18758 e Cass. 14.6.2013 n. 14942). Come detto dalla Cassazione, il richiamo all’acquisizione officiosa della delega è inconferente, vuoi perché, trattandosi di atto in possesso degli uffici, contrasta con lo spirito sotteso all’art. 6 della L. 212/2000, vuoi perché in caso contrario sarebbero violate le regole distributive dell’onere probatorio. Detta tesi è dominante, ed è seguita dalla giurisprudenza di merito (C.T. Reg. Milano 24.7.2013 n. 130/45/13, C.T. Prov. Taranto 21.5.2014 n. 1320/1/14, C.T. Prov. Benevento 8.7.2014 n. 871/7/14 e C.T. Prov. Pesaro 1.12.2009 n. 274/1/9). Corre l’obbligo di ricordare che la delega non sembra rientrare nell’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, che, ai sensi degli artt. 7 della L. 212/2000 e 42 del DPR 600/7319, concerne i presupposti di fatto e di diritto della pretesa, per cui non dovrebbe, a pena di nullità, essere allegata allo stesso nel momento in cui viene emesso. In tal senso si sono espresse l’Agenzia delle Entrate (circ. 12.3.2010 n. 12, § 9.3) e una certa giurisprudenza (C.T. Prov. Benevento 8.7.2014 n. 871/7/14, C.T. I° Bolzano 18.11.2013 n. 113/2/13, C.T. Prov. Bologna 16.10.2013 n. 126/17/13 e C.T. Prov. Milano 18.1.2013 n. 18/3/13), ma esiste anche un orientamento giurisprudenziale contrario, che reputa nullo l’accertamento in caso di mancata allegazione della delega (C.T. Prov. Torino 11.3.2015 n. 392/9/15).

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 17.3.2015 ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 8 co. 24 del DL 16/2012, 1 co. 14 del DL 150/2013 e 1 co. 8 del DL 192/2014, per violazione, tra l’altro, dell’art. 97 della Costituzione, che impone la regola del concorso per l’accesso alle cariche pubbliche.  Pur non entrando nel merito dei fatti avvenuti e anche sin troppo dibattuti, è utile ricordare la copiosa produzione giurisprudenziale intervenuta, citando al riguardo la produzione della Cassazione del solo 2015, cioè dopo la citata pronunzia costituzionale (sent. n. Cassazione n.25017/2015, sent. n. 22800/2015, sent. n. 22803/2015, Cass. n. 22810/15) e la sentenza della CTP di Roma, n. 1702/19/16, buona parte di tali atti sono nulli per difetto di potere da parte del soggetto firmatario. Alcune volte, infatti, la sottoscrizione dell’accertamento è di un funzionario non appartenente alla carriera direttiva (come la legge impone) oppure munito di delega, da parte del dirigente dell’ufficio, o non conforme a quanto prescrive la normativa.

Nello specifico la delega, che deve essere in possesso dell’Agenzia delle Entrate ed esibita al contribuente dietro sua richiesta entro 30 giorni (con istanza di accesso agli atti amministrativi), è legittima solo se è stata rilasciata per iscritto (quindi è illegittima quella orale) e deve indicare il nome e cognome del funzionario delegato.

Non è sufficiente un generico riferimento alla qualifica professionale dallo stesso ricoperto, ma è necessario lo specifico riferimento nominativo di chi effettivamente riveste tale qualifica. Così sarebbe nulla la delega rivolta impersonalmente al “capo ufficio” o al “capo team”: costoro, infatti, potrebbero avere tale incarico al momento della delega ma non rivestirlo più all’atto della firma dell’accertamento (per trasferimento, pensionamento ecc.).

Le recenti sentenze della Cassazione hanno così saputo circoscrivere i confini di validità degli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, definendo quando si può parlare di nullità/inesistenza e quando è possibile proporre impugnazione al giudice per ottenere l’annullamento della pretesa del fisco. Pertanto, sempre seguendo questa linea dell’attuale giurisprudenza la firma è condizione di validità per gli accertamenti delle imposte dirette e dell’Iva. Solo in tali casi, quindi, non è sufficiente la semplice “stampa” del nome di un dirigente, ma occorre che vi sia la firma autografa riportata in calce all’atto del direttore provinciale o di un funzionario da quest’ultimo delegato.

La firma non è invece richiesta per la cartella esattoriale di Equitalia, il diniego di condono, l’avviso di mora e l’attribuzione di rendita. Secondo la Corte, quindi, la delega in bianco è da considerarsi nulla poiché non consente al contribuente di verificare se il delegato abbia il potere di sottoscrizione dell’atto impugnato e non potendo tale indagine “amministrativa” trasferirsi in capo al ricorrente.

È stato così affermato il principio secondo il quale la nullità della delega si riflette sullavviso di accertamento.

Sul versante dei requisiti della delega di firma degli atti dell’Agenzia delle Entrate, e alla luce delle numerose pronunce della Cassazione esaminate con la recente Ordinanza n. 5360 del 17 marzo 2016 sembra sufficientemente offrire quelle maggiori garanzie ai contribuenti sui c.d. “falsi dirigenti” stabilendo in sintesi che allo scopo della validità dell’atto impositivo è necessario il deposito della delega da parte del titolare dell’ufficio delle Entrate in favore del funzionario che lo ha sottoscritto.

Tornando al caso considerato dai giudici di Piazzale Clodio, l’Agenzia delle Entrate di Bari notificava a (…) un accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IRPEF per l’anno di imposta 2006 sulla base del reddito determinato in via sintetica. Il contribuente impugnava l’atto innanzi al giudice tributario sostenendone la nullità sotto diversi profili, fra i quali l’inesistenza di un atto di delega da parte del titolare dell’Ufficio al soggetto che aveva firmato l’atto. La CTP di Bari accoglieva il ricorso con sentenza riformata dalla CTR della Puglia n. 584/2014/02, depositata l’11.3.2014.

I supremi giudici rammentano come da tempo la Cassazione, con la sentenza n. 11088/2015, abbia chiarito che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale garantito dalla norma richiamata, sussiste quando l’avviso di accertamento risulta emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente. Pertanto, proseguono gli Ermellini: “Questa Corte ha più volte sostenuto che, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui al D.P.R 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 comma 1, lett. a) e b) è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere e che il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 14626/00). Più di recente questa Corte ha confermato tali principi ritenendo che “L’avviso di accertamento è nullo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio” (Cass. n. 17400/12) – cfr.Cass.n. 18758/14“(…)   II terzo motivo di ricorso è inammissibile. La parte contribuente non ha infatti impugnato la statuizione con la quale la CTR ha ritenuto che la produzione della certificazione bancaria non era stata legittimamente introdotta nel processo. Tale affermazione, implicante l’inammissibilità della produzione documentale, è stata poi affiancata dalla valutazione in ordine alla inidoneità della stessa a vincere la presunzione nascente dal c.4 dell’art.38 DPR n.600/73.

Tanto consente di ritenere inammissibile la censura relativa alla decisione del giudice di appello concernente l’idoneità della certificazione bancaria a superare la presunzione anzidetta. Ed infatti, questa Corte non ha mancato di rilevare, sia pure con riguardo al processo civile- che pure si applica al rito tributario in via residuale, che ai sensi degli artt. 74 ed 87 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, del cancelliere), di guisa che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione-cfr.Cass.n.4822 del 30/05/1997-.Ora, nel caso di specie l’Ufficio aveva espressamente evidenziato l’assenza di produzione documentale nel corso del giudizio-cfr.pag.4 righi 1 e 2 della sentenza impugnata-

Da ciò la necessità della parte ricorrente di impugnare la decisione del giudice di merito che si era ormai spogliato della potestas iudicandi per effetto della pronuncia di inammissibilità in rito della prova- v.Cass, 12 marzo 2012, n. 3927. Sulla base di tali considerazioni, essendo passata in giudicato la statuizione concernente la ritualità della produzione, la censura concernente gli effetti prodotti dalla certificazione bancaria irritualmente acquisita è inammissibile”.

Quando il funzionario dell’Ufficio ha firmato l’atto, chiariscono così i giudici, l’atto impositivo da lui sottoscritto si considera emanato: ciò avviene perché la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, perciò, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato “emanato”.

disegno posta 2

 

Corte di Cassazione

Ordinanza n. 5360 del 17 marzo 2016

In fatto e in diritto

L’Agenzia delle entrate di Bari notificava a (…) un accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IRPEF per l’anno di imposta 2006 sulla base del reddito determinato in via sintetica. Il contribuente impugnava l’atto innanzi al giudice tributario sostenendone la nullità sotto diversi profili, fra i quali l’inesistenza di un atto di delega da parte del titolare dell’Ufficio al soggetto che aveva firmato l’atto. La CTP di Bari accoglieva il ricorso con sentenza riformata dalla CTR della Puglia n. 584/2014/02, depositata l’11.3.2014.

Secondo il giudice di appello il potere spettante al funzionario delegato a rappresentare l’ente prescinde dall’esistenza di un atto di designazione che, se emesso, è atto interno che non deve essere esibito a terzi o al giudice. Nel caso concreto non era sta contestata la qualifica del funzionario dell’ufficio, ma unicamente l’inesistenza di un atto di delega del titolare dell’ufficio. Nel merito evidenziava che la certificazione bancaria, oltre a non essere stata legittimamente introdotta nel processo in quanto non allegata ad un atto ufficialmente depositato in cancelleria, era del tutto inidonea a dimostrare la destinazione delle somme ivi risultanti al mantenimento dell’automezzo e dell’abitazione principale indicati dal contribuente nel questionario dallo stesso compilato. Il contribuente, in definitiva, non aveva offerto alcun elemento per smentire la presunzione di legge, essendosi limitato a elencare le spese di manutenzione auto e dell’abitazione principale, erroneamente confrontandole con la capacità reddituale induttivamente determinata in base ai coefficienti di redditività. L’atto impugnato non era dunque carente di motivazione era da considerare pienamente legittimo.

La parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi al quale ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso. La ricorrente ha pure depositato memoria.

Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.42 c. 1 DPR n.600/73 e 7 c. 1 l. n. 212/2000 in relazione alla questione della nullità dell’atto per mancanza della delega rilasciata al soggetto che aveva firmato l’atto impugnato, mai prodotta in atti, la CTR aveva disatteso la giurisprudenza di questa Corte che addossa sull’ufficio l’onere di dimostrare, in caso di contestazione, l’esistenza della delega stessa.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.2697 c.c. Diversamente da quanto ritenuto dal giudice di appello, gravava sull’Ufficio l’onere di provare l’esistenza della delega.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 38 commi 4 e 6 DPR n.600/73.Ai fini del superamento della presunzione nascente dall’accertamento redatto sulla base di coefficienti parametrici alla stregua dell’art. 38 c.4 DPR n. 600/73 e sufficiente la dimostrazione di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte idonei a dimostrare il maggior reddito determinato sinteticamente. Pertanto, la dimostrata disponibilità di somme al 31.12.2005 era tale da vincere la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato rispetto alle spese per l’acquisto e mantenimento dell’automezzo e dell’abitazione principale. L’Agenzia delle entrate ha dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso rilevando, quanto al primo, che la questione relativa alla nullità dell’alto per assenza di delega era stata tardivamente proposta dopo la proposizione del ricorso in primo grado e che la stessa, rigettata dalla CTP, non poteva essere riesaminata dalla CTR in quanto motivo nuovo.

I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.

Quanto al primo, in rito occorre evidenziare che il giudice di primo grado ritenne che l’eccezione di nullità dell’atto per mancanza di delega era stata tardivamente sollevata in epoca successiva alla proposizione del ricorso introduttivo. Nel corso del giudizio di appello la parte contribuente- in quella fase appellata- aveva riproposto la relativa eccezione di nullità dell’atto e la CTR, esaminandola nel merito- e dunque ritenendola implicitamente tempestivamente proposta- l’aveva disattesa. Rispetto a tale situazione l’Agenzia delle entrate non ha proposto ricorso incidentale volto ad impugnare la statuizione del giudice di appello che aveva ritenuto di esaminare nel merito l’eccezione di nullità, sicché la stessa non può più essere messa in discussione in questa sede quanto alla ormai accertata- sia pure per implicito- ritualità.

Per quel che riguarda, invece, il merito, la prima e la seconda censura sono entrambe manifestamente fondate.

Questa Corte ha più volte sostenuto che, fermi i casi di sostituzione e reggenza di cui al D.P.R 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 comma 1, lett. a) e b) è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere e che il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio (Cass. 14626/00). Più di recente questa Corte ha confermato tali principi ritenendo che “L’avviso di accertamento è nullo ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del capo dell’ufficio titolare ma di un funzionario, quale il direttore tributario, di nona qualifica funzionale, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore o la presenza della delega del titolare dell’ufficio, poiché il solo possesso della qualifica non abilita il direttore tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell’ufficio” (Cass. n. 17400/12) – cfr.Cass.n. 18758/14-.

La CTR non si è attenuta a tali principi, affermando la non necessità del deposito dell’atto di delega da parte del titolare dell’ufficio fiscale espressamente contestato dalla parte contribuente.

II terzo motivo di ricorso è inammissibile. La parte contribuente non ha infatti impugnato la statuizione con la quale la CTR ha ritenuto che la produzione della certificazione bancaria non era stata legittimamente introdotta nel processo.

Tale affermazione, implicante l’inammissibilità della produzione documentale, è stata poi affiancata dalla valutazione in ordine alla inidoneità della stessa a vincere la presunzione nascente dal c.4 dell’art.38 DPR n.600/73. Tanto consente di ritenere inammissibile la censura relativa alla decisione del giudice di appello concernente l’idoneità della certificazione bancaria a superare la presunzione anzidetta. Ed infatti, questa Corte non ha mancato di rilevare, sia pure con riguardo al processo civile- che pure si applica al rito tributario in via residuale, che ai sensi degli artt. 74 ed 87 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, gli atti ed i documenti prodotti prima della costituzione in giudizio devono essere elencati nell’indice del fascicolo e sottoscritti dal cancelliere, mentre quelli prodotti dopo la costituzione vanno depositati in cancelleria con la comunicazione del loro elenco alle altre parti (oppure, se esibiti in udienza, devono essere elencati nel relativo verbale, sottoscritto, del pari, del cancelliere), di guisa che l’inosservanza di tali adempimenti, rendendo irrituale la compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova ed al giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della documentazione-cfr.Cass.n.4822 del 30/05/1997-.

Ora, nel caso di specie l’Ufficio aveva espressamente evidenziato l’assenza di produzione documentale nel corso del giudizio-cfr.pag.4 righi 1 e 2 della sentenza impugnata- Da ciò la necessità della parte ricorrente di impugnare la decisione del giudice di merito che si era ormai spogliato della potestas iudicandi per effetto della pronuncia di inammissibilità in rito della prova- v.Cass., 12 marzo 2012, n. 3927-.

Sulla base di tali considerazioni, essendo passata in giudicato la statuizione concernente la ritualità della produzione, la censura concernente gli effetti prodotti dalla certificazione bancaria irritualmente acquisita è inammissibile.

In conclusione, in accoglimento dei primi due motivi, inammissibile il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Puglia per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, inammissibile il terzo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Puglia anche per le spese del giudizio di legittimità.

Commissione Tributaria Provinciale Lecce

2044/02/2015 del 22/6/2015

RITENUTO IN FATTO

  1. G., residente in Veglie (Le), rappresentata e difesa dall’Avv. Maurizio Villani, ricorre contro l’Agenzia delle Entrate/Direz.Prov.le di Lecce in relazione all’avviso di accertamento n. omissis per l’importo di € 33.007,00, notificato in data il 03/03/2014 ed emesso per l’anno d’imposta 2009: l’avviso di accertamento risulta firmato dalla Dr.ssa Angela M. Ayroldi, su delega del Direttore Provinciale Dr. Adolfo Del Giacco.

Avverso l’avviso di accertamento P. G. ha presentato tempestivo ricorso, eccependo:

– la nullità dell’avviso di accertamento per evidente difetto di sottoscrizione, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, DPR. n. 600/73, anche alla luce della recente sentenza n. 37 del 25/02/2015 della Corte Costituzionale, come più volte ribadito in sede di discussione orale;

– la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione;

– la nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 41 Bis DPR. n. 600/73;

– la nullità dell’avviso di accertamento perché fondato unicamente sulla ristretta base societaria;

– nel merito, richiama le ragioni esposte in sede di ricorso avverso l’accertamento emesso nei confronti della società “Omissis SRL” n. omissis per il medesimo anno d’imposta 2009, il cui maggior reddito accertato è stato imputato pro-quota ai due soci P. G. (51%) e L. C. (49%).

– infine, la totale illegittimità delle sanzioni.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio con controdeduzioni prot. n. 2014/42046, ribadendo le ragioni della propria pretesa impositiva, ritenuta pienamente provata.

Alla pubblica udienza del 19/05/2015 le parti, dopo ampia ed approfondita discussione orale, si sono riportate ai rispettivi scritti difensivi ed alle rispettive eccezioni di diritto e di merito.

La Commissione decide come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’avviso di accertamento in contestazione deve essere annullato ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del DPR. n. 600/73, già nella premessa citato, alla luce di quanto disposto dal Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 25/02/2015.

Infatti, con la succitata sentenza, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
4) dell’art. 8, comma 24, del D.L. n. 16 del 02/03/2012, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge n. 44 del 26/04/2012;

5) dell’art. 1, comma 14, del D.L. n. 150 del 30/12/2013, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma l, della Legge n. 15 del 27/02/2014;

6) dell’art. 1, comma 8, del D.L. n. l92 del 31/12/2014.

Tutte le succitate norme sono state dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. Infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio.

Anche il passaggio ad una fascia funzionale comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso” (sentenze della Corte Costituzionale n. 194 del 2002, n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010 e 11.293 del 2009). Di conseguenza, alla luce della suddetta sentenza, sono decaduti, con effetto retroattivo, dagli incarichi dirigenziali tutti coloro che erano stati nominati in base alle succitate norme dichiarate incostituzionali e, di conseguenza, devono ritenersi illegittimi tutti gli avvisi di accertamento firmati da dirigenti nominati in base alle leggi dichiarate incostituzionali.

Occorre precisare, infatti, che, in base allo Statuto dell’Agenzia delle Entrate (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 6 del 13/12/2000, aggiornato fino alla delibera del Comitato di gestione n. 11 del 21/03/2011) ed in base al Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate (approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30/11/2000, aggiornato tino alla delibera del Comitato di gestione n. 57 del 27/12/2012), le Direzioni Provinciali dell’Agenzia delle Entrate sono sempre uffici di livello dirigenziale ed i relativi dirigenti, legittimamente nominati, devono sottoscrivere gli avvisi di accertamento o delegare altri dirigenti,[…]a seconda della rilevanza e complessità degli atti.

Infatti, in base all’art. 42 citato:

– “gli accertamenti sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato” (primo comma);

– “l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione…” (terzo ed ultimo comma).

Il “capo dell’Ufficio” è sempre il dirigente, anche perché nel 1973, quando fu approvato il DPR. n. 600, non era prevista né disciplinata la figura del “dirigente”, come invece è avvenuto dal 2000 in poi con lo Statuto ed il Regolamento in precedenza citati.

Di conseguenza, se l’avviso di accertamento è firmato da un non-dirigente, l’atto discrezionale e non vincolato è viziato da nullità assoluta, ai sensi dell’art. 21 septies della Legge n. 241 del 07 agosto 1990, che testualmente dispone:

“E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”, come, appunto, prevede il citato art. 42, terzo comma.

La Corte di Cassazione, sulla questione, ha stabilito i seguenti principi:

– la figura del capo dell’Ufficio deve sempre coincidere con quella del dirigente titolare;

– la figura del personale appartenente alla nona qualifica professionale soltanto in casi eccezionali può sostituire il dirigente in caso di assenza o impedimento o può tenere la reggenza dell’ufficio, in attesa della destinazione del dirigente titolare;

– è onere sempre dell’Amministrazione Finanziaria dimostrare e documentare tutto.
In tal senso, si citano le sentenze della Corte di Cassazione n. 18515/2010, n. 17400/2012, n. 8166/2002, n. 17044/2013.

Di conseguenza, se un non-dirigente firma un avviso di accertamento, lo stesso è nullo e non vale il riferimento all’ufficio di appartenenza, che si applica nella diversa ipotesi di firma illeggibile, ipotesi totalmente diversa da quella oggetto del presente giudizio (in tal senso, Cassaz. Sentenze n. 874/09, n. 9673/04, n. l0773/06, n. 12768/06 e n. 9600/07), né è ammessa la conservazione dell’atto illegittimo.

Nel caso in questione, inoltre, non si può invocare la figura del c.d. “funzionario di fatto”, che, invece, è applicabile quando gli atti adottati dal funzionario sono favorevoli ai terzi destinatari (come, per esempio, i rimborsi fiscali) ma non certo quando, come nella fattispecie in esame, gli atti sono sfavorevoli al contribuente, come lo sono gli avvisi di accertamento (sentenze del Consiglio di Stato n. 6/1993, n. 853 del 20 maggio 1999). In ogni caso, quando il contribuente eccepisce la violazione del più volte citato art. 42, l’onere della prova spetta sempre all’Agenzia delle Entrate, che deve contrastare le eccezioni di parte con prove documentali valide ed appropriate (Cassazione, sent. n. 17400/12, n. 14626/00, n. 14l95/00, n. 14942 del 21/12/2012 depositata in cancelleria il 14 giugno 2013). A fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 D.Lgs. n. 546/92, perché tali poteri sono meramente integrativi e non esonerativi dell’onere probatorio principale (Cassazione, sentenza n. 10513/2008). Nella presente controversia, a seguito di precise eccezioni da parte dell’Avv. Maurizio Villani, alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, ribadite e precisate durante la discussione orale all’udienza del 19/05/2015, l’Agenzia delle Entrate non ha opposto alcuna valida documentazione, limitandosi a confermare che era “notorio” che il Dr. Adolfo Del Giacco era dirigente a seguito di concorso, ed il c.d. “notorio” non può essere certo preso in considerazione da questa Commissione, perché non di pubblico dominio. Quindi, mancando la prova documentale e certificata che il Dr. Adolfo Del Giacco era un legittimo dirigente, titolare della Direzione Provinciale di Lecce, a seguito di regolare concorso pubblico, l’avviso di accertamento in contestazione deve essere annullato, ai sensi e per gli effetti dell’art.42, primo e terzo comma, DPR. n. 600/73, perché atto discrezionale e non vincolato. Oltretutto, l’Ufficio non ha neppure provato in sede contenziosa che il delegato alla firma era, a sua volta, dirigente per concorso pubblico della nona qualifica direttiva, ai sensi dell’art. 42, primo comma, DPR. n. 600/73 (Cass. Sent. n. 17400/2012 e n. 14942/2013).

Tenuto conto della particolarità della questione trattata, soprattutto alla luce della recente sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, appare equo compensare le spese.

P.Q.M.

La Commissione, in accoglimento del ricorso, annulla l’avviso di accertamento impugnato per inosservanza dell’art. 42, primo e terzo comma, DPR. n. 600/73.

 

Spese compensate.

Lecce, li 19/05/2015

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