Nulla la sentenza che non permette di individuare le ragioni della decisione
Tributi – IRPEF – Redditometro – Accertamento – Redditi dichiarati incongrui rispetto a quelli dichiarati – Contenzioso tributario – Sentenza – Motivazione apparente – Principio a tutela della parità delle parti – Nullità
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37662 dell’1 dicembre 2021, è tornata a esaminare il concetto di “motivazione apparente” della sentenza, stabilendo l’illegittimità dell’accertamento da redditometro basato sulle spese di gestione di beni mobili, nel caso che non si siano tenuti nel giusto conto i documenti giustificativi delle spese, analiticamente sostenute e dimostrate dal contribuente, soprattutto quando esse risultano essere inferiori rispetto ai valori forfettari previsti dalle norme.
Secondo quanto ribadito anche in questa sede dagli Ermellini, nel contenzioso tributario che scaturisce dagli accertamenti sintetici-induttivi effettuati col cosiddetto redditometro, la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale, secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante che non può pertanto limitarsi ai soli giudizi generici, ma deve corrispondere alle esigenze di un esame analitico della documentazione allegata.
La Corte ha fornito, inoltre, alcune importanti considerazioni sul concetto di “motivazione apparente” della sentenza, e sulla conseguente nullità della stessa, su cui vogliamo soffermarci, premettendo che l’art. 111, 6° comma della Costituzione prescrive che “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Tale norma esprime un preciso imperativo, valutabile in termini di responsabilità del magistrato, di esplicitare le ragioni che stanno alla base delle pronunce giudiziali. Una simile chiave di lettura è peraltro avallata da molti giuristi, secondo i quali la vera funzione della norma sarebbe quella di costringere il giudice a manifestare chiaramente le motivazioni della propria decisione. In tal senso la dottrina costituzionale ha sottolineato che la norma è posta a garanzia della legittimità delle pronunzie, al basilare scopo di permettere un controllo più penetrante in sede d’impugnazione.
Ulteriore fondamento positivo dell’obbligo in parola è rinvenibile nell’art. 132 del codice di procedura civile, che disciplina il contenuto formale minimo della decisione, necessario per produrre quell’effetto di certezza giuridica che è lo scopo del giudicato (Cass. 8842/2003; Cass. 12363/1999). Segnaliamo in proposito i molti contributi sul tema prodotti dalla Suprema Corte, secondo i quali la motivazione di una sentenza è soltanto “apparente”, quando, nonostante sia graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento concreto della decisione, con la conseguenza che la sentenza deve dichiararsi nulla perché affetta da “error in procedendo”. Tale ipotesi ricorre quando la pronuncia reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal magistrato per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarlo con le più varie e ipotetiche congetture (ex multis Cass Ord. n. 2650/2020; Ord. n. 8264/2019; Cass. SS.UU. n. 22232/2016; Cass. Ord. n. 14927/ 2017).
La sentenza, dunque, deve essere attraversata da una robusta linea logico-razionale che faccia comprendere esplicitamente le premesse fattuali e le ragioni giuridiche che hanno condotto alla res decidendi; ne consegue che il magistrato estensore non può delegare l’interpretazione del proprio pensiero al lettore. Al contrario, deve esternarlo in maniera chiara e immediatamente percepibile, così da agevolare la contestazione del proprio decisum in funzione della piena esplicazione del diritto di difesa attraverso l’impugnazione del provvedimento, come peraltro ben confermato dalla Ord. n. 1461/2018, che ha aggiunto che il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando il giudice, tralasciando di chiarire le reali argomentazioni che lo hanno condotto alla propria determinazione, non consenta di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (ovvero sulla base di quanto allegato e provato dalle parti in causa).
Una sentenza non può mai risolversi in apodittiche affermazioni di principio, avulse dalle evidenze istruttorie in quanto riconducibili alla percezione (e/o all’affermazione) puramente soggettiva del magistrato ovvero al mero rinvio per relationem ad altri dati processuali.
Di converso, una pronuncia giurisdizionale deve essere connotata da una necessaria correlazione logico-giuridica tra i fatti oggettivi del processo e l’afferente impianto motivazionale, ben percepibile nelle argomentazioni “autosufficienti e comprensibili” dell’estensore del provvedimento, a cui compete un’approfondita disamina degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento.
E così, nella citata sentenza n. 2650/2020, la Suprema Corte ebbe a confermare che nella motivazione del provvedimento giurisdizionale il Giudice tributario deve dimostrare di aver valutato lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’applicazione degli studi di settore, in relazione alle peculiarità della concreta attività economica esercitata e, in particolare, alla luce delle giustificazioni addotte dal contribuente.
La giurisprudenza di legittimità, con un ulteriore slancio interpretativo, ha nel tempo anche sollecitato i giudici a conferire sostanza e concretezza alle proprie decisioni, statuendo il susseguente passaggio da una prospettiva “statica” a una visione “dinamica” della dichiarazione motivazionale. In tal senso si è pronunciata la Cassazione (ex multis Cass. n. 23484/2016) confermando che la motivazione della sentenza deve ritenersi omessa e/o insufficiente e/o illogica quando il giudice di merito omette di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logico-giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sulla esattezza e sulla logicità del ragionamento perseguito.
Ai fini della sufficienza della motivazione, in definitiva, non basta che il giudice si limiti a enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, dato che questo è solo il “contenuto statico” della motivazione, essendo altresì necessaria la descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione iniziale di ignoranza dei fatti, alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario “contenuto dinamico” della motivazione stessa (v. Cass. n. 1236/2006; n. 27935/2009, n. 15964/2016; Cass. Ord. n. 13882/2018; Cass. Ord. n. 9257/2019).
Tanto premesso e tornando ora al caso in dibattimento, la vicenda riguarda un professionista nei cui confronti era stato emesso un avviso di accertamento effettuato con il c.d. “redditometro”. A seguito dell’accertamento ricevuto quest’ultimo proponeva ricorso evidenziando, tra l’altro, che le spese effettivamente sostenute per il godimento dei mezzi di trasporto fosse nettamente inferiore a quello stimato dall’Ufficio fiscale. La giustizia tributaria intervenuta non riteneva la documentazione prodotta dal contribuente sufficiente “in quanto ‘costruita’ con criteri esclusivamente soggettivi, peraltro carente di alcune spese significative per la gestione ed il mantenimento dei beni”. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente. La Corte di Cassazione ha quindi ritenuto che “Per l’orientamento consolidato di questa Corte (Cass., sez. 6-5, 26 giugno 2017, n. 15899) in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione (quale quella in esame) effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto “redditometro”, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi. Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 9539/2013; Cass., sez. 6-5, 10 agosto 2016, n. 16912); onere in ordine al quale vanno rispettati i criteri di cui a Cass. 8995/2014 (in senso conf. Ci3SS 25104/2014, e, da ultimo, ordinanze 6396/2015 e 148855/2015). E’ stato, peraltro, specificato che la disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art.2728 cod. civ., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva” (Cass., sez. 5, 4 febbraio 2011, n. 2726) e che, pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (principio statuito da Cass. n. 16284 del 23 luglio 2007 e costantemente seguito anche di recente cfr. Sez. 6-5, n. 17487 del 1° settembre 2016). Inoltre, in tema di prova civile nel giudizio conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ. e l’art. 38, comma quattro, del d.P.R. n. 600 del 1973 si esprimano al plurale -, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass., sez. 5, 9 agosto 2002, n. 12060). Si è, peraltro, osservato che, in tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. citato, nella versione “ratione temporis” vigente (anni 2007 e 2008), una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass., sez. 6-5, 1 settembre 2016, n. 17487). Si è affermato, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. “redditometro”, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., sez. 5„ 31 ottobre 2018, n. 27811). Invero, a fronte della imponente produzione documentale da parte del contribuente, che ha indicato analiticamente i costi sostenuti per le auto e per le imbarcazioni, e che ha anche allegato di aver dato incarico di vendita dell’imbarcazione Tornado nel gennaio del 2008, avendo acquistato nell’aprile 2008 imbarcazione Cayman, il giudice d’appello ha reso una motivazione del tutto apparente, in quanto completamente avulsa dai documenti prodotti da parte del contribuente, con una disamina logico-giuridica del tutto superficiale degli stessi. La motivazione della Commissione regionale si estrinseca in una mera petizione di principio, di carattere apodittico (“ che, infatti, la documentazione prodotta dall’appellato tendente a giustificare minori spese sostenute in ordine alla gestione dei beni posseduti, non è da ritenersi sufficiente allo scopo, in quanto costruita con criteri esclusivamente soggettivi e peraltro manchevole di alcune spese significative per la gestione e mantenimento dei beni (come ad esempio spese di garage, manutenzione alloggi etc.)”. La superficialità dell’esame documentale emerge anche dal riferimento della motivazione della sentenza di appello alle spese per “manutenzione alloggi”, mentre, sin dal ricorso originario del contribuente, si è chiarito che l’impugnazione riguardava esclusivamente le spese per la manutenzione delle auto e delle imbarcazioni, con esclusione delle spese per il godimento degli immobili (cfr. pagina 22 del ricorso per cassazione “è bene precisare che l’odierno ricorrente non ha contestato le spese presunte per la disponibilità degli immobili – al riguardo, vd prospetti a pagina nove del ricorso, righi 5/7, per il 2007; righi 21/23, per il 2008”; cfr. pagina 26 del ricorso per cassazione “il contribuente non ha mai messo in discussione l’entità delle spese presunte per gli immobili”). Né, del resto, è comprensibile l’espressione utilizzata dal giudice d’appello in ordine ai “criteri esclusivamente soggettivi” utilizzati dal contribuente per giustificare le minori spese sostenute in ordine alla gestione dei beni posseduti, in quanto il ricorrente ha indicato in modo analitico tutta la documentazione prodotta a sostrato delle proprie doglianze, in alcun modo esaminata dalla Commissione regionale. Si rileva, poi, che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 19 dicembre 2014, sicché trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella versione successiva al d.l. 83/2012, che si applica per le sentenze depositate a decorrere dall’Il settembre 2012. Pertanto, in seguito alla riformulazione dell’art. :360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposto dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art.. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2()i,, n. 23940; Cass., sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598). Per questa Corte, a sezioni unite, si è in presenza di una motivazione meramente “apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e quindi materialmente esistente), come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento (Cass., Sez. Un., 9279/2019; Cass., sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., sez. Un.,, 5 agosto 2016, n. 16599). Inoltre, per questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. nella versione anteriore alla modifica da parte dell’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, non rappresenta un elemento meramente formale, ma un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l’atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.), e considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (Cass., sez. 5, 10 novembre 2010, n. 22845; Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2015, n. 920; Cass., sez. 3„ 15 novembre 2019, n. 29271). Invero, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. L., 14 febbraio 2020, n. 3819). Il vizio di motivazione, infatti, sussiste quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez.5, 25 maggio 2011, n. 11473). Peraltro, da ultimo si è affermato che, nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa (Cass., sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21700). 5.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità”.
Corte di Cassazione – Sentenza 1° dicembre 2021, n. 37662
sul ricorso iscritto al n. 13701/2015 R.G. proposto da:
F. S., rappresentato e difeso, giusta procura speciale aggiunta sulla comparsa di costituzione, dall’avv. Innocenzo Calabrese ed elettivamente domiciliato presso la Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi,
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, n. 11235/17/2014, depositata il 19 dicembre 2014.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 ottobre 2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio, ai sensi dell’art. 23, comma 8-bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge n. 176 del 18 dicembre 2020;
lette le conclusioni scritte, depositate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Mauro Vitiello, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli (n.772/17/2013), che aveva accolto il ricorso presentato da S. F., di professione commercialista, contro gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate, per gli anni 2007 e 2008, con l’utilizzo del “redditometro”.
In particolare, il giudice d’appello evidenziava che la documentazione prodotta dal contribuente tesa a giustificare minori spese sostenute in ordine alla gestione dei beni posseduti non era sufficiente, in quanto “costruita” con “criteri esclusivamente soggettivi”, peraltro carente di alcune spese significative per la gestione ed il mantenimento dei beni.
La prova fornita dal contribuente in ordine alle disponibilità finanziarie aggiuntive al reddito prodotto era, invece, idonea, dovendosi tenere conto per l’anno 2007 anche di euro 21.555,00 per la disponibilità sul conto corrente al 10 gennaio 2007, e, quanto all’anno 2008, della somma di euro 60.000,00 per disponibilità residua sul conto corrente da finanziamento e di euro 86.000 00 per disinvestimenti patrimoniali. Il reddito accertato sinteticamente veniva ridotto ad € 107.369 nel 2007 e ad € 82.423,00 nel 2008.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce: “per l’anno 2008, la sentenza impugnata ha imputato al contribuente un investimento finanziario di euro 61.148,00, per quanto esso non fosse contemplato nella rettifica ai fini della determinazione sintetica del reddito. In effetti, l’UF ha valorizzato quella spesa, per la prima volta, solo con l’atto di appello. Di conseguenza, la sentenza, su questo punto, è illegittima per aver accolto una domanda nuova proposta dall’UF, in violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.”. In realtà, con l’avviso di accertamento per l’anno 2008 l’Agenzia delle Entrate non ha imputato al contribuente alcuna spesa finanziaria di euro 61.148,00, mentre soltanto con l’atto d’appello l’Agenzia delle entrate ha imputato, per la prima volta, al contribuente tale spesa.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. Invero, risulta pacificamente dagli atti che l’avviso di accertamento per l’anno 2008 era fondato su tre distinte categorie di beni: il possesso di due autovetture (sigla AU, una Lexus ed una Porsche 911); il possesso di due barche a motore (sigla NA); il possesso di tre abitazioni (sigla RE), di cui una principale, Napoli, e due secondarie, a Roccaraso (AQ). Quanto alle imbarcazioni, l’importo determinato dalle tabelle era, per la prima, di euro 11.514,53, con abbattimento per vetustà del 15%, con determinazione del valore in euro 58.724,10, senza alcun successivo abbattimento. Con riferimento alla seconda imbarcazione, l’importo da tabella era di euro 13.369,96, con abbattimento per vetustà del 30%, con un valore di euro 46.794,96, con un ulteriore abbattimento del 50%, con individuazione della somma finale di euro 23.397,43.
Quanto alle auto, per la prima l’importo da tabella era di euro 6.237,45, senza alcun abbattimento per vetustà, con determinazione della somma di euro 49.899,60 per valore, con successivo abbattimento del 40%, con il valore definitivo di euro 29.939,76. Per la seconda autovettura, l’importo da tabella era di euro 6452,84, con abbattimento per vetustà del 10%, con determinazione del valore in euro 46.460,45, ed un ulteriore abbattimento del 60%, con determinazione della somma di euro 18.584,18.
Quanto alle residenze, in relazione alla residenza principale, l’importo da tabella era di euro 2129,60, senza abbattimento per vetustà, con un valore di euro 8518,40, ed abbattimento dell’80%, per la somma finale di euro 2129,60.
Con riguardo alla residenza secondaria l’importo da tabella era di euro 790,65, senza abbattimento per vetustà, con valore per euro 3953,25, con abbattimento dell’80%, con valore finale di euro 790,65; quanto alla seconda residenza secondaria, sempre in Roccaraso, l’importo da tabella era di euro 395,33, senza abbattimento per vetustà, con valore di euro 1976,63, con abbattimento dell’80%, per la somma finale di euro 395,33.
Il totale del valore dei singoli beni era di euro 133.961,05. A tale somma doveva essere aggiunta a quella per euro 3.672,20, determinata dalla quota di 1/5 relativa agli incrementi patrimoniali, con ulteriore aggiunta dei canoni di leasing pagati nel 2008 per euro 8.865,00 e le rate di mutuo immobiliare per l’acquisto dell’immobile di Roccaraso oltre interessi passivi, per complessivi euro 20.777,00, per un totale di reddito netto pari ad euro 167.275,00. Pertanto, a fronte di un reddito dichiarato di euro 46.541,00, era stato accertato con il metodo del redditometro un reddito sintetico di euro 167.275,00, come risultava inequivocabilmente dal contenuto dell’avviso di accertamento.
È evidente, quindi, che nell’avviso di accertamento, ritualmente trascritto nel corpo del ricorso per cassazione, non era ricompresa la spesa finanziaria di euro 61.148,00.
Solo in sede di appello l’Agenzia delle entrate, per la prima volta, ha imputato al contribuente anche la spesa finanziaria di euro 61.148,00. Il giudice d’appello, dunque, nella sua decisione, ha inserito, a danno del contribuente, l’imputazione della spesa finanziaria di euro 61.148,00.
Invero, la Commissione regionale, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha indicato il reddito imponibile dichiarato per l’anno 2008 pari ad euro 46.541,00, aggiungendovi le disponibilità residue sul conto corrente da finanziamento per euro 60.000,00, con l’aggiunta ulteriore dei disinvestimenti patrimoniali per euro 86.000,00, giungendo così a calcolare una complessiva capacità contributiva e di spesa del contribuente pari ad euro 192.541,00.
Pertanto, la capacità di spesa dimostrata dal contribuente è stata determinata in euro 192.541,00, quindi un importo superiore a quello imputato con il metodo sintetico, pari ad euro 167.275,00. In tal modo, dunque, la Commissione regionale avrebbe dovuto annullare l’intera rettifica, essendo la capacità di spesa effettiva, dimostrata dal contribuente, di importo superiore rispetto alla capacità di spesa calcolata in modo sintetico. in realtà, però, il giudice d’appello ha tenuto conto anche della ulteriore voce di spesa finanziaria pari ad euro 61.148,00, non contenuta in alcun modo nell’avviso di accertamento per l’anno 2008, ma introdotta solo in sede di appello da parte dell’Agenzia delle entrate a seguito di verifica dell’anagrafe tributaria.
In tal modo, l’intero reddito accertato in via sintetica è passato da euro 167.275,00 ad “228.423,00 (‘‘ (157.275 + 61.148,00). Con tale modalità di calcolo è evidente che il reddito accertato origina dalla differenza tra il reddito determinato in via sintetica pari ad euro 228.423,00 e la capacità di spesa, dimostrata dal contribuente, determinata in euro 192.541,00.
Tale differenza è di euro 35.882,00, con reddito sintetico accertato pari ad euro 82.423,00, come risulta dalla sentenza di appello.
In tal modo deve essere interpretata la motivazione, resa ai limiti della comprensibilità, quasi esclusivamente in valori numerici, della sentenza del giudice d’appello (“ reddito imponibile dichiarato per l’anno 2008 € 46.541,00+ disponibilità residua sul c/c da finanziamento euro 60.000,00+ disinvestimenti patrimoniali euro 86.000,00 – investimenti effettuati in data 7 maggio 2008 € 61.148,00 = 131.393,00 – reddito sintetico accertato legittimamente euro 167.275,00 = maggior reddito accertabile sinteticamente euro 35.882,00 e, di conseguenza, il reddito sintetico accertato e indicato nel quadro RN viene ridotto ad euro 82.423,0u”). Pertanto, non è sostenibile la tesi dell’Agenzia delle entrate che, in base al contenuto letterale di tale motivazione, ha ritenuto che la spesa per investimenti effettuati di euro 61.148,00, era stata decurtata dalla capacità di spesa del contribuente e non aggiunta alla stessa. In realtà, per come sopra evidenziato, la somma per spesa per investimenti di euro 61.148,00 è stata aggiunta al reddito sintetico già accertato in euro 167.275,00.
In tal modo, però, il giudice d’appello, aggiungendo una voce di spesa del contribuente, assente nell’avviso di accertamento ma indicata dall’Agenzia delle entrate solo con l’atto di appello, ha introdotto sicuramente una domanda nuova, inammissibile ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 546 del 1992.
Tra l’altro, in sede di contraddittorio endo-procedimentale l’Agenzia delle entrate aveva espunto la voce di spesa per euro 61.148,00, ritenendola giustificata da un precedente disinvestimento del 24 aprile 2008.
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce: “per entrambe le annualità, la sentenza impugnata, nell’escludere che il contribuente abbia fornito la prova che le spese sostenute in ordine alla gestione dei mezzi di trasporto posseduti è inferiore a quella presunta dal redditometro, presenta una motivazione abnorme, del tutto apparente, soprattutto se la si rapporta alla motivazione analitica della sentenza di primo grado. Violazione dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione e dell’art. 36, secondo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n 4, c.p.c.”.
Il contribuente critica la sentenza del giudice d’appello esclusivamente per le spese per il godimento dei mezzi di trasporto (due auto e due imbarcazioni), senza contestare in alcun modo le spese di manutenzione dei tre immobili, di cui uno per l’abitazione principale, a Napoli, e due per abitazioni secondarie, a Roccaraso (AQ).
Invero, con riferimento all’auto Porsche il contribuente ha prodotto, in relazione alle spese di gestione, il “tagliando”, la polizza assicurativa e la scheda tecnica con i consumi, le rilevazioni statistiche sul prezzo medio della benzina negli anni in esame, per dimostrare che “il mantenimento della auto Porche in un anno è di euro 2484,62”. Per l’Agenzia delle entrate, invece, il mantenimento dell’auto era di euro 48.879,84 e 2007 e di euro 18.584,18 nel 2008. Con riferimento all’auto Lexus, il contribuente ha prodotto il documento che attesta il numero di km percorsi con l’auto, le rilevazioni statistiche sul prezzo medio della benzina e la polizza assicurativa, per una somma complessiva di euro 3184,00.
Per Agenzia delle entrate, invece il costo di mantenimento e uso di tale auto era di euro 5906,04 nel 2007 e di euro 29.939,76 nel 2008.
In ordine alla imbarcazione Tornado il contribuente ha allegato i documenti relativi al costo dell’ormeggio, dell’assicurazione, oltre al costo del carburante, computando spese per il godimento del bene, nel 2007, di euro 8907,00.
L’Agenzia delle entrate, invece, ha calcolato un costo sostenuto per il mantenimento dell’imbarcazione per euro 28.484,78. Tra l’altro, il contribuente ha anche allegato di non aver utilizzato la imbarcazione nel 2008, essendo stata la stessa posta in vendita come da lettera di incarico al signor Marco Ingegno in data 10 gennaio 2008.
Nel 2008 il contribuente ha acquistato l’imbarcazione Cayman, in sostituzione dell’altra, sostenendo costi per il godimento di euro 21.443,20, come da documenti di ormeggio, dall’assicurazione e dal carburante. L’Agenzia delle entrate, invece, per 2008, ha determinato un costo sostenuto per il mantenimento dell’imbarcazione pari ad euro 58.724,10. Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso evidenziando che il contribuente aveva dimostrato, attraverso la documentazione prodotta, che le spese computate dall’Agenzia per l’uso, il godimento e la manutenzione dei beni mobili registrati dei natanti e delle auto erano sproporzionate per eccesso. Il giudice d’appello, per il ricorrente, avrebbe reso sul punto una motivazione solo apparente. 2.1. Il motivo è fondato.
2.2. Per l’orientamento consolidato di questa Corte (Cass., sez. 6-5, 26 giugno 2017, n. 15899) in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione (quale quella in esame) effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto “redditometro”, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, giacché codesti restano individuati nei decreti medesimi.
Ne consegue che è legittimo l’accertamento fondato sui predetti fattori-indice, provenienti da parametri e calcoli statistici qualificati, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 9539/2013; Cass., sez. 6-5, 10 agosto 2016, n. 16912); onere in ordine al quale vanno rispettati i criteri di cui a Cass. 8995/2014 (in senso conf. Ci3SS 25104/2014, e, da ultimo, ordinanze 6396/2015 e 148855/2015).
E’ stato, peraltro, specificato che la disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce una presunzione di “capacità contributiva” da qualificare “legale” ai sensi dell’art.2728 cod. civ., perché è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una “capacità contributiva” (Cass., sez. 5, 4 febbraio 2011, n. 2726) e che, pertanto, il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (principio statuito da Cass. n. 16284 del 23 luglio 2007 e costantemente seguito anche di recente cfr. Sez. 6-5, n. 17487 del 1° settembre 2016). Inoltre, in tema di prova civile nel giudizio conseguente ad accertamento tributario, gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, primo comma, cod. civ. e l’art. 38, comma quattro, del d.P.R. n. 600 del 1973 si esprimano al plurale -, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave (Cass., sez. 5, 9 agosto 2002, n. 12060).
2.3. Si è, peraltro, osservato che, in tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. citato, nella versione “ratione temporis” vigente (anni 2007 e 2008), una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass., sez. 6-5, 1 settembre 2016, n. 17487).
Si è affermato,in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. “redditometro”, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass., sez. 5„ 31 ottobre 2018, n. 27811).
3.Invero, a fronte della imponente produzione documentale da parte del contribuente, che ha indicato analiticamente i costi sostenuti per le auto e per le imbarcazioni, e che ha anche allegato di aver dato incarico di vendita dell’imbarcazione Tornado nel gennaio del 2008, avendo acquistato nell’aprile 2008 imbarcazione Cayman, il giudice d’appello ha reso una motivazione del tutto apparente, in quanto completamente avulsa dai documenti prodotti da parte del contribuente, con una disamina logico-giuridica del tutto superficiale degli stessi. La motivazione della Commissione regionale si estrinseca in una mera petizione di principio, di carattere apodittico (“ che, infatti, la documentazione prodotta dall’appellato tendente a giustificare minori spese sostenute in ordine alla gestione dei beni posseduti, non è da ritenersi sufficiente allo scopo, in quanto costruita con criteri esclusivamente soggettivi e peraltro manchevole di alcune spese significative per la gestione e mantenimento dei beni (come ad esempio spese di garage, manutenzione alloggi etc.)”.
La superficialità dell’esame documentale emerge anche dal riferimento della motivazione della sentenza di appello alle spese per “manutenzione alloggi”, mentre, sin dal ricorso originario del contribuente, si è chiarito che l’impugnazione riguardava esclusivamente le spese per la manutenzione delle auto e delle imbarcazioni, con esclusione delle spese per il godimento degli immobili (cfr. pagina 22 del ricorso per cassazione “è bene precisare che l’odierno ricorrente non ha contestato le spese presunte per la disponibilità degli immobili – al riguardo, vd prospetti a pagina nove del ricorso, righi 5/7, per il 2007; righi 21/23, per il 2008”; cfr. pagina 26 del ricorso per cassazione “il contribuente non ha mai messo in discussione l’entità delle spese presunte per gli immobili”).
3.1.Né, del resto, è comprensibile l’espressione utilizzata dal giudice d’appello in ordine ai “criteri esclusivamente soggettivi” utilizzati dal contribuente per giustificare le minori spese sostenute in ordine alla gestione dei beni posseduti, in quanto il ricorrente ha indicato in modo analitico tutta la documentazione prodotta a sostrato delle proprie doglianze, in alcun modo esaminata dalla Commissione regionale.
4. S rileva, poi, che la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 19 dicembre 2014, sicché trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella versione successiva al d.l. 83/2012, che si applica per le sentenze depositate a decorrere dall’Il settembre 2012.
Pertanto, in seguito alla riformulazione dell’art. :360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposto dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art.. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2()i,, n. 23940; Cass., sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598).
3.1.Per questa Corte, a sezioni unite, si è in presenza di una motivazione meramente “apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e quindi materialmente esistente), come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento (Cass., Sez. Un., 9279/2019; Cass., sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., sez. Un.,, 5 agosto 2016, n. 16599).
Inoltre, per questa Corte, in tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. nella versione anteriore alla modifica da parte dell’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, non rappresenta un elemento meramente formale, ma un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l’atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156, terzo comma, cod. proc. civ.), e considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (Cass., sez. 5, 10 novembre 2010, n. 22845; Cass., sez. 6-5, 20 gennaio 2015, n. 920; Cass., sez. 3„ 15 novembre 2019, n. 29271).
Invero, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez. L., 14 febbraio 2020, n. 3819). Il vizio di motivazione, infatti, sussiste quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., sez.5, 25 maggio 2011, n. 11473).
4.Peraltro, da ultimo si è affermato che, nel contenzioso tributario conseguente ad accertamenti sintetici-induttivi mediante cd. redditometro, per la determinazione dell’obbligazione fiscale del soggetto passivo d’imposta costituisce principio a tutela della parità delle parti e del regolare contraddittorio processuale quello secondo cui all’inversione dell’onere della prova, che impone al contribuente l’allegazione di prove contrarie a dimostrazione dell’inesistenza del maggior reddito attribuito dall’Ufficio, deve seguire, ove a quell’onere abbia adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo relativa agli indici di spesa (Cass., sez. 5, 8 ottobre 2020, n. 21700). 5.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di prov\ie.dere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 ottobre 2021.