Non si procede all’accertamento nei confronti di un contribuente congruo rispetto ad un più recente studio di settore
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 17807 del 19.07.2017, in merito ad un ricorso contro la rettifica basata solo sugli studi di settore, chiarisce che è illegittimo l’avviso di accertamento adottato sulla base dei maggiori ricavi presunti in base agli sudi di settore vigenti all’epoca dell’accertamento, se il contribuente risulta congruo rispetto agli studi successivamente introdotti.
La S. C. ha comunque voluto ricordare che l’accertamento tributario mediante studi di settore costituisce un sistema unitario risultante dal progressivo affinamento progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui è giustificata“ l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile”, giustificandone così l’applicazione retroattiva.
Nella sentenza riportata si legge comunque il riconoscimento delle motivazioni e della legittimità dell’accertamento a carico della società – Srl – che dava fra l’altro dava agli amministratori compensi nove volte più alti rispetto al reddito dichiarato (nel caso anno d’imposta 2004): difatti :” … la sentenza impugnata contiene una motivazione adeguata e non contraddittoria circa la rilevanza indiziaria attribuita ai compensi elargiti agli amministratori soci, fondata sulla presumibile congruenza dei ricavi ai costi – anche e a maggior ragione alle spese per servizi non direttamente correlate alla produzione”.
Allo stesso modo risulta sufficientemente e coerentemente motivata la riconducibilità dei compensi de quibus ai costi, difformemente dall’impostazione della contribuente che ne pretenderebbe l’assimilazione agli utili distribuiti, minimizzando il diverso regime giuridico in punto di deducibilità.
Questi fatti però non sono stati tenuti dai giudici aditi nella giusta collocazione e in particolare alla luce di quanto disposto dalle vigenti modifiche sulla disciplina degli studi di settore introdotti con il Decreto del 28 dicembre 2011 – Min. Economia e Finanze, concernente l’ approvazione di n. 6 studi di settore relativi ad attività’ professionali e pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 304 del 31 dicembre 2011.
Riportiamo alcuni passaggi che evidenziano l’attenta disamina proposta dagli Ermellini :” … Con il terzo, quarto, sesto e ottavo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993, e L. n. 146 del 1998, art. 10, non potendo, in conseguenza del mero svolgimento del contraddittorio con il contribuente, attribuirsi il carattere di gravità, precisione e concordanza alla presunzione semplice rappresentata dallo studio di settore e soddisfarsi l’obbligo di motivazione e di prova incombente sull’Amministrazione finanziaria (terzo motivo), non potendo considerarsi rilevante uno scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi risultanti dalla studio di settore che non sia grave in termini percentuali, pena la violazione dell‘art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento tra le imprese con volumi d’affari significativi e quelle con volumi di affari modesti, e, comunque, non potendo compararsi grandezze disomogenee, quali ricavi, da un lato, e redditi o imposta, dall’altro (quarto motivo), non essendo sufficienti le istruzioni per la compilazione degli studi di settore a determinare i maggiori ricavi desumibili dai compensi agli amministratori soci, pena la violazione dell’art. 3 Cost., in considerazione del risultato presuntivo diverso raggiunto in caso di distribuzione degli utili (sesto motivo); non potendo pretendersi dal contribuente una prova certa e diretta – in luogo di quella fondata su presunzioni semplici – delle eccezioni sollevate (ottavo motivo).
- a. Il terzo, sesto e ottavo motivo risultano inammissibili, in quanto non pertinenti rispetto alla interpretazione ed applicazione che la sentenza fa delle disposizioni invocate.
Difatti, la Commissione Tributaria Regionale 1) non ha fatto derivare dal mero svolgimento del contraddittorio il carattere di presunzione grave, precisa e concordante dello studio di settore o la soddisfazione dell’obbligo di motivazione e prova incombente sull’Amministrazione Finanziaria, ritenendo piuttosto adeguati in concreto, in base all’esame degli atti, gli indizi raccolti e i motivi posti a fondamento dell’accertamento;
- non ha affatto ritenuto le istruzioni per la compilazione degli studi di settore sufficienti indizi dei maggiori ricavi attribuiti al contribuente, valutando, invece, il complessivo quadro indiziario desumibile dallo studio di settore e dalle altre informazioni raccolte in contraddittorio;
- non ha affermato incombere sul contribuente l’onere di una prova certa e diretta in luogo di quella fondata su presunzioni semplici, valutando piuttosto inidonee le prove fornite dal ricorrente anche alla luce degli elementi indiziari contrari.
In proposito va sottolineato che nella sentenza si legge che nello specifico procedimento di accertamento “le presunzioni semplici e quindi la motivazione delle riprese e le giustificazioni del contribuente devono essere accertate e valutate dal giudice di merito conformemente al principio iuxta alligata et probata”; che a p. 6, secondo capoverso, sono elencati dettagliatamente tutti gli indizi su cui si fonda la valutazione di legittimità dell’accertamento, che non si esauriscono in quelli desumibili dalle istruzioni per la compilazione dello studio di settore, a cui pure è dedicata parte della motivazione; che, alla fine della p.5, sono evidenziati come elementi contrari all’asserito stato di crisi del settore di appartenenza l’incremento dei ricavi nel 2004 e le dimensioni medio grandi delle imprese facenti parte del portafoglio clienti.
In definitiva con i motivi in esame si deduce solo apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v., da ultimo, sull’inammissibilità di tale tipologia di censure, Sez. 6 – 3, n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).
2.b. Il quarto motivo è fondato ma soltanto alla luce del D.M. 28 dicembre 2011, approvato successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione ed applicabile alla fattispecie alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accertamento tributario standardizzato mediante parametri e studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile (così, da ultimo, Sez. 5, n. 23554 del 18/11/2015, Rv. 637453 – 01, che ha conseguentemente dichiarato l’illegittimità dell’atto di rettifica, ai fini IRPEF ed IVA, adottato sulla base dei maggiori ricavi presunti in forza dei parametri di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 184, vigenti all’epoca dell’accertamento, nonostante la congruità dei ricavi dichiarati dal contribuente rispetto agli studi di settore, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, conv. In L. n. 427 del 1993, successivamente introdotti).
Relativamente a tale motivo occorre premettere che, a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, – che, con l’aggiunta di un inciso alla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, nella . n. 427 del 1993 – è legittimo l’accertamento induttivo basato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore (così Sez. 5, n. 22421 del 04/11/2016, Rv. 641516 – 01; Sez. 5, n. 26481 del 17/12/2014, Rv. 633651 – 01), salva la necessità di verificare, in contradittorio con il contribuente, la sufficienza e gravità di tale indizio.
Va sottolineato che il presente giudizio ha ad oggetto un avviso di accertamento notificato, secondo le stesse allegazioni della ricorrente, in data 26 novembre 2008, e, dunque, disciplinato, in virtù della regola generale tempus regit actum ed in assenza di una specifica norma transitoria di contenuto diverso, dalla L. n. 296 del 2006 , entrata in vigore il 1 gennaio 2007, anche ove riferito, come nella specie, a periodi d’imposta anteriori (in senso analogo, relativamente ad altra norma presuntiva utilizzata in sede di accertamento, Sez. 5, n. 26692 del 06/12/2005, Rv. 586104 – 01; v. anche Sez. 5, n. 17829 del 09/09/2016, Rv. 640985, secondo cui, in tema di garanzie del contribuente, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, secondo il quale è obbligatorio l’interpello del contribuente in caso di liquidazione di tributi in base alla dichiarazione ove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della stessa o risulti la spettanza di un rimborso d’imposta minore a quello richiesto, ha natura procedimentale, sicché è applicabile immediatamente all’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria posta in essere successivamente all’entrata in vigore della norma pur se relativa ad anni d’imposta anteriori a tale momento).
Tuttavia, l’applicazione del nuovo studio di settore, in cui è stata sostituita la metodologia della valutazione dell’attività di lavoro prestata dai soci amministratori, il cui numero e giorni di lavoro vanno evidenziati ed i cui compensi vanno indicati in apposito campo, da sottrarre alle spese per servizi o lavoro dipendenti, può determinare l’eliminazione di ogni divario tra il reddito dichiarato e quello presunto, sicché il motivo va accolto non potendosi procedere all’accertamento nei confronti del contribuente la cui dichiarazione risulti congrua rispetto agli studi di settore”.
Corte di Cassazione Sentenza n. 17807 del 19/07/2017
Svolgimento del processo
Idro-Tec s.r.l. ha impugnato dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza l’avviso di accertamento n. YYY, relativo all’anno d’imposta 2004, notificatole in data 26 novembre 2008, con cui, in applicazione dello studio di settore TG75U, l’Agenzia delle Entrate le ha attribuito maggiori ricavi per Euro 84.022,00 ed ha conseguentemente preteso Euro 27.727,00 per maggiore IRES, Euro 3.571,00 per maggiore IRAP, Euro 16.796,00 per maggiore IVA, lamentando l’assenza di un grave scostamento tra i ricavi presuntivamente determinati e quello puntuale di riferimento o minimo ammissibile e, più in generale, di indizi gravi, precisi e concordanti di occultamento di ricavi.
Il ricorso è stato rigettato con sentenza n. 115 del 12 maggio 2009, appellata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto.
Con la sentenza n. 60 del 21 ottobre 2010, previo rigetto dell’eccezione di inammissibilità D.Lgs. n. 546 del 1992, è stata integralmente confermata la sentenza di primo grado, evidenziandosi la legittimità costituzionale del D.L. n. 331 del 1993,art. 62 bis e 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993, già valutata dalla Corte costituzionale, sia pure rispetto ai parametri, nella sentenza n. 105 del 2003; la mancata impugnazione del decreto ministeriale di approvazione dello studio di settore applicato, con conseguente inammissibilità dell’ottavo motivo di appello; la sussistenza di un grave scostamento tra redditi dichiarati ed accertati, sia pure non necessario ai fini dell’accertamento fondato sugli studi di settore; la rilevanza presuntiva dei compensi corrisposti agli amministratori, pari a nove volte il reddito del 2004; la mancata indicazione dei beni obsoleti; la mancata prova della crisi del settore di appartenenza dell’impresa e delle valide ragioni, idonee a giustificare la sua gestione anti-economica.
Con ricorso per cassazione, notificato il 6 dicembre 2011, Idro-Tec s.r.l. ha censurato la sentenza di secondo grado, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 3, 4, 5.
L’Agenzia delle Entrate, tempestivamente costituitasi, ha eccepito la sanatoria delle nullità dedotte con i primi due motivi del ricorso, e contestato l’infondatezza di tutti i motivi; ha, inoltre, proposto ricorso incidentale condizionato, censurando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, nn. 4 e 5, il rigetto della propria eccezione di inammissibilità dell’appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53, e l’apparente e/o omessa motivazione sul deposito dell’atto presso la segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza.
Nella memoria exart. 378 c.p.c., del 1 giugno 2017 la ricorrente ha allegato e prodotto il D.M. 28 dicembre 2011 (recante l’approvazione dello studio di settore VG75U, evoluzione di quello TG75U, con una nuova disciplina del trattamento da attribuire alle spese sostenute per i compensi dei soci amministratori), invocandone l’applicazione in relazione ai motivi 4 e 5 già formulati.
Motivi della decisione
- Il primo e secondo motivo, con cui è stata denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992,artt. 30,31,46 e 49, essendo stata comunicata l’udienza di trattazione alle parti costituite senza rispettare il termine di trenta giorni liberi prima ed, inoltre, prima della scadenza del termine per la costituzione delle parti e della effettiva costituzione in giudizio del resistente, sono infondati, atteso che, ai sensi dell’art. 157 c.p.c. , comma 2, applicabile al giudizio tributario in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, affinché sussista l’obbligo del giudice di esaminare l’eccezione di nullità relativa di un atto processuale, è necessario che la deduzione della medesima avvenga nella prima istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso, restando altrimenti sanata e non potendo più essere eccepita dalla parte che, non opponendosi nella prima difesa successiva all’atto, ha implicitamente rinunciato a farla valere (così, tra le altre, Cass., Sez. L, n. 27026 del 12/11/2008, Rv. 605459 01). Nel caso di specie, invece, come risulta dal fascicolo del giudizio di merito, successivamente all’irregolare comunicazione, l’appellante, odierna ricorrente, ha partecipato alla trattazione della controversia, avvenuta in pubblica udienza, conformemente alla sua richiesta formulata già nel ricorso, senza eccepire alcunché, con conseguente sanatoria della nullità. In questi stessi termini si è orientata Sez. 5^, dell’11 aprile 2005, n. 7414 (in cui si legge che “se è pur vero che la comunicazione alla società oggi ricorrente della data dell’udienza di discussione – fissata per il 26 febbraio 2001 – è stata spedita il 16 febbraio 2001, e, quindi, senza che sia stato rispettato il termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19; è, tuttavia, altrettanto vero che il difensore della società allora appellata è comparso all’udienza di discussione del 26 febbraio 2001, senza sollevare alcuna obiezione in ordine al mancato rispetto dei termini a difesa, di cui lamenta la violazione in questa sede di legittimità”).
- Con il terzo, quarto, sesto e ottavo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito in L. n. 427 del 1993, e L. n. 146 del 1998, art. 10, non potendo, in conseguenza del mero svolgimento del contraddittorio con il contribuente, attribuirsi il carattere di gravità, precisione e concordanza alla presunzione semplice rappresentata dallo studio di settore e soddisfarsi l’obbligo di motivazione e di prova incombente sull’Amministrazione finanziaria (terzo motivo), non potendo considerarsi rilevante uno scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi risultanti dalla studio di settore che non sia grave in termini percentuali, pena la violazione dell‘art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento tra le imprese con volumi d’affari significativi e quelle con volumi di affari modesti, e, comunque, non potendo compararsi grandezze disomogenee, quali ricavi, da un lato, e redditi o imposta, dall’altro (quarto motivo), non essendo sufficienti le istruzioni per la compilazione degli studi di settore a determinare i maggiori ricavi desumibili dai compensi agli amministratori soci, pena la violazione dell’art. 3 Cost. , in considerazione del risultato presuntivo diverso raggiunto in caso di distribuzione degli utili (sesto motivo); non potendo pretendersi dal contribuente una prova certa e diretta – in luogo di quella fondata su presunzioni semplici – delle eccezioni sollevate (ottavo motivo).
- a. Il terzo, sesto e ottavo motivo risultano inammissibili, in quanto non pertinenti rispetto alla interpretazione ed applicazione che la sentenza fa delle disposizioni invocate.
Difatti, la Commissione Tributaria Regionale 1) non ha fatto derivare dal mero svolgimento del contraddittorio il carattere di presunzione grave, precisa e concordante dello studio di settore o la soddisfazione dell’obbligo di motivazione e prova incombente sull’Amministrazione Finanziaria, ritenendo piuttosto adeguati in concreto, in base all’esame degli atti, gli indizi raccolti e i motivi posti a fondamento dell’accertamento; 2) non ha affatto ritenuto le istruzioni per la compilazione degli studi di settore sufficienti indizi dei maggiori ricavi attribuiti al contribuente, valutando, invece, il complessivo quadro indiziario desumibile dallo studio di settore e dalle altre informazioni raccolte in contraddittorio; 3) non ha affermato incombere sul contribuente l’onere di una prova certa e diretta in luogo di quella fondata su presunzioni semplici, valutando piuttosto inidonee le prove fornite dal ricorrente anche alla luce degli elementi indiziari contrari.
In proposito va sottolineato che nella sentenza si legge che nello specifico procedimento di accertamento “le presunzioni semplici e quindi la motivazione delle riprese e le giustificazioni del contribuente devono essere accertate e valutate dal giudice di merito conformemente al principio iuxta alligata et probata”; che a p. 6, secondo capoverso, sono elencati dettagliatamente tutti gli indizi su cui si fonda la valutazione di legittimità dell’accertamento, che non si esauriscono in quelli desumibili dalle istruzioni per la compilazione dello studio di settore, a cui pure è dedicata parte della motivazione; che, alla fine della p.5, sono evidenziati come elementi contrari all’asserito stato di crisi del settore di appartenenza l’incremento dei ricavi nel 2004 e le dimensioni medio grandi delle imprese facenti parte del portafoglio clienti.
In definitiva con i motivi in esame si deduce solo apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v., da ultimo, sull’inammissibilità di tale tipologia di censure, Sez. 6 – 3, n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).
2.b. Il quarto motivo è fondato ma soltanto alla luce del D.M. 28 dicembre 2011, approvato successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione ed applicabile alla fattispecie alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accertamento tributario standardizzato mediante parametri e studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile (così, da ultimo, Sez. 5, n. 23554 del 18/11/2015, Rv. 637453 – 01, che ha conseguentemente dichiarato l’illegittimità dell’atto di rettifica, ai fini IRPEF ed IVA, adottato sulla base dei maggiori ricavi presunti in forza dei parametri di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 184, vigenti all’epoca dell’accertamento, nonostante la congruità dei ricavi dichiarati dal contribuente rispetto agli studi di settore, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, conv. In L. n. 427 del 1993, successivamente introdotti).
Relativamente a tale motivo occorre premettere che, a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, – che, con l’aggiunta di un inciso alla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, nella . n. 427 del 1993 – è legittimo l’accertamento induttivo basato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore (così Sez. 5, n. 22421 del 04/11/2016, Rv. 641516 – 01; Sez. 5, n. 26481 del 17/12/2014, Rv. 633651 – 01), salva la necessità di verificare, in contradittorio con il contribuente, la sufficienza e gravità di tale indizio. Va sottolineato che il presente giudizio ha ad oggetto un avviso di accertamento notificato, secondo le stesse allegazioni della ricorrente, in data 26 novembre 2008, e, dunque, disciplinato, in virtù della regola generale tempus regit actum ed in assenza di una specifica norma transitoria di contenuto diverso, dallanL. n. 296 del 2006 , entrata in vigore il 1 gennaio 2007, anche ove riferito, come nella specie, a periodi d’imposta anteriori (in senso analogo, relativamente ad altra norma presuntiva utilizzata in sede di accertamento, Sez. 5, n. 26692 del 06/12/2005, Rv. 586104 – 01; v. anche Sez. 5, n. 17829 del 09/09/2016, Rv. 640985, secondo cui, in tema di garanzie del contribuente, la L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, secondo il quale è obbligatorio l’interpello del contribuente in caso di liquidazione di tributi in base alla dichiarazione ove sussistano incertezze su aspetti rilevanti della stessa o risulti la spettanza di un rimborso d’imposta minore a quello richiesto, ha natura procedimentale, sicchè è applicabile immediatamente all’attività accertativa dell’Amministrazione finanziaria posta in essere successivamente all’entrata in vigore della norma pur se relativa ad anni d’imposta anteriori a tale momento).
Tuttavia, l’applicazione del nuovo studio di settore, in cui è stata sostituita la metodologia della valutazione dell’attività di lavoro prestata dai soci amministratori, il cui numero e giorni di lavoro vanno evidenziati ed i cui compensi vanno indicati in apposito campo, da sottrarre alle spese per servizi o lavoro dipendenti, può determinare l’eliminazione di ogni divario tra il reddito dichiarato e quello presunto, sicchè il motivo va accolto non potendosi procedere all’accertamento nei confronti del contribuente la cui dichiarazione risulti congrua rispetto agli studi di settore. S’impone, pertanto, l’accoglimento del motivo in esame e la conseguente cassazione con rinvio della sentenza al fine dell’applicazione dello ius superveniens, che, ove pertinente rispetto alle parti della decisione oggetto dell’impugnazione, non è preclusa neppure dall’eventuale necessità di ulteriori accertamento di fatto da demandare al giudice del rinvio (v., tra le altre, Sez. L, n. 5888 del 17/03/2005, Rv. 580535 – 01). Al riguardo occorre sottolineare che gli studi di settore, funzionali a consentire una più efficace azione accertatrice e una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui al D.L. n. 69 del 1989, art. 11, convertito, con modificazioni, in L. n. 154 del 1989 , entrano a far parte, in virtù del rinvio di carattere dinamico operato dall’art. 62 bis, già cit., di quest’ultima norma di legge che disciplina la relativa tipologia di accertamento.
- Sono inammissibili o infondati il quinto, settimo, nono e dodicesimo motivo, con cui si è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5, ratione temporis vigente, l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la rilevanza dello scostamento del 7,11% o del 5,26% (quinto motivo), il valore presuntivo, contrariamente al senso comune, della modalità di remunerazione degli amministratori soci attraverso attribuzione di compensi invece che distribuzione di dividendi (settimo motivo); circa l’inattendibilità delle prove fornite sullo stato di crisi del settore economico in esame (nono motivo); circa l’assenza delle condizioni di obiettiva incertezza (dodicesimo motivo).
In proposito occorre ricordare che il vizio di omessa od insufficiente motivazione sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi, mentre non può, invece, essere prospettato con censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta operata mediante il coordinamento dei vari elementi probatori, che rientra nella possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con criteri logici, attiene al convincimento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità; mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (così Sez. 2, n. 7476 del 04/06/2001, Rv. 547190 – 01; v. anche Sez. L, n. 4770 del 06/03/2006, Rv. 587356 – 01, secondo cui il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè l’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’analisi e la valutazione fatte dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione).
3.a. Il quinto motivo è inammissibile, in quanto concerne un punto della controversia non decisivo, atteso che, come già precisato sub 3, a decorrere dal 1 gennaio 2007 è legittimo l’accertamento induttivo basato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore. A ciò si aggiunga che il motivo risulterebbe, comunque, infondato, risultando la motivazione sufficiente e non contraddittoria in ordine alla rilevanza indiziaria dello scostamento che, sebbene non elevato in termini percentuali, è stato valutato tale in termini assoluti, anche in considerazione delle conseguenze sul debito d’imposta.
3.b. Il settimo motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata contiene una motivazione adeguata e non contraddittoria circa la rilevanza indiziaria attribuita ai compensi elargiti agli amministratori soci, fondata sulla presumibile congruenza dei ricavi ai costi – anche e a maggior ragione alle spese per servizi non direttamente correlate alla produzione. Allo stesso modo risulta sufficientemente e coerentemente motivata la riconducibilità dei compensi de quibus ai costi, difformemente dall’impostazione della contribuente che ne pretenderebbe l’assimilazione agli utili distribuiti, minimizzando il diverso regime giuridico in punto di deducibilità.
3.c. Parimenti infondato è il nono motivo, atteso che la sentenza impugnata contiene una motivazione adeguata e non contraddittoria circa la mancata prova dello stato di crisi, motivazione fondata su una serie di elementi indiziari (la significativa entità del fatturato, l’incremento dei ricavi nel 2004, lo scarso ricorso al credito, i non modesti compensi corrisposti agli amministratori).
3.d. Il dodicesimo motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, atteso che il contribuente non ha, in alcun modo, riportato in questa sede le obiettive condizioni di incertezza invocate – e, cioè, i positivi elementi di confusione – relativamente all’applicazione o interpretazione dello studio di settore, che sarebbe stato suo onere allegare nei precedenti gradi di giudizio (v.Sez. 5, n. 440 del 14/01/2015, Rv. 634427 – 01; Sez. 6-5, n. 18031 del 24/07/2013, Rv. 628466 – 01), anche al fine di provare l’assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito (il cui onere probatorio è a carico del contribuente, Sez. 5, n. 13068, 15/06/2011, Rv. 618420 – 01). Del resto, la completezza e coerenza della motivazione della sentenza impugnata può verificarsi solo relativamente a tali specifiche allegazioni.
- Il decimo motivo, con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, si è denunciata la violazione o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990,art. 3,e L. n. 212 del 2000, art. 7, essendo insufficiente la motivazione dell’avviso di accertamento in ordine alla scelta del ricavo puntuale anzichè del ricavo minimo previsto dallo studio di settore, è infondato, contenendo l’avviso di accertamento una motivazione esaustiva relativamente ai presupposti giuridici e fattuale della rettifica operata. Sul punto occorre precisare che, in tema di accertamento fondato sullo studio di settore, la motivazione richiesta all’Amministrazione finanziaria, sebbene debba essere rapportata alle contestazioni del contribuente, non esige la giustificazione del reddito di riferimento prescelto, tra quello minimo e quello puntuale, rispetto all’intervallo di confidenza proprio del cluster, che non assurge ad uno specifico elemento costitutivo della pretesa impositiva.
- L’undicesimo motivo, con cui si è lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986,art. 109, e dell’art. 53 Cost., dovendo contrapporsi ai ricavi contestati un’incidenza percentualizzata dei costi, è infondato, in quanto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, interpretato alla luce dell’art. 53 Cost., non si desume affatto l’obbligo dell’Amministrazione di contrapporre ai ricavi contestati una percentuale di costi in via presuntiva, ma al contrario l’onere del contribuente di dimostrare le spese sostenute e la loro inerenza e congruità rispetto ai beni da cui derivano i ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito stesso. In proposito va rilevato che i precedenti della Suprema Corte citati dal ricorrente non affermano tale asserita regola, ma, relativamente all’accertamento induttivo, sanciscono la rilevanza dei costi cd. in nero e, cioè, di quei costi che, pur emergendo dal quadro indiziario raccolto, non sono regolarmente confluiti nelle scritture contabili – ed è a tale orientamento che rinvia la Corte costituzionale nella sentenza n. 225 del 2005 (v., per tutte, Sez. 5, n. 640 del 17/01/2001, Rv. 543241 – 01, in tema di imposte sui redditi inerenti ad attività d’impresa, il principio sancito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e ribadito dal D.L. n. 90 del 1990, art. 6 bis, secondo cui le spese sono deducibili se e nella misura in cui siano annotate nelle scritture contabili ed abbiano concorso alla determinazione del risultato del conto profitti e perdite, non è applicabile in caso di rettifica induttiva, in cui alla ricostruzione dei ricavi deve corrispondere un’incidenza percentualizzata dei costi).
- Il ricorso incidentale condizionato, articolato in tre motivi, che denunciano tutti l’omesso deposito dell’atto di appello nella segreteria del giudice a quo, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, risulta manifestamente infondato, come si evince dal doc. 12 prodotto dalla ricorrente, consistente nell’attestazione di detta tempestiva produzione, sottoscritta dall’incaricato dell’ufficio.
- In conclusione, il ricorso principale va accolto limitatamente al quarto motivo, alla luce del D.M. 28 dicembre 2011, rigettati o inammissibili tutti gli altri motivi, mentre va rigettato il ricorso incidentale.
La sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione, che deciderà alla luce del seguente principio di diritto: “l’avviso di accertamento adottato sulla base dei maggiori ricavi presunti in forza degli studi di settore, previsti dal D.L. n. 331 del 1993,artt. 62 bis e 62 sexies, conv. In L. n. 427 del 1993, vigenti all’epoca dall’accertamento, nonostante la congruità dei ricavi dichiarati dal contribuente rispetto a quelli successivamente introdotti, è illegittimo, atteso che l’accertamento tributario mediante studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile”.
P.Q.M.
accoglie il ricorso limitatamente al quarto motivo, infondati o inammissibili tutti gli altri;
rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017