CASSAZIONE

Non si possono compensare i crediti scaduti prima del fallimento

Fallimento – Cessione del credito nei confronti del fallito – Atto successivo all’apertura del concorso – Debito del terzo nei confronti del fallito – Disciplina della compensazione – art. 56, co. 1, legge fallimentare- Condizioni – Inammissibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 37734 del 1° dicembre 2021, in linea con la più recente giurisprudenza ha ricordato che il creditore non può compensare un proprio debito verso il fallito con un credito scaduto prima della dichiarazione di fallimento e di cui è divenuto titolare per atto di cessione tra vivi dopo l’apertura del fallimento (ai sensi dell’art. 56, c. 2, L. Fall.). Inoltre, ricordano i Supremi giudici che la mancanza di motivazione su una questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto a un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.

In tal caso la Corte di Cssazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo” quale la motivazione omessa mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto.

Nel sistema della legge fallimentare è inserita una norma (art. 56) che consente ai creditori del soggetto fallito di compensare i loro crediti con i debiti verso il fallito stesso. L’articolo 56 in particolare così dispone: “I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”.

Si tratta di una disposizione evidentemente ispirata a un’esigenza di equità in quanto riconosce il diritto, a chi viene a trovarsi nella posizione di creditore-debitore, di compensare le contrapposte ragioni senza dover pagare, da un lato, il proprio debito per intero e, dall’altro, subire la soddisfazione del proprio credito in moneta fallimentare (che quasi sempre si traduce nell’integrale perdita del credito). La compensazione nel fallimento rappresenta una particolare ipotesi della compensazione legale. E’ quindi soggetta alla stessa disciplina, divergendone soltanto in un punto: ai fini della relativa operatività non è infatti necessario che i contrapposti crediti siano diventati esigibili prima della dichiarazione di fallimento.

Può quindi realizzarsi la compensazione anche tra crediti e debiti non ancora scaduti a tale data, non assumendo rilevanza alcuna se sia il credito del fallito a non essere scaduto ovvero quello del creditore. Non può tuttavia prescindersi da una condizione: che entrambi i crediti siano sorti anteriormente al fallimento.

Nella specie, per l’orientamento consolidato della giurisprudenza, la possibilità di far luogo alla compensazione del credito scaduto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, pur nell’eventualità in cui la cessione del credito sia avvenuta in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, risulta indiscutibilmente disconosciuta dalla più recente elaborazione della Suprema Corte, come ad esempio è stato affermato con la Pronunzia n. 9528/2019: “… Pertanto, non può darsi coesistenza se non dal momento in cui il terzo in bonis abbia acquistato il credito nei confronti del fallito o, secondo altra possibile ricostruzione, dal momento in cui ha notificato la cessione. Se questo momento cade prima della notifica del pignoramento (o della pubblicazione della sentenza di fallimento) il ceto creditorio è tenuto a rispettare la vicenda estintiva/ compensativa anteriore, altrimenti l’eccezione non ha effetto, non potendo pregiudicare il diritto acquisito dal ceto creditorio a realizzare il credito così come esisteva nel patrimonio del debitore. 3.11. Si delinea, così, in ragione del dato normativo e dell’apporto giurisprudenziale, un sistema coerente che abbraccia cessione, pignoramento e fallimento. In ciascuna di queste fattispecie l’eccezione di compensazione è conservata al debitore del cedente, dell’esecutato o del fallito soltanto per i crediti di cui già era titolare prima della notifica della cessione o del pignoramento o prima della (pubblicazione della) 10 Corte di Cassazione – copia non ufficiale dichiarazione di fallimento e non compete per i crediti che sono venuti a esistenza o di cui ha acquistato la titolarità dopo” […].”Al contempo, sistematicamente – id est come manifestazione del sistema e non deroga ad esso – deve essere letto anche l’art. 56, comma 2, L. fall. nella parte in cui esclude la possibilità di compensare crediti acquistati per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento: crediti per i quali alla data del fallimento non è evidentemente soddisfatta la condizione di coesistenza e reciprocità. La disposizione, testualmente riferita al solo “credito non scaduto”, deve, dunque, estendersi per coerenza sistematica anche al credito scaduto, nonostante l’equivoco tenore letterale e la mescolanza nel corpo del comma 2 dell’art. 56 di due ipotesi (acquisto nell’anno anteriore; acquisto post fallimentare) del tutto eterogenee nella ratio e nell’ambito applicativo. In altri termini, l’inammissibilità della compensazione per crediti sorti o acquistati dopo la dichiarazione di fallimento trova fondamento nell’effetto di pignoramento generale prodotto dal fallimento stesso (cfr. artt. 42 e ss. L. fall) e, specificamente, nell’art. 2917 cod. civ., che rende insensibile il credito del fallito a cause estintive sopravvenute. Il principio, nella sua larghezza, trova applicazione indifferentemente a crediti scaduti e non scaduti alla data del concorso, pur essendo menzionato dall’art. 56, comma 2, L. fall soltanto per quanto concerne i secondi. 3.12. Ad una siffatta conclusione non osta la pronuncia della Corte costituzionale del 20 ottobre 2000, n. 431, reiettiva della questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione sollevata, con riferimento al parametro dell’art. 3 Cost., con specifico riguardo alla fattispecie dell’acquisto di un credito scaduto nell’anno anteriore alla 11 Corte di Cassazione – copia non ufficiale dichiarazione di fallimento e non con riguardo al caso (come quello che ci occupa) dell’acquisto post fallimentare”.

Quindi il terzo in bonis non può eccepire, ex art. 56 comma 2 L.F., la compensazione tra un proprio debito verso il fallito con un credito scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, di cui però il primo sia divenuto titolare, per atto di cessione tra vivi, dopo l’apertura del concorso.

La Corte ha quindi ricordato che il creditore del fallito non può compensare un proprio debito verso il fallito con un credito, scaduto prima della dichiarazione di fallimento, di cui però è divenuto titolare per atto di cessione tra vivi dopo l’apertura del fallimento (ai sensi dell’art. 56 c. 2 L. Fall.).

In sede fallimentare, per considerazioni di ordine tecnico e ragioni di equità, la disciplina della compensazione di cui all’art. 1243 cod. civ. subisce delle semplificazioni (in primis, la possibilità di compensare crediti tra loro non omogenei ovvero non ancora esigibili). Nonostante l’equivoco tenore letterale della norma, che si riferisce al solo “credito non scaduto”, la disposizione legislativa deve ritenersi attuabile per estensione al credito scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, ciò in quanto la dichiarazione di fallimento che potrebbe causare un effetto di pignoramento generale sul patrimonio del fallito (ai sensi dell’art. 42 L. fall.) rende insensibile il credito del fallito a cause estintive sopravvenute (ai sensi dell’art. 2917 c.c.).

Dunque, l’art. 56 L. fall. attribuisce al creditore in bonis il potere di opporre la compensazione successivamente alla dichiarazione di fallimento e per crediti ancora non caduti a tale data. La portata eccezionale in senso stretto della disposizione è quella di consentire di eccepire la compensazione successivamente alla dichiarazione di fallimento, e non tanto quella relativa alla compensabilità dei debiti non scaduti prima della dichiarazione stessa.

Ricordiamo in proposito anche un altro arresto, la Sentenza n. 1346802/2020, nella quale gli Ermellini approfondendo la tesi suesposta, hanno chiarito anche che “… La norma di cui al secondo comma dellart. 56 L. fall. intende contrastare questo fenomeno del «mercato dei crediti», finalizzato non alla partecipazione al concorso formale ma a paralizzare le azioni della curatela, sterilizzando la possibilità per i cessionari di tali crediti di opporli in compensazione al curatore del fallimento”.

Peraltro abbiamo presente che la soluzione offerta dalla Suprema Corte trova conferma anche da quanto statuito dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il l D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.Osserviamo inoltre che tanto il legislatore, quanto la giurisprudenza, hanno posto dei limiti alla compensabilità dei crediti in sede fallimentare al fine precipuo di scongiurare atti fraudolenti ad opera del debitore fallito in pregiudizio della massa fallimentare.

In particolare, la compensabilità dei contrapposti crediti non potrebbe in nessun caso prescindere dal requisito della coesistenza e della reciprocità degli stessi, in considerazione del fatto che la compensazione estingue i crediti esclusivamente dal giorno in cui entrambi i soggetti siano titolari di crediti l’uno nei confronti dell’altro. Ricordiamo in proposito che l’art. 56, comma 1, del RD 267/42 stabilisce che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il soggetto fallito i crediti che essi vantino verso il medesimo soggetto, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Fa eccezione a questa regola il disposto del comma 2, che esclude la compensazione per i crediti non scaduti se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.

Ricorda la Suprema Corte il disposto di cui al comma 2, che muove dall’esigenza di evitare possibili abusi e tutelare la massa dei creditori fallimentari: il creditore del soggetto fallito, infatti, è esposto al rischio di soddisfazione, in percentuale molto bassa del proprio credito a seguito dell’apertura della procedura fallimentare.

Per questa ragione il creditore sarebbe indotto a cedere il credito a un terzo, a sua volta debitore del fallito, il quale potrebbe operare la compensazione. Tale cessione potrebbe agevolare il creditore (che realizzerebbe una somma maggiore di quella ricavabile a seguito di falcidia fallimentare) e il debitore fallito (che opporrebbe in compensazione al fallimento l’intero credito acquistato a prezzo inferiore), ma arrecherebbe un pregiudizio nei confronti della massa attiva dei creditori.

Al fine di impedire questo pregiudizio, il legislatore ha introdotto una presunzione assoluta di frode ai danni della massa fallimentare in grado di escludere la vis compensativa, per la compensazione che abbia a oggetto debiti e crediti non scaduti e acquistati per “atto tra vivi” dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore (il divieto non opera, invece, per i crediti acquistati mortis causa).

Il riconoscimento della facoltà di compensazione di cui all’art. 56 del RD 267/42, nonostante il fallimento, costituisce un’eccezione alla regola della par condicio creditorum, poiché permette al creditore del fallito di soddisfarsi tramite la corrispondente liberazione dal proprio debito, anziché adempierlo per intero ed essere ripagato in moneta fallimentare. La compensazione rappresenta, quindi, un mezzo di autotutela del creditore in bonis. L’art. 56, comma 2, del RD 267/42 non menziona la fattispecie in cui il credito sia già scaduto, ma vieta la compensazione per il “credito non scaduto”.

Per la Suprema Corte, però, la previsione normativa deve estendersi per coerenza sistematica anche al credito scaduto nelle due ipotesi diverse di acquisto nell’anno anteriore e di acquisto post fallimentare.

A detta dei giudici di legittimità, tuttavia, in coerenza con i principi vigenti in materia, non vi sarebbe ragione di trattare diversamente due situazioni omogenee (i.e. credito scaduto ceduto al terzo debitore del fallimento in data successiva al fallimento, da un lato, e credito non scaduto ceduto al terzo debitore del fallimento in data successiva al fallimento, dall’altro lato), posto che in entrambi i casi la coesistenza e la reciprocità si verificano solo successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Infatti, nell’ipotesi di acquisto del credito (scaduto o non) nei confronti del fallito in data successiva al fallimento, la coesistenza e la reciprocità dei crediti non sussistono se non dal momento in cui la cessione è notificata al fallimento, con la conseguenza che in tal caso la vicenda estintiva del credito non può essere eccepita in pregiudizio del ceto creditorio.

Tanto premesso e tornando al caso oggi in dibattimento, una S.r.l. ingiungeva il pagamento di una somma a una soc. coop relativa alla compensazione del credito acquistato dalla “G.” S.r.l., agente di commercio della cooperativa in amministrazione straordinaria. Il tribunale rigettava l’opposizione. Anche la Corte d’Appello rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese.  Da qui il ricorso in cassazione sulla scorta di quattro motivi, in cui la s.r.l. si doleva che in comparsa conclusionale, in seconde cure, l’amministrazione straordinaria della “C.” aveva inteso riconoscere il diritto di essa ricorrente alla compensazione, deducendo essenzialmente che la corte d’appello non ha considerato tale circostanza, idonea a determinare, in parte qua, la cessazione della materia del contendere. La Suprema Corte ha confermato quando asserito dai giudici della Corte d’appello, ritenendo che: “…. A nulla rileva poi che la corte distrettuale ha, al riguardo, omesso ogni valutazione. E’ sufficiente il rinvio all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame; in tal caso la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, 2° co., Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 cod. proc. civ., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda [è senza dubbio il caso di cui al ricorso in esame] ulteriori accertamenti in fatto (cfr. Cass. sez. un. 2.2.2017, n. 2731).  Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 l. fall. anche in relazione all’art. 12 delle preleggi ed agli artt. 1260, 1264 e 1376 cod. civ. Deduce che il credito oggetto di cessione era indiscutibilmente scaduto in epoca antecedente all’ammissione della “C.” alla procedura di amministrazione straordinaria, così come si desume dalle sentenze pronunciate dalla Corte d’Appello di Bologna in merito ai gravami proposti avverso le sentenze pronunciate dal Tribunale di Ferrara con riferimento all’ammissione al passivo dei crediti della “G.” s.r.l. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co. n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 L. fall. in relazione all’art. 45 L. fall. ed agli artt. 1260, 1264 e 1376 cod. civ. Deduce che la corte di merito ha erroneamente correlato l’art. 56 L. fall. all’art. 45 L. fall. deduce che l’art. 45 L. fall. non è riferibile alla cessione del credito, siccome la cessione del credito si perfeziona con l’accordo tra cedente e cessionario e la notificazione al debitore ceduto non è volta a rendere opponibile la cessione ai terzi, bensì è volta a consentire al debitore ceduto di far luogo correttamente al pagamento.  Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto. E, ben vero, le ragioni che inducono alla sua reiezione, esplicano un’indubbia valenza assorbente in relazione alle doglianze prospettate con il terzo motivo, sì che rendono – di tale mezzo – del tutto vana la disamina (cfr. memoria controricorrente, pag. 6, ove si puntualizza che la pronuncia n. 9528/2019 di questa Corte – di cui si dirà – ha una portata dirimente che “consente di ritenere superato anche il terzo motivo di ricorso.  Evidentemente occorre procedere dal disposto del 2° co. dell’art. 56 L. fall. (il cui dettato senza dubbio si riflette – in virtù del duplice rinvio disposto dall’art. 36 del d.lgs. n. 270/1999, tra gli altri, all’art. 201 L. fall. [scritto in tema di liquidazione coatta amministrativa] e dall’art. 201 L. fall., tra gli altri, agli artt. 51 e ss. L. fall. – sul terreno dell’amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270 dell’8.7.1999). Ai sensi dell’art. 56, 2° co. L. fall. “per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”. Trattasi innegabilmente di prefigurazione che circoscrive gli ampi margini di operatività della compensazione che il disposto del 1° co. del medesimo articolo assicura (“i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.. Si è assunto, argomentando a contrario dalla prefigurazione del 2° co. dell’art. 56 L. fall. che il cessionario di credito scaduto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento ben può chiederne la compensazione con un credito nei suoi confronti vantato dal fallito (ovvero dall’imprenditore in amministrazione straordinaria), ancorché la cessione sia avvenuta nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. 2.10.1989, n. 3955) ovvero, per giunta, in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento (cfr. Corte costituzionale 2.10.1997, n. 431, secondo cui non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, 2° co., L. fall., con riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non esclude che possano essere compensati con i debiti verso il fallito anche i crediti scaduti vantati nei suoi confronti che siano stati acquistati per atto fra vivi nell’anno anteriore al fallimento: la distinzione operata, con riguardo ai crediti acquistati per atto tra vivi nel medesimo periodo di tempo, tra crediti non scaduti (espressamente esclusi dalla compensazione) e crediti scaduti, non dà luogo ad una incongruenza dal punto di vista logico-giuridico, visto che la suddetta differenza di trattamento trova plausibile spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai crediti scaduti prima del fallimento l’effetto estintivo proprio della compensazione deve intendersi realizzato anteriormente alla dichiarazione di fallimento).  Tuttavia, pur in questi termini – anche ad ammettere che la s.r.l. ricorrente abbia specificamente addotto in sede di merito la circostanza dell’avvenuta scadenza in epoca antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” del credito cedutole ed opposto in compensazione, circostanza che in verità non rinviene riflesso nell’impugnata statuizione e, segnatamente, nell’illustrazione dei motivi d’appello (cfr. sentenza d’appello, pag. 2) – non può non darsi atto che la prospettazione della “G. T.” circa l’avvenuta scadenza in epoca precedente la dichiarazione dello stato di insolvenza non è, nell’esperito ricorso per cassazione, oggetto di idonea “autosufficiente” deduzione.  Del resto, la controricorrente ha debitamente posto in risalto come “non vi sia alcuna evidenza dei pretesi caratteri di certezza, liquidità e soprattutto di esigibilità dell’intero credito ceduto” (così controricorso, pag. 8). Comunque, non hanno specifica valenza, ai fini della prospettata scadenza del credito ceduto in epoca antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.”, le sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte d’Appello di Bologna, intervenute, entrambe, tra la “G.” s.r.l. e la “C.” in amministrazione straordinaria, sentenze con le quali la “G.” è stata ammessa al passivo dell’amministrazione straordinaria della “C.” per il credito di euro 110.500,23 in chirografo (trattasi della sentenza n. 1366/2015) nonché per i crediti di euro 124.407,01 e di euro 70.348,68, rispettivamente, in privilegio ed in chirografo (trattasi della sentenza n. 739/2015). Invero, le sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 sono state riprodotte solo e limitatamente alle intestazioni e ai dispositivi (cfr. ricorso, pagg. 16 e 17).  In ogni caso, la possibilità di far luogo alla compensazione del credito scaduto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, pur nell’evenienza in cui la cessione (del credito) sia avvenuta in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, risulta indiscutibilmente disconosciuta dalla più recente elaborazione di questa Corte. In particolare, con l’ordinanza n. 9528 del 4.4.2019 questa Corte ha affermato che il terzo “in bonis” non può eccepire, ex art. 56, 2° co., L. fall., la compensazione tra un proprio debito verso il fallito con un credito, scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, di cui, però, il primo sia divenuto titolare, per atto di cessione tra vivi, dopo l’apertura del concorso (“la disposizione, testualmente riferita al solo , deve, dunque, estendersi per coerenza sistematica anche al credito scaduto, nonostante l’equivoco tenore letterale e la mescolanza nel corpo del comma 2 dell’art. 56 di due ipotesi (acquisto nell’anno anteriore; acquisto post fallimentare) del tutto eterogenee nella ratio e nell’ambito applicativo. In altri termini, l’inammissibilità della compensazione per crediti sorti o acquistati dopo la dichiarazione di fallimento trova fondamento nell’effetto di pignoramento generale prodotto dal fallimento stesso (cfr. artt. 42 e ss. L. fall.) e, specificamente, nell’art. 2917 cod. civ., che rende insensibile il credito del fallito a cause estintive sopravvenute. Il principio, nella sua larghezza, trova applicazione indifferentemente a crediti scaduti e non scaduti alla data del concorso, pur essendo menzionato dall’art. 56, comma 2, L. fall. soltanto per quanto concerne i secondi”: così Cass. n. 9528/2019 in motivazione. Si veda anche Cass. 14.5.2014, n. 10454, secondo cui, in sede di accertamento del passivo fallimentare del debitore ceduto, il cessionario di un credito concorsuale è tenuto a dare la prova che la cessione è stata stipulata anteriormente al fallimento soltanto ai fini di una eventuale compensazione (art. 56, 2° co., L. fall.) ovvero ai fini del voto in un eventuale concordato fallimentare (art. 127, u.c., L. fall.) [“mentre l’anteriorità o meno della cessione, con l’esigenza della data certa, verrà in rilievo soltanto ai fini previsti dai citati artt. 56 e 127 L. fall.”: così in motivazione Cass. 10454/2014], restando, altrimenti, opponibile al curatore anche se ha luogo nel corso della procedura; qualora, peraltro, il credito ceduto sia stato già ammesso al passivo, il cessionario dovrà limitarsi a seguire la procedura prevista dall’art. 115 L. fall. mentre, ove il credito non sia stato ancora ammesso al passivo, dovrà dare anche la prova del credito e della sua anteriorità al fallimento se venga in discussione la sua opponibilità).  In questi termini, va imprescindibilmente rimarcato che la s.r.l. ricorrente non ha provveduto né a dedurre in modo specifico né a fornire in ricorso “autosufficiente” riscontro (in particolare con il secondo e con il terzo motivo) dell’avvenuta cessione in suo favore da parte della “consorella” “G.” s.r.l. del credito asseritamente scaduto con atto scritto – al limite, pur siglato nell’anno antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” ma comunque – munito di data certa ex art. 2704, 1° co., cod. civ. anteriore alla medesima dichiarazione (la ricorrente si è limitata essenzialmente ad addurre che, ai fini dell’applicabilità del 2° co. dell’art. 56 L. fall., l’unica circostanza che rileva è I’ “anteriorità del fatto genetico del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento” (così ricorso, pag. 14) e che le surriferite pronunce n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte di Bologna “eliminano in nuce ogni eventuale dubbio sulla esistenza del credito e quindi a maggior ragione sul fatto genetico del medesimo e sulla sua anteriorità alla ammissione della debitrice alla procedura di amministrazione straordinaria” (così ricorso, pagg. 17 – 18)).  Si badi che il difetto di specificità e di “autosufficiente” riscontro in ordine alla data “certa” (antecedente la dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.”) della cessione operata in favore della ricorrente da parte della “G.” s.r.l. rileva in modo precipuo. Sia a fronte della ratio, in parte qua decidendi, dell’impugnato dictum. Invero, il tribunale aveva ritenuto che non vi erano margini per far luogo alla compensazione, siccome “la cessione del credito sarebbe avvenuta dopo che la debitrice venne ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria” (così sentenza d’appello, pag. 3, ove è riprodotto testualmente il trascritto passaggio della motivazione del primo dictum). Ed, a sua volta, la corte d’appello ha reputato il surriferito passaggio motivazionale corretto e condivisibile, in quanto la compensazione è preclusa anche per i crediti acquistati dopo la dichiarazione di fallimento, siccome l’acquisto del credito, tra l’altro, dopo il fallimento “si presume fatto proprio al fine di evitare il pagamento da parte del cessionario di un suo debito” (così sentenza d’appello, pag. 3). Sia a fronte della prospettazione della controricorrente, secondo cui l’atto di cessione del credito intercorso tra la “G.” s.r.l. e la “G. T.” s.r.l. è stato concluso successivamente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” (cfr. controricorso, pag. 8). D’altronde, se è stata la cedente, “G.” s.r.l. ad essere ammessa, in virtù delle sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte di Bologna, al passivo dell’amministrazione straordinaria della “C.” soc. coop. a resp. lim., deve supporsi, ragionevolmente, che la cessione delle ragioni creditorie ha fatto seguito, al più presto, alla proposizione delle domande della “G.” di ammissione al passivo e, quindi, all’ammissione della “C.” alla procedura di amministrazione straordinaria.  Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co. n. 4, cod. proc. civ. il vizio di ultrapetizione correlato alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1278 cod. civ. e degli artt. 112, 163, 183, 6° co., 633, 639 e 645, 2° co., cod. proc. civ. deduce che la conversione in moneta legale è una facoltà del debitore, sicché l’amministrazione straordinaria della “C.” avrebbe dovuto richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo in dollari U.S.A. con indicazione della possibilità alternativa del pagamento in valuta nazionale. Deduce che la somma di cui all’ingiunzione di pagamento è stata determinata senza alcun collegamento con la data di esigibilità del credito. Il quarto motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto. Senza dubbio nell’ipotesi regolata dall’art. 1278 cod. civ. (debito di somma di monete non aventi corso legale) oggetto dell’obbligazione è la moneta estera, ma è in facultate solutionis il pagamento in moneta avente corso legale nel luogo all’uopo stabilito, secondo il cambio ufficiale del giorno della scadenza del debito (cfr. Cass. 17.5.1983, n. 3414). Tuttavia, la ricorrente non ha enunciato quale specifico pregiudizio le è derivato dalla circostanza per cui l’amministrazione straordinaria della “C.” non ha domandato l’emissione dell’ingiunzione in moneta non avente corso legale. Ciò tanto più che la corte distrettuale ha puntualizzato che il tribunale aveva fatto riferimento al cambio dollaro U.S.A./euro alla data di scadenza delle obbligazioni, sicché la conversione era stata oggetto di una mera operazione matematica in nessun modo censurabile. Evidentemente, in tal guisa, alla luce dell’insegnamento di questa Corte a tenor del quale l’interesse all’impugnazione va apprezzato in relazione all’utilità concreta che possa derivare dall’accoglimento del gravame (cfr. Cass. sez. lav. 11.7.2014, n. 16016; Cass. sez. lav. 14.12.1996, n. 11180), è da ritenere che la ricorrente non ha, appunto, dato conto dell’interesse ad impugnare – con il quarto mezzo – il passaggio motivazionale con cui la corte territoriale ha respinto il terzo motivo d’appello.  In dipendenza del rigetto del ricorso la s.r.l. ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 1 dicembre 2021, n. 37734

sul ricorso n. 1861 – 2017 R.G. proposto da:

G. T. s.r.l.  in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Pontefici, n. 3, presso lo studio dell’avvocato Marco Giuliani che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Giorgio Borelli la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.

RICORRENTE

contro C. soc. coop. a resp. lim. in amministrazione straordinaria, in persona dei commissari straordinari, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Marianna Dionigi, n. 57, presso lo studio dell’avvocato Gabriele A. Veltri che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso.

CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza n. 980/2016 della Corte d’Appello di Bologna,

udita la relazione nella camera di consiglio del 7 settembre 2021 del consigliere dott. Luigi Abete

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Ferrara, su ricorso dell’amministrazione straordinaria della “C.” soc. coop. a resp. lim., ingiungeva alla “G. T.” s.r.l. il pagamento alla ricorrente della somma di euro 188.313,53 oltre interessi.

2. Si opponeva, con citazione notificata il 22.2.2006, la “G. T.”.

Eccepiva in compensazione il credito acquistato dalla “G.” s.r.l., agente di commercio della cooperativa in amministrazione straordinaria. Eccepiva l’erronea conversione in euro del credito in dollari U.S.A. Instava per la revoca dell’ingiunzione.

3. Si costituiva l’amministrazione straordinaria della “C.”. Deduceva l’inefficacia della compensazione ai sensi degli artt. 45 e 56 L. fall. instava per il rigetto dell’opposizione.

4. Con sentenza dei 17/25.1.2011 il tribunale rigettava l’opposizione.

5. Proponeva appello la “G. T.” s.r.l. Resisteva l’amministrazione straordinaria della “C.”.

6. Con sentenza n. 980/2016 la Corte d’Appello di Bologna rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “G. T.” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi, di cui il primo in forma duplice articolato, la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese.

L’amministrazione straordinaria della “C.” soc. coop. a resp. lim. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

8. La controricorrente ha depositato memoria.

9.1. Con il primo profilo del primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co. n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. anche in relazione all’art. 2907 cod. civ, all’art. 99 cod. proc. civ. ed all’art. 111 Cost. Deduce che in comparsa conclusionale, in seconde cure, l’amministrazione straordinaria della “C.” ha condiviso ed ha inteso riconoscere il diritto di essa ricorrente alla compensazione.

Deduce che la corte d’appello non ha considerato tale circostanza, idonea a determinare, in parte qua, la cessazione della materia del contendere.

9.2. Con il secondo profilo del primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co. n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza impugnata per extra e/o ultrapetizione e per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. anche in relazione all’art. 2907 cod. civ, agli artt. 103, 2° co. e 104, 2° co., cod. proc. civ. ed all’art. 111 Cost. deduce, sub specie di “error in procedendo”, le medesime doglianze addotte con il primo profilo del primo motivo.

10. Il primo motivo, con riferimento ad ambedue le sue articolazioni, è privo di fondamento e va respinto.

11. Innegabilmente, sul terreno dell’amministrazione ex d.lgs. n. 270 dell’8.7.1999, il potere di far luogo alla ricognizione dei diritti di terzi, nella specie del diritto della “G. T.” s.r.l. di far luogo all’invocata compensazione, spetta al commissario straordinario – nella specie ai commissari straordinari – cui, ai sensi dell’art. 40, 1° co. del d.lgs. cit., e devoluto il potere di gestione dell’impresa insolvente nonché il potere di amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente (sul terreno del fallimento, ai sensi dell’art. 35 L. fall. il potere di ricognizione dei diritti dei terzi spetta al curatore fallimentare previa autorizzazione del comitato dei creditori e, se del caso, previa informativa del giudice delegato).

Pertanto, nessuna valenza ricognitiva ovvero di riconoscimento del diritto preteso da “G. T.” può essere attribuita alle argomentazioni difensive di cui alla comparsa conclusionale di seconde cure dell’amministrazione straordinaria della “C.”, siccome ed in quanto sottoscritta unicamente dal difensore – avvocato Stefano Lamberti – della stessa “C.” (cfr. ricorso, pag. 6).

12. A nulla rileva poi che la corte distrettuale ha, al riguardo, omesso ogni valutazione.

E’ sufficiente il rinvio all’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame; in tal caso la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, 2° co., Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 cod. proc. civ. di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda [è senza dubbio il caso di cui al ricorso in esame] ulteriori accertamenti in fatto (cfr. Cass. sez. un. 2.2.2017, n. 2731).

13. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co. n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 L. fall. anche in relazione all’art. 12 delle preleggi ed agli artt. 1260, 1264 e 1376 cod. civ.

Deduce che il credito oggetto di cessione era indiscutibilmente scaduto in epoca antecedente all’ammissione della “C.” alla procedura di amministrazione straordinaria, così come si desume dalle sentenze pronunciate dalla Corte d’Appello di Bologna in merito ai gravami proposti avverso le sentenze pronunciate dal Tribunale di Ferrara con riferimento all’ammissione al passivo dei crediti della “G.” s.r.l.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co. n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 L. fall. in relazione all’art. 45 I. fall. ed agli artt. 1260, 1264 e 1376 cod. civ. Deduce che la corte di merito ha erroneamente correlato l’art. 56 L. fall. all’art. 45 I. fall. deduce che l’art. 45 L. fall. non è riferibile alla cessione del credito, siccome la cessione del credito si perfeziona con l’accordo tra cedente e cessionario e la notificazione al debitore ceduto non è volta a rendere opponibile la cessione ai terzi, bensì è volta a consentire al debitore ceduto di far luogo correttamente al pagamento.

15. Il secondo motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto.

E, ben vero, le ragioni che inducono alla sua reiezione, esplicano un’indubbia valenza assorbente in relazione alle doglianze prospettate con il terzo motivo, sì che rendono – di tale mezzo – del tutto vana la disamina (cfr. memoria controricorrente, pag. 6, ove si puntualizza che la pronuncia n. 9528/2019 di questa Corte – di cui si dirà – ha una portata dirimente che “consente di ritenere superato anche il terzo motivo di ricorso.

16. Evidentemente occorre procedere dal disposto del 2° co. dell’art. 56 L. fall. (il cui dettato senza dubbio si riflette – in virtù del duplice rinvio disposto dall’art. 36 del d.lgs. n. 270/1999, tra gli altri, all’art. 201 L. fall. [scritto in tema di liquidazione coatta amministrativa] e dall’art. 201 L. fall., tra gli altri, agli artt. 51 e ss. L. fall. – sul terreno dell’amministrazione straordinaria ex d.lgs. n. 270 dell’8.7.1999).

Ai sensi dell’art. 56, 2° co., L. fall. “per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore”. Trattasi innegabilmente di prefigurazione che circoscrive gli ampi margini di operatività della compensazione che il disposto del 1° co. del medesimo articolo assicura (“i creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.

17. Si è assunto, argomentando a contrario dalla prefigurazione del 2° co. dell’art. 56 L. fall., che il cessionario di credito scaduto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento ben può chiederne la compensazione con un credito nei suoi confronti vantato dal fallito (ovvero dall’imprenditore in amministrazione straordinaria), ancorché la cessione sia avvenuta nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. 2.10.1989, n. 3955) ovvero, per giunta, in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento (cfr. Corte costituzionale 2.10.1997, n. 431, secondo cui non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, 2° co., L. fall., con riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non esclude che possano essere compensati con i debiti verso il fallito anche i crediti scaduti vantati nei suoi confronti che siano stati acquistati per atto fra vivi nell’anno anteriore al fallimento: la distinzione operata, con riguardo ai crediti acquistati per atto tra vivi nel medesimo periodo di tempo, tra crediti non scaduti (espressamente esclusi dalla compensazione) e crediti scaduti, non dà luogo ad una incongruenza dal punto di vista logico-giuridico, visto che la suddetta differenza di trattamento trova plausibile spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai crediti scaduti prima del fallimento l’effetto estintivo proprio della compensazione deve intendersi realizzato anteriormente alla dichiarazione di fallimento).

18. Tuttavia, pur in questi termini – anche ad ammettere che la s.r.l. ricorrente abbia specificamente addotto in sede di merito la circostanza dell’avvenuta scadenza in epoca antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” del credito cedutole ed opposto in compensazione, circostanza che in verità non rinviene riflesso nell’impugnata statuizione e, segnatamente, nell’illustrazione dei motivi d’appello (cfr. sentenza d’appello, pag. 2) – non può non darsi atto che la prospettazione della “G. T.” circa l’avvenuta scadenza in epoca precedente la dichiarazione dello stato di insolvenza non è, nell’esperito ricorso per cassazione, oggetto di idonea “autosufficiente” deduzione. Del resto, la controricorrente ha debitamente posto in risalto come “non vi sia alcuna evidenza dei pretesi caratteri di certezza, liquidità e soprattutto di esigibilità dell’intero credito ceduto” (così controricorso, pag. 8).

Comunque, non hanno specifica valenza, ai fini della prospettata scadenza del credito ceduto in epoca antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.”, le sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte d’Appello di Bologna, intervenute, entrambe, tra la “G.” s.r.l. e la “C.” in amministrazione straordinaria, sentenze con le quali la “G.” è stata ammessa al passivo dell’amministrazione straordinaria della “C.” per il credito di euro 110.500,23 in chirografo (trattasi della sentenza n. 1366/2015) nonché per i crediti di euro 124.407,01 e di euro 70.348,68, rispettivamente, in privilegio ed in chirografo (trattasi della sentenza n. 739/2015). Invero, le sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 sono state riprodotte solo e limitatamente alle intestazioni e ai dispositivi (cfr. ricorso, pagg. 16 e 17).

19. In ogni caso, la possibilità di far luogo alla compensazione del credito scaduto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento, pur nell’evenienza in cui la cessione (del credito) sia avvenuta in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, risulta indiscutibilmente disconosciuta dalla più recente elaborazione di questa Corte. In particolare, con l’ordinanza n. 9528 del 4.4.2019 questa Corte ha affermato che il terzo “in bonis” non può eccepire, ex art. 56, 2° co., L. fall., la compensazione tra un proprio debito verso il fallito con un credito, scaduto anteriormente alla dichiarazione di fallimento, di cui, però, il primo sia divenuto titolare, per atto di cessione tra vivi, dopo l’apertura del concorso (“la disposizione, testualmente riferita al solo , deve, dunque, estendersi per coerenza sistematica anche al credito scaduto, nonostante l’equivoco tenore letterale e la mescolanza nel corpo del comma 2 dell’art. 56 di due ipotesi (acquisto nell’anno anteriore; acquisto post fallimentare) del tutto eterogenee nella ratio e nell’ambito applicativo. In altri termini, l’inammissibilità della compensazione per crediti sorti o acquistati dopo la dichiarazione di fallimento trova fondamento nell’effetto di pignoramento generale prodotto dal fallimento stesso (cfr. artt. 42 e ss. L. fall.) e, specificamente, nell’art. 2917 cod. civ. che rende insensibile il credito del fallito a cause estintive sopravvenute. Il principio, nella sua larghezza, trova applicazione indifferentemente a crediti scaduti e non scaduti alla data del concorso, pur essendo menzionato dall’art. 56, comma 2, L. fall. soltanto per quanto concerne i secondi”: così Cass. n. 9528/2019 in motivazione.

Si veda anche Cass. 14.5.2014, n. 10454, secondo cui, in sede di accertamento del passivo fallimentare del debitore ceduto, il cessionario di un credito concorsuale è tenuto a dare la prova che la cessione è stata stipulata anteriormente al fallimento soltanto ai fini di una eventuale compensazione (art. 56, 2° co. L. fall.) ovvero ai fini del voto in un eventuale concordato fallimentare (art. 127, u.c., L. fall.) [“mentre l’anteriorità o meno della cessione, con l’esigenza della data certa, verrà in rilievo soltanto ai fini previsti dai citati artt. 56 e 127 L. fall.”: così in motivazione Cass. 10454/2014], restando, altrimenti, opponibile al curatore anche se ha luogo nel corso della procedura; qualora, peraltro, il credito ceduto sia stato già ammesso al passivo, il cessionario dovrà limitarsi a seguire la procedura prevista dall’art. 115 L. fall., mentre, ove il credito non sia stato ancora ammesso al passivo, dovrà dare anche la prova del credito e della sua anteriorità al fallimento se venga in discussione la sua opponibilità).

20. In questi termini, va imprescindibilmente rimarcato che la s.r.l. ricorrente non ha provveduto né a dedurre in modo specifico né a fornire in ricorso “autosufficiente” riscontro (in particolare con il secondo e con il terzo motivo) dell’avvenuta cessione in suo favore da parte della “consorella” “G.” s.r.l. del credito asseritamente scaduto con atto scritto – al limite, pur siglato nell’anno antecedente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” ma comunque – munito di data certa ex art. 2704, 1° co., cod. civ. anteriore alla medesima dichiarazione (la ricorrente si è limitata essenzialmente ad addurre che, ai fini dell’applicabilità del 2° co. dell’art. 56 L. fall., l’unica circostanza che rileva è I’ “anteriorità del fatto genetico del credito rispetto alla dichiarazione di fallimento” (così ricorso, pag. 14) e che le surriferite pronunce n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte di Bologna “eliminano in nuce ogni eventuale dubbio sulla esistenza del credito e quindi a maggior ragione sul fatto genetico del medesimo e sulla sua anteriorità alla ammissione della debitrice alla procedura di amministrazione straordinaria” (così ricorso, pagg. 17 – 18)).

21. Si badi che il difetto di specificità e di “autosufficiente” riscontro in ordine alla data “certa” (antecedente la dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.”) della cessione operata in favore della ricorrente da parte della “G.” s.r.l. rileva in modo precipuo. Sia a fronte della ratio, in parte qua decidendi, dell’impugnato dictum. Invero, il tribunale aveva ritenuto che non vi erano margini per far luogo alla compensazione, siccome “la cessione del credito sarebbe avvenuta dopo che la debitrice venne ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria” (così sentenza d’appello, pag. 3, ove è riprodotto testualmente il trascritto passaggio della motivazione del primo dictum). Ed, a sua volta, la corte d’appello ha reputato il surriferito passaggio motivazionale corretto e condivisibile, in quanto la compensazione è preclusa anche per i crediti acquistati dopo la dichiarazione di fallimento, siccome l’acquisto del credito, tra l’altro, dopo il fallimento “si presume fatto proprio al fine di evitare il pagamento da parte del cessionario di un suo debito” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Sia a fronte della prospettazione della controricorrente, secondo cui l’atto di cessione del credito intercorso tra la “G.” s.r.l. e la “G. T.” s.r.l. è stato concluso successivamente alla dichiarazione dello stato di insolvenza della “C.” (cfr. controricorso, pag. 8).

22. D’altronde, se è stata la cedente, “G.” s.r.l. ad essere ammessa, in virtù delle sentenze n. 1366/2015 e n. 739/2015 della Corte di Bologna, al passivo dell’amministrazione straordinaria della “C.” soc. coop. a resp. lim. deve supporsi, ragionevolmente, che la cessione delle ragioni creditorie ha fatto seguito, al più presto, alla proposizione delle domande della “G.” di ammissione al passivo e, quindi, all’ammissione della “C.” alla procedura di amministrazione straordinaria.

23. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 4, cod. proc. civ. il vizio di ultrapetizione correlato alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1278 cod. civ. e degli artt. 112, 163, 183, 6° co., 633, 639 e 645, 2° co., cod. proc. civ. deduce che la conversione in moneta legale è una facoltà del debitore, sicché l’amministrazione straordinaria della “C.” avrebbe dovuto richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo in dollari U.S.A. con indicazione della possibilità alternativa del pagamento in valuta nazionale. Deduce che la somma di cui all’ingiunzione di pagamento è stata determinata senza alcun collegamento con la data di esigibilità del credito.

24. Il quarto motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto.

25. Senza dubbio nell’ipotesi regolata dall’art. 1278 cod. civ. (debito di somma di monete non aventi corso legale) oggetto dell’obbligazione è la moneta estera, ma è in facultate solutionis il pagamento in moneta avente corso legale nel luogo all’uopo stabilito, secondo il cambio ufficiale del giorno della scadenza del debito (cfr. Cass. 17.5.1983, n. 3414). Tuttavia, la ricorrente non ha enunciato quale specifico pregiudizio le è derivato dalla circostanza per cui l’amministrazione straordinaria della “C.” non ha domandato l’emissione dell’ingiunzione in moneta non avente corso legale. Ciò tanto più che la corte distrettuale ha puntualizzato che il tribunale aveva fatto riferimento al cambio dollaro U.S.A./euro alla data di scadenza delle obbligazioni, sicché la conversione era stata oggetto di una mera operazione matematica in nessun modo censurabile.

Evidentemente, in tal guisa, alla luce dell’insegnamento di questa Corte a tenor del quale l’interesse all’impugnazione va apprezzato in relazione all’utilità concreta che possa derivare dall’accoglimento del gravame (cfr. Cass. sez. lav. 11.7.2014, n. 16016; Cass. sez. lav. 14.12.1996, n. 11180), è da ritenere che la ricorrente non ha, appunto, dato conto dell’interesse ad impugnare – con il quarto mezzo – il passaggio motivazionale con cui la corte territoriale ha respinto il terzo motivo d’appello.

26. In dipendenza del rigetto del ricorso la s.r.l. ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

27. Ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis, d.p.r. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente, “G. T.” s.r.l., a rimborsare alla controricorrente, amministrazione straordinaria della “C.” s.c. a r.I., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in euro 5.500,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e cassa come per legge;

ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater, d.p.r. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, 1° co. bis, d.p.r. cit., se dovuto. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 7 settembre 2021.

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