CASSAZIONE

Non c’è reato se le fatture “occultate” si possono facilmente ricostruire

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22126 dell’8 maggio 2017, si è pronunciata nuovamente in relazione alla fattispecie penale di occultamento delle scritture contabili, reato previsto e punito dall’art. 10 del D.Lgs. 74/2000, stabilendo che non c’è reato penale se il reddito del contribuente può ugualmente essere ricostruito, purché sia rispettata la stessa data e numerazione delle fatture e gli importi fatturati.

Più in particolare, ai fini del presente intervento, si ritiene interessante focalizzare il punto dove si è fermata l’attenzione dei giudici della Suprema corte quando hanno affermato che tale reato richiede una particolare volontà del contribuente, il cosiddetto “dolo specifico”, cioè quello di perseguire volontariamente il fine dell’evasione delle imposte.

Nel corso di una verifica fiscale il mancato rinvenimento delle scritture contabili del contribuente comporta conseguenze sia sul piano tributario che su quello penale: in particolare, è noto che la mancata tenuta delle scritture contabili consente all’ufficio accertatore di procedere alla ricostruzione induttiva del reddito.

Affinché si configuri una fattispecie penalmente rilevante non è sufficiente “occultare” e comunque “distruggere” le scritture contabili, se le stesse sono tuttavia facilmente reperibili oppure, ancorché distrutte, sostituibili con gli elementi desumibili da altri appunti rinvenuti: occorre che la condotta del soggetto agente sia cosciente, volontaria e abbia caratteristiche strutturali tali da poter essere considerata “impeditiva” della ricostruzione e, comunque, deve essere volta al fine di evadere le imposte.

Il principale problema resta quello della possibilità o impossibilità di ricostruire o meno il reddito e il volume di affari, aspetti sui quali la giurisprudenza si è nel tempo pronunciata assumendo una posizione spesso contraria al contribuente, soprattutto in quei casi in cui persiste una oggettiva impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o i redditi.

Perché si configuri il reato in questione, secondo la linea interpretativa della Corte di Cassazione, non è richiesta un’impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi: è sufficiente anche un’impossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire in altro modo. Del resto, all’interno della norma – il citato art. 10, D.Lgs. n. 74/2000 – vi è distinzione tra le condotte di distruzione e quelle di occultamento di documenti contabili obbligatori; infatti, mentre il delitto di distruzione configura un reato istantaneo, perfezionandosi nel momento in cui la documentazione viene eliminata, il delitto di occultamento è un reato permanente e la cessazione della permanenza si verifica per effetto della spontanea interruzione dell’azione criminosa da parte dell’imprenditore reo che esibisce la documentazione ai verificatori.

Una recente pronunzia però, la sentenza n. 41830 del 19 ottobre 2015, pur muovendosi coerentemente con questa linea interpretativa, evidenziava tuttavia l’importanza della configurazione del dolo specifico per la determinazione della configurabilità del reato.

La ratio della norma (il citato art. 10, D.Lgs. 74/2000), proseguivano i Supremi Giudici, è quella di responsabilizzare l’imprenditore che è obbligato a conservare i documenti contabili inerenti l’attività d’impresa in modo da consentire in qualsiasi momento all’Amministrazione finanziaria la ricostruzione analitica dell’imponibile fiscale, escluso qualsiasi riferimento a una impossibilità assoluta di procedere a tale ricostruzione.

Tornando al caso di specie, gli Ermellini hanno pertanto ritenuto che se questa finalità di dolo non sussiste, conseguentemente, non c’è neanche la responsabilità penale. Infatti, ha precisato la Suprema Corte, “Il reato in oggetto è a dolo specifico (“al fine di evadere le imposte”, vedi cassazione Sez. 3, n. 20786 del 18/04/2002 – dep. 28/05/2002, Russo, Rv. 221616), e quindi la motivazione dovrebbe adeguatamente dar conto dell’accertamento in concreto dell’elemento soggettivo del reato. Nel nostro caso la particolare situazione della presenza delle fatture dalla n. 1 alla 37 e poi la n. 46, e il limitato volume di affari (circa € 280,00 a fattura) imponeva, al giudice di merito, un accertamento e una motivazione consona sul dolo specifico di evasione. Pertanto il giudice del rinvio dovrà accertare e fornire adeguata motivazione anche dell’offensività della condotta, in relazione alla vista situazione particolare, presenza di alcune fatture e assenza di poche fatture, per altro per pochi €; con agevole ricostruzione del reddito con la documentazione esistente. In tema di reati tributari, infatti, il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili (art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta. (Sez. 3, n. 3057 del 14/11/2007 – dep. 21/01/2008, Lanieri, Rv. 238615

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 22126 dell’8 maggio 2017

Ritenuto in fatto

  1. La Corte d’Appello di Palermo con sentenza del 3 ottobre 2014, ha confermato la sentenza del tribunale di Palermo (19 marzo 2013) che aveva condannato W.Q., alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre pene accessorie, in relazione al reato di cui all’art. 10, del d. Igs. n. 74 del 2000, accertato in Palermo il 1/04/2010.
  2. W.Q. propone ricorso per Cassazione personalmente deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
  3. 1. Erronea applicazione della norma penale (art. 10 d. Igs. 74 del 2000) e vizio di motivazione circa la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato.

Nel caso in giudizio i verificatori della guardia di finanza hanno rinvenuto le fatture dalla n. 1 alla 37, nonché la fattura n. 47 datata 30 dicembre 2009. Quindi è stato agevole dimostrare e ritenere l’emissione delle fatture dalla n. 38 alla 46, per il periodo 10 ottobre – 30 dicembre 2009. Con la media dell’importo delle fatture si è agevolmente ricostruito il reddito.

Conseguentemente nel caso in esame difetta un rilevante grado di impossibilità di ricostruzione del reddito e del volume d’affari, l’imputata doveva assolversi perché il fatto non sussiste.

  1. 2. Insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, art. 606, comma 1, lettera B ed E del cod. proc. pen.

Sul motivo sub 2 dell’atto di appello (elemento psicologico del reato) vi è omessa pronuncia della Corte di appello. Il reato di cui all’art. 10 della legge n. 74 del 2000 richiede il dolo specifico di evasione; il numero limitato delle fatture, 9, e l’importo di soli € 281,48 per fattura, ed il periodo di soli 2-3 mesi, depongono per l’insussistenza del dolo specifico di evasione. L’esibizione della fattura n. 47 lo dimostra.

Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve annullarsi con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.

Il reato in oggetto è a dolo specifico (“al fine di evadere le imposte”, vedi cassazione Sez. 3, n. 20786 del 18/04/2002 – dep. 28/05/2002, Russo, Rv. 221616), e quindi la motivazione dovrebbe adeguatamente dar conto dell’accertamento in concreto dell’elemento soggettivo del reato. Nel nostro caso la particolare situazione della presenza delle fatture dalla n. 1 alla 37 e poi la n. 46, e il limitato volume di affari (circa € 280,00 a fattura) imponeva, al giudice di merito, un accertamento e una motivazione consona sul dolo specifico di evasione.

Pertanto il giudice del rinvio dovrà accertare e fornire adeguata motivazione anche dell’offensività della condotta, in relazione alla vista situazione particolare, presenza di alcune fatture e assenza di poche fatture, per altro per pochi €; con agevole ricostruzione del reddito con la documentazione esistente.

In tema di reati tributari, infatti, il reato di distruzione od occultamento di documenti contabili (art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) non è configurabile quando il risultato economico delle operazioni prive della documentazione obbligatoria può essere ugualmente accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore interessato, in quanto in tal caso manca la necessaria offensività della condotta. (Sez. 3, n. 3057 del 14/11/2007 – dep. 21/01/2008, Lanieri, Rv. 238615).

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.

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