EUROPA

No della Ue al divieto totale sulla sharing economy

Uno dei tanti aspetti della crisi economica è che ha portato a cercare di arrotondare le proprie entrate con altre fonti di reddito o con nuove opportunità di acquisto a costi più contenuti.

Fenomeno tutto sommato abbastanza recente e ancora in evoluzione, ma in continuo sviluppo, per il quale la tecnologia digitale è un supporto indispensabile, l’economia condivisa è stata da qualcuno definita come il risultato di una sorta di connubio tra vari aspetti di quello che potrebbe essere considerato un nuovo sistema economico: basato su mercati e reti al di fuori dei circuiti tradizionali, che evita di avvalersi degli intermediari canonici, spazia dalla cosiddetta “economia della condivisione” (sharing economy) alla condivisione di veicoli (ridesharing), ai tassisti di Uber, alla stampa 3D. Un sistema economico che prova a far corrispondere richiesta e offerta tramite la collaborazione reciproca invece che attraverso l’acquisto da marchi, con un numero sempre crescente di beni e servizi che “si affrancano” – o, comunque, provano a farlo – dalle logiche e dalle dinamiche del mercato ma che, allo stesso tempo, può diventare una nuova fonte di business per le aziende che saranno capaci di interessare e coinvolgere nuovi protagonisti con nuove idee.

Di solito si tratta di servizi molto vantaggiosi in grado di mettere in contatto proprietari e utilizzatori ed ecco, allora, che si prova a condividere le cose che si possiedono e le competenze. Accade, ad esempio, con la banca del tempo, struttura che si occupa di far incontrare quanti vogliono mettere a disposizione della comunità le proprie conoscenze ottenendone in cambio altre: qualsiasi cosa si offra, l’unità di misura è proprio il tempo. Tra gli altri esempi di condivisione troviamo il noleggio (di abiti, attrezzi, ecc.) o, ancora, un modus vivendi presente in Gran Bretagna, chiamato Landshare, in base al quale il proprietario di un giardino mette a disposizione uno spazio nel quale un (più o meno) esperto concittadino coltiva dei prodotti che finiranno per essere cucinati e mangiati nelle rispettive cucine.

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Interviene l’Unione europea

Finora in Europa molti Stati membri hanno manifestato reazioni contrarie e assunto decisioni slegate riguardo alle piattaforme online che offrono servizi come i pasti a domicilio, il car sharing o l’affitto di una casa. Ed è proprio per cercare di equilibrare, armonizzandole, le decisioni prese dai Paesi membri sulle attività di società come Uber, Lyft, Upwork o Airbnb, che l’Unione Europea si esprime con delle linee guida giuridicamente non vincolanti ma con cui si potranno aprire procedure d’infrazione e rivolgersi alla Corte di giustizia europea. In particolare, per Bruxelles lo spartiacque da considerare è la distinzione tra chi mette a disposizione una sua proprietà occasionalmente e chi svolge tale attività professionalmente; inoltre, le nuove attività di sharing economy potranno essere vietate dagli stati nazionali solo come misura estrema.

Per illustrare meglio l’ordine sparso con cui si muove l’Europa è indicativo il caso forse più conosciuto, anche perché ha ottenuto le copertine di notiziari e quotidiani, quello di Uber. Bene, in Francia i servizi come Uber dall’inizio del 2015 sono illegali; nell’aprile dello stesso anno, a distanza di pochi di giorni, Uber fa ricorso alla Commissione europea contro la disposizione francese e contro la normativa tedesca. Anche in Italia dal 2015 i servizi Uber sono vietati. Sono invece considerati legali il servizio di carpooling della francese Blablacar, i servizi di carsharing e bikesharing e di affitto di case come Airbnb. In Spagna nello scorso mese di marzo Uber apre il servizio Uber X: i conducenti sono equiparati ai servizi di noleggio con conducente (NCC) e quindi con licenza.

Attualmente la normativa è allineata alle precedenti direttive Ue sui servizi e l’e-commerce, dunque non hanno una valenza legalmente vincolante, ma da ora in poi potranno fungere da parametro di riferimento per analizzare, ad esempio, i ricorsi presentati da Uber e non è da escludere che potrebbero addirittura dare il via a eventuali procedure di infrazione presso la Corte europea di giustizia: nello specifico – come già detto – Uber ha intentato una causa contro il provvedimento che ha subito in Germania, Spagna e Francia, nella quale, per l’appunto, afferma che le regole del settore dei trasporti di questi Paesi violano la normativa Ue.

Il Vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, ha chiarito che è compito dell’Unione, “incoraggiare un ambiente regolamentatorio che permetta a nuovi modelli di business di svilupparsi e allo stesso tempo di proteggere i consumatori e assicurare una tassazione e condizioni di occupazione eque”, ragion per cui si suggerisce di “stabilire soglie minime sotto cui un’attività economica possa essere considerata un’attività non professionale tra pari senza dover rispettare gli stessi requisiti applicabili a un fornitore di servizi che opera su base professionale”: l’obiettivo è di schivare il rischio di incappare “in una contraddizione che potrebbe produrre un impatto negativo sulla crescita economica del loro Paese”.

Intanto, secondo tali direttive il divieto totale di queste attività “deve essere solo una misura estrema”, per cui gli Stati membri devono operare delle distinzioni, perché “Bisogna distinguere tra chi affitta la propria casa o mette a disposizione l’auto per arrotondare le entrate e chi ne fa un mestiere a tempo pieno”. In proposito la Commissaria Ue al mercato interno, Elzbieta Bienkowska, ha dichiarato: “Invitiamo gli Stati membri a rivedere le loro regolamentazioni alla luce di queste linee guida e siamo pronti a sostenerli in questo processo”.

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Il consenso dei consumatori

L’adozione delle linee guida ha registrato il riscontro positivo dell’Unione Nazionale Consumatori: in proposito il Segretario, Massimiliano Dona, ha affermato che “I servizi tecnologici per la mobilità consentono di intercettare una domanda di servizi che non intercettano i tassisti. Si tratta, quindi, di stabilire le regole del gioco, ampliando l’offerta per il consumatore”. I dati pubblicati proprio dall’Unc dicono che le piattaforme di sharing sono il mezzo preferito, di sera, dal 17% dei consumatori, in particolare per quelli di età compresa tra i 18 e i 40 anni, che sono il 22%.

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