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Sisma 2016-2017 e versamento delle ritenute sospese. Il messaggio INPS n. 4478 dello scorso 2 dicembre contiene le nuove regole per la ripresa dell’obbligo del versamento delle ritenute fiscali sospese per gli eventi sismici che negli anni 2016

e 2017 colpirono i territori di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo. In seguito alle modifiche introdotte dai decreti legge 111 e 123 del 2019, è stata prorogata al 15 gennaio 2020 la scadenza entro cui i cittadini che hanno chiesto e ottenuto la sospensione delle ritenute fiscali sono tenuti a versare le somme oggetto di sospensione in unica soluzione, senza sanzioni e interessi; quelli che, invece, vorranno beneficiare della rateizzazione senza sanzioni e interessi, fino a un massimo di 120 rate mensili di pari importo, sempre entro il 15 gennaio 2020 dovranno farne richiesta all’INPS e pagare la prima rata. Per le richieste presentate dopo questa data il numero delle rate sarà ridotto del corrispondente numero dei mesi di ritardo: il versamento delle ritenute relative a periodi antecedenti la richiesta resta di esclusiva competenza dell’interessato, compreso il versamento di sanzioni e interessi previsti per legge. Per le richieste già accolte dall’Istituto al 14 ottobre 2019 resta valida la rateizzazione richiesta e ottenuta, alla quale si applica, inoltre, il beneficio della riduzione al 40% previsto dalla norma. Nei casi in cui l’importo delle ritenute dovute sia già stato trattenuto per intero o in percentuale superiore al 40%, l’INPS restituirà d’ufficio la somma eccedente sulla prima rata utile. Nel messaggio si ricorda, infine, che presso la struttura territorialmente competente si può presentare la revoca della domanda di ripresa dei versamenti già accolta: in questo caso rimane a carico del contribuente l’obbligo di effettuare in via definitiva i versamenti di ritenute sospese residue direttamente all’Erario.

Cassazione, la cartella esattoriale in pdf notificata via Pec è valida. C’è stata la prima ordinanza della Corte di Cassazione sulla validità delle cartelle esattoriali notificate per posta elettronica certificata (n. 30948, Quinta Sezione Civile, depositata il 27 novembre 2019); in particolare, si tratta dell’allegato in pdf, finora considerato da molti giudici come una fotocopia e quindi non in grado di assicurare l’autenticità del documento informatico. E’ un obbligo di legge che impone a professionisti, società e imprese di avere un indirizzo Pec per ricevere comunicazioni e atti ufficiali della Pubblica amministrazione, come possono essere avvisi di accertamento fiscale e sanzioni amministrative, cartelle di pagamento e multe stradali, oltre all’onere di controllare quotidianamente la propria casella. Quindi, ecco che fioccano le notifiche via Pec, da parte di Agenzia Entrate Riscossione, delle cartelle esattoriali, con tutte le indicazioni e le notizie contenute in un file pdf allegato all’email. Proprio quest’ultimo è stato causa di numerose pronunce di nullità in primo e secondo grado, presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali, motivate dal formato considerato non valido, perché a quella che viene assimilata a una scannerizzazione, a una semplice copia (il formato pdf) non viene attribuita la dignità di documento informatico immodificabile, che viene invece garantita dal formato p7m: tale estensione assicura l’integrità e la non modificabilità del documento informatico, oltre a permettere a chi riceve la notifica di identificarne l’autore con la firma digitale. Anche a seguito degli standard europei adottati mediante il cosiddetto regolamento eIDAS per garantire una regola uniforme della firma digitale nell’Unione europea, i Paesi membri sono tenuti a riconoscere le firme digitali sia in formato p7m sia in pdf; inoltre, la società titolare del marchio Adobe ha firmato un protocollo che attribuisce al formato pdf la validità per la firma digitale come definita dal Cad, il Codice dell’amministrazione digitale. Secondo gli Ermellini, dunque – che accolgono le tesi di AER e respingono il ricorso di una società che aveva ricevuto la notifica telematica dell’atto di pagamento – non è necessario che l’allegato alla Pec notificata sia in formato p7m e la notifica della cartella è valida anche se effettuata allegando il pdf dell’originale. Inoltre, poiché nessuna norma di legge lo prescrive, non è necessaria neppure la firma digitale, considerato che come previsto dal Cad, all’art. 22, comma 3, “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta”.

Dichiarazione precompilata e invio dei dati al Sistema tessera sanitaria. Il decreto 284/2019 individua 19 nuovi soggetti obbligati a trasmettere i dati relativi alle spese sanitarie ai fini dell’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata da parte dell’Agenzia delle entrate; le spese sanitarie sono quelle sostenute dalle persone fisiche già a partire dal 1° gennaio 2019. I professionisti sanitari e i tecnici interessati sono quelli iscritti agli Albi della professione sanitaria di: tecnico sanitario di laboratorio biomedico; fisioterapista; tecnico ortopedico; tecnico audioprotesista; tecnico della riabilitazione psichiatrica; dietista; tecnico fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare; igienista dentale; tecnico audiometrista; di podologo; ortottista e assistente di oftalmologia; terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva; terapista occupazionale; tecnico di neurofisiopatologia; logopedista; educatore professionale; tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro; assistente sanitario; biologo. L’obbligo per queste 19 nuove categorie è dovuto all’istituzione e il riconoscimento di nuovi Albi e Organizzazioni derivanti dal riordino della disciplina degli Ordini delle professioni sanitarie. I dati delle spese sanitarie sostenute nel 2019 dai contribuenti devono essere inviati entro il 31 gennaio 2020, con le modalità di trasmissione e le specifiche tecniche contenute nei decreti del Mef 31 luglio 2015 e 27 aprile 2018. Dal 1° luglio 2020 anche per questi nuovi soggetti l’obbligo di memorizzazione e trasmissione dei corrispettivi avverrà esclusivamente mediante memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati.

Uso promiscuo, non deducibili rendita e costi di una seconda casa. In base all’art. 54, comma 3, del DPR n. 917/1986 (TUIR), è deducibile il 50% della rendita dell’immobile di proprietà utilizzato promiscuamente come abitazione e ufficio – 50% del relativo canone, se acquisito in locazione, anche finanziaria – purché il contribuente non disponga nello stesso Comune di un altro appartamento adibito esclusivamente alla propria attività professionale o artistica. La norma citata dispone che sono inoltre deducibili, sempre al 50%, le spese per i servizi relativi all’immobile e quelle relative alla sua ristrutturazione e manutenzione, che per le loro caratteristiche non sono imputabili a incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono. Un avvocato che disponeva di un immobile utilizzato esclusivamente per l’attività professionale, con alcune stanze affittate ad altri professionisti, aveva dedotto dal reddito imponibile i costi per un altro appartamento adibito a uso abitativo e professionale. A fronte della rettifica del reddito da parte delle Entrate, accolta peraltro dalle Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale competenti, il professionista ricorreva in Cassazione, ma l’appello subiva la stessa sorte. Con l’ordinanza 4 dicembre 2019, n. 31621, gli Ermellini respingevano il ricorso confermando la decisione del giudice di prime cure, affermando che la deducibilità deve essere condizionata al fatto che “il contribuente non disponga nel medesimo comune di un altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio della professione, circostanza esclusa nel caso di specie”. La deduzione in questione è riconosciuta nei soli casi in cui il professionista utilizza un bene immobile promiscuamente per l’esercizio dell’arte o della professione e per il proprio uso personale e familiare, subordinandola alla condizione che egli non disponga di un altro appartamento, ubicato nello stesso Comune, nel quale esercita esclusivamente l’attività professionale. Il contribuente che utilizza già un immobile per fini professionali non può dedurre i costi relativi a un secondo immobile che si trova nello stesso Comune anche adibito a uso promiscuo.

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