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Guerra e crisi energetica, i programmi. I ministri dell’Energia, con l’obiettivo di raggiungere un orientamento generale sulle proposte di modifica delle direttive sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica inserite nel pacchetto “Pronti per il 55%”, adotteranno un regolamento ad

hoc al fine di colmare le riserve di stoccaggio del gas dell’Unione europea prima del prossimo inverno. Altri argomenti di discussione saranno la situazione energetica nel contesto attuale influenzato dalla guerra in Ucraina: la riduzione delle emissioni di metano e le prestazioni energetiche nell’edilizia. Riguardo al settore dell’energia sono due le proposte: la revisione della direttiva sull’efficienza energetica e della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, nell’ambito del nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nell’Ue di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Inoltre, la Presidenza del Consiglio presenterà una relazione sui progressi compiuti in merito alla riduzione delle emissioni di metano.

L’indagine della BCE sulle previsioni per il secondo trimestre 2022. La guerra in Ucraina – ovviamente – rappresenta la ragione principale degli stravolgimenti subiti dalle previsioni macroeconomiche. Le aspettative di inflazione sono state riviste al rialzo per il 2022 (6%) e il 2023 (2,4%), ma restano invariate per il 2024 (all’1,9%). Riviste al ribasso anche le aspettative di crescita del PIL reale, come pure quelle sul tasso di disoccupazione. Per quanto riguarda la crescita del PIL, è stato rivisto al ribasso in particolare per il secondo trimestre (da 1,0% a 0,5%), ma nonostante questo quadro negativo le aspettative sul tasso di disoccupazione sono state ulteriormente riviste al ribasso, tra 0,1 e 0,3%: si prevede che il tasso di disoccupazione diminuirà dal 6,9% nel 2022 al 6,6% entro il 2026 al livello più basso degli ultimi 15 anni.

La direttiva Ue sul salario minimo. Il Parlamento europeo e gli Stati membri sono giunti a un’intesa provvisoria sulla direttiva relativa al salario minimo (presentata nel 2020), che non allinea tutti i sistemi nazionali e non ne impone l’introduzione, ma interviene sulla frequenza dell’aggiornamento della retribuzione minima e rafforza la contrattazione collettiva. La direttiva delinea le procedure per adeguare il salario minimo legale con aggiornamenti ripetuti, per rafforzare la contrattazione collettiva per la determinazione del salario e per facilitare l’accesso alla tutela per i lavoratori che hanno diritto a una retribuzione minima; inoltre, sono previste una serie di misure per migliorare l’attività di controllo degli ispettorati del lavoro e il miglioramento della capacità, da parte delle autorità, di perseguire i datori di lavoro che risultano non conformi. L’accordo raggiunto lo scorso 7 giugno dovrà essere approvato dal Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) per poi essere votato al Consiglio e al Parlamento Europeo; entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue, dopo di che i Paesi membri avranno 2 anni di tempo per recepirla nei loro ordinamenti nazionali, con l’obiettivo di favorire il dialogo tra le parti sociali e consolidare l’equità sociale e la tutela garantita della retribuzione minima. Gli Stati membri nei quali è prevista il salario minimo dovranno istituire un quadro che renda possibile determinare e aggiornare i salari, che dovrà prevedere, tra l’altro: criteri chiari per la determinazione, l’utilizzo di valori di riferimento indicativi, un aggiornamento periodico, almeno ogni 2 o 4 anni quelli con un meccanismo di indicizzazione automatica e il coinvolgimento delle parti sociali. In Italia, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Cipro non esistono regole sul salario minimo, ci si basa soltanto sulla contrattazione.

La rinuncia all’eredità è valida anche negli altri Paesi membri. Nella sentenza C‑617/20, depositata il 2 giugno 2022, la Corte di giustizia Ue si è pronunciata in merito alla successione mortis causa di un cittadino olandese la cui ultima residenza abituale era in Germania, rispondendo a un quesito relativo al fatto che la rinuncia all’eredità di due nipoti eredi, resa al giudice dei Paesi Bassi, potesse o meno considerarsi valida. Il tribunale tedesco competente per la successione era venuto a conoscenza dell’esistenza di questa rinuncia. I giudici europei hanno affermato che la dichiarazione di rinuncia resa da un erede all’organo giurisdizionale del proprio Stato di residenza abituale, nel rispetto dei requisiti previsti, è valida anche per il giudice tedesco competente a decidere sulla successione, a condizione che quest’ultimo ne sia venuto a conoscenza prima di pronunciarsi sulla successione.

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