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Brexit, ratificato dal Parlamento l’accordo con Londra. L’intesa sugli scambi e la cooperazione tra Gran Bretagna e Ue è stata approvata lo scorso 28 aprile a larga maggioranza dal Parlamento europeo, con 660 voti favorevoli, 5 contrari e 32 astensioni, che ratificano il via libera alle regole

delle future relazioni commerciali (a zero quote e zero tariffe) e di cooperazione, oltre alle garanzie sui principi per la concorrenza leale, che riguardano, tra l’altro, il traffico aereo, la protezione dei dati, i consumatori, l’energia e la pesca. Secondo la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’accordo (concluso dai negoziatori il 24 dicembre 2020) “pone le fondamenta di una partnership forte e stretta con il Regno Unito”, mentre il premier Boris Johnson ha dichiarato che assicurerà “stabilità alle nuove relazioni, in quanto partner commerciali vitali, stretti alleati e pari sovrani”. La storica decisione è accompagnata da una risoluzione politica, nella quale l’europarlamento, che pure ha accolto favorevolmente la conclusione dell’accordo che circoscrive le conseguenze negative della Brexit, considera l’uscita dell’Inghilterra un errore storico, poiché “nessun Paese terzo può godere degli stessi benefici di un Paese membro”. Una nota di disapprovazione, tuttavia, i deputati l’hanno espressa riguardo al rifiuto degli Inglesi di inserire nell’intesa anche la politica estera, di sicurezza e di sviluppo, oltre alla mancata partecipazione al programma di scambio educativo Erasmus+. Un altro aspetto negativo, presente nella risoluzione politica di accompagnamento, concerne la questione irlandese e le recenti azioni unilaterali della Gran Bretagna, che violano l’accordo di recesso: il Parlamento ha quindi chiesto al governo inglese di attuare pienamente i termini degli accordi che ha firmato, compreso il protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord, e di applicarli in base al calendario stilato congiuntamente con la Commissione europea.

Economia, Pil e disoccupazione. La Banca centrale europea informa che il volume dei prestiti mensili alle aziende della zona euro ha raggiunto il punto più alto dall’aprile del 2020, passando dai 12 miliardi di febbraio ai 50 di marzo; in aumento anche i prestiti alle famiglie, saliti dal 3% al 3,3%. Le stime di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, dicono che il Pil dell’Eurozona nel primo trimestre ha registrato una riduzione dello 0,6% e nell’Ue dello 0,4%, mentre su base annua i dati destagionalizzati mostrano, rispettivamente, un calo dell’1,8% e dell’1,7%. L’ultimo rapporto di Markit (il principale indicatore economico mondiale, che si basa su indagini condotte mensilmente su aziende selezionate che rappresentano le economie mondiali principali e quelle in via di sviluppo) segnala la crescita ad aprile nella zona euro del settore manifatturiero, con l’indice PMI di settore in progresso a 62,9 punti rispetto ai 62,5 punti del mese precedente. Sempre nel mese di marzo, rileva Eurostat, il tasso di disoccupazione dell’area euro segna una lieve discesa, passando dall’8,2 all’8,1%, comunque un +1% rispetto a marzo 2020.

Direttiva IVA, localizzazione delle prestazioni di servizi “B2B”. La Corte di giustizia Ue, con la sentenza 17 marzo 2021, causa C-459/19, ha provveduto all’identificazione del luogo delle prestazioni di servizi resi a un soggetto passivo. Il caso è quello di una società che come attività principale effettua la compravendita di azioni e altri titoli per conto di un trust che che persegue scopi di pubblica utilità (sovvenzioni in favore della ricerca medica); la società svolge, inoltre, una serie di attività secondarie per le quali è registrata ai fini IVA, tra le quali la vendita, la ristorazione e la locazione di beni immobili. Il dubbio, relativo al luogo di tassazione dei servizi acquistati per l’attività non economica, verte sul fatto che la società debba o meno essere considerata un “soggetto passivo che agisce in quanto tale”, come previsto dall’art. 44 della direttiva 2006/112/CE. Secondo la Corte di giustizia Ue il che non implica che non si possa considerare un soggetto passivo che agisce in quanto tale, ai fini dell’applicazione del citato art. 44, che attribuisce all’espressione “soggetto passivo che agisce in quanto tale”, un diverso significato da quello che assume in base all’art. 2, paragrafo 1, della direttiva. Ai fini dell’applicazione delle regole relative alla localizzazione delle prestazioni di servizi, si è considerati soggetto passivo riguardo a tutte le prestazioni che gli sono rese, quando esercita prestazioni di servizi imponibili e quando esercita attività non considerate prestazioni di servizi imponibili. Un soggetto passivo può agire in quanto tale, quindi, ai sensi dell’art. 44, anche quando opera ai fini delle sue attività non economiche. Detto articolo – si legge nella sentenza – deve essere interpretato nel senso che, se un soggetto passivo che esercita un’attività non economica a titolo professionale acquista servizi ai fini di tale attività, questi servizi si devono considerare resi a tale soggetto passivo “che agisce in quanto tale”.

Internet, una rete più sicura per i consumatori.Il Parlamento, tramite il Digital Services Act (Dsa), traccia i principi guida che dovrebbero guidare la diffusione di notizie online: intanto, “ciò che è illegale offline è illegale anche online”, la protezione dei consumatori, la sicurezza degli utenti e obblighi di trasparenza rafforzati per affrontare contenuti dannosi, incitamento all’odio e disinformazione. Le piattaforme dovranno rendere migliore l’individuazione e la rimozione di affermazioni false e la lotta ai commercianti disonesti, come quelli che durante la pandemia hanno venduto online apparecchiature mediche false e prodotti pericolosi. Gli eurodeputati hanno inoltre chiesto l’introduzione di un nuovo principio, denominato “Conosci il tuo cliente commerciale”, che obbliga i giganti del web a controllare e impedire alle aziende disoneste di utilizzare i loro servizi per vendere prodotti e contenuti illegali e non sicuri.  La pubblicità mirata deve essere normata in modo più severo a favore di forme meno invadenti, che richiedono meno dati e il Dsa dovrebbe prevedere il diritto di utilizzare i servizi digitali in modo anonimo, quando possibile.

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