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Nuovi finanziamenti dal SURE per la cassa integrazione. Mentre si discute sulla proroga del divieto di licenziamento individuale e collettivo per motivi economici che il decreto sostegni ha prorogato fino al 30 giugno (con delle eccezioni) e della richiesta dei sindacati che pensano, invece, a

una data unica per tutti del blocco dei licenziamenti arrivi al 31 ottobre, le risorse del piano SURE consentono di richiedere ancora cassa integrazione Covid nel corso del 2021. Il SURE è lo strumento europeo di sostegno temporaneo, fino al 31 dicembre 2022, per attutire i rischi di disoccupazione causati dalla pandemia: prevede 100 miliardi di prestiti a tassi bassi, finanziati dalla Commissione europea con obbligazioni Ue, dei quali 27,4 sono destinati all’Italia. Dopo i 22,9 miliardi di euro già ricevuti nel 2020, a febbraio il nostro Paese ha ricevuto gli altri 4,5 miliardi, con la possibilità di chiedere ulteriori finanziamenti nell’anno in corso. La Polonia ha ricevuto 4,28 miliardi di euro, il Belgio ne ha ricevuti 2, la Slovenia 913 milioni, l’Ungheria 304 e Cipro 229. Si tratta, in pratica, della possibilità di garantire agli Stati membri che lo richiederanno tutte le risorse indispensabili per prorogare la cassa integrazione fino a quando sarà necessario. Fino a questo momento sono 15 i Paesi europei che hanno beneficiato delle risorse SURE, per poco più di 53 miliardi di euro erogati sui 100 resi disponibili per salvare posti di lavoro e mantenere le persone nel loro impiego, supportando gli Stati costretti a fronteggiare gli aumenti della spesa pubblica a tutela dell’occupazione.

Recovery Plan, sono diversi i Paesi in ritardo. Il programma di investimenti, piani e riforme da realizzare per il rilancio economico e sociale richiesto dall’Europa entro il 30 aprile 2021 per accedere ai fondi stanziati con il Recovery Fund, per un ammontare totale di 750 miliardi di euro, vede diversi Paesi ancora in ritardo sulla presentazione alla Commissione del proprio PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). I fondi potranno essere utilizzati fino al 2026 e restituiti entro il 2058. Dalle dichiarazioni del Commissario europeo Dombrovskis, Spagna, Portogallo, Grecia, Slovacchia e Francia hanno compiuto i progressi più importanti, con il conseguente accesso ai negoziati ufficiali con la Commissione europea sulle modifiche da apportare alle bozze dei PNRR in vista della versione definitiva, che darà il via ai finanziamenti. Tra i Paesi in ritardo c’è anche l’Italia. Entro il 30 aprile, dunque, i PNRR dovranno arrivare alla Commissione europea, che entro due mesi dovrà valutarli e passarli all’analisi del Consiglio, che a sua volta avrà un mese a disposizione.

Una risoluzione per limitare l’eccesso di ore di lavoro in smart working. Sono il 37% in più i lavoratori che, complice il lockdown, hanno cominciato a lavorare da casa e una ricerca di Eurofound ha evidenziato che chi lavora da casa ha oltre il doppio delle probabilità di oltrepassare l’orario massimo lavorativo, che è di 48 ore settimanali, e di riposare meno delle 11 ore previste fra un giorno lavorativo e l’altro. Il 21 gennaio 2021 il Parlamento ha approvato la risoluzione con le raccomandazioni alla Commissione Ue sul diritto alla disconnessione digitale per i lavoratori, munita di una proposta di direttiva. Il diritto alla disconnessione permette ai lavoratori di esimersi dall’effettuare telefonate, email e altre attività lavorative elettroniche al di fuori dell’orario di lavoro, ivi compresi i periodi di riposo, i giorni festivi, i vari tipi di congedi (maternità, paternità, parentali, ecc.): devono essere garantite autonomia e flessibilità nella gestione del tempo, permettendo di organizzare l’orario di lavoro in base alle responsabilità personali, soprattutto per l’assistenza ai figli o ai familiari malati. La nuova direttiva, che si applica a tutti i settori, pubblici e privati, e a tutti i lavoratori, indipendentemente dallo status e dalle modalità di lavoro, si pone l’obiettivo di fissare regole minime sul diritto dei lavoratori alla disconnessione. I datori di lavoro non possono imporre ai dipendenti di essere direttamente o indirettamente disponibili o raggiungibili prima o dopo l’orario di lavoro, mentre i lavoratori non devono contattare i colleghi, per fini professionali, al di fuori dell’orario concordato. Spetta ai datori di lavoro attuare i provvedimenti per fornire gli strumenti necessari a esercitare il diritto alla disconnessione fornendo le informazioni, compresa una dichiarazione scritta, sul diritto alla disconnessione, che deve contenere almeno le modalità di registrazione dell’orario di lavoro, le modalità pratiche per scollegarsi, gli eventuali strumenti di monitoraggio o controllo, la valutazione sulla salute e la sicurezza e le misure di attuazione del diritto di ricorso. Sono fatte salve eventuali deroghe, previste solo in casi di forza maggiore o altre emergenze, che vanno motivate remunerate per l’attività svolta extra orario. Il diritto alla disconnessione deve essere assicurato anche mediante un accordo collettivo.

Il salvataggio di una banca sa parte di un ente privato non è aiuto di Stato. Una sentenza del 2 marzo 2021 della Corte di Giustizia (causa C-425/19P, Commissione Ue contro Italia) ha respinto l’opposizione della Commissione europea contro la pronuncia del Tribunale dell’Unione europea sulle misure adottate da un Consorzio di banche italiane (il Fondo interbancario di tutela dei depositi, Fitd) a favore di uno dei suoi membri, la Banca Tercas. Il Tribunale, giudicando legittime queste misure, aveva annullato la decisione della Commissione che nel 2015 aveva invece ritenuto l’intervento del Fitd come aiuto di Stato illegittimo e incompatibile. Secondo la Corte Ue, infatti, per considerare determinati vantaggi come aiuti in base all’art. 107, paragrafo 1, TFUE, questi devono essere concessi direttamente o indirettamente tramite risorse statali e devono essere ascrivibili allo Stato. Nel caso in questione, essendo il Fitd un ente privato, l’assenza di un vincolo di capitale tra il Consorzio e lo Stato italiano era “di sicura e particolare rilevanza”, per cui il suo intervento a favore di Banca Tercas non poteva essere attribuito alle autorità pubbliche italiane.

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