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All’Italia oltre 27 miliardi di aiuti per l’occupazione. Tra le misure Ue di spinta per l’uscita dalla crisi economica causata dalla pandemia, per contrastare la crisi del lavoro lo strumento è il Sure, promosso da Paolo

Gentiloni nella sua veste di Commissario europeo all’economia e da Nicolas Schmit, Commissario del lavoro. Una notizia positiva per il nostro Paese: in attesa del semaforo verde del Consiglio europeo, previsto per metà settembre, rispetto alle proposte presentate dalla Commissione europea per attivare un supporto finanziario complessivo di 81,4 miliardi di euro per 15 Paesi, un terzo del totale arriverà in Italia. Lo stanziamento sarà di 27,4 miliardi, l’importo più alto: gli aiuti verranno assegnati attraverso prestiti con interessi agevolati in 10 rate e saranno utilizzati per finanziare la cassa integrazione, per le indennità per i lavoratori autonomi e domestici, i collaboratori sportivi, le misure per i disabili, i voucher baby sitter e il congedo parentale. Il Sure può fornire ai Paesi membri aiuti finanziari fino a 100 miliardi. Al momento, a parte l’Italia che ha presentato la richiesta il 7 agosto, la Spagna e il Belgio che riceveranno, rispettivamente, 21,3 e 7,8 miliardi, si stanno valutando le richieste presentate da Ungheria e Portogallo. Reazione (ovviamente) positiva da parte del Ministro dell’Economia, Gualtieri, che ha evidenziato come siano state considerate efficaci e importanti le misure adottate dal Governo a sostegno di lavoro e occupazione, e che i finanziamenti, che saranno realizzati attraverso l’emissione di titoli comuni europei, le casse dell’Erario risparmieranno oltre 5,5 miliardi di euro.

Il Recovery Fund e le riforme da attuare. E’ stato trovato un accordo sul Recovery fund, il piano di aiuti economici da 750 miliardi di euro varato dal Consiglio europeo per superare la crisi causata dall’emergenza coronavirus e per stimolare la ripresa economica, diviso tra prestiti da rimborsare e a fondo perduto: 390 miliardi verranno erogati sotto forma di sovvenzioni, che non saranno ripagati dai Paesi destinatari, 360 miliardi verranno distribuiti sotto forma di crediti. I principali destinatari sono l’Italia, la Spagna e la Polonia: all’Italia spetteranno circa 209 miliardi e il nostro Governo ha calcolato che riceveremo 81 miliardi in sovvenzioni e 127 miliardi in crediti. I Governi dei Paesi beneficiari, per ottenere i fondi europei dovranno presentare un piano dettagliato contenente la destinazione delle risorse e delle riforme necessarie da attuare: il nostro premier, Giuseppe Conte, in un’intervista ha dichiarato che a metà ottobre il Governo italiano consegnerà il suo piano per accedere ai fondi, dopo di che la Commissione si prenderà due mesi per una valutazione rispetto all’impiego in termini di politiche verdi, digitali e sull’osservanza delle raccomandazioni Ue 2019-2020. Nello specifico, secondo le indicazioni della Commissione Ue, l’Italia dovrà realizzare rilevanti riforme, per favorire la ripresa economica, in materia di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità. Conte ha affermato che “Avremo una grande responsabilità, avremo la possibilità- di far ripartire l’Italia e di cambiare volto al nostro Paese. Ora dobbiamo correre, utilizzando questi soldi per investimenti per riforme strutturali”.  Il Fondo per la ripresa erogherà le somme destinate tra il 2021 e il 2023, e resterà attivo fino al 2026: il rimborso dei prestiti partirà dal 2027.

Decreto Rilancio, i contributi a fondo perduto compatibili con la normativa Ue. Mancava, ed è arrivata, l’autorizzazione della Commissione europea per garantire la compatibilità con la normativa Ue sugli aiuti di stato relativa ai contributi a fondo perduto previsti dal Decreto Rilancio (art. 25, decreto legge 34/2020). Si tratta delle sovvenzioni statali a piccole, medie e micro imprese, autonomi e professionisti, ecc., per le quali sono arrivate oltre 1,2 milioni di domande all’Agenzia delle entrate: in pratica, l’erogazione di un determinato importo da parte delle Entrate mediante bonifico sul conto corrente del richiedente, senza obbligo di restituzione. Il contributo spetta ai titolari di partita IVA che esercitano attività d’impresa e di lavoro autonomo o che sono titolari di reddito agrario, ed è rapportato alla diminuzione di fatturato subita a causa dell’emergenza epidemiologica. Hanno diritto all’agevolazione i contribuenti con ricavi e compensi, nel 2019, non superiore a 5 milioni di euro e che sono in grado di soddisfare una delle tre seguenti condizioni: 1) aver avuto fatturato e corrispettivi di aprile 2020 inferiore ai due terzi dell’ammontare di aprile 2019; 2) aver iniziato l’attività dopo il 31 dicembre 2018; 3) avere il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di Comuni colpiti da eventi calamitosi, i cui stati di emergenza erano in atto al 31 gennaio 2020. Per le persone fisiche, società semplici ed enti non commerciali titolari di reddito agrario e attività agricole connesse (agriturismi, allevamento, ecc.), invece che all’ammontare dei ricavi si deve far riferimento all’ammontare del volume d’affari del modello di dichiarazione IVA 2020 per il periodo d’imposta 2019. L’importo del contributo si ottiene applicando una diversa percentuale alla differenza tra l’importo di fatturato e corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’analogo importo di aprile 2019. Queste le percentuali previste: 20%, se i ricavi e i compensi 2019 sono inferiori o pari a 400.000 euro; 15%, se i ricavi e i compensi del 2019 superano i 400.000 euro ma non 1.000.000 di euro; 10%, se i ricavi e i compensi del 2019 superano 1.000.000 ma non 5.000.000 euro. Il contributo è comunque riconosciuto per un importo non inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche. I dati dell’Agenzia delle entrate informano che dal scorso 15 giugno, giorno di avvio delle domande, sui conti correnti di imprese, commercianti e artigiani sono stati accreditati circa 3 miliardi di euro.

Secondo il Tribunale Ue non sono dovuti da Apple i 13 miliardi di tasse. Nel 2016, al termine dell’indagine dell’Antitrust iniziata nel 2013, sulla base di una presunta offerta di condizioni fiscali favorevoli per convincere Apple a stabilire a Dublino la sua sede europea, la Commissione europea rilevava che il trattamento fiscale ottenuto in Irlanda da Apple a partire dal 1991 e fino al 2015 doveva essere considerato un aiuto di Stato illegale e ne aveva imposto la restituzione, obbligando il colosso del web a pagare 13 miliardi di imposte arretrate al Fisco irlandese a fronte dei profitti generati nell’Unione europea. L’importo calcolato deriva da una stima basata sulle attività degli ultimi 10 anni di Apple nell’Ue. Sulla base di accordi sottoscritti, appunto, tra il Governo e la società, secondo l’Antitrust – che li aveva ritenuti illeciti – le imposte non superavano l’1% a fronte del 12,5% previsto dalla normale tassazione. Non poteva ovviamente mancare il ricorso, presentato congiuntamente da Apple e Governo irlandese contro tale (costosa) decisione, nel quale si affermava di ritenere la decisione della Commissione non conforme ai principi fiscali internazionali e dannosa per l’economia europea. Lo scorso 15 luglio la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ribaltato il verdetto sostenendo che la Commissione non è riuscita a dimostrare in modo giuridicamente adeguato l’esistenza di un vantaggio anticoncorrenziale e selettivo, quindi di una forma illecita di aiuti di Stato; secondo la Corte, “La Commissione avrebbe dovuto dimostrare che il reddito rappresentava il valore delle attività realmente portate avanti dalle filiali irlandesi”. Positivo il commento del Ministero delle Finanze di Dublino, che ha dichiarato di aver sempre sostenuto che non c’era stato alcun trattamento speciale per le due società con sede in Irlanda controllate da Apple (Apple Sales International e Apple Operations Europe), alle quali era stato imputato il giusto importo di tasse previsto dalle regole fiscali irlandesi. Dunque, Apple non dovrà pagare i 13 miliardi di tasse (e relativi interessi) non versate e ora la Commissione europea ha due mesi di tempo a disposizione per decidere se presentare a sua volta ricorso. La rilevanza di questa sentenza risiede nel fatto che potrà costituire un precedente in caso di future decisioni sulla controversa questione della tassazione dei colossali guadagni dei giganti americani, come Facebook e Google, in Europa.

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