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Evasione IVA, l’Italia guida il gruppo. I dati del rapporto della Commissione Ue sull’IVA per il 2017 – il periodo più recente con disponibilità di dati completi su conti nazionali e – sono impietosi per il nostro Paese, che si aggiudica

il triste primato per l’evasione, con perdite del 36% delle entrate totali, equivalenti a oltre 33 miliardi; a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, il meno 2,8% rispetto al 2016, da 37 a 33,6 miliardi. Siamo invece al quarto posto per il maggiore dislivello tra gettito previsto e introitato con il 24%, dopo Romania (35,5%), Grecia (33,6%) e Lituania (25,3%). A livello continentale, nel 2017 i Paesi membri hanno perso 137 miliardi di euro del cosiddetto “divario dell’IVA” (Vat Gap), la differenza tra il gettito previsto (teoricamente riscuotibile) e quello riscosso. Le cause sono molteplici: evasione ed elusione fiscale, comportamenti illegali come le frodi carosello, insolvenze, incongruenze nel sistema di regole, ecc. In Italia il Vat Gap è del 24%, e anche in questo caso si registrano dei “miglioramenti” rispetto al recente passato: nel 2013 era del 30% e nel 2016 del 27%. In programma nell’agenda fiscale, l’attuazione di una riforma complessiva delle norme in materia di IVA e il rafforzamento della cooperazione tra i Paesi membri nella lotta alle frodi.

Ricorso di Apple contro la multa Ue. Nell’agosto del 2016 gli uffici Antitrust di Bruxelles emettono una sentenza che ha del clamoroso, nella estenuante  battaglia dell’Unione europea contro l’elusione fiscale dei colossi del web, con la quale la Apple viene condannata a rimborsare all’Irlanda la somma record di 13 miliardi di euro in imposte arretrate per le vantaggiose condizioni fiscali concesse da quel Paese. La Commissione Ue ha assimilato i benefici fiscali in questione agli aiuti di Stato, che possono essere recuperati per un periodo retroattivo di 10 anni, con decorrenza dalla prima richiesta di informazioni inviata, che è del 2013. E puntuale arriva il ricorso avverso tale decisione, come era lecito aspettarsi, peraltro, presentato al Tribunale Ue, puntellato dall’appello dell’Irlanda, nel quale si sostiene che il trattamento fiscale era conforme alla legge nazionale e dell’Unione europea e, inoltre, che l’Ue si è intromessa in questioni di pertinenza nazionale. La Apple, da parte sua, si opporrà affermando che le imposte, quantomeno una gran parte, devono essere versate nelle casse degli Usa, visto che è lì viene creata gran parte del valore, inclusi progettazione e sviluppo.

Le politiche per il clima. L’innalzamento delle temperature è considerato tra le cause delle trasformazioni in atto dei territori e dell’ambiente, nonché dell’aumento della frequenza e dell’intensità di fenomeni meteorologici estremi: di stringente attualità, il tema delle politiche per il clima, mirate a limitare l’impatto del riscaldamento globale e a potenziare le capacità di adattamento ai cambiamenti in atto, sono da tempo oggetto di particolare attenzione da parte delle istituzioni dell’Unione europea. Nel 2018, a ottobre, il rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel On Climate Change – IPCC) ha evidenziato i probabili effetti di un incremento di 1,5 gradi della temperatura del pianeta, tra i quali la perdita della calotta glaciale in Groenlandia con un conseguente innalzamento del livello del mare. In Europa potrebbero esserci gravi ricadute, tra l’altro, sulla produttività dell’economia, sulla capacità di produrre cibo, sulla salute pubblica, sulla stabilità politica e sui flussi migratori. Nelle linee guida per l’attività della Commissione europea negli anni 2019-2024 “My Agenda for Europe”, la neo presidente Ursula von der Leyen ha proposto la presentazione nei primi 100 giorni del suo mandato di un Green Deal per l’Europa che includa: una legge europea sul clima per sancire l’obiettivo della neutralità climatica 2050; la revisione degli obiettivi dell’Unione europea al 2030 in termini di riduzione delle emissioni, portandoli almeno al 50 e possibilmente al 55% (a fronte del 40% attualmente previsto); l’introduzione di un prezzo per le emissioni di CO2 in ogni settore; l’estensione del sistema ETS (sistema di scambio delle emissioni) al settore marittimo e la riduzione delle franchigie gratuite concesse nel corso del tempo alle compagnie aeree; l’introduzione, in accordo con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, di un’imposta sul carbonio alle frontiere europee (Carbon Border Tax) per evitare la rilocalizzazione delle emissioni; la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia ( 2003/96/CE); un piano per una nuova strategia industriale, in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione; un Patto per il clima europeo che impegni regioni, comunità locali, società civile, industria e scuola a promuovere i cambiamenti negli stili di vita e nei comportamenti, individuali e collettivi, necessari al cambiamento; la trasformazione di parte della Banca europea degli investimenti in una Banca europea per il clima.

NellʼEurozona crescita al rallentatore. Nella sua ultima audizione al Parlamento Ue, il Presidente della Bce, Mario Draghi, ha sottolineato la necessità di rivedere le regole di bilancio, ormai non più efficaci e il forte rallentamento subito dalla crescita dell’Eurozona, “più di quanto avessimo previsto in precedenza”. Ha attribuito il rallentamento alla guerra dei dazi e a fattori geopolitici. Draghi ha inoltre evidenziato che “il Pil dell’Eurozona è ora previsto a 1,1% nel 2019, -0,6 punti dalle proiezioni di dicembre, e 1,2% nel 2020, -0,5 punti da dicembre”. Viste le elevate incertezze, la politica monetaria della Banca Centrale “deve restare accomodante per un prolungato periodo di tempo, indichiamo che disponiamo ancora di spazio per ridurre i tassi se necessario”. Parlando della Germania come di uno dei Paesi più colpiti dal rallentamento, Draghi ha spiegato che la guerra dei dazi pesa sempre più sul settore manifatturiero, “che è più orientato al commercio ed esposto alle influenze straniere”, per cui i Paesi con un manifatturiero relativamente grande sono più vulnerabili a qualsiasi svolta del ciclo economico globale: e la Germania, infatti, rappresenta il 28% del Pil dell’area dell’euro, ma fino al 39% del valore aggiunto manifatturiero. Poiché serve una strategia economica coerente nella zona euro, “che completi l’efficacia della politica monetaria”, la Bce ha chiesto un maggiore contributo alle politiche fiscali.

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