News dall’Europa
Contratti a termine, sanzioni per gli abusi. La dipendente di un ente lirico di Roma tra il 2007 e il 2011 ha lavorato sempre con contratti a termine, svolgendo le stesse mansioni dei colleghi con contratto tempo indeterminato, senza che nei suoi contratti fossero esposte le esigenze tecniche, organizzative o produttive specifiche che avrebbero giustificato la loro conversione a tempo determinato. Questi i motivi di ricorso alla Corte di giustizia europea, che con sentenza sulla causa C-331/17 dello scorso 25 ottobre ha constatato che la normativa nazionale non permette in nessun caso, nel settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in uno a tempo indeterminato, in quanto si potrebbe configurare una discriminazione tra i lavoratori a tempo determinato di questo settore e lavoratori a tempo determinato degli altri comparti, perché questi ultimi, dopo il cambiamento del loro contratto di lavoro in caso di violazione delle norme relative alla conclusione di contratti a tempo determinato, possono diventare lavoratori a tempo indeterminato. Secondo la Corte le norme italiane sul lavoro a tempo determinato del settore delle fondazioni lirico-sinfoniche sono illegittime, visto che non prevedono sanzioni in caso di un ricorso illecito a una sequenza continuata di contratti a tempo determinato o tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato, se il rapporto di lavoro permane oltre una data precisa, o con un’indennità risarcitoria.
Pil, prezzi alla produzione e inflazione. Secondo la stima preliminare di Eurostat, nel terzo trimestre il Pil della zona euro risulta in crescita dello 0,2%, con un aumento dell’1,7% rispetto al terzo trimestre del 2017. In aumento anche i prezzi alla produzione industriale nel mese di settembre, con un +0,5% rispetto ad agosto, quando erano aumentati dello 0,4%; su base annua, l’incremento è stato del 4,5%. In crescita su base annua anche l’inflazione, a ottobre, con il tasso annuale al 2,2% dopo il 2,1% del mese precedente.
Da dicembre solo e-Curia per i documenti giudiziari. Dal 1° dicembre 2018 e-Curia, l’applicazione informatica comune alla Corte di giustizia e al Tribunale Ue che permette il deposito e la notifica di atti di procedura per via elettronica, sarà l’unico sistema di scambio dei documenti giudiziari tra i rappresentanti delle parti e il Tribunale, per tutte le parti (ricorrenti, convenute e intervenienti) e per tutti i tipi di procedimenti, compresi quelli di urgenza, salvo alcune eccezioni in base al principio di accesso al giudice (se, ad esempio, è tecnicamente impossibile avvalersi di e-Curia o un richiedente chiede il gratuito patrocinio). Dalla sua introduzione, nel novembre 2011, ha riscontrato un successo significativo, visto l’aumento dei titolari di profili di accesso e della percentuale dei depositi effettuati con e-Curia (nel 2017, l’83% presso il Tribunale). Con un comunicato dell’Ufficio stampa della Corte di giustizia dell’Unione europea del 17 ottobre, vista la ormai prossima entrata in vigore, gli avvocati e gli altri soggetti ancora privi di un accesso a e-Curia vengono invitati a richiederlo: al riguardo si ricorda l’adozione (in data 11 luglio 2018), da parte del Tribunale Ue, delle modifiche al suo Regolamento di procedura e una nuova decisione relativa al deposito e alla notifica di atti di procedura mediante e-Curia, entrambe pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 25 settembre 2018. La decisione del Tribunale di proseguire il processo di smaterializzazione dei suoi procedimenti, si legge nel comunicato, è stata incentivata dai riscontri positivi degli utenti (avvocati e agenti), dai vantaggi dovuti all’immediatezza degli scambi per via elettronica e dagli incrementi di efficienza dovuti all’abbandono della gestione dei formati cartaceo e digitale. Le informazioni relative a e-Curia sono disponibili nel sito della Corte di giustizia dell’Unione europea (http://curia.europa.eu/jcms/jcms/P_78957).
Fruizione delle ferie retribuite, l’invito dal datore di lavoro. L’art. 7 della Direttiva 2003/88 prescrive l’intervento da parte degli Stati membri affinché ogni lavoratore fruisca di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane e il periodo minimo di ferie annuali retribuite non possa essere sostituito dal pagamento di un’indennità, fatta eccezione per la conclusione del rapporto di lavoro. Con sentenze del 6 novembre 2018 relative alle cause C-619/16 e C-684/16, la Corte Ue accerta l’interpretazione e ribadisce il diritto alle ferie annuali retribuite per tutti i lavoratori, che non ammette deroghe, tranne quanto specificamente previsto dalla Direttiva 2003/88. Anche alla luce della Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori, che stabilisce tale diritto, una norma nazionale non può statuire che il lavoratore che non ha chiesto di poterne fruire, perde le ferie annuali retribuite e anche il diritto a un indennizzo finanziario per quelle non godute in caso di fine del rapporto di lavoro. Spetta al datore di lavoro fare in modo che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare il diritto alle ferie, assicurandosene fattivamente e invitandolo, se indispensabile formalmente, a farlo. La Corte aggiunge che deve anche informarlo che se non le utilizza andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o alla cessazione del rapporto di lavoro. Se invece è il lavoratore, in modo intenzionale e conoscendo le conseguenze, che non chiede le ferie annuali retribuite dopo esserne stato informato, si può stabilire che si perda tale diritto anche in caso di fine del rapporto di lavoro, oltre a perdere la relativa indennità finanziaria, senza che il datore di lavoro sia obbligato a imporre al lavoratore di esercitare il diritto.
Economia al rallenty. Il quarto trimestre non è foriero di buone notizie per l’economia in Eurozona, con l’Indice Pmi del settore manifatturiero che risulta in calo per il terzo mese consecutivo e registra il valore più basso in 26 mesi (52 rispetto al 53,2 di settembre). Il rallentamento riceve conferma nell’ultimo Bollettino economico della Bce, dove si legge che il Pil in termini reali dell’area dell’euro è aumentato dello 0,4% sul periodo precedente sia nel primo sia nel secondo trimestre del 2018 e che “le informazioni più recenti, pervenute dopo la riunione di politica monetaria del Consiglio direttivo di settembre, pur indicando un’evoluzione leggermente più debole rispetto alle attese, restano nel complesso coerenti con il proseguimento di un’espansione generalizzata dell’economia dell’area dell’euro e con un graduale incremento delle pressioni inflazionistiche”.
Rappresentante estero e fatturazione elettronica. Il decreto fiscale coordina la normativa nazionale con quanto previsto dal provvedimento di autorizzazione dell’Unione europea che permette all’Italia di accettare documenti o messaggi solo in formato elettronico come fatture: “In deroga all’art. 218 della direttiva 2006/112/CE, l’Italia è autorizzata ad accettare come fatture documenti o messaggi solo in formato elettronico se sono emessi da soggetti passivi stabiliti sul territorio italiano diversi dai soggetti passivi che beneficiano della franchigia per le piccole imprese di cui all’art. 282 della predetta direttiva”. Nessun obbligo di fatturazione elettronica, quindi, nei confronti e dai soggetti non residenti identificati direttamente o tramite rappresentante fiscale in Italia. L’obbligo interesserà soltanto la documentazione delle operazioni avvenute tra soggetti residenti o stabiliti (i soggetti esteri con stabile organizzazione), nel territorio nazionale. (Fonte: edotto.com)