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Varato il pacchetto VIDA, dal 14 aprile obbligo di fattura elettronica. Lo scorso 11 marzo il Consiglio ha dato il via libera definitivo a una serie di atti legislativi in materia di IVA digitale, al fine di combattere le frodi e ridurre gli oneri amministrativi per le imprese. Grazie alla riforma europea dell’IVA digitale i Paesi membri possono prevedere l’obbligo di fatturazione elettronica. Si tratta del cosiddetto “pacchetto VIDA”, che modifica le regole
IVA, composto da una direttiva, un regolamento e un regolamento di esecuzione: è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 marzo e in vigore dal 14 aprile. In sostanza vengono introdotte due novità essenziali: gli Stati membri possono sancire l’obbligo di fattura elettronica (prima non previsto dalla direttiva IVA) e decretare che l’emissione della e-fattura non sia condizionata al consenso del destinatario. La direttiva Ue per l’IVA digitale serve a coordinare le diverse legislazioni nazionali sulla modalità di elaborazione e trasmissione delle fatture elettroniche: i dati da comunicare devono essere gli stessi in tutti i Paesi membri e il formato uniforme, mentre la trasmissione automatizzata alle autorità fiscali punta a facilitare i controlli. Le nuove norme: a) entro il 2030 renderanno completamente digitali gli obblighi di comunicazione IVA per le imprese che cedono beni e prestano servizi a imprese in un altro Stato membro dell’Unione europea; b) imporranno alle piattaforme online di pagare l’imposta sui servizi di locazione di alloggi a breve termine e sui servizi di noleggio e trasporto di passeggeri nella maggior parte dei casi in cui i singoli prestatori di servizi non addebitano l’IVA; c) miglioreranno e amplieranno gli sportelli unici per l’IVA online in modo che le imprese non debbano effettuare costose registrazioni in ogni Stato membro in cui operano. Poiché la normativa italiana sulla fatturazione elettronica contempla già entrambe le regole, nessuna conseguenza per i contribuenti, ma cessa per l’Italia la necessità di reiterare la richiesta di autorizzazione e di proroghe per continuare ad attuarle in deroga alle norme comunitarie.
Rimborso dell’IVA indebita, la Corte di Giustizia salvaguarda la neutralità dell’imposta. La sentenza C-640/23 della Corte di Giustizia dell’Unione europea tratta un caso molto frequente nell’attività commerciale: una cessione di beni strumentali riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come cessione di ramo d’azienda. I giudici europei hanno stabilito che è legittima una normativa nazionale che nega al cessionario o committente il diritto alla detrazione dell’IVA indebitamente pagata al fornitore per operazioni non soggette a imposta, ma deve essere garantita (e riconosciuta) al cessionario la possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta direttamente all’Amministrazione finanziaria, quando risulta impossibile o particolarmente difficile ottenerlo dal fornitore. La controversia deriva dal trasferimento di beni strumentali che genera, secondo la direttiva 2006/112/CE e la normativa del Paese membro coinvolto, un’operazione non soggetta a IVA: ciò nonostante, il fornitore aveva erroneamente applicato e addebitato l’imposta, regolarmente versata all’Erario. Il problema è sorto quando la società cessionaria, non potendo materialmente ottenere la restituzione dell’IVA dal fornitore, si è vista negare il diritto alla detrazione dall’autorità fiscale nazionale. Doppia complicazione, quindi: la compatibilità della normativa nazionale che nega la detrazione con i principi unionali e in come recuperare l’imposta indebitamente versata. La Corte, quindi, pur mantenendo ferma la corretta qualificazione delle operazioni ai fini impositivi, ha garantito l’attuazione del principio di neutralità dell’IVA con un meccanismo alternativo, di rimborso diretto dell’imposta indebitamente versata, riconoscendo il diritto di presentare domanda di rimborso direttamente all’Amministrazione finanziaria, salvaguardando, appunto, la neutralità dell’imposta.
A marzo prosegue la lenta discesa dell’inflazione. Le stime preliminari Eurostat confermano che nell’eurozona prosegue la lenta discesa dell’inflazione, che nel mese di marzo è al 2,2%, in leggera diminuzione rispetto a febbraio (2,3%), avvicinandosi ulteriormente all’obiettivo della Banca centrale europea del 2%. I dati confermano anche le stime della Bce, che prevedono di centrare il beersaglio entro metà anno, se lo tsunami creato dai dazi introdotti dagli Stati Uniti lo permetteranno. La diminuzione è dovuta al calo del costo di energia (-0,7% a marzo, era 0,2 a febbraio) e servizi (3,4% rispetto al 3,7%), mentre si mantiene stabile la componente dei beni industriali non energetici e aumenta, invece, il costo per generi alimentari, alcolici e tabacco (2,9% rispetto al 2,7% di febbraio).
In Europa sempre di più i pagamenti digitali. Da un recente sondaggio risulta che nell’Eurozona risulta in crescita l’utilizzo di carte di credito, di debito e di bonifici. In dettaglio, le prime due si confermano come i metodi di pagamento più usati, con il 48% delle operazioni nei negozi dell’Unione europea (38% in Italia). L’uso del contante, pur registrando un -9% negli ultimi due anni, resta comunque un mezzo molto diffuso, soprattutto tra privati e per piccoli importi. Dal rapporto si rileva, inoltre, che il valore dei pagamenti digitali è al 36% del totale, grazie anche a una sempre maggiore espansione del commercio elettronico e dei pagamenti per bollette e servizi vari. Anche al fine di garantire opzioni di pagamento sicure ed efficienti, la Bce continua il percorso per la realizzazione dell’euro digitale, in un’ottica di modernizzazione del sistema dei pagamenti che risulti accessibile anche a chi non dispone di un conto corrente bancario. Lo studio condotto da un sito norvegese di informazioni finanziarie (Finansplassen), che ha analizzato i dati della Banca Mondiale, di Eurostat e di altre banche dati, ha evidenziato che Norvegia, Finlandia e Danimarca sono in prima linea per un futuro senza l’utilizzo del contante, con Germania, Armenia e Georgia arrancano.