CASSAZIONE SENTENZE

Nessuna omissione contributiva per l’imprenditore assolto con pronuncia definitiva per il mancato versamento di ritenute

Reati contributivi e fiscali – Omesso versamento delle ritenute previdenziali – Assoluzione definitiva per le ritenute non versate – Sopravvenuta prescrizione delle mensilità maturate – Esposizione debitoria e conseguente crisi di

liquidità – Non imputabilità dello stato di dissesto finanziario – Impossibilità di adempiere il debito corrispondente al reato contestato – Art. 45 c.p. – Omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lettera e) c.p.p.

Con sentenza n. 26519 del 23 settembre 2020, la Corte di cassazione ha annullato la condanna per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali contestato a un imprenditore già assolto con pronuncia definitiva per il mancato versamento di ritenute, specificando che l’esclusione dell’elemento soggettivo arresta il perfezionamento del reato da parte dell’imputato, spogliando di qualsiasi rilevanza penale la condotta. Nella categoria delle scriminanti, continua il ragionamento degli Ermellini, rientra anche la forza maggiore che, nel caso del reato di omesso versamento delle ritenute operate dalle retribuzioni dei lavoratori, è rappresentata dalla grave crisi economica fronteggiata con scarsi risultati dall’imprenditore e riconosciuta come tale da una sentenza passata in giudicato per un reato omissivo compiuto nello stesso periodo.  E’ provato il fatto che l’azienda aveva improvvisamente avuto un calo di fatturato che l’aveva portata al fallimento e l’imprenditore aveva ottenuto l’assoluzione in un altro giudizio, relativo allo stesso periodo ma per un diverso reato fiscale, proprio perché aveva offerto la sua casa a garanzia dei debiti con l’Erario. Da sottolineare che nel primo processo di merito conclusosi con la formula “il fatto non costituisce reato”, al ricorrente erano stati riconosciuti sia la non imputabilità dello stato di crisi dell’azienda, sia l’impossibilità di fronteggiarla con misure idonee. Il Tribunale adito, quello di Terni, aveva infatti riconosciuto che l’improvvisa perdita delle commesse fosse imputabile come causa di forza maggiore, idonea a escludere l’elemento soggettivo del reato, e che quindi la sentenza era passata in giudicato.

Ricordiamo che il concetto di forza maggiore disciplinato dall’ordinamento sanzionatorio amministrativo per le violazioni di natura tributaria (decreto legislativo 472/1997) può essere accostato a quello stabilito dall’articolo 45 del Codice penale, secondo il quale non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore.  Il principio di forza maggiore tributario-amministrativo può anche essere affiancato alla nozione civilistica di inadempimento dell’obbligazione da parte del debitore per “impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” (articolo 1218 del Codice civile).

Occorre comunque considerare che recentemente la stessa Agenzia delle entrate si è pronunciata sulla forza maggiore nella circolare 8/E/2020 (risposta 1.7), nella quale ha fatto anche menzione alla circolare 180/1998 del ministero delle Finanze: nel documento dell’Agenzia sono stati riportati una serie di pronunciamenti giurisprudenziali, sia di legittimità interni che dell’Unione Europea.

Quanto alla giurisprudenza della Cassazione, citiamo ad esempio l’ordinanza 8175/2019, che così recita: “Questa Corte, ancora più nel dettaglio, ha di recente ritenuto, con riguardo alla materia dell’IVA (Cass. sez. 5, 22/09/2017, n. 22153, Rv. 645636-01) e con affermazione estesa anche alla materia, pure comunitarizzata, delle accise (Cass. sez. 6-5, 08/02/2018, n. 3049, Rv. 647110-01, anche in motivazione), che il concetto di forza maggiore, richiamato dalla norma in esame debba interpretarsi in modo conforme a quello elaborato dalla giurisprudenza Eurounitaria. Quest’ultima ha chiarito che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (si vedano: Corte giust., C/314/06, punto 24, nonché Corte giust., 18 gennaio 2005, causa C-325/03 P, Zuazaga Meabe/UAMI, punto 25). Rilevano dunque non necessariamente circostanze tali da porre l’operatore nell’impossibilità assoluta di rispettare la norma tributaria bensì quelle anomale ed imprevedibili, le cui conseguenze, però, non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso (Corte giust., 15 dicembre 1994, causa C-195/91 P, Bayer/Commissione, punto 31, nonché Corte giust., 17 ottobre 2002, causa C-208/01, Parras Medina, punto 19). Sotto il profilo naturalistico, infine, la forza maggiore si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talché essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile ed irresistibile, non imputabile ad esso contribuente, nonostante tutte le cautele adottate (Cass. sez. 5, 22/09/2017, n. 22153, cit., e Cass. sez. 6-5, 08/02/2018, n. 3049, cit.)”.

In base a tali precedenti è possibile annotare che la nozione di forza maggiore comporta necessariamente la sussistenza sia di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, sia di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi, come confermato dalla sentenza in cui gli Ermellini pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la pronuncia con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado al legale rappresentante di una società per aver omesso il versamento delle ritenute certificate in due anni di imposta.

Principio ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10084/2020, che nel disattendere la tesi difensiva secondo cui erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto sussistente il dolo del reato nonostante la crisi di liquidità, ha diversamente ribadito che l’inadempimento della obbligazione tributaria può escludere la punibilità ed essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico, forza maggiore che è tuttavia difficilmente sostenibile in presenza di una pluriennale protrazione dell’inadempimento.

Tanto premesso torniamo al caso odierno, di un contribuente a cui la Corte di Appello di Perugia confermava la penale responsabilità per il reato di cui all’art. 2, Dl 463/1983, convertito in legge 638/1983 per aver, in qualità di legale rappresentante della S.r.l. omesso il versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti fino ad ottobre 2012, sia pur riducendo, attesa la sopravvenuta prescrizione delle mensilità maturate fino a settembre 2011, la pena inflittagli all’esito del primo grado di giudizio in sei mesi di reclusione ed € 400  di multa.

Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione articolato in tre motivi, essenzialmente lamentando che il delitto contestato non fosse configurabile, posta l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in ragione della gravissima esposizione debitoria che pesava sulla sua società e della conseguente crisi di liquidità che gli aveva reso impossibile, malgrado la propria esposizione personale, l’adempimento dell’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale.

Veniva posta attenzione anche al fatto che la Corte d’appello aveva omesso di valutare una prova decisiva, costituita dalla sentenza definitiva resa dal Tribunale con cui era stato assolto, perché il fatto non costituisce reato, dall’imputazione relativa al mancato versamento di imposte afferente allo stesso periodo temporale di quello oggetto del procedimento in esame.

Tutte dette situazioni, secondo gli Ermellini, non potevano non essere prese in considerazione anche nel giudizio in oggetto: per la Corte d’Appello si imponeva la doverosa disamina della pronuncia del Tribunale al fine di aderirvi ovvero di disattenderla, senza tuttavia creare un contrasto tra questioni similari. La loro mancata disamina, così, si traduceva in un’omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606, primo comma, lettera e) c.p.p. I Supremi Giudici hanno  allora ritenuto valide le ragioni della parte ricorrente, stabilendo che “Anche a voler ritenere, così come assume la Corte distrettuale, che lo spazio  di manovra che con gli affidamenti concessigli dall’Unicredit consentisse al B., stante la sufficienza delle somme poste a suo credito dalla banca, di adempiere all’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale, risulta in ogni caso integralmente tralasciata la sentenza prodotta dalla difesa innanzi ai giudici di appello, sulla quale si era svolto, stando al verbale di causa, ampio dibattito tra il difensore e l’organo della accusa, concernente l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Terni in data nei confronti dello stesso imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato in relazione all’imputazione del delitto di cui all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 per omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni del personale dipendente effettuate come sostituto di imposta nell’anno 2011. Ancorché si tratti di una fattispecie criminosa diversa da quella di cui al presente giudizio, si tratta pur sempre di un reato omissivo avente ad oggetto somme di danaro, afferente allo stesso arco temporale (risultando dall’imputazione commesso il 19.12.2011) del delitto in contestazione che copre il periodo dall’ottobre 2011 all’ottobre 2012.  Avendo il Tribunale di Terni con la suddetta sentenza, passata in giudicato al momento della sua produzione in giudizio, ritenuto che l’improvvisa perdita delle commesse e degli appalti su cui la società I.B.M. aveva sempre fino ad allora potuto fare affidamento costituisse una causa di forza maggiore rispetto al venir meno della liquidità necessaria all’adempimento (in tal caso nei confronti dell’erario) idonea ad escludere l’elemento soggettivo del reato per avere l’imputato al contempo profuso ogni possibile sforzo economico per fronteggiare il debito, finanche esponendo la sua stessa casa di abitazione, risultata poi assoggettata a pignoramento immobiliare, si imponeva per la Corte perugina la doverosa disamina di tale pronuncia al fine di aderirvi ovvero di disattenderla, senza tuttavia creare un contrasto tra questioni similari. Invero, l’identità del periodo interessato dalla crisi di liquidità aziendale, così come della natura dei due reati non consentiva ai giudici del gravame di ignorare la suddetta sentenza, così come è accaduto, ma richiedeva, al contrario, ove avesse ritenuto di confermare la pronuncia di condanna resa all’esito del primo grado del medesimo giudizio, una sorta di “motivazione rafforzata” volta non solo ad illustrare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento, ma altresì a confutare i più rilevanti argomenti della pronuncia assolutoria, dando conto delle ragioni loro della relativa incompletezza od incoerenza, tali da giustificare le opposte conclusioni raggiunte in termini di esclusione della causa di forza maggiore.  Deve infatti essere considerato che gli argomenti utilizzati dalla difesa a sostegno della eccepita inconfigurabilità del reato di cui all’art. 2 L. 638/1983 corrispondono alle medesime ragioni esposte, in senso con essi collimante, dalla sentenza passata in giudicato, che proprio perciò hanno costituito oggetto di un serrato confronto tra la difesa ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, onde la loro mancata disamina si traduce in un’omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606, primo comma lett. e) cod. proc. pen.. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona che dovrà procedere a nuovo giudizio tenendo conto della pronuncia pronunciata dal Tribunale di Terni in data 5.10.2017 e passata in giudicato in data 1.6.2018 in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in contestazione”.

Corte di Cassazione – Sentenza 23 settembre 2020, n. 26519

sul ricorso proposto da B. G., nato a Terni il 12.7.1971 avverso la sentenza in data 26.4.2019 della Corte di Appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;

udito il Pubblico Ministero udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Roberta Barberini, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, avv. Roberto Spoldi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 26.4.2019 la Corte di Appello di Perugia ha confermato la penale responsabilità di G.B. per il reato di cui all’art. 2 d.l. 463/1983, convertito in L. 638/1983 per aver, in qualità di legale rappresentante della s.r.l. I.B.M., omesso il versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti fino ad ottobre 2012, sia pur riducendo, attesa la sopravvenuta prescrizione delle mensilità maturate fino a settembre 2011, la pena inflittagli all’esito del primo grado di giudizio in sei mesi di reclusione ed € 400,00 di multa.

2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 2 L. 638/1983 e al vizio motivazionale, la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in ragione della gravissima esposizione debitoria che pesava nell’anno 2011 sulla società e della conseguente crisi di liquidità che gli aveva reso impossibile, malgrado la propria esposizione personale, l’adempimento dell’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale.

Deduce che nello specifico la  I.B.M. presentava, secondo il bilancio 2011, una perdita di esercizio di oltre due milioni e mezzo di euro e, secondo il bilancio dell’anno successivo, una perdita di quasi 1.200.000 euro, oltre ad essere destinataria di numerosi decreti ingiuntivi e di procedure esecutive per centinaia di migliaia di euro, a seguito della perdita di un’importante commessa che gli assicurava un fatturato di circa € 170.000 mensili, nonché dell’improvviso recesso della committente da un contratto di appalto relativo alla fornitura di contenitori per scorie nucleari.

Lamenta la contraddittorietà della motivazione resa sul punto dalla Corte di Appello che, nell’escludere che la gravissima crisi dell’azienda potesse assurgere a scriminante della rilevanza penale della condotta, si era posta in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, una volta dimostrata da parte dell’imputato sia la non imputabilità a lui medesimo dello stato di dissesto finanziario, sia l’impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite misure idonee, deve configurarsi l’assoluta impossibilità di adempiere il debito corrispondente al reato contestato.

Evidenzia altresì come in nessuna considerazione fosse stata tenuta la tempistica delle iniziative economiche assunte dall’imputato che, proprio per fronteggiare l’emergenza finanziaria della società, aveva richiesto ed ottenuto in data 7.6.2011 tre affidamenti da parte dell’istituto bancario Unicredit garantendoli personalmente quale fidejussore e trovandosi, proprio perché garante, sottoposto successivamente ad azione esecutiva.

2.2. Con il secondo motivo lamenta il travisamento della prova in cui era incorsa la Corte di Appello per aver omesso di valutare una prova decisiva costituita dalla sentenza prodotta dalla difesa all’udienza del 26.4.2019; con tale pronuncia resa dal Tribunale di Terni in data 3.1.2018 e diventata irrevocabile l’1.6.2018 il B. era stato assolto perché il fatto non costituisce reato dall’imputazione relativa al reato di cui all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 afferente lo stesso periodo temporale di quello oggetto del presente processo, avendo il giudice di merito ritenuto che la crisi di liquidità che aveva investito la I.B.M. dal 2011 in poi, crisi poi conclusasi con il fallimento, costituisse una causa di forza maggiore in quanto causata da un evento imprevedibile, quale la improvvisa perdita delle commesse e degli appalti da sempre concessi alla società, i quali rappresentavano il fatturato maggiore risultante dal bilancio, perdita alla quale l’imputato aveva cercato di resistere tramite aperture di credito assistite da fideiussioni personali al fine di ottenere la liquidità necessaria anche all’assolvimento dei debiti tributari, senza tuttavia riuscire ad adempiere come dimostrato dal successivo fallimento della società e dal pignoramento della sua stessa casa di abitazione.

3. Con il terzo motivo deduce in via subordinata che la motivazione resa in ordine al trattamento sanzionatorio non contiene alcuna risposta allo specifico motivo di gravame relativo alla richiesta di contenimento della pena nel minimo edittale e della concessione della sospensione condizionale

Considerato in diritto

Il ricorso deve ritenersi fondato.

Anche a voler ritenere, così come assume la Corte distrettuale, che lo spazio  di manovra che con gli affidamenti concessigli dall’Unicredit consentisse al B., stante la sufficienza delle somme poste a suo credito dalla banca, di adempiere all’obbligazione nei confronti dell’ente previdenziale, risulta in ogni caso integralmente tralasciata la sentenza prodotta dalla difesa innanzi ai giudici di appello, sulla quale si era svolto, stando al verbale di causa, ampio dibattito tra il difensore e l’organo della accusa, concernente l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Terni in data nei confronti dello stesso imputato con la formula perché il fatto non costituisce reato in relazione all’imputazione del delitto di cui all’art. 10 bis d. Igs. 74/2000 per omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni del personale dipendente effettuate come sostituto di imposta nell’anno 2011.

Ancorché si tratti di una fattispecie criminosa diversa da quella di cui al presente giudizio, si tratta pur sempre di un reato omissivo avente ad oggetto somme di danaro, afferente allo stesso arco temporale (risultando dall’imputazione commesso il 19.12.2011) del delitto in contestazione che copre il periodo dall’ottobre 2011 all’ottobre 2012.

Avendo il Tribunale di Terni con la suddetta sentenza, passata in giudicato al momento della sua produzione in giudizio, ritenuto che l’improvvisa perdita delle commesse e degli appalti su cui la società I.B.M. aveva sempre fino ad allora potuto fare affidamento costituisse una causa di forza maggiore rispetto al venir meno della liquidità necessaria all’adempimento (in tal caso nei confronti dell’erario) idonea ad escludere l’elemento soggettivo del reato per avere l’imputato al contempo profuso ogni possibile sforzo economico per fronteggiare il debito, finanche esponendo la sua stessa casa di abitazione, risultata poi assoggettata a pignoramento immobiliare, si imponeva per la Corte perugina la doverosa disamina di tale pronuncia al fine di aderirvi ovvero di disattenderla, senza tuttavia creare un contrasto tra questioni similari.

Invero, l’identità del periodo interessato dalla crisi di liquidità aziendale, così come della natura dei due reati non consentiva ai giudici del gravame di ignorare la suddetta sentenza, così come è accaduto, ma richiedeva, al contrario, ove avesse ritenuto di confermare la pronuncia di condanna resa all’esito del primo grado del medesimo giudizio, una sorta di “motivazione rafforzata” volta non solo ad illustrare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento, ma altresì a confutare i più rilevanti argomenti della pronuncia assolutoria, dando conto delle ragioni loro della relativa incompletezza od incoerenza, tali da giustificare le opposte conclusioni raggiunte in termini di esclusione della causa di forza maggiore.

Deve infatti essere considerato che gli argomenti utilizzati dalla difesa a sostegno della eccepita inconfigurabilità del reato di cui all’art. 2 L. 638/1983 corrispondono alle medesime ragioni esposte, in senso con essi collimante, dalla sentenza passata in giudicato, che proprio perciò hanno costituito oggetto di un serrato confronto tra la difesa ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, onde la loro mancata disamina si traduce in un’omessa motivazione integrante il vizio di cui all’art. 606, primo comma lett. e) cod. proc. pen.

La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello di Ancona che dovrà procedere a nuovo giudizio tenendo conto della pronuncia pronunciata dal Tribunale di Terni in data 5.10.2017 e passata in giudicato in data 1.6.2018 in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in contestazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Ancona

Così deciso il 14.7.2020.

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