CASSAZIONE

Nessun provvedimento di diniego se il Fisco ritiene il condono non valido

Avviso di accertamento – Mancata impugnazione – Condono fiscale – Art. 16  L. n. 289/2002 – Definizione delle liti pendenti – Mancato perfezionamento del condono – Art.19 D.lgs. 546/92 – Nessun obbligo per l’A.F. del provvedimento di diniego – Fondamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8515 del 27 marzo 2019, in merito a una vicenda riguardante la definizione delle liti pendenti attraverso il c.d. condono tombale, ha stabilito che in tema di condono fiscale l’ufficio finanziario non è tenuto ad adottare alcun provvedimento di diniego, ben potendo procedere all’iscrizione a ruolo e alla notifica della relativa cartella di pagamento senza che ciò comprometta il diritto di difesa del contribuente.

E’ ben noto che la previsione di un condono fiscale è normalmente giustificata con l’esigenza di consentire un alleggerimento del carico di lavoro degli uffici finanziari e delle commissioni tributarie, consentendo al contempo il reperimento di risorse finanziarie. Le medesime motivazioni hanno indotto il legislatore ad adottare, nel corso degli anni, numerosi provvedimenti di condono ai fini fiscali. Si segnalano, a titolo indicativo, quelli disposti con Dl 2/3/1989, n. 69, convertito in l. 27/4/1989 n. 154, e con l. 30/12/1991, n. 413. Una forma diversa di condono è stata prevista (con efficacia temporale limitata) dal Dl 30/9/1994, n. 564, convertito in l. 30/11/1994, n. 656, che ha introdotto la possibilità di chiusura delle liti fiscali di modesto valore mediante versamento di una somma forfetaria con conseguente estinzione del debito tributario. 

Con la Legge  finanziaria per il 2003 (n. 289/2002) sono state introdotte una serie di disposizioni che consentivano ai contribuenti di fruire della definizione agevolata dei rapporti pendenti in materia fiscale, relativamente alle imposte dirette e indirette e cioè, in sintesi: la definizione automatica dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo per gli anni pregressi mediante autoliquidazione (art. 7); l’integrazione degli imponibili per gli anni pregressi (art. 8); la definizione automatica per gli anni pregressi (art. 9, c.d. condono tombale), con il comprensibile intento di attenuare il carico complessivo dei contenziosi di natura tributaria gravanti sul fiaccato sistema di giustizia italiano.

Va inoltre osservato che le disposizioni originariamente contenute nella Finanziaria per il 2003 sulle sanatorie fiscali sono state oggetto di numerose modifiche e aggiustamenti, introdotte con la legge  21 febbraio 2003, n. 27, di conversione del Dl 24 dicembre 2002, n. 282, sia per correggere alcune imprecisioni tecniche contenute nella legge, sia per rendere le misure stesse maggiormente appetibili per i contribuenti.

Sul tema del mancato perfezionamento, come si evince dal caso in esame, si può far riferimento proprio all’art. 16, rubricato “Chiusura delle liti fiscali pendenti”, ove al comma 9 testualmente si riscontra che “In caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio”.

D’altro canto, anche che la stessa giurisprudenza della Cassazione rammenta che (ex multis Cass. sentenza n. 7111/2006) se il contribuente provvede solamente al pagamento della prima rata senza corrispondere gli importi successivi, si ritiene tuttavia che la definizione della lite fiscale pendente sia oramai stata correttamente perfezionata per effetto del versamento integrale e tempestivo della prima rata, con conseguente impossibilità di emettere un provvedimento di diniego della domanda di composizione della vertenza.

Menzioniamo, infine, che la circolare delle Entrate n. 28/E del 12 maggio 2003 sui poteri dell’Amministrazione in materia – presentata attraverso il sistema delle FAQ, cioè con una serie di domande e risposte predeterminate – al punto 6.1 stabiliva che al fine di definire la successiva definizione della lite, rispondendo alla domanda: “Se un ruolo emesso in pendenza di giudizio, non pagato e scaduto. Che succede se in futuro l’amministrazione finanziaria non ritiene corretta né possibile la definizione della lite?”, in maniera sintetica e prevedibile, che “… L’Amministrazione finanziaria non procederà allo sgravio dei ruoli non pagati.

Tanto premesso, e tornando al caso oggi in esame, dove l’Agenzia opponeva ricorso nei confronti di una sentenza dei giudici tributari che riconoscevano l’illegittimità del diniego al condono per una società contribuente in relazione agli anni dal 1997 al 2002, gli Ermellini, nel dichiarare valide le ragioni della difesa erariale, hanno ricordato che: “La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di condono fiscale, salvo che non sia espressamente previsto (come, ad esempio, nell’art. 16 della legge n. 289 del 2002, in tema di definizione delle liti pendenti), l’Ufficio non è tenuto ad adottare un provvedimento esplicito di diniego qualora ritenga l’istanza invalida, ben potendo procedere all’iscrizione a ruolo ed alla notifica della relativa cartella di pagamento, che si basa sull’atto impositivo e deve intendersi come implicito diniego di ammissione al beneficio, senza che ciò pregiudichi il diritto di difesa del contribuente, il quale, nel giudizio di impugnazione della cartella, può sempre far valere tutte le ragioni per le quali ritenga di avere diritto di accedere al condono (cfr., tra altre, Cass. nn. 16100 del 2011, 7673 e 11458 del 2012; Cass. n.14878/16).

Deve aggiungersi che, costituendo l’estinzione dell’obbligazione tributaria l’effetto collegato dall’ordinamento al perfezionamento della fattispecie di condono, è onere del contribuente, a fronte della pretesa dell’Amministrazione manifestatasi con l’emissione dell’atto impositivo, dimostrare l’avvenuta integrazione degli elementi costitutivi della fattispecie condonistica.

L’Amministrazione fa dunque solo valere la pretesa tributaria, restando a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’avvenuta estinzione dell’obbligazione, ovvero la sostituzione con quella condonistica” (Cass. sent. n.15881/2016 ). Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che l’Agenzia delle Entrate, in data 25/9/2006, cioè successivamente all’istanza di condono cd. “tombale” ex art. 9 L. n.289/02, verificato il mancato perfezionamento dell’agevolazione a causa dell’impossibilità della definizione dell’anno 2001 e del versamento di soli euro 500,00 per l’anno 1999, laddove ne erano dovuti euro 700,00 ai sensi dell’art.9, comma 3 bis, legge n.289/02, ha notificato alla società gli avvisi di accertamento per gli anni dal 1999 al 2002, sul presupposto dell’invalidità della procedura di condono. A tali avvisi la contribuente ha prestato adesione, rendendoli definitivi e non più contestabili, dato che, ai sensi dell’art.2, comma 3, d.l. n.218/1997, l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, né è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio.

Pertanto, il diniego di condono, comunicato formalmente alla società in data 7/2/2007, non può assumere una valenza autonoma, di preclusione dell’accesso al condono, poiché negli avvisi di accertamento, cui la contribuente aveva aderito, era già stata esplicitata l’invalidità del condono, che costituiva il presupposto comune alla loro emissione (altrimenti preclusa dal cd. condono tombale). Il ricorso della società avverso il formale diniego del condono (ipotesi pur astrattamente prevista dall’art. 19, co.l, lett. H d.lgs. n.546/92) deve, quindi, ritenersi inammissibile per carenza di interesse, poiché la stessa contribuente aveva già aderito agli accertamenti emessi per il periodo in contestazione sul presupposto dell’invalidità del condono, rendendoli definitivi. La contestazione in ordine all’avvenuto perfezionamento del condono avrebbe dovuto essere sollevata con l’impugnazione degli avvisi di accertamento, notificati dopo la presentazione dell’istanza di condono, sul presupposto del mancato perfezionamento dello stesso”.

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 27 marzo 2019, n. 8515

Sul ricorso iscritto al n. 17850/2012 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro U. 2000 s.r.l., in persona del I.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Francesco D’Ayala Valva, presso cui elettivamente domicilia in Roma al viale Parioli n.43;

– controricorrente – ricorrente incidentale-

avverso la sentenza n. 6 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sezione n.13, emessa il 23 marzo 2010, depositata il 24 febbraio 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/2/2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tommaso Basile, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Alfonso Peluso per l’Agenzia delle Entrate e l’avv. Livia Fiorentini per delega dell’avv. Francesco D’Ayala Valva per la società controricorrente.

Fatti di causa

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con quattro motivi avverso la U. 2000 s.r.l. per la cassazione della sentenza n.6 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sezione n.13, emessa il 23 marzo 2010, depositata il 24 febbraio 2012 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del diniego di condono richiesto dalla società in relazione agli anni dal 1997 al 2002, ha rigettato l’appello dell’Ufficio.

2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. della Liguria riteneva che correttamente la C.T.P. di Savona aveva affermato l’illegittimità del diniego di condono, poiché, da un lato, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la condonabilità dell’anno di imposta 2001, mentre, dall’altro, l’errore nella quantificazione dell’importo dovuto per l’anno di imposta 1999 doveva considerarsi scusabile, per la sua esiguità (euro 500,00, invece di euro 700,00 effettivamente dovuti) e per la difficoltà di calcolo, dimostrata anche dalle contestazioni generiche dell’Agenzia delle Entrate.

3. L’Agenzia ricorrente censura la decisione della C.T.R., deducendo che la sentenza non avrebbe rilevato, in violazione dell’art.19 d.lgs. n.546/92, l’inammissibilità del ricorso del contribuente, il quale risultava aver definito la propria posizione tributaria a seguito dell’emissione degli avvisi di accertamento per gli anni oggetto dell’istanza di condono; inoltre, la ricorrente deduceva l’omessa motivazione e la violazione di legge in ordine alla scusabilità dell’errore della contribuente nel versamento relativo all’anno 1999.

4. A seguito del ricorso, la società U. 2000 s.r.l. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale, affidato a tre motivi, con cui deduce l’intervenuto giudicato implicito con riferimento ad alcune rationes decidendi relative alla operatività del condono, alla scusabilità dell’errore ed al presupposto fattuale dal quale lo stesso è scaturito, secondo l’accertamento dell’Amministrazione.

Ragioni della decisione

1.1. Ragioni di priorità logica impongono la trattazione del secondo motivo del ricorso principale, con cui l’Agenzia delle Entrate censura la violazione dell’art.19 d.lgs. n.546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Con tale motivo la ricorrente deduce che la C.T.R. erroneamente non avrebbe rilevato l’inammissibilità del ricorso del contribuente, essendo il provvedimento di diniego del condono meramente ripetitivo del contenuto dei precedenti avvisi di accertamento, emessi sul presupposto del mancato perfezionamento del condono stesso, ai quali al contribuente aveva aderito, rendendo incontestabile l’invalidità del condono.

Preliminarmente, deve rilevarsi che l’inammissibilità del ricorso, eccepita dall’amministrazione per la prima volta in grado di appello, non incontra il limite del divieto delle eccezioni nuove, di cui all’art. 57 d.lgs. n. 546/92, che si riferisce solo alle eccezioni sostanziali proprie, che non siano rilevabili d’ufficio (inoltre, per costante giurisprudenza di questa Corte in materia di processo tributario, l’inammissibilità del ricorso introduttivo del contribuente è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio).

Nella fattispecie in esame, come riportato dall’Agenzia delle Entrate e non contestato in alcun modo da parte resistente, prima che la società presentasse l’istanza di condono in data 2/4/2004, l’Amministrazione finanziaria, in data 31/12/2003, aveva notificato alla società contribuente un avviso di accertamento per il periodo 1/7/1998 – 30/6/1999, divenuto definitivo per mancata impugnazione.

Inoltre, successivamente all’istanza di condono, l’Agenzia delle Entrate, in data 25/9/2006, aveva notificato alla società ulteriori avvisi di accertamento per gli anni dal 1999 al 2002, che erano stati definiti con l’adesione della contribuente.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di condono fiscale, salvo che non sia espressamente previsto (come, ad esempio, nell’art. 16 della legge n. 289 del 2002, in tema di definizione delle liti pendenti), l’Ufficio non è tenuto ad adottare un provvedimento esplicito di diniego qualora ritenga l’istanza invalida, ben potendo procedere all’iscrizione a ruolo ed alla notifica della relativa cartella di pagamento, che si basa sull’atto impositivo e deve intendersi come implicito diniego di ammissione al beneficio, senza che ciò pregiudichi il diritto di difesa del contribuente, il quale, nel giudizio di impugnazione della cartella, può sempre far valere tutte le ragioni per le quali ritenga di avere diritto di accedere al condono (cfr., tra altre, Cass. nn. 16100 del 2011, 7673 e 11458 del 2012; Cass. n.14878/16).

Deve aggiungersi che, costituendo l’estinzione dell’obbligazione tributaria l’effetto collegato dall’ordinamento al perfezionamento della fattispecie di condono, è onere del contribuente, a fronte della pretesa dell’Amministrazione manifestatasi con l’emissione dell’atto impositivo, dimostrare l’avvenuta integrazione degli elementi costitutivi della fattispecie condonistica.

L’Amministrazione fa dunque solo valere la pretesa tributaria, restando a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’avvenuta estinzione dell’obbligazione, ovvero la sostituzione con quella condonistica” (Cass. sent. n.15881/2016 ).

Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che l’Agenzia delle Entrate, in data 25/9/2006, cioè successivamente all’istanza di condono cd. “tombale” ex art. 9 L. n.289/02, verificato il mancato perfezionamento dell’agevolazione a causa dell’impossibilità della definizione dell’anno 2001 e del versamento di soli euro 500,00 per l’anno 1999, laddove ne erano dovuti euro 700,00 ai sensi dell’art.9, comma 3 bis, legge n.289/02, ha notificato alla società gli avvisi di accertamento per gli anni dal 1999 al 2002, sul presupposto dell’invalidità della procedura di condono.

A tali avvisi la contribuente ha prestato adesione, rendendoli definitivi e non più contestabili, dato che, ai sensi dell’art.2, comma 3, d.l. n.218/1997, l’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, né è integrabile o modificabile da parte dell’Ufficio.

Pertanto, il diniego di condono, comunicato formalmente alla società in data 7/2/2007, non può assumere una valenza autonoma, di preclusione dell’accesso al condono, poiché negli avvisi di accertamento, cui la contribuente aveva aderito, era già stata esplicitata l’invalidità del condono, che costituiva il presupposto comune alla loro emissione (altrimenti preclusa dal cd. condono tombale).

Il ricorso della società avverso il formale diniego del condono (ipotesi pur astrattamente prevista dall’art. 19, co.l, lett. H d.lgs. n.546/92) deve, quindi, ritenersi inammissibile per carenza di interesse, poiché la stessa contribuente aveva già aderito agli accertamenti emessi per il periodo in contestazione sul presupposto dell’invalidità del condono, rendendoli definitivi.

La contestazione in ordine all’avvenuto perfezionamento del condono avrebbe dovuto essere sollevata con l’impugnazione degli avvisi di accertamento, notificati dopo la presentazione dell’istanza di condono, sul presupposto del mancato perfezionamento dello stesso.

L’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento degli altri motivi del ricorso principale (il primo relativo all’omessa pronuncia sull’inammissibilità del ricorso del contribuente da parte della C.T.R., il terzo ed il quarto relativi alla violazione dell’art.9 L. n.289/02 ed all’insufficiente motivazione in ordine alla scusabilità dell’errore in cui era incorsa la contribuente per il versamento effettuato per l’anno 1999), nonché l’inammissibilità, per il venir meno di ogni interesse all’impugnazione, dei tre motivi di ricorso incidentale (relativi alla sussistenza del giudicato interno rispettivamente sulle rationes decidendi della C.T.R. basate sull’esclusione della decadenza automatica dal condono per errore nel versamento del dovuto -primo motivo-, sulla scusabilità dell’errore del contribuente nel versamento per l’anno 1999 – secondo motivo-, sulla mancata prova dell’incongruenza del versamento per l’anno 1999 – terzo motivo-).

La Corte, quindi, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario della società contribuente.

Sussistono giusti motivi, in relazione al comportamento complessivo delle parti, per compensare tra le stesse le spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso della società contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Così deciso in Roma, il giorno 12 febbraio 2019.

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