CASSAZIONE

Nel processo tributario l’autocertificazione non ha valore probatorio

La Sezione tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 701 del 13 gennaio 2017, ha stabilito che l’autocertificazione è priva di efficacia probatoria nel processo tributario, affermando che ai fini del redditometro l’accertamento sintetico effettuato nei confronti di una casalinga è legittimo se la stessa non dimostra che le spese sostenute sono imputabili al compagno convivente e che quindi non può bastare produrre una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

Gli Ermellini hanno quindi ritenuto che la semplice dichiarazione firmata dal cittadino, senza firma autenticata e senza bollo, che sostituisce i certificati e documenti richiesti dalle amministrazioni pubbliche e dai gestori dei servizi pubblici, così come definito dal DPR n. 445/2000, trova impedimento invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992, perché eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale, finirebbe per introdurre un mezzo di prova non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo.

I giudici, pur riconoscendo all’autocertificazione una funzione certificativa e probatoria in alcune procedure amministrative, confermano l’impossibilità di farla valere nell’ambito dei contenziosi istaurati con l’Amministrazione finanziaria. Sulla valenza probatoria della dichiarazioni sostitutive di notorietà, la Suprema Corte si è del resto pronunciata più volte, ribandendo sempre lo stesso principio di diritto: l’autocertificazione non trova ingresso nel processo tributario.

Le dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, anche se hanno attitudine certificativa e probatoria in alcune procedure amministrative, sono vietate nel processo tributario per il limite invalicabile posto dal citato art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, comma 4, sul divieto di giuramento e prova testimoniale. (Cass. n.1663/2013).

La Corte, in questo caso, si è manifestamente ispirata a quanto già era stato precedentemente espresso con la pronunzia n. 1290 del 26 gennaio 2015, nella quale, muovendo da un orientamento consolidato e citato (Cass. n. 6755 del 2010, n. 703 del 2007), era stato rimarcato il seguente principio: “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/92, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (cfr Cassazione, sentenze 703/2007, 16348 /2008, 6755/2010 e 1630/2013)”.

Per compiutezza di esposizione non appare inutile indicare l’esistenza di un orientamento che, invece, riconosce effetti alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, però posta in essere da soggetto estraneo alla controversia, dovendosi attribuire al medesimo lo stesso valore di indizio che viene riconosciuto alla scrittura privata proveniente da un terzo (Cass., n. 4495/2002). Secondo tale interpretazione il “divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale (Cassazione, sentenze 4423/2003, 7445/ 2003 e 12763/2011)”.

A parere di questa giurisprudenza, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione – che regola il giusto processo e che afferma solennemente il principio della parità delle parti – il contribuente, “al pari dell’amministrazione finanziaria … può introdurre nel giudizio tributario le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale; queste hanno il valore di elementi indiziari che – non potendo costituire da soli il fondamento della decisione – necessitano di essere valutati assieme ad altri elementi”.

Nel caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza della CTR che, accogliendo l’appello di una casalinga, ha annullato sette avvisi di accertamento ai fini IRPEF per gli anni dal 1998 al 2004, con i quali l’ufficio aveva proceduto all’accertamento sintetico dei redditi di un contribuente. Il giudice d’appello osserva che l’individuazione dell’effettiva capacità contributiva non può dedursi dalla mera proprietà di beni mobili, immobili o finanziari, dovendosi tener conto anche delle spese sostenute per il loro mantenimento e nella specie, pur comparendo la contribuente titolare di un immobile, di alcuni veicoli nonché intestataria di disponibilità bancarie, non risulta essere in possesso di alcuna capacità contributiva, da ascriversi invece all’ex convivente, di professione odontoiatra.

In particolare, e per quello che qui si vuole evidenziare, l’amministrazione denuncia la violazione e la falsa applicazione del DPR n. 600/1973, art. 38 e del D.Lgs. n. 546/1992, art. 7, assumendo che una circostanza volta a escludere che una voce positiva di reddito ascritta dall’ufficio in capo a un contribuente con accertamento sintetico non possa ritenersi provata sulla base di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa da un terzo, ovvero che una tale dichiarazione non sia ammissibile nel processo tributario.

A tal proposito i giudici del Palazzaccio hanno affermato che “Il motivo è fondato, ove si consideri che secondo l’indirizzo di questa Corte, “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7, comma 4, giacche’ finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo” (Cass. n. 6755 del 2010, n. 703 del 2007)”.

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Corte di Cassazione, Sez. tributaria – Sentenza 13 gennaio 2017, n. 701

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con sette motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello di (OMISSIS), ha annullato sette avvisi di accertamento ai fini dell’IRPEF per gli anni dal 1998 al 2004, con i quali l’ufficio aveva proceduto all’accertamento sintetico dei redditi.

Il giudice d’appello, premesso che a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38 l’accertamento sintetico trova applicazione “quando il reddito dichiarato non risulta congruo per due o più periodi d’imposta”, osserva che l’individuazione dell’effettiva capacità contributiva non può dedursi dalla nera proprietà di beni mobili, immobili o finanziari, dovendosi tener conto anche delle spese sostenute per il loro mantenimento: e nella specie, pur apparendo la contribuente titolare di un immobile, di alcuni veicoli nonché’ intestataria di disponibilità bancarie, non risulta essere in possesso di alcuna capacità contributiva, da ascriversi invece all’ex convivente (OMISSIS), di professione odontoiatra.

“In primo luogo, l’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto si desume (a prescindere dalle risultanze anagrafiche, non decisive) dai numerosi negozi giuridici posti in essere insieme (locazione, procedura di ristrutturazione di in immobile, polizze vita stipulate reciprocamente in favore l’uno dell’altra etc.), nonché’ dalle attestazioni rilasciate dagli stessi interessati e da terzi (quali l’amministrazione condominiale, la direzione commerciale della Ferrari, che parla di “coniugi”)”.

In secondo luogo – prosegue la sentenza impugnata -, “le risultanze in atti dimostrano che l’intestazione dei beni dei quali la contribuente risulta titolare è di fatto simulata, trattandosi di acquisti effettuati con i proventi dell’attività di odontoiatra e solo fittiziamente intestati alla contribuente, tanto che a un certo punto il Cerea se li è ripresi (ciò vale ad esempio per l’autovettura Ferrari; ancor più esplicativa è la vicenda del motociclo, inizialmente di proprietà del (OMISSIS), dallo stesso trasferito alla (OMISSIS) e poi a lui reintestato)”.

In terzo luogo, “risulta documentato che le disponibilità economiche necessarie a mantenere detti beni non sono imputabili all’appellante, bensì all’ex convivente, il quale, almeno per un certo periodo, ha provveduto mensilmente al versamento di somme di denaro in favore della contribuente che svolgeva l’attività di casalinga e non godeva di redditi propri. Sul conto corrente della contribuente, inoltre, risultano essere transitate somme derivanti dall’incasso di assegni bancari, molti dei quali privi dell’indicazione del beneficiario, ma alcuni recanti il nome del (OMISSIS). La circostanza che tali versamenti fossero proventi “in nero” derivanti dall’attività di quest’ultimo trova ulteriore riscontro nella stessa ammissione fornita dall’interessato”.

La contribuente resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso l’amministrazione denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione sul rapporto di convivenza fra la contribuente ed il (OMISSIS), non essendo stato adeguatamente spiegato come alcuni elementi fattuali (negozi giuridici congiunti, autodichiarazione degli interessati, dichiarazioni rilasciate da terzi), logicamente o normativamente insuscettibili di costituire prova giudiziale, neppure indiziaria, siano state ritenute prevalenti rispetto ad altre risultanze, segnatamente quelle anagrafiche; e non essendo stato in alcun modo spiegato perché’ sarebbe stata implicitamente ritenuta la prosecuzione della detta convivenza per tutti gli anni fra il 1998 ed il 2004, oggetto degli accertamenti contestati, considerato che le fonti di prova cui si rifa’ la CTR sono generiche quanto alla durata di tale preteso rapporto, e sono tutt’al più riferibili al momento puntuale in cui sono state formate, come i negozi giuridici menzionati.

Col secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38, “anche a voler ammettere che sussistesse tra la contribuente ed il (OMISSIS) un rapporto di convivenza nel corso degli anni oggetto degli accertamenti”, l’amministrazione assume che la sentenza avrebbe violato la norma in rubrica nel ritenere che la capacità contributiva dimostrata dalla contribuente tramite inequivoci elementi indicativi quali la titolarità di immobili, di veicoli e di disponibilità bancarie sia invece da ascrivere ad altro soggetto, all’epoca mero convivente di fatto della contribuente medesima; con il terzo motivo, denuncia sotto il profilo della insufficiente motivazione la ritenuta consequenzialità fra detta convivenza e l’imputazione al (OMISSIS) della capacità contributiva di beni riferibili alla contribuente.

Con il quarto motivo denuncia l’omessa e insufficiente motivazione in ordine all’ascrizione di capacità contributiva relativa alle vetture Mercedes e Smart, intestate esclusivamente alla contribuente, alla vettura Ferrari, esprimente capacità contributiva a lei ascrivibile almeno in parte, avendo contribuito significativamente all’acquisto ed avendone la materiale disponibilita’, al motociclo Honda, la cui titolarità era stata “ritrasferita” al (OMISSIS), non considerando che, almeno per il periodo in cui esso era rimasto nella titolarità formale della contribuente, a lei doveva ascriversi la relativa capacità contributiva; con il quinto motivo denuncia omissione di qualsivoglia considerazione e motivazione con riguardo all’immobile di (OMISSIS), da ricondurre indiscutibilmente alla contribuente non solo in base alla formale intestazione della proprietà, ma anche all’effettiva disponibilità, per il fatto che ella vi risiedeva negli anni oggetto di accertamento, e vi ha risieduto anche dopo che il solo preteso rapporto di convivenza sarebbe terminato, fino al momento della cessione avvenuta nel 2008; con il sesto motivo denuncia contraddittorietà e perplessita’ della motivazione circa l’affermazione per cui il versamento delle ridette somme mensili di Euro 1.100 a partire dal 2005 (circostanza del tutto irrilevante in relazione agli accertamenti relativi agli anni antecedenti) provasse che le disponibilità economiche necessarie per mantenere i rilevanti beni (mobili ed immobili) descritti nel corso del giudizio oggetto di accertamento provenissero dal (OMISSIS).

I primi sei motivi, da esaminare congiuntamente in quanto legati, sono fondati.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, ha infatti chiarito questa Corte, “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, comma 6, nella versione vigente “ratione temporis”, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (ex multis, Cass. n. 25104 del 2014).

Ed in proposito si osserva che è insufficiente la motivazione in ordine alla sussistenza del rapporto di convivenza fra la contribuente ed il (OMISSIS) e – considerati i termini della contestazione elevata con l’avviso – la sua durata, come insufficiente oltre che illogica è l’apodittica affermazione secondo cui il rapporto di convivenza “si desume (a prescindere dalle risultanze anagrafiche, non decisive) dai negozi.

Si osserva ancora come violi la regola posta dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38 l’affermazione secondo cui, “anche a voler ammettere che sussistesse tra la contribuente ed il (OMISSIS) un rapporto di convivenza nel corso degli anni oggetto degli accertamenti”, la capacità contributiva dimostrata dalla contribuente tramite inequivoci elementi indicativi come la titolarità di immobili, di veicoli e di disponibilità bancarie, sia invece da ascrivere ad altro soggetto; e come incorra nel vizio di insufficiente motivazione addebitato (con il terzo motivo) la affermata consequenzialità fra la convivenza detta e la imputazione al (OMISSIS) della capacità contributiva di beni riferibili alla contribuente.

E’ ancora in parte insufficiente ed in parte omessa la motivazione in ordine alla contestata capacità contributiva rappresentata dalle vetture Mercedes e Smart, intestate alla contribuente, dall’automobile Ferrari, a lei ascrivibile in parte in ragione del contributo significativo all’acquisto, e della quale aveva la materiale disponibilità, e dal motociclo Honda.

E’ ancora omessa la motivazione e “ogni considerazione” circa l’immobile in (OMISSIS), del quale la contribuente era proprietaria e del quale aveva avuto la disponibilità, anche oltre il periodo oggetto dell’accertamento; è infine insufficiente, ed in parte irrilevante, la motivazione avente ad oggetto la valenza del versamento mensile di Euro 1.100 dal (OMISSIS) alla contribuente, tanto più che sarebbe stato effettuato dalla fine del periodo oggetto dell’accertamento.

Con il settimo motivo l’amministrazione denuncia la violazione e la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 38 e del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7 assumendo che una circostanza volta ad escludere che una voce positiva di reddito ascritta dall’ufficio in capo a un contribuente con accertamento sintetico non possa ritenersi provata sulla base di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà resa da un terzo, ovvero che una siffatta dichiarazione non sia ammissibile nel processo tributario.

Il motivo è fondato, ove si consideri che secondo l’indirizzo di questa Corte, “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7, comma 4, giacche’ finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo” (Cass. n. 6755 del 2010, n. 703 del 2007).

In conclusione, il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in altra composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in altra composizione.

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