EUROPA LEGGE

Mobilità dei lavoratori e previdenza complementare, la Direttiva Ue

Lo scorso 20 giugno il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che recepisce la Direttiva 2014/50/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che armonizza la normativa nazionale a quella comunitario nel settore della previdenza complementare, in attuazione della legge 114/2015 (Legge di delegazione europea 2014). Obiettivo della Direttiva è quello di aumentare la mobilità dei lavoratori tra i Paesi membri e migliorare l’acquisizione e la salvaguardia dei loro diritti pensionistici complementari. Il provvedimento – si legge nel comunicato stampa diramato dal Consiglio dei Ministri – integra la normativa in vigore, il D.lgs. 252/2005 che disciplina delle forme pensionistiche complementari, con disposizioni riguardanti, tra l’altro:

– il tetto di contribuzione alle forme pensionistiche complementari, ridotto a tre anni rispetto a quello ordinario di cinque, per i lavoratori il cui rapporto di lavoro in corso cessa per motivi indipendenti dall’acquisizione del diritto ad una pensione complementare e che si spostino per lavoro in un altro Stato membro dell’Unione europea;

– il mantenimento della posizione individuale maturata presso la forma pensionistica complementare e il trasferimento ad altra forma pensionistica se vengono meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, e gli obblighi di informazione nei confronti degli iscritti attivi con riferimento ai diritti pensionistici complementari.

Le informazioni relative all’applicazione della Direttiva dovranno essere comunicate alla Commissione europea entro il 21 maggio 2019; la Commissione dovrà stilare una relazione sull’applicazione della Direttiva stessa, che sarà presentata al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale entro il 21 maggio 2020.

 

Le novità

Fra le novità del decreto di recepimento, come si è detto, la riduzione dal termine ordinario di cinque anni a tre anni per maturare il diritto alla previdenza complementare: ciò significa che se di norma sono necessari cinque anni di versamenti, per il lavoratore che va a lavorare in un altro Paese europeo la soglia si riduce a tre anni.

Un’altra modifica riguarda il caso in cui vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare: i fondi pensione possono prevedere la possibilità di mantenere la posizione individuale maturata anche in assenza di ulteriori periodi di contribuzione.

In questi casi il lavoratore iscritto può optare fra tre diverse possibilità: mantenimento della posizione individuale, trasferimento ad altra forma pensionistica, riscatto.

Le forme pensionistiche complementari, secondo le istruzioni della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, sono obbligate a informare l’iscritto della facoltà di esercitare il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare o di chiedere il riscatto della propria posizione. In particolare, sarà compito della Covip assicurare che gli iscritti attivi possano ricevere informazioni riguardo alle conseguenze della cessazione del rapporto di lavoro sui loro diritti pensionistici complementari e che gli stessi iscritti (e i loro eredi) possano avere informazioni sul valore dei loro diritti pensionistici o sulle condizioni che disciplinano il trattamento dei diritti pensionistici. Il decreto adegua alla normativa europea il periodo minimo di acquisizione dei diritti pensionistici complementari e conferma l’esclusione nel nostro ordinamento dalla decadenza dei diritti pensionistici complementari, poiché l’iscritto può sempre esercitare, in caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo, il riscatto della sua intera sua posizione individuale o il trasferimento a un altro fondo pensione.

Il decreto, che semplifica le regole di adesione alla previdenza complementare dei lavoratori che prestano l’attività in mobilità nel territorio Ue, irrobustisce gli obblighi di informazione nei confronti degli iscritti.

 

La previdenza complementare in Italia. Dall’Indagine annuale sul bilancio delle famiglie italiane pubblicata a marzo dalla Banca d’Italia, la diffusione della previdenza complementare risulta ancora piuttosto ridotta. I fondi pensione e le assicurazioni ramo vita costituiscono circa il 23% della ricchezza finanziaria complessiva lorda delle famiglie: l’analisi evidenzia che in quasi il 15% delle famiglie almeno un componente aderisce a fondi pensione o assicurazioni vita per integrare la pensione pubblica. Al Centro Nord è coinvolto il 17% delle famiglie, al Sud l’11%.

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, le forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti (43%), mentre circa il 25% degli iscritti sono impiegati e il 14% operai. Appare, invece, decisamente più moderato il gap tra classi d’età: poco meno del 20% nelle fasce tra i 20 e i 45 anni e tra i 56 e i 65 anni, del 30% in quella tra i 46 e i 55 anni). Tra i lavoratori autonomi gli aderenti sono il 17%, senza grandi differenze riguardo all’età.

 

 

 

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