CASSAZIONE

Mediazione obbligatoria: l’indisponibilità a procedere può essere dichiarata sin da subito

Art. 8,  D.lgs. 28/2010 – Mediazione obbligatoria – Conciliazione delle controversie civili e commerciali – Comparizione – Parti  –  Procedibilità  – Sostituzione –  Procura sostanziale – Tentativo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8473 del 27 marzo 2019, intervenendo in tema di mediazione obbligatoria ha chiarito diversi importanti aspetti della sin qui discussa materia, alcuni dei quali posti per la prima volta innanzi la Suprema Corte, sulle condizioni di procedibilità di una vasta serie di controversie sorte in seguito all’applicazione del D.lgs. 28/2010 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69 e successive modifiche), offrendo infine anche alcuni importanti principi di diritto.

In particolare, la questione giuridica che gli Ermellini hanno affrontato riguarda un preciso punto del procedimento di mediazione il cui preventivo esperimento, come è noto, è previsto obbligatoriamente a pena di improcedibilità per le controversie nelle materie indicate dagli artt. 5 e 8, del D.lgs. 28/2010 e potrebbe così riassumersi: la parte che propone la mediazione (così come la controparte) è tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore oppure può farsi sostituire?

La Suprema Corte, come si legge a pag. 8 della sentenza in commento, ritiene che “L’importanza del contatto diretto tra le parti, in cui è riposto il successo della mediazione” grazie alla presenza del mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali”.

Per poi giungerea un giudizio piuttosto possibilista, in quanto nel prosieguo si legge che “… nella mediazione obbligatoria davanti al mediatore la parte può farsi anche sostituire da un proprio rappresentante sostanziale”.

Abbiamo ben presente che la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali consiste nell’attività, in qualsiasi modo denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia. Se, in generale, chiunque sia parte di una controversia civile (vertente su diritti disponibili) può liberamente provare a risolvere la lite tramite tale strumento, per alcune specifiche controversie l’utilizzo della mediazione è imposto dalla legge: si tratta delle controversie vertenti nelle materie originariamente elencate dall’art. 5, comma 1, D.lgs. 28/2010 (Condizione di procedibilità e rapporti con il processo) e oggi, in seguito alla riforma del 2013 (D.l. 69/2013, conv., con mod., in l. 98/2013), elencate dal comma 1-bis del medesimo art. 5.

In tali ipotesi si parla di mediazione c.d. obbligatoria.

La natura obbligatoria della mediazione – prevista, come detto, esplicitamente dalla citata norma di legge – discende dalla circostanza che nelle controversie in questioneil procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della successiva (ed eventuale) domanda giudiziale.

In estrema sintesi ciò significa che, in caso di controversia vertente in una delle materie in questione, per poter ottenere una sentenza di merito da parte del giudice, occorre prima svolgere il procedimento di mediazione. Inoltre, va infine chiarito che la disciplina della mediazione obbligatoria è oggi dettata, in via principale, dall’art. 5, commi 1-bis e 2-bis, D.lgs. 28/2010, e che a norma del comma 2-bis la condizione di procedibilità si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.

Ricordiamo che tale disciplina ha avuto una lunga e difficile gestazione, non priva di accesi toni polemici, che in buona sostanza oggi sommariamente consideriamo con una panoramica temporale, nata proprio intorno all’obbligatorietà del procedimento di mediazione.

La disciplina è entrata in vigore solo parzialmente: come previsto infatti dal richiamato art. 24, D.lgs. 28/2010, dal 21 marzo 2011 sono entrate in funzione le disposizioni in tema di mediazione obbligatoria, ad eccezione però delle controversie in tema di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione dalla circolazione di veicoli e natanti (queste ultime oggi, in seguito alla riforma del 2013, non più ricomprese tra le controversie per le quali è previsto il previo esperimento del procedimento di mediazione), il cui assoggettamento alle norme sulla mediazione obbligatoria è stato prorogato di 12 mesi (portandolo al 21 marzo 2012) ad opera della legge 10/2011.

Nel marzo 2012 è poi entrata totalmente in vigore anche la disciplina della mediazione obbligatoria (peraltro novellata, all’art. 8, comma 5, ad opera dell’art. 35-sexsies, D.l. 138/2011, conv., con mod., nella l. 148/2011). Nel 2012, però, con la sentenza n. 272 del 6 dicembre 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina relativa alla c.d. mediazione obbligatoria, con la conseguenza che la relativa disciplina è stata espunta dal D.lgs. 28/2010. E’ opportuno allora menzionare, in estrema sintesi, che la Corte Costituzionale chiarisce l’obbligatorietà della mediazione che non poteva essere prevista con lo strumento del decreto legislativo (nella specie, il n. 28/2010), in mancanza di esplicita indicazione in tal senso nella relativa legge delega (nella specie la l. 69/2009).

Così, alla luce della citata pronuncia della Corte Costituzionale, l’obbligatorietà della mediazione è stata reintrodotta, con alcune modifiche rispetto all’originaria disciplina, ad opera del c.d. “decreto del fare”, il D.l. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, conv., con mod., nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che in buona parte risponde alle molte raccomandazioni rivolte all’Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013  nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività.

Pertanto appare logico che sin nella fase precedente all’eventuale pianificazione di qualunque strategia processuale, è fondamentale indagare la circostanza posta alla base e se alla controversia in questione si possa applicare o no la disciplina della mediazione obbligatoria. Ciò anche al fine di valutare (con consapevolezza) e comparare tempi, costi, obblighi (e sanzioni) relativamente al ventaglio di azioni giudiziarie ed extra-giudiziarie a disposizione (peraltro, i costi di un procedimento di mediazione variano, a volte anche sensibilmente, a seconda che si tratti di mediazione obbligatoria o meno).

Rivolgendo ora l’attenzione al contenzioso tributario, la mediazione tributaria è diventata obbligatoria anche per le cause contro il Fisco, ossia per l’impugnazione degli atti dell’Agenzia delle Entrate e delle cartelle esattoriali emesse dall’Agente della Riscossione. L’obbligatorietà della mediazione, inizialmente prevista solo per gli atti fino a 20mila euro (ed escluso per le cartelle) è stato poi esteso, con la “Manovrina” del 2017, agli atti impugnabili notificati a decorrere dal 1gennaio 2018. La mediazione tributaria obbligatoria si applica ai ricorsi notificati a partire dal 1° gennaio 2016 che abbiano a oggetto atti fiscali dell’Agenzia delle Entrate, di altri enti creditori o dell’Aagente della riscossione, purché di valore non superiore a 50mila euro.

Sono infine soggetti a mediazione tributaria obbligatoria gli atti o provvedimenti riguardanti imposte e tasse (imposte sui redditi, bollo auto tassa rifiuti ecc.) o la materia catastale; tra questi rientrano anche la comunicazione di iscrizione di fermo amministrativo sul veicolo o di ipoteca su un immobile. Il ricorso notificato all’ente impositore/Agente della riscossione, qualora si alleghi l’istanza di mediazione, produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa.

Tanto premesso, e tornando al caso di specie, una società ricorreva contro la sentenza del Giudice d’appello dove si affermava che l’art. 8, D.lgs. n. 28/2010 prevede la presenza personale delle parti, assistite dal proprio difensore (in tal senso deponendo l’uso della congiunzione “e”, laddove si precisa che il mediatore “invita le parti e i loro avvocati”), atteso che nel primo incontro informativo il mediatore necessita di contatto diretto con le parti sostanziali, al fine di verificare la fattibilità dell’inizio della procedura di mediazione vera e propria. Inoltre, si affermava che nel caso di specie, peraltro, a prescindere dalla partecipazione personale delle parti, dovesse ritenersi che la mediazione non fosse mai iniziata essendovi stato un primo incontro informativo e preliminare, senza discussione di alcuna questione relativa alla controversia e alla sola presenza degli avvocati, mentre all’incontro successivo, fissato al 18/07/2016 per lo svolgimento della mediazione in senso stretto, nessuna delle parti si era presentata.

La Cassazione ritiene però non idonea una generica procura notarile in favore dell’avvocato, che pure conferisce al legale ogni potere giudiziale e stragiudiziale, compreso quello di conciliare la controversia. Serve invece una procura speciale ad hoc che attribuisca all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte, che dunque non può essere autenticata dallo stesso difensore, visto che il potere di partecipare in sostituzione della parte alla procedura di mediazione esula dai possibili contenuti “certificabili” dal legale.

In buona sostanza, per delegare un terzo a partecipare alla mediazione, la parte deve conferire una procura avente come specifico oggetto “la partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto”; quindi deve essere unaprocura speciale sostanziale.

La Cassazione ha poi affrontato anche un secondo punto controverso e sempre in merito all’incontro di mediazione. Allo scopo di esperire correttamente il tentativo di mediazione è sufficiente che la parte intenzionata ad agire in giudizio intervenga al primo incontro e si dica contraria a iniziare la mediazione. Analogamente, si ha lo stesso risultato se il convenuto non compare oppure presenzia dichiarando di non essere interessato.

La Suprema Corte, infine, premettendo nella mediazione obbligatoria la necessità della comparizione personale delle parti, ha ricordato come il legislatore abbia voluto la comparizione personale delle parti davanti al mediatore perché solo nel dialogo diretto tra parti e mediatore si può trovare la soluzione agli opposti interessi.

Ciò nonostante, la necessità di presenziare all’incontro non esclude la possibilità di delegare un atto che, a conti fatti, non è strettamente personale. Non si tratta quindi di un’attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo la mediazione natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri.  D’altronde, se la legge ritiene che la parte non possa farsi sostituire è solita dirlo senza sottintesi, magari perché attribuisce un particolare valore alle dichiarazioni dell’interessato. Non risulta previsto – ma nemmeno escluso – che chi non può o non vuole partecipare all’incontro di mediazione possa farsi sostituire da una persona a sua scelta. E dunque anche dal difensore che lo assiste nella procedura.

I supremi giudici di legittimità hanno pertanto ritenuto che “…C’è poi un altro passaggio motivazionale che merita attenzione. Lo stesso non è direttamente censurato e quindi, di per sé avrebbe potuto condurre al rigetto del ricorso in quanto la decisione poteva fondarsi su tale autonoma ratto decidendi non impugnata. Esso consente di esaminare e cogliere un altro degli interrogativi che la nuova disciplina pone, e dei punti in cui si stanno registrando orientamenti non convergenti nelle ormai numerose sentenze di merito che si sono già occupate della mediazione obbligatoria.  La corte d’appello ha ritenuto che, non essendosi le parti presentate al primo incontro, solamente informativo e preliminare, che si era svolto alla presenza dei soli avvocati, e non avendo mai avuto luogo il secondo incontro, perché le parti avevano comunicato preventivamente e oralmente al mediatore, a mezzo dei rispettivi avvocati, l’impossibilità di pervenire ad un accordo, la mediazione di fatto non si fosse svolta.  Ha ritenuto, di conseguenza (ai limitati fini della soccombenza virtuale ) che la condizione di procedibilità non si fosse verificata. La seconda questione da risolvere è dunque quella del quando: quando si può ritenere che il tentativo di mediazione obbligatoria sia utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità? E’ sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati, per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo corso alla mediazione. In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o l’attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione, limitarsi a comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione sia “effettiva”, che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva? Sia l’argomento letterale – il testo dell’art. 8 – che l’argomento sistematico – la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l’onere della parte che intenda agire in giudizio ( o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione. In questo senso depongono sia la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione.

Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione.

Solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase dì discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all’esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore). Non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell’esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara di non essere interessato alla mediazione.

Di questo comportamento si potrà eventualmente tenere conto nel successivo giudizio, come prevede il comma 4 bis dell’art. 8 (“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”).

Se anche il convenuto compare ed è l’attore che dichiara di non intendere impegnarsi nella mediazione deve ritenersi che il mediatore debba prenderne atto e che l’attività si concluda anche in questo caso al termine dell’incontro preliminare, che la mediazione sia stata esperita e che abbia dato esito negativo, e che quindi la condizione di procedibilità sia soddisfatta.

Quindi, è richiesta l’attivazione del procedimento di mediazione, la scelta del mediatore, la convocazione della controparte; è richiesta altresì la comparizione personale davanti al mediatore (con le possibilità alternative sopra enunciate) e la partecipazione al primo incontro, nel corso del quale la parte riottosa può liberamente convincersi di provare effettivamente e fino in fondo tramite la strada della soluzione alternativa alla controversia. Non può invece ritenersi che al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità sia necessario pretendere dalla parte anche un impegno in positivo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio. Non costituisce per contro idonea modalità di svolgimento della mediazione la mera comunicazione di aver sondato l’altra parte ed avere concordemente escluso la possibilità di addivenire ad un accordo, perché in questo modo si elude l’onere di comparire personalmente davanti al mediatore e di partecipare al primo incontro. Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che non si sia arrivati neppure a questa fase, perché le parti non sono mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tant’è che non è stato neppure redatto un verbale negativo.

Il ricorso va complessivamente rigettato.              

I principi di diritto enunciati possono essere riepilogati come segue:

– nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore;

– nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale;

-la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata alla termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. Nulla sulle spese, in difetto di attività processuale da parte dell’intimata. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002”.

Corte di CassazioneSentenza 27 marzo 2019, n. 8473

Sul ricorso 27762-2017 proposto da:

G. E. ENGINEERING SRL in persona dell’Amministratore Unico e Legale Rappresentante Dott. ADRIANO DELLI ZOTTI, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato 2019 CARLO ONESTI giusta procura speciale in calce al 293 ricorso;

– ricorrente –

contro E. SRL ;

– intimata –

avverso la sentenza n. 210/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 25/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CARLO ONESTI;

I FATTI DI CAUSA

1.11 giudizio di primo grado.

Nel 2016 G. E. Engineering S.r.l. depositò dinanzi al Tribunale di Udine ricorso ex art. 447-bis c.p.c., rappresentando di aver concesso in locazione un’unità immobiliare sita in Tavagnacco (UD) a E. S.r.I e chiedendo la risoluzione del contratto per mancata prestazione del deposito cauzionale, il rilascio dell’immobile e la condanna della controparte alle spese del giudizio.

E. si costituì in giudizio, eccependo l’avvenuta costituzione, benché solo in corso di causa, del deposito cauzionale e l’improcedibilità della domanda per mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione previsto dal D.Igs. 28/2010 e successive modifiche.

Il Giudice assegnò alle parti il termine di 15 giorni per l’avvio della procedura di mediazione ex art. 5 D.Igs. 28/2010, con conseguente differimento dell’udienza di discussione. G. avviava la procedura di mediazione; al primo incontro fissato dall’Organismo di mediazione in data 5/07/2016 parteciparono i soli procuratori delle parti, chiedendo un breve rinvio e successivamente questi comunicavano telefonicamente al mediatore l’impossibilità delle parti di raggiungere un accordo stragiudiziale.

Il secondo incontro non ebbe mai luogo (né si fa riferimento, nel ricorso o nella sentenza, all’esistenza di un verbale di mancata conciliazione).

Alla successiva udienza il difensore di E. eccepì nuovamente l’improcedibilità della domanda promossa dalla ricorrente sul rilievo che nel procedimento di mediazione non fossero comparse le parti personalmente ma solo i difensori, eccezione alla quale G. si oppose.

In sede di precisazione delle conclusioni G., stante l’avvenuta costituzione (benché tardiva) del deposito cauzionale ad opera della controparte, rinunciò alla domanda di risoluzione del contratto e insistette soltanto per ottenere la condanna di E. alla rifusione delle spese legali, liquidate in base al principio della soccombenza virtuale.

Il Tribunale dichiarò cessata la materia del contendere, rilevando, in rito, che non si fosse verificata la condizione di procedibilità della domanda di cui all’art. 5, c.1-bis, D.Igs. n. 28/2010, con conseguente improcedibilità della domanda attorea.

Compensò per intero tra le parti le spese di lite, osservando che “entrambe le domande di parte si sono alfine rivelate inammissibili per ragioni di rito”.

2. L’appello.

Avverso la sentenza n. 1418/2016 del Tribunale di Udine propose appello G., assumendo che la mediazione obbligatoria si fosse effettivamente svolta, avendo le parti legittimamente partecipato al procedimento di mediazione a mezzo dei rispettivi difensori (in particolare asserì che il difensore di G. fosse munito di una procura speciale, conferente tutti i poteri per definire e trattare questioni giudiziali e stragiudiziali, e che pertanto lo stesso fosse dotato di rappresentanza formale e sostanziale) e contestando il capo relativo alle spese. E. si costituì in giudizio.

La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza n. 2010 del 2017 qui impugnata, rigettò l’appello, condannando G. al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio. In particolare, il Giudice d’appello affermava che l’art. 8, D.Igs. n. 28/2010 prevede la presenza personale delle parti, assistite dal proprio difensore (in tal senso deponendo l’uso della congiunzione “e”, laddove si precisa che il mediatore “invita le parti e i loro avvocati”), atteso che nel primo incontro informativo il mediatore necessita di contatto diretto con le parti sostanziali, al fine di verificare la fattibilità dell’inizio della procedura di mediazione vera e propria;

che pertanto, pur potendo la parte farsi rappresentare dal difensore, non sia sufficiente a tal fine una semplice procura speciale alle liti rilasciata ex art. 185 c.p.c., contenente i poteri di transigere e conciliare la lite, trattandosi di procura con valenza processuale e non sostanziale, essendo necessaria una procura speciale notarile che conferisca al difensore la rappresentanza sostanziale della parte;

che nel caso di specie peraltro, a prescindere dalla partecipazione personale delle parti, dovesse ritenersi che la mediazione non fosse mai iniziata essendovi stato un primo incontro informativo e preliminare, senza discussione di alcuna questione relativa alla controversia, alla sola presenza degli avvocati, mentre all’incontro successivo fissato al 18/07/2016 per lo svolgimento della mediazione in senso stretto nessuna delle parti si era presentata.

3. Il giudizio di legittimità.

Avverso la sentenza n. 210/2017 della Corte d’appello di Trieste, pubblicata in data 25/05/2017, propone ricorso per Cassazione, con due motivi, G. E. Engineering S.r.l. E. S.r.l. non ha svolto in questa sede attività difensiva.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 5 e 8 del D.Igs. 28/2010 e successive modifiche, nonché degli artt. 185 e 83 c.p.c.

Sostiene che la Corte d’appello, soffermandosi sul solo elemento testuale, abbia stravolto la finalità del tentativo di mediazione previsto a pena di improcedibilità della domanda giudiziale dall’art. 8 del D.Igs. 28/2010;

e che tale articolo non preveda un obbligo di partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione al fine di potersi ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, prevedendo solo che la parte debba essere idoneamente informata sulla possibilità, o necessità, a seconda dei casi, di ricorrere alla procedura di mediazione e sulle agevolazioni fiscali che ne derivano, e che possa consapevolmente scegliere di delegare tale adempimento al proprio avvocato.

Aggiunge che se effettivamente la norma imponesse la presenza personale di entrambe le parti, il convenuto sarebbe arbitro di decidere se e quando consentire il perfezionamento della condizione di procedibilità, potendo lo stesso farsi rappresentare dal proprio difensore anziché presentarsi personalmente. Evidenzia che, se la sanzione prevista per il comportamento più grave della mancata partecipazione senza giustificato motivo è, ex art. 8 D.Igs. 28/2010, la condanna al pagamento del contributo unificato e la possibilità per il Giudice di trarre argomenti di prova dal suddetto comportamento, non potrebbe essere sanzionata con la più grave pena dell’improcedibilità la condotta più lieve della mancata comparizione personale.

Deduce che la Corte d’appello finisca per avallare la tesi da essa stessa respinta laddove afferma che al primo incontro siano comparsi i soli difensori, ma al contempo sostiene (usando peraltro le stesse parole del verbale di intermediazione del 05/07/2016) che “le parti” dichiarano di voler procedere con la mediazione (ciò significando, infatti, che gli avvocati abbiano agito in rappresentanza delle parti);

e che non si capisca perché al primo incontro la procedura di mediazione abbia potuto prendere avvio senza la presenza materiale di G. ed E. ma al successivo incontro fosse necessaria la loro presenza per poter dare atto dell’esito negativo del procedimento ex D.Igs. 28/2010.

La ricorrente contesta inoltre l’individuazione della fonte normativa della procura rilasciata al proprio avvocato nell’art. 185 c.p.c. rubricato “Tentativo di conciliazione” anziché nell’art. 83 c.p.c.

Lamenta infine che, seguendo la tesi ex adverso propugnata, la Corte d’appello avrebbe potuto disporre essa stessa, ai sensi dell’art. 5 D.Igs. 28/2010, l’esperimento della mediazione ex lege.

Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360, c.1, n. 5), l’omesso esame di un fatto decisivo indicato nella procura speciale alle liti, il cui testo non riproduce, ma che indica come prodotta nel giudizio di cassazione come allegato al ricorso, al n. 5.

La ricorrente deduce che il difensore di G., in virtù della procura speciale notarile rilasciata allo stesso e depositata in giudizio, avesse non solo ricevuto procura per rappresentare G. in giudizio, ma gli fossero stati conferiti tutti i poteri di disporre dei diritti materiali di G. oggetto della causa, anche nelle procedure stragiudiziali qual è quella di cui al D.Igs. 28/2010 e quindi che fosse non solo una procura processuale ma contenesse anche il conferimento di poteri sostanziali e che pertanto l’avvocato, munito di una tale procura, fosse legittimato a sostituire la parte nel procedimento di mediazione obbligatoria.

Al terzo punto del ricorso, la ricorrente, ad evitare che sulla questione si formi il giudicato, ripropone, fidando nell’accoglimento dei due precedenti motivi, la domanda di condanna alle spese del giudizio di appello dell’avversaria, sulla base della soccombenza virtuale della stessa, con eventuale esame della stessa da parte del giudice del rinvio.

Il ricorso pone per la prima volta a questa Corte la necessità di affrontare alcune questioni in tema di mediazione obbligatoria, introdotta come condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie dal d.lgs. n. 28 del 2010 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) e successive modifiche.

In particolare, la questione giuridica che il ricorso impone di risolvere è se, nel suddetto procedimento di mediazione, il cui preventivo esperimento è previsto obbligatoriamente, a pena di improcedibilità, per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, del d.ls. n. 28 del 2010 (introdotto dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni della legge 9 agosto 2013, n. 98, dopo che la Corte cost. con sentenza n. 272 del 2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 del medesimo articolo) e disciplinato, in particolare, dagli artt. 5 e 8 dello stesso, la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinché il tentativo si possa ritenere compiuto, a pena di improcedibilità dell’azione proposta senza previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, o se la stessa possa – e in che modo – farsi sostituire.

Qualora si ammetta che la parte possa farsi sostituire, ovvero che sia un atto delegabile ad altri, occorre individuare i modi e le forme di tale sostituzione, ovvero se possa essere sostituita da chiunque, ed in particolare se possa farsi sostituire anche dal suo avvocato e, qualora si ammetta che possa essere sostituita dal suo avvocato, con quale atto tali poteri possano essere conferiti.

Il legislatore con il decreto legislativo menzionato ha cercato di accelerare, se non forzare, la creazione di una cultura di risoluzione alternativa delle controversie, con finalità deflattiva, imponendo per una vasta serie di controversie questa ipotesi di mediazione come obbligatoria, il cui mancato esperimento è stato sanzionato con l’improcedibilità. Dalla lettura delle disposizioni ad essa dedicate, emerge l’adozione di un procedimento deformalizzato che si svolge davanti al mediatore, in cui la miglior garanzia di riuscita era costituita innanzitutto dalla stessa professionalizzazione delle figura del mediatore, e dall’offerta alle parti di un momento di incontro, perché potessero liberamente discutere prima che le rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle posizioni processuali assunte e dalle linee difensive adottate, nonché da agevolazioni fiscali. Il successo dell’attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l’acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali.

Quanto alla presenza dell’avvocato, essa originariamente non era neppure prevista è stata infatti introdotta nell’art. 5 dal comma 1 bis, che prevede che chi r intenda esercitare l’azione debba promuovere preventivamente la mediazione obbligatoria assistito dal proprio avvocato.

Si può osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato, con l’affiancare all’avvocato esperto in tecniche processuali che “rappresenta” la parte nel processo, l’avvocato esperto in tecniche negoziali che “assiste” la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l’acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate.

Non è questa la sede per valutare le probabilità di successo delle creazione forzosa di una cultura della mediazione. Occorre prendere atto che la legge impone in una vasta serie di casi, come momento necessario e significativo precedente alla possibilità stessa di introdurre il giudizio, la necessità di esperire la mediazione e sciogliere alcuni nodi del rapporto tra mediazione obbligatoria e giudizio, per individuare quando la condizione di procedibilità possa ritenersi soddisfatta e in particolare se, nel caso di specie, il giudice 8 abbia correttamente ritenuto che l’azione proposta fosse improcedibile (valutazione effettuata ai soli fini della soccombenza virtuale, perché qui la domanda di merito era stata alla fine rinunciata).

Come si è detto, il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perché solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore, conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti. Ha imposto quindi alle parti ( o meglio, alla parte che intende agire in giudizio) questo impegno preliminare mediante il quale fida di poter evitare (alle parti, e allo Stato più in generale) un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria. L’art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati.

La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato. Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l’attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la legge non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c, sulla risposta all’interrogatorio formale: “La parte interrogata deve rispondere personalmente” e il successivo art. 232 che fa discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: “L’interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all’art. 231 cod. proc. civ..

Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore.

Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche – ma non solo – dal suo difensore. Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto ( ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia , come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all’art. 84). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale.

Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale.

Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché il conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell’avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista.

Ciò detto, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile laddove tendente ad una diretta interpretazione dell’atto (la procura) da parte della Corte.

La sentenza impugnata si è attenuta infatti ai principi di diritto sopra enunciati.

Ha ritenuto che la presenza della parte sia necessaria davanti al mediatore, e che tuttavia essa potesse essere sostituita, eventualmente anche dall’avvocato.

Ha del pari ritenuto, esaminando la procura notarile rilasciata in favore dell’avvocato Onesti ed oggi prodotta in allegato al ricorso per cassazione, che l’atto di conferimento di potere pur avendo la forma della procura notarile fosse in realtà una semplice, benché ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia (da qui il richiamo corretto all’art. 185 c.p.c. ), ma comunque una procura dal valore meramente processuale, che non attribuiva all’avvocato la rappresentanza sostanziale della parte.

C’è poi un altro passaggio motivazionale che merita attenzione.

Lo stesso non è direttamente censurato e quindi, di per sé avrebbe potuto condurre al rigetto del ricorso in quanto la decisione poteva fondarsi su tale autonoma ratto decidendi non impugnata.

Esso consente di esaminare e cogliere un altro degli interrogativi che la nuova disciplina pone, e dei punti in cui si stanno registrando orientamenti non convergenti nelle ormai numerose sentenze di merito che si sono già occupate della mediazione obbligatoria.

La corte d’appello ha ritenuto che, non essendosi le parti presentate al primo incontro, solamente informativo e preliminare, che si era svolto alla presenza dei soli avvocati, e non avendo mai avuto luogo il secondo incontro, perché le parti avevano comunicato preventivamente e oralmente al mediatore, a mezzo dei rispettivi avvocati, l’impossibilità di pervenire ad un accordo, la mediazione di fatto non si fosse svolta.

Ha ritenuto, di conseguenza (ai limitati fini della soccombenza virtuale ) che la condizione di procedibilità non si fosse verificata. La seconda questione da risolvere è dunque quella del quando: quando si può ritenere che il tentativo di mediazione obbligatoria sia utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità? E’ sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati, per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo corso alla mediazione. In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o l’attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione, limitarsi a comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione sia “effettiva”, che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva?

Sia l’argomento letterale – il testo dell’art. 8 – che l’argomento sistematico – la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l’onere della parte che intenda agire in giudizio ( o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione. In questo senso depongono sia la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione.

Solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase dì discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all’esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore). Non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell’esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara di non essere interessato alla mediazione.

Di questo comportamento si potrà eventualmente tenere conto nel successivo giudizio, come prevede il comma 4 bis dell’art. 8 (“Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.”). Se anche il convenuto compare ed è l’attore che dichiara di non intendere impegnarsi nella mediazione deve ritenersi che il mediatore debba prenderne atto e che l’attività si concluda anche in questo caso al termine dell’incontro preliminare, che la mediazione sia stata esperita e che abbia dato esito negativo, e che quindi la condizione di procedibilità sia soddisfatta.

Quindi, è richiesta l’attivazione del procedimento di mediazione, la scelta del mediatore, la convocazione della controparte; è richiesta altresì la comparizione personale davanti al mediatore (con le possibilità alternative sopra enunciate) e la partecipazione al primo incontro, nel corso del quale la parte riottosa può liberamente convincersi di provare effettivamente e fino in fondo tramite la strada della soluzione alternativa alla controversia.

Non può invece ritenersi che al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità sia necessario pretendere dalla parte anche un impegno in positivo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio. Non costituisce per contro idonea modalità di svolgimento della mediazione la mera comunicazione di aver sondato l’altra parte ed avere concordemente escluso la possibilità di addivenire ad un accordo, perché in questo modo si elude l’onere di comparire personalmente davanti al mediatore e di partecipare al primo incontro.

Nel caso di specie, la corte d’appello ha ritenuto che non si sia arrivati neppure a questa fase, perché le parti non sono mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tant’è che non è stato neppure redatto un verbale negativo.

Il ricorso va complessivamente rigettato.                

I principi di diritto enunciati possono essere riepilogati come segue:

– nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore;

– nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l’assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale;

-la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata alla termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

Nulla sulle spese, in difetto di attività processuale da parte dell’intimata. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 6 febbraio 2019

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