CASSAZIONE

Lottizzazione abusiva: se le opere sono state eliminate, niente confisca

Demanio – Reati edilizi – Urbanistica – Lottizzazione abusiva – Frazionamenti – Legittimità della confisca in presenza dell’integrale ripristino della situazione antecedente – Demolizione – Ricomposizione fondiaria e catastale -Confisca

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12640 del 22 aprile 2020, intervenendo in tema di lottizzazione abusiva ha affermato che la effettiva e integrale eliminazione di tutte le opere eseguite e dei pregressi frazionamenti cui sia conseguita la ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente, rende superflua la confisca perché misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia. In altre parole, secondo i Supremi Giudici vale il principio di protezione della proprietà di cui all’art.1del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU nella citata sentenza sui ricorsi relativi alle confische disposte in assenza di sentenza di condanna per fatti di lottizzazione abusiva nelle zone di Punta Perotti in Puglia, Golfo Aranci in Sardegna e nell’area del Comune di Reggio Calabria.

Come si ricorderà la pronunzia, sollevando più di qualche obiezione sull’interpretazione data, statuì che vi era stata violazione dell’articolo 7 (principio di legalità) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei confronti di tutte le società ricorrenti. Al contempo i Giudici europei affermavano che non vi era stata violazione dell’articolo 7 per quanto riguarda il ricorrente persona fisica e, all’unanimità, che vi era stata una violazione dell’articolo 1 del protocollo n. 1 (protezione della proprietà) nei confronti di tutti i ricorrenti. I ricorrenti, in particolare, avevano sostenuto che la confisca urbanistica prevista dall’art. 44, co. 2, DPR n. 380/2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia) non fosse dotata di sufficiente base legale.

La Corte, infine, preso atto del fatto che tutti i ricorrenti avevano subito la confisca dei loro beni pur non essendo destinatari di una condanna formale, in conformità con la giurisprudenza Varvara c. Italia (Corte Europea dei diritti dell’uomo, 30 ottobre 2013), che in buona sostanza riteneva la

confisca illegittima se il reato di lottizzazione abusiva è prescritto, ha quindi ribadito che l’articolo 7 esclude la possibilità di irrogare unasanzione penalenei confronti di una persona senza l’accertamento e una previa declaratoria della sua penale responsabilità, tale dovendosi intendere nella sostanza la confisca urbanistica, seppur formalmente di natura amministrativa.

La causa Varvara c. Italia merita un piccolo approfondimento, poichè emerge soprattutto l’affermazione contenuta al paragrafo 72 della sentenza secondo cui l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non può ritenersi equivalente a un accertamento di responsabilità e pertanto la statuizione di confisca viola il principio di legalità penale, in quanto la Corte europea si è pronunciata in un caso in cui la misura era stata applicata con una sentenza di proscioglimento per

intervenuta prescrizione e, ribadita la natura penale della misura, ha ritenuto violato il principio di legalità in materia penale, sancito dall’art. 7 della Convenzione e, per l’effetto, compromesso anche il diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione, in conseguenza della riscontrata menomazione che quel diritto aveva subito in dipendenza di una sanzione penale illegittimamente applicata.

Secondo i giudici di Strasburgo si tratta della violazione del principio di “proporzionalità” della confisca urbanistica ai sensi dell’art. 1, Prot. 1 della Convenzione, e della lettura che la Suprema Corte ha dato di tale valore, nella quale non potrebbe essere concepito un sistema in cui una persona dichiarata innocente o comunque senza alcun grado di responsabilità penale accertata in una sentenza di colpevolezza, subisca una pena: “La logica della pena e della punizione – sottolinea la Corte Europea – e la nozione di guilty (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di personne coupable (nella versione francese) depongono a favore di un’interpretazione dell’art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore”.

Con questi principi, espressi dalla Corte EDU con le predette sentenze, si è successivamente confrontata anche la giurisprudenza delle Suprema Corte di legittimità (cfr., ex pluribus, Cass. n. 7860/2015; Cass. n. 51988/ 2017; Cass. n. 8350/19; Cass. n. 7756/2020).
Da tener conto, infine, che la Corte di Cassazione sul punto, precedentemente e in buona sostanza fino a tempi recenti, non aveva mancato di ribadire che la confisca urbanistica, di cui all’art. 44, comma 2, DPR n. 380/2001, ove testualmente stabilisce che: “ la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite”, poteva essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato (nella specie, della prescrizione), purché fosse accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati e che verifichi l’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Cass. n. 17066 del 4 febbraio 2013, nonché, ex plurimis, Cass n. 39078 del 13 luglio 2009, Cass n. 30933 del 19 maggio 2009).

Il dibattito sulla questione si è corredato anche dell’apporto della Corte Costituzionale che, fornendo una lettura “restrittiva” della giurisprudenza convenzionale, con la sentenza del 26 marzo 2015, n. 49, ha dichiarato inammissibile la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 cit. DPR 380/2001, affermando incidentalmente che “la confisca urbanistica costituisce sanzione penale ai sensi dell’art. 7 della CEDU e può pertanto venire disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti”; “nel nostro ordinamento (tuttavia) l’accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo di mala fede acquirente del bene (sentenze n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008)”.

Tale interpretazione pare potersi revocare in dubbio sulla base dell’introduzione dell’art. 578-bis c.p.p. (“Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”) ad opera del D.lgs. 1 marzo 2018, n. 21.

Da ricordare, infine, la pronuncia della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con la sentenza del 28 giugno 2018, ha statuito che “E’ compatibile con l’articolo 7 della Cedu la confisca urbanistica disposta a seguito del proscioglimento per intervenuta prescrizione allorquando sia comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi”; tuttavia, “con riferimento al principio per il quale un soggetto non può essere punito per un atto relativo alla responsabilità di altri, una confisca

disposta nei confronti di soggetti o enti che non siano parti nel procedimento che la infligge è incompatibile con l’articolo 7 della Cedu”; inoltre “risulta violato l’articolo 1 del Protocollo 1 alla Convenzione Edu laddove venga disposta la confisca obbligatoria in caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva in quanto tale provvedimento della pubblica autorità interferisce con la proprietà privata in modo sproporzionato rispetto allo scopo perseguito”.

Tanto premesso e tornando al caso in esame, la Corte di Appello riformava la decisione del Tribunale di prime cure dichiarando non doversi procedere nei confronti degli imputati per essere i reati loro rispettivamente ascritti estinti per prescrizione e confermando, nel resto, la sentenza impugnata.

Tra i reati contestati figura, per quel che qui rileva, quello di lottizzazione abusiva rispetto al quale la Corte di Appello ha confermato la disposta confisca delle aree abusivamente lottizzate e degli immobili ricadenti sulle stesse. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione, basando la doglianza essenzialmente sul fatto che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con la documentazione prodotta e acquisita nel corso del procedimento e, segnatamente, con alcuni atti notarili di mutuo dissenso e di retrocessione, per effetto dei quali egli è nuovamente divenuto proprietario di tutte le aree originariamente alienate, nonché con l’annullamento del frazionamento e la conseguente ricomposizione fondiaria e catastale originaria.

La S.C. dopo l’attenta disamina dei fatti e delle interpretazioni elaborate dalla giurisprudenza nazionale ed europea, ha quindi affermato che “… Tornando all’esame del motivo di ricorso, occorre rilevare che, nella sentenza impugnata, nel trattare la questione viene fatto esclusivo riferimento ad ‘“atti di retrocessione compiuti dalle parti i quali avrebbero determinato, secondo gli appellanti, il superamento, di fatto, della modifica urbanistica dell’area e che renderebbero meritevole, secondo i medesimi, la disposta confisca’“ senza alcun accenno alla totale demolizione delle opere di cui si parla in ricorso.

Nella sentenza di primo grado si legge, alle pag. 30-31 che “nel corso del processo, P. C. ha ripristinato lo stato dei luoghi. Ciò emerge dalla comunicazione della Polizia Municipale di Capaccio pervenuta presso la Procura della Repubblica in data 10.5.2012, nella quale si ricava che il predetto imputato ha ricondotto il fabbricato e l’area di sedime dello stesso a quanto ascritto nel decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP proc. pen. 9453 in data 10.5.2010. Allegata alla nota vi è accertamento dello stato dei luoghi curato da F. G. (nota prot. 15319 del 3.5.2012) intitolata accertamenti tecnici presso immobili in località Macchia d’Olmo via Chiorbo foglio di mappa n. 35, particella 339, ditta P. C. Alcuna attività di ripristino è stata invece compiuta direttamente dal D’A. Tuttavia, nel corso del giudizio dibattimentale, si è registrata la stipulazione tra I. A., il C., i D’A. e le S. di un contratto di mutuo dissenso, in virtù del quale – in pratica – lo I. è divenuto nuovamente proprietario dei beni alienati ai predetti nel giugno e nel novembre 2008 (per le S., dunque, del solo appezzamento di terreno di 1979 mq, corrispondente alla particella 335. Lo I., poi, ha ripristinato lo stato dei luoghi, riportandolo a quanto assentito con il permesso di costruire 15/2007 anche con riferimento alla (retroceduta) proprietà ex D’A. ciò si ricava dalla nota prot. 20267 della Polizia Locale di Capaccio, acquisita agli atti”. A pagina 64 della medesima sentenza si legge, poi, che il Tribunale, nel corso del processo, aveva consentito “allo I. (ridivenuto proprietario delle aree originariamente allenate per effetto di atti di ‘mutuo dissenso’ stipulato gli acquirenti) di compiere, su sua richiesta atti di ripristino dello Stato dei luoghi”. Nel ricorso il ricorrente richiama (pag. 3 del ricorso) le ‘“sostanziali dichiarazioni di conformità dell’attività ripristinatoria all’interesse pubblico ed istituzionale espresse dal Comune di Capaccio e dalla Soprintendenza B.A.A.S. di Salerno’“, menzionando la nota 15/1/2014 con la quale l’amministrazione comunale autorizzava lo I. “alla demolizione delle opere abusive per riportare i luoghi nella situazione preesistente, la ‘“presa d’atto’“ della Soprintendenza della suddetta autorizzazione e la comunicazione in data 3/6/2014, prot. 22461 con la quale l’amministrazione comunale dava atto che il ricorrente “aveva eseguito il ripristino dello stato dei luoghi nella sua completezza, trasmettendo documentazione fotografica del 30.5.2014”. Inoltre, afferma che tali atti costituirebbero “manifestazione di volontà dell’Ente” e rientrerebbe “negli atti di pianificazione

territoriale, edilizia, urbanistica ed ambientale”. Alla luce di quanto appena richiamato, emerge che un’attività ripristinatoria risulta, almeno in parte, documentata nel corso del giudizio di merito e che di tale evenienza l’imputato ha chiesto ai giudici, in entrambi i gradi di giudizio, di tenerne conto ai fini della decisione sulla confisca, cosa che, tuttavia, non è avvenuta, avendo il Tribunale prima e la Corte di appello poi, ritenuto non necessario tale apprezzamento in ragione della obbligatorietà della confisca. Tale verifica, tuttavia, appare allo stato necessaria in considerazione di quanto stabilito dalla già menzionata giurisprudenza della Corte EDU e di questa Corte. I giudici del merito avrebbero dunque dovuto accertare in fatto se l’attività ripristinatoria era effettiva ed integrale nel senso dianzi specificato, adottando le conseguenti determinazioni con adeguata e congrua motivazione. Tale verifica, inoltre, avrebbe dovuto tenere anche conto di un altro dato fattuale significativo che emerge dalla lettura delle sentenze di merito e, cioè, dell’emanazione e conseguente trascrizione, ad opera della competente amministrazione comunale, dell’ordinanza di cui all’art. 30, comma 7 d.P.R. 380\01. Tale disposizione, lo si ricorda, stabilisce che “nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari”. Il successivo comma 8 prevede, poi, che “trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8”. Tale revoca non risulta essere avvenuta, perché dalla sentenza di primo grado (pag. 30) risulta che avverso il provvedimento l’interessato aveva presentato ricorso al giudice amministrativo e, come emerge dalla lettura delle relative pronunce (reperibili nel portale Internet della Giustizia Amministrativa), aveva separatamente impugnato il provvedimento sanzionatorio urbanistico ed il silenzio opposto dall’amministrazione alla domanda di revoca dello stesso per effetto del dichiarato ripristino dello stato dei luoghi, ottenendo in entrambi i casi il rigetto della domanda. Invero, con sentenza n. 417/2015, il TAR di Salerno ha respinto il ricorso n. 1661/14, proposto avverso il silenzio del Comune di Capaccio sulla istanza di revoca dell’ordinanza ed il Consiglio di Stato, con sentenza 3305/2015 ha respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado. Con sentenza 2047\2015 il medesimo TAR ha respinto il ricorso n. 819/2011 finalizzato all’annullamento dell’ordinanza e la sentenza è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato con appello n. 2258/2016, rispetto al quale non risulta, allo stato, adottato alcun provvedimento. Ne deriva che dovranno essere valutate anche le conseguenze dell’ordinanza emessa dall’amministrazione comunale non soltanto per ciò che concerne la acquisizione di diritto al patrimonio disponibile del comune delle aree interessate e la conseguente perdita della proprietà (e di ogni conseguente interesse) da parte del ricorrente, ma anche riguardo alla validità degli atti dallo stesso posti in essere successivi alla emissione dell’ordinanza medesima, quali quelli di ‘“mutuo consenso’“ di cui si è detto, se non più proprietario, tenendo anche conto di quanto disposto dal comma 9 del citato art. 30 d.P.R. 380\01, laddove è stabilito che ‘“gli atti aventi per oggetto lotti di terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento previsto dal comma 7, sono nulli e non possono essere stipulati ne’ in forma pubblica ne’ in forma privata, dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale”. Quanto in precedenza evidenziato impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio”.

Corte di Cassazione – Sentenza 22 aprile 2020, n. 12640

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sul ricorso proposto da:
I. A. nato a CAPACCIO il 14/10/1957 avverso la sentenza del 14/11/2018 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA RAMACCI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PAOLO CANEVELLI Il P.G. conclude: annullamento con rinvio limitatamente alla confisca.
udito il difensore
E presente l’avvocato Guazzo che si riporta ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 14 novembre 2018 ha riformato la decisione del Tribunale di quella città in data 12 novembre 2015, dichiarando non doversi procedere nei confronti degli imputati, tra cui A. I., per essere i reati loro rispettivamente ascritti estinti per prescrizione e confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
Tra i reati contestati figura, per quel che qui rileva, quello di lottizzazione abusiva, rispetto al quale la Corte di Appello ha confermato la disposta confisca delle aree abusivamente lottizzate e degli immobili ricadenti sulle stesse.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.
Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con la documentazione prodotta ed acquisita nel corso del procedimento e, segnatamente, con alcuni atti notarili di mutuo dissenso e di retrocessione, per effetto dei quali egli è nuovamente divenuto proprietario di tutte le aree originariamente alienate, nonché con l’annullamento del frazionamento e la conseguente ricomposizione fondiaria e catastale originaria. Aggiunge, inoltre, di aver provveduto al ripristino dell’originario assetto dei luoghi attraverso la demolizione di tutte le opere abusive realizzate oggetto di contestazione e ciò anche in seguito ad un provvedimento dello stesso Tribunale, che aveva consentito l’accesso ai luoghi in sequestro per provvedere all’eliminazione dei manufatti.
Precisa, poi, che l’amministrazione comunale aveva formalmente autorizzato la demolizione delle opere abusive al fine di riportare i luoghi nella situazione preesistente e che la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno ed Avellino aveva comunicato una presa d’atto dell’autorizzazione comunale con la quale veniva autorizzata la rimozione delle opere abusive realizzate.
Inoltre, il Comune, con nota del 3 giugno 2014 prot. 22461 aveva dato atto dell’avvenuto ripristino dello stato dei luoghi nella sua completezza, trasmettendo anche documentazione fotografica.
Osserva, altresì, che tutta la documentazione era stata prodotta nel corso del giudizio di primo grado, dando così dimostrazione della compatibilità del ripristino dello stato dei luoghi con l’interesse pubblico di cui le amministrazioni sono esponenti ed eliminando ogni turbativa dell’attività di tutela del territorio, della pianificazione urbanistica e della tutela ambientale provocata dall’intervento lottizzatorio. Assume, a tale proposito, che l’autorizzazione al ripristino costituirebbe manifestazione di volontà dell’ente e rientrerebbe negli atti di pianificazione territoriale edilizia, urbanistica ed ambientale e che il ripristino eseguito risulterebbe comunque più efficace rispetto ad un’eventuale autorizzazione in sanatoria a lottizzare, avendo di fatto attuato in pieno la tutela perseguita dalla norma, con la conseguenza che, a fronte di tale situazione, i giudici del merito avrebbero dovuto eliminare la disposta confisca. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. La condotta contestata, secondo quanto indicato dai giudici del merito, si è concretizzata su un’area di circa 14.440 metri quadrati, classificata come agricola, a rischio sismico e situata in zona dichiarata di

notevole interesse pubblico con d.m. 7 giugno 1967, mediante tre frazionamenti e successive alienazioni, nonché l’esecuzione di opere edilizie anche attraverso il rilascio di titolo abilitativo fraudolentemente ottenuto documentando l’inesistente qualifica di imprenditore agricolo.
Considerate le tre diverse tipologie di lottizzazione che la dottrina e la giurisprudenza hanno ricavato dalla definizione fornita dall’art. 30 d.P.R. 380\01, può dirsi che, nella fattispecie, si è configurata un’ipotesi di lottizzazione mista, in quanto caratterizzata dalla compresenza di attività materiali e negoziali in precedenza descritte.

3. Occorre altresì rilevare che, nel dichiarare la prescrizione dei reati, la Corte territoriale ha accertato, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo e la sentenza impugnata, sul punto, non è oggetto di alcuna censura.
4. La questione che, invece, prospetta il ricorrente è quella della legittimità della confisca in presenza dell’integrale ripristino della situazione antecedente all’intervento lottizzatorio abusivo, effettuato attraverso la demolizione di tutte le opere realizzate, la stipula di atti notarili finalizzati alla eliminazione delle conseguenze delle pregresse alienazioni, nonché la completa ricomposizione fondiaria e catastale tale da far venire meno le conseguenze del precedente frazionamento.

Nel fare ciò, richiama un precedente di questa Corte (Sez. 4, n. 16106 del 21/3/2018, Petrara, non massimata) nel quale, tuttavia, viene presa in considerazione una situazione alquanto diversa, mancando del tutto l’accertamento circa la sussistenza del reato di lottizzazione ormai prescritto ed essendosi ritenuto, a fronte dell’avvenuto ripristino, che l’eventuale confisca sarebbe inutiliter data, senza alcuna ulteriore specificazione.

I giudici del merito hanno escluso che l’attività ripristinatoria appena descritta possa consentire la revoca della confisca.
La Corte di appello, in particolare, richiamando le analoghe conclusioni del Tribunale, ha ritenuto che, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, la confisca è incompatibile soltanto con provvedimenti della pubblica amministrazione che comportino un apprezzamento di compatibilità dell’assetto territoriale conseguente alla lottizzazione con l’interesse pubblico di cui l’amministrazione è esponente, del quale ha tuttavia rilevato la mancanza nel caso specifico, richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte in tema di permesso di costruire in sanatoria e lottizzazione abusiva (Sez. 3, n. 43591 del 18/2/2015, Di Stefano Rv. 265153).

5. Ciò posto, occorre ricordare che, in linea generale, la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso la possibilità di una sanatoria produttiva di effetti estintivi rispetto al reato di lottizzazione la quale, infatti, non è prevista dalla legge, riconoscendo tuttavia la possibilità, come ricordato dalla sentenza impugnata, che alcuni provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa prima del passaggio in giudicato della sentenza, comportino, quale conseguenza, se legittimamente emanati, l’impossibilità per il giudice di disporre la confisca, perché l’autorità amministrativa competente, riconoscendo ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, ha inteso evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune (Sez. 3, n. 23154 del 18/5/2006, Scalici, Rv. 234476. Conf. Sez. 3, n. 15404 del 21/1/2016, Bagliani e altri, Rv. 266811, in motivazione; Sez. 3, n. 43591 del 18/2/2015, Di Stefano e altri, Rv. 265153; Sez. 3, n. 4373 del 13/12/2013 (dep.2014), Franco e altro, Rv. 258921).

Dopo il passaggio in giudicato, invece, si è ritenuto che l’amministrazione comunale conservi, ovviamente, la piena ed incondizionata potestà di programmazione e di gestione del territorio, dovendosi però escludere che il successivo adeguamento degli immobili acquisiti agli standard urbanistici già vigenti ovvero l’adozione di nuovi strumenti urbanistici integri una fonte di retro- trasferimento della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca, pur restando la possibilità, qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l’area lottizzata alla edificazione, che l’amministrazione decida di non esercitare in proprio le iniziative edificatorie e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono, facendo ricorso ad atti contrattuali volontari ed a titolo oneroso che trasferiscano la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari (Sez. 3, n. 34881 del 22/4/2010, Franzese, Rv. 248360; Sez. 3, n. 21125 del 12/4/2007, Licciardello e altri, Rv. 236737. Contra Sez. 3, n. 35219 del 11/4/2007, Arcieri e altri, Rv. 237372; Sez. 3, n. 47272 del 30/11/2005, lacopino ed altri, Rv. 232998, che ammettono la possibilità di revoca della confisca anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza).

Tali principi sono stati recentemente richiamati (Sez. 3, n. 8350 del 23/1/2019, Alessandrini, Rv. 275756) analizzando i contenuti della nota sentenza 28 giugno 2018 della Corte EDU — Grande camera nella causa G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/ Italia della quale, ad avviso del Collegio, deve tenersi conto anche per la soluzione della questione prospettata dal ricorrente nel presente procedimento.

Come ricordato nella pronuncia appena richiamata, la Corte EDU ha preso in considerazione, tra l’altro, il problema della proporzionalità della confisca, riconoscendo, nei casi sottoposti alla sua attenzione, la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 nei confronti di tutti i ricorrenti in ragione del carattere sproporzionato della misura ablativa.

I giudici di Strasburgo, seppure alla luce della rappresentazione dei fatti offerta dalle parti che sembra accreditare, secondo la sentenza Alessandrini, una impropria correlazione tra terreno abusivamente lottizzato e realizzazione di interventi edilizi, nonché un fuorviante sostanziale automatismo della confisca (giudizio condiviso anche da Sez. 3, n. 31282 del 27/3/2019, Grieco, Rv. 277167), hanno fornito chiare indicazioni che le sentenze Alessandrini e Grieco menzionano e vanno qui richiamate. Nel paragrafo 301, la decisione della Grande Camera evidenzia che, ai fini della valutazione della proporzionalità della confisca, devono essere presi in considerazione diversi parametri, quali la possibilità di adottare misure meno restrittive, come la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, aggiungendo (§302) che deve essere offerta la possibilità, alla persona interessata, di esporre adeguatamente le sue ragioni alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti dall’art. 1 del Protocollo n. 1.

Date tali premesse, la Corte EDU afferma che l’applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista — salvo che per i terzi in buona fede — dalla legge italiana è in contrasto con i principi richiamati, perché non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione (osservando anche che, non essendo state parti nei procedimenti, nella fattispecie le società ricorrenti non hanno beneficiato di alcuna delle garanzie procedurali di cui al precedente paragrafo 302).

Nel dare quindi conto di quanto affermato dalla sentenza della Grande Camera, la sentenza Alessandrini rileva come la verifica circa la corretta estensione della confisca richiede un accertamento in fatto che deve necessariamente essere effettuato, sulla base di dati materiali oggettivi, dal giudice del merito e da questi supportato con adeguata e specifica motivazione, sindacabile, in sede di legittimità, nei limiti propri di tale giudizio. Nello stesso senso hanno concluso altre sentenze di questa Corte (oltre alla già citata sentenza Grieco, Sez. 3, n. 4311 9 del 17/7/2019, Falconi, Rv. 277263; Sez. 3, n. 14743 del 20/2/2019, Amodio, Rv. 275392).

6. Come si è visto, i giudici di Strasburgo, nel considerare le possibilità di misure meno restrittive rispetto alla confisca, menzionano espressamente la demolizione e l’annullamento del piano di lottizzazione, sostanzialmente richiamando quanto già era stato affermato nella precedente pronuncia 20 gennaio 2009 emessa nel caso Sud Fondi c/ Italia ove, nel paragrafo 140, si menziona la possibilità di ‘“prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione’“.

Dunque, la Corte EDU afferma che deve sussistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito e che ad essa spetta valutare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e l’interesse della parte in causa, lasciando allo Stato un ampio margine di apprezzamento sia per scegliere i mezzi da utilizzare che per giudicare se le loro conseguenze siano legittimate, nell’interesse generale, dalla preoccupazione di conseguire lo scopo perseguito (così la sentenza G.I.E.M. s.r.l. ed altri c/ Italia § 292, affermazione ribadita nella sentenza della Quarta Sezione, 26 novembre 2019 Yasar v. Romania § 50-51).

Da quanto sopra richiamato emerge chiaramente che la Corte di Strasburgo attribuisce particolare rilevanza alla possibilità di perseguire il medesimo fine attraverso l’adozione di misure alternative alla confisca, in modo tale da incidere meno pesantemente sul diritto di proprietà, rispettando, anche attraverso il ricorso agli altri parametri indicati, il rapporto di proporzionalità di cui si è detto.

7. Occorre, a questo punto, domandarsi se la integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione di un’attività di illecita lottizzazione, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, rispondano ai criteri di proporzionalità indicati dalla Corte EDU e rappresentino una valida alternativa alla confisca.

Ritiene il Collegio che una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della vigente disciplina consenta una risposta affermativa. Tali conclusioni, tuttavia, rendono necessarie alcune precisazioni.
8. Va in primo luogo osservato che se lo scopo è quello di ripristinare la conformità urbanistica dell’area interessata dall’intervento lottizzatorio abusivo, la riconduzione della stessa alle originarie condizioni deve

essere effettiva ed integrale, non assumendo quindi rilievo interventi ripristinatori fittizi o soltanto parziali, dovendosi intendere come tali non soltanto quelli attuati mantenendo anche soltanto alcuni degli interventi realizzati, ma anche quelli resi impossibili dalle trasformazioni effettuate (si pensi, ad esempio, a disboscamenti, sbancamenti di terreno ed altri interventi di definitiva mutazione dell’originario assetto dell’area).

Occorre poi rilevare che, in ogni caso, l’ambito di operatività di eventuali legittimazioni postume rimane confinato entro quello già delineato dalla giurisprudenza di questa Corte in precedenza richiamata, distinguendo tra provvedimenti emanati prima e dopo il passaggio in giudicato della sentenza, che già rendono impossibile al giudice di ordinare la confisca, fermo restando poi, che in presenza di una lottizzazione abusiva deve escludersi la possibilità di sanatoria, disciplinata dall’art. 36 del d.P.R. 380/2001, delle opere realizzate in assenza di titolo abilitativo conseguente ad accertamento di conformità, dal momento che dette opere sono senz’altro non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, sicché le stesse non sono sanabili (così Sez. 3, n. 28784 del 16/5/2018, Amente, Rv. 273307 con richiami ai prec.).

L’intervenuto ripristino, infine, dovrà essere inconfutabilmente dimostrato da chi ha interesse a giovarsene, mentre al giudice del merito è richiesto un rigoroso ed effettivo accertamento in fatto che non può limitarsi ad una mera presa d’atto.
9. Alla luce di quanto in precedenza osservato deve conseguentemente affermarsi il principio secondo cui in tema di lottizzazione abusiva, la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, nonché dei pregressi frazionamenti, con conseguente ricomposizione fondiaria e catastale nello stato preesistente ed in assenza di definitive trasformazioni, se dimostrata in giudizio ed accertata in fatto dal giudice del merito con congrua motivazione, rende superflua la confisca perché misura sproporzionata secondo i parametri di valutazione indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU.

10. Tornando all’esame del motivo di ricorso, occorre rilevare che, nella sentenza impugnata, nel trattare la questione viene fatto esclusivo riferimento ad “atti di retrocessione compiuti dalle parti i quali avrebbero determinato, secondo gli appellanti, il superamento, di fatto, della modifica urbanistica dell’area e che renderebbero meritevole, secondo i medesimi, la disposta confisca” senza alcun accenno alla totale demolizione delle opere di cui si parla in ricorso.

Nella sentenza di primo grado si legge, alle pag. 30-31 che “nel corso del processo, P. C. ha ripristinato lo stato dei luoghi. Ciò emerge dalla comunicazione della Polizia Municipale di Capaccio pervenuta presso la Procura della Repubblica in data 10.5.2012, nella quale si ricava che il predetto imputato ha ricondotto il fabbricato e l’area di sedime dello stesso a quanto ascritto nel decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP proc. pen. 9453 in data 10.5.2010.

Allegata alla nota vi è accertamento dello stato dei luoghi curato da F. G. (nota prot. 15319 del 3.5.2012) intitolata accertamenti tecnici presso immobili in località Macchia d’Olmo via Chiorbo foglio di mappa n. 35, particella 339, ditta P. C.
Alcuna attività di ripristino è stata invece compiuta direttamente dal D’A.

Tuttavia, nel corso del giudizio dibattimentale, si è registrata la stipulazione tra I. A., il C. i D’A. e le S. di un contratto di mutuo dissenso, in virtù del quale – in pratica – lo I. è divenuto nuovamente proprietario dei beni alienati ai predetti nel giugno e nel novembre 2008 (per le S., dunque, del solo appezzamento di terreno di 1979 mq, corrispondente alla particella 335.

Lo I., poi, ha ripristinato lo stato dei luoghi, riportandolo a quanto assentito con il permesso di costruire 15/2007 anche con riferimento alla (retroceduta) proprietà ex D’A. ciò si ricava dalla nota prot. 20267 della Polizia Locale di Capaccio, acquisita agli atti”.
A pagina 64 della medesima sentenza si legge, poi, che il Tribunale, nel corso del processo, aveva consentito “allo I. (ridivenuto proprietario delle aree originariamente allenate per effetto di atti di ‘“mutuo dissenso’“ stipulato gli acquirenti) di compiere, su sua richiesta atti di ripristino dello Stato dei luoghi’“. Nel ricorso il ricorrente richiama (pag. 3 del ricorso) le ‘“sostanziali dichiarazioni di conformità dell’attività ripristinatoria all’interesse pubblico ed istituzionale espresse dal Comune di Capaccio e dalla Soprintendenza B.A.A.S. di Salerno’“, menzionando la nota 15/1/2014 con la quale l’amministrazione comunale autorizzava lo I. “alla demolizione delle opere abusive per riportare i luoghi nella situazione preesistente, la “presa d’atto” della Soprintendenza della suddetta autorizzazione e la comunicazione in data 3/6/2014, prot. 22461 con la quale l’amministrazione comunale dava atto che il ricorrente “aveva eseguito il ripristino dello stato dei luoghi nella sua completezza, trasmettendo documentazione fotografica del 30.5.2014”.

Inoltre, afferma che tali atti costituirebbero “manifestazione di volontà dell’Ente” e rientrerebbe “negli atti di pianificazione territoriale, edilizia, urbanistica ed ambientale”.
11. Alla luce di quanto appena richiamato, emerge che un’attività ripristinatoria risulta, almeno in parte, documentata nel corso del giudizio di merito e che di tale evenienza l’imputato ha chiesto ai giudici, in entrambi i gradi di giudizio, di tenerne conto ai fini della decisione sulla confisca, cosa che, tuttavia, non è avvenuta, avendo il Tribunale prima e la Corte di appello poi, ritenuto non necessario tale apprezzamento in ragione della obbligatorietà della confisca.

Tale verifica, tuttavia, appare allo stato necessaria in considerazione di quanto stabilito dalla già menzionata giurisprudenza della Corte EDU e di questa Corte. I giudici del merito avrebbero dunque dovuto accertare in fatto se l’attività ripristinatoria era effettiva ed integrale nel senso dianzi specificato, adottando le conseguenti determinazioni con adeguata e congrua motivazione.

Tale verifica, inoltre, avrebbe dovuto tenere anche conto di un altro dato fattuale significativo che emerge dalla lettura delle sentenze di merito e, cioè, dell’emanazione e conseguente trascrizione, ad opera della competente amministrazione comunale, dell’ordinanza di cui all’art. 30, comma 7 d.P.R. 380\01. Tale disposizione, lo si ricorda, stabilisce che “nel caso in cui il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, con ordinanza da notificare ai proprietari delle aree ed agli altri soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 29, ne dispone la sospensione. Il provvedimento comporta l’immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse con atti tra vivi, e deve essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari”.

Il successivo comma 8 prevede, poi, che “trascorsi novanta giorni, ove non intervenga la revoca del provvedimento di cui al comma 7, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune il cui dirigente o responsabile del competente ufficio deve provvedere alla demolizione delle opere. In caso di inerzia si applicano le disposizioni concernenti i poteri sostitutivi di cui all’articolo 31, comma 8”. Tale revoca non risulta essere avvenuta, perché dalla sentenza di primo grado (pag. 30) risulta che avverso il provvedimento l’interessato aveva presentato ricorso al giudice amministrativo e, come emerge dalla lettura delle relative pronunce (reperibili nel portale Internet della Giustizia Amministrativa), aveva separatamente impugnato il provvedimento sanzionatorio urbanistico ed il silenzio opposto dall’amministrazione alla domanda di revoca dello stesso per effetto del dichiarato ripristino dello stato dei luoghi, ottenendo in entrambi i casi il rigetto della domanda. Invero, con sentenza n. 417/2015, il TAR di Salerno ha respinto il ricorso n. 1661/14, proposto avverso il silenzio del Comune di Capaccio sulla istanza di revoca dell’ordinanza ed il Consiglio di Stato, con sentenza 3305/2015 ha respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado. Con sentenza 2047\2015 il medesimo TAR ha respinto il ricorso n. 819/2011 finalizzato all’annullamento dell’ordinanza e la sentenza è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato con appello n. 2258/2016, rispetto al quale non risulta, allo stato, adottato alcun provvedimento. Ne deriva che dovranno essere valutate anche le conseguenze dell’ordinanza emessa dall’amministrazione comunale non soltanto per ciò che concerne la acquisizione di diritto al patrimonio disponibile del comune delle aree interessate e la conseguente perdita della proprietà (e di ogni conseguente interesse) da parte del ricorrente, ma anche riguardo alla validità degli atti dallo stesso posti in essere successivi alla emissione dell’ordinanza medesima, quali quelli di ‘“mutuo consenso’“ di cui si è detto, se non più proprietario, tenendo anche conto di quanto disposto dal comma 9 del citato art. 30 d.P.R. 380\01, laddove è stabilito che ‘“gli atti aventi per oggetto lotti di terreno, per i quali sia stato emesso il provvedimento previsto dal comma 7, sono nulli e non possono essere stipulati ne’ in forma pubblica ne’ in forma privata, dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia del provvedimento del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale’“.

12. Quanto in precedenza evidenziato impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata in relazione all’imputato I. A., limitatamente alla disposta confisca, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso in data 5/2/2020

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