CASSAZIONE

Lo studio associato paga l’IRAP

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13728 del 31 maggio 2017, ritorna sulla questione del pagamento dell’IRAP da parte degli studi associati accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione dei giudici tributari regionali che avevano parzialmente accolto un ricorso di uno studio di architetti associati.

La CTR aveva sostenuto la non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive per gli anni 2003 e 2004, mentre aveva confermato la liquidazione dell’imposta per gli anni 2000, 2001 e 2002 (la parte contribuente si era avvalsa della definizione automatica ai sensi dell’art. 9, legge n. 289/2002, con implicita rinuncia al diritto di rimborso).

La questione dell’IRAP dei professionisti è ormai da anni al centro dell’interesse dei professionisti, vista e considerata anche l’esistenza di una giurisprudenza non univoca e lineare.

Vediamo i punti dibattuti.

Secondo una linea giurisprudenziale maggioritaria l’IRAP si applica a coloro che hanno un’organizzazione d’impresa, quindi il professionista di regola non la deve pagare (Cassazione, sentenze dalla n. 3672 alla n. 3682, depositate tutte il 16 febbraio 2007 e Corte Costituzionale, sentenza 156/01).

Ma il punto su cui si discute è quello di dare un significato certo al termine di organizzazione d’impresa e vi sono interpretazioni che ritengono assodato che chi non ha dipendenti e non ha beni strumentali rilevanti, l’IRAP non la paga.

Inoltre, si sta configurando un successivo e conseguenziale orientamento secondo il quale i professionisti iscritti agli Ordini professionali, anche con dipendenti e beni strumentali, non sono tenuti al pagamento in quanto senza la presenza dell’iscritto all’Ordine non è possibile autonomamente mandare avanti lo studio.

Secondo questa interpretazione, sottoporre automaticamente il lavoratore autonomo che disponga di un dipendente a IRAP qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate, vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettura della legge e dal testo costituzionale, secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatone e aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una “tassa sui redditi di lavoro autonomo”.

Una diversa interpretazione normativa costituirebbe una sorta di sanzione che, nella pratica reale degli studi professionali, potrebbe scoraggiare l’assunzione di dipendenti. Tra l’altro, in questo senso vanno lette le pronunce della Corte di Cassazione n. 22020 e la n. 22022, del 25 settembre 2013.

Dobbiamo inoltre ben valutare la sussistenza del requisito della “autonoma organizzazione”, che ricorre allorquando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse.

In parole semplici, si configura l’autonoma organizzazione quando il professionista fa uso di beni strumentali eccedenti il necessario e usufruisce del lavoro altrui in modo abituale tale da porre il professionista stesso in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso.

La materia del contendere consiste anche nell’interpretazione e concreta applicazione di alcune sentenze della Corte Costituzionale, che nel ribadire la legittimità dell’IRAP hanno però ritenuto che essa non si applicasse qualora l’attività fosse svolta in assenza di organizzazione imprenditoriale.

In particolare la Corte Costituzionale, con la sentenza 156/2001, ha sancito l’inammissibilità delle varie questioni di legittimità concernenti l’intero D.Lgs. 446/1997 e ha dichiarato specificamente infondate le questioni di legittimità degli artt. 2, 3, l° co, 4,8, 1l, 36 e 76 dello stesso decreto, che concernono direttamente o indirettamente il lavoro autonomo artistico o professionale.

Nella motivazione della detta sentenza la Corte Costituzionale si sofferma a lungo proprio sulla questione della rispondenza ai principi costituzionali dell’assoggettamento a IRAP del lavoro autonomo, spiegando che questo è pienamente conforme ai principi di eguaglianza e capacità contributiva rispetto all’imposizione che colpisce la base imponibile costituita dall’attività imprenditoriale, essendo identica in entrambe i casi l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta, non apparendo inoltre la suddetta uguaglianza lesiva della garanzia costituzionale prestata al lavoro.

Subito dopo però osserva che l’elemento organizzativo necessario ai fini dell’imposizione IRAP è connaturato alla nozione d’impresa, mentre è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui: in tal caso, in mancanza di specifiche disposizioni normative, l’accertamento costituisce una questione di mero fatto e quindi l’imposta non va applicata (v. Cassazione 238/2016).

Sottoponendosi infine al giudizio dei giudici europei per definire anche il problema della contrarietà dell’imposta alla normativa comunitaria, ritenendo quindi l’IRAP una sorta di IVA camuffata, e considerato il fatto che il diritto comunitario ammette una sola imposta sul valore aggiunto l’IRAP sarebbe stata quindi illegittima, la questione è stata definitivamente risolta in senso negativo con la sentenza della Corte europea del 3 ottobre 2006, con la causa C-475/03, che ha ritenuto l’IRAP legittima.

Ora, tornando alla sentenza in commento, gli Ermellini hanno sostenuto (sulla scia della recentissima Ordinanza 19 maggio 2017, n. 12763) che non serve la verifica della sussistenza o meno del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

L’esercizio della professione in forma societaria costituisce sempre il presupposto dell’IRAP, essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività diretta alla produzione e allo scambio, ovvero alla prestazione di servizi.

L’esercizio di professioni in forma societaria, anche se si tratti di società semplice, costituisce ex lege presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, questa essendo implicita nella forma di esercizio dell’attività.

Conclude così la Suprema Corte: “ …. Componendo il contrasto di giurisprudenza manifestato in materia, le sezioni unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui “presupposto dell’ imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – comprese quindi le società, semplici e le associazioni senza, personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione” (Cass. sezioni unite, 14 aprile 2016, n. 7371, in motivazione; nello stesso senso era Cass. n. 25313 del 2014). Il motivo deve essere in tali termini accolto, assorbito l’esame del primo e del terzo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo dello studio associato contribuente”.

 

CORTE DI CASSAZIONE Sentenza n. 13728 del 31 maggio 2017

Fatti di causa

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria che, accogliendone parzialmente l’appello, nel giudizio introdotto dallo Studio Associato di A. B. G. S. con l’impugnazione del silenzio rifiuto formatosi sulla istanza di rimborso dell’IRAP per gli anni 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, mentre con riguardo a quanto versato per i periodi d’imposta 2000, 2001 e 2002 ha ritenuto essersi resa definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione, per essersi avvalso il contribuente della definizione automatica ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289 del 2002, con implicita rinuncia al diritto al rimborso, ha invece ravvisato la non ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta per gli anni 2003 e 2004, riconoscendo il diritto al rimborso in tale limitata misura.

Il contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia la nullità della sentenza per extrapetizione, per avere la Commissione regionale rigettato l’appello dell’ufficio sul presupposto dell’insussistenza del presupposto impositivo, quando invece l’allegazione della parte concerneva la problematica in punto di illegittimità o meno del tributo alla luce della normativa comunitaria; con il secondo motivo si duole della violazione del principio dell’onere della prova, per essersi limitato il contribuente a mere allegazioni in ordine all’insussistenza dell’autonoma organizzazione, laddove questa avrebbe dovuto essere provata, sia pure sulla base di regole empiriche che facilitano l’onere probatorio, come l’esame della dichiarazione dei redditi, del registro dei cespiti ammortizzabili o del registro dei pagamenti; con il terzo motivo lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza in ordine ai requisiti integranti l’autonoma organizzazione quali emergenti dalla documentazione da esso ufficio prodotta.

Il secondo motivo del ricorso, il cui esame logicamente deve precedere, è fondato nei termini dì seguito precisati.

Componendo il contrasto di giurisprudenza manifestato in materia, le sezioni unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui “presupposto dell’ imposta regionale sulle attività produttive è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio ovvero alla prestazione di servizi; ma quando l’attività è esercitata dalle società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma dell’art. 3 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 – comprese quindi le società, semplici e le associazioni senza, personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni – essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione” (Cass. sezioni unite, 14 aprile 2016, n. 7371, in motivazione; nello stesso senso era Cass. n. 25313 del 2014).

Il motivo deve essere in tali termini accolto, assorbito l’esame del primo e del terzo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo dello studio associato contribuente.

Le spese dell’intero processo devono essere compensate fra le parti, in considerazione dell’epoca in cui si è consolidato l’indirizzo giurisprudenziale di riferimento.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero processo

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