CASSAZIONE

Lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto un elemento su cui si basa la pretesa fiscale

Tributi – IRAP, IVA ed IRPEF – Accertamento – Reddito d’impresa – Studi di settore – Contraddittorio endoprocedimentale – Non applicabilità – Art. 12, L. n. 212/2000 – Elementi indiziari – Prolungata e persistente antieconomicità della gestione – Presunzioni – Art. 39, comma 1, lettera d, D.P.R. n. 600/1973

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6103 dell’1 marzo 2023, intervenendo sulla corretta attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, ha chiarito che quando l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa non è basato solo sull’applicazione dello studio di settore, ma anche da altri e più decisivi fattori, come ad esempio l’antieconomicità della gestione aziendale, l’atto impositivo può essere legittimamente emesso senza attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente.

La Corte di Cassazione aveva peraltro già stabilito che, una volta contestata l’antieconomicità di un comportamento del contribuente, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire spiegazioni, essendo in difetto pienamente valido l’accertamento induttivo dell’ufficio (v. Ord. n. 1282/2021).

E’ cosa nota che il metodo di accertamento analitico-induttivo è una metodologia di accertamento che consente all’Amministrazione finanziaria di potersi avvalere di presunzioni aventi determinati requisiti, per determinare attività non dichiarate ovvero disconoscere passività dichiarate, disattendendo in parte le risultanze delle scritture contabili. Quindi, il presupposto di tale metodo di accertamento è costituito dall’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione e, sostanzialmente, i presupposti affinché l’Amministrazione finanziaria possa procedere attraverso un accertamento di questo tipo sono costituiti dall’esistenza di prove dirette, materiali e/o documentali o di prove indirette di tipo presuntivo caratterizzate da gravità, precisione e concordanza.

L’accertamento analitico-induttivo è consentito nel caso che la contabilità appaia inattendibile e configgente con le fondamentali regole di ragionevolezza. Gli elementi idonei a consentire al giudice di trarre la prova di un fatto in via presuntiva ai sensi dell’art. 2729 c.c. non devono necessariamente essere più di uno, nonostante la previsione del requisito della concordanza contenuto in tale norma, valendo questa solo nell’ipotesi in cui concorrano più elementi e potendo quindi anche uno solo di essi essere assunto a base purché grave e preciso. Ne deriva che se un singolo elemento indiziario è idoneo a fornire una presunzione grave e precisa, non vi sono dubbi sulla legittimità dell’accertamento analitico-induttivo che si fondi esclusivamente su di esso.

In sostanza, se è vero che le scelte economiche dell’imprenditore sono normalmente insindacabili, tuttavia il Fisco non è tenuto a credere che un imprenditore agisca in modo antieconomico. Fondamentalmente, un comportamento antieconomico si caratterizza per essere irragionevole e non congruo rispetto all’attività di impresa; tale discordanza lascia presumere che dietro questa condotta, sebbene formalmente inappuntabile, possano celarsi fenomeni di elusione o di evasione.

Va comunque osservato che nel rapporto tra contraddittorio endoprocedimentale – ex art. 12, Statuto del Contribuente – e contraddittorio finalizzato all’adesione in presenza di studio di settore, va ricordato che: “… La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15859 del 12/11/2002, Rv. 558424 – 01; principio accolto da Cass. Sez. U, Sent. n. 26635/2009, Sent. n. 9484/2017). La Corte di Cassazione aveva ultimamente ribadito tali principi anche nell’ordinanza numero 37440/2021.

Il metodo di accertamento “misto”, a differenza del metodo induttivo puro, ha ad oggetto la ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi e passivi, non del reddito nella sua totalità. Pertanto, nel metodo “misto” la determinazione del reddito è effettuata sulla base delle risultanze del bilancio, discostandosi dalle stesse, ma senza contestarne l’attendibilità complessiva e solo per individuare talune voci che il contribuente ha erroneamente indicato. Deve osservarsi, allora, che nel metodo misto, ovvero analitico induttivo, come sostenuto dalla dottrina la determinazione del reddito è effettuata nell’ambito delle risultanze della contabilità, ma con ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi, di cui risulta provata aliunde la mancanza o l’inesattezza. (v. Cass., V, n. 7025/2018).

La questione del contraddittorio endoprocedimentale nel procedimento tributario al centro di questa pronuncia è senz’altro oggetto di un ampio dibattito, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale. Una soluzione definitiva sembrava essersi raggiunta con le sentenze gemelle della Cassazione a Sezioni Unite (sentenze nn. 19667 e 19668/2014), che avevano riconosciuto l’immanenza dello stesso al nostro sistema: tuttavia, le stesse Sezioni Unite, con un’altra pronuncia del 2015, hanno riaperto la problematica, trovando la soluzione di confinare la generalizzata obbligatorietà del contraddittorio ai soli tributi armonizzati.

Nel nostro ordinamento, infatti, non esiste un obbligo generalizzato per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto, salvo non sia espressamente previsto per legge: si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e, pertanto, applicabile solo ai tributi armonizzati. In tema di obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale non vi sarebbe, quindi, coincidenza tra diritto interno e diritto comunitario.

Al contrario, per i tributi non armonizzati, l’obbligo per il Fisco di attivare il contraddittorio sussiste solo ove previsto da una specifica norma di legge, in considerazione proprio del citato art. 12, comma 7, che sembrerebbe comportare l’applicazione delle garanzie ivi previste solo agli accertamenti effettuati presso la sede del contribuente e, dunque, per le verifiche a tavolino non vi sarebbe la nullità dell’atto impositivo emesso dall’Agenzia in mancanza del rispetto di tali garanzie. Viceversa, nel campo dei tributi armonizzati, primo fra tutti l’IVA, opera la clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale che, in caso di violazione, comporta la nullità del conclusivo atto impositivo. La garanzia del contraddittorio si applicherebbe sia in caso di verifiche con accesso, sia per i controlli a tavolino, dovendo tuttavia il contribuente dimostrare che, qualora fosse stato attivato il predetto contraddittorio, il procedimento avrebbe potuto comportare soluzioni differenti. Sulla base di tale ultima pronuncia a SS.UU. la Corte di Cassazione, anche di recente, ha negato al contribuente tale diritto (si vedano Sent. nn. 20799/2017, 21071/2017 e Ord. n. 13490/2019). Il decreto-legge n. 35/2019 (c.d. “decreto crescita”) ha introdotto, a partire dal primo luglio 2020, l’obbligo per gli uffici di notificare ai contribuenti, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, un invito al contraddittorio: in sostanza, la norma introdurrebbe un obbligo generalizzato del contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

Comunque, secondo una recente interpretazione giurisprudenziale l’atto impositivo può essere legittimamente emesso senza attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente nel caso di un accertamento analitico induttivo del reddito di impresa, che dipende, in via non esclusiva, dall’applicazione dello studio di settore. Gli Ermellini hanno sostenuto che, nell’ipotesi in cui l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa dipenda, non in via esclusiva, dall’applicazione dello studio di settore, l’atto impositivo può essere legittimamente emesso senza attivare il contraddittorio preventivo con il contribuente, che come nel caso di specie, non verte in un caso di accertamento da studio di settore “puro”, bensì “misto”, perché lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori su cui è basata la pretesa erariale. Ai fini della ripresa è invece principale e decisiva la palese antieconomicità della gestione aziendale, protratta per più anni di imposta e non adeguatamente giustificata dalla società contribuente.

Di conseguenza si tratta di un accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) DPR 600/1973, derivante anche dall’applicazione di studi di settore. Ciò detto, in materia di contraddittorio endoprocedimentale di cui all’art. 12, L. 212/2000, la Corte di Cassazione ha escluso l’esistenza di un obbligo generalizzato e indiscriminato di contraddittorio. Conseguentemente gli Ermellini, anche nell’odierna pronuncia, hanno voluto sottolineare nello specifico quanto precedentemente affermato dalla stessa Suprema Corte con l’ordinanza n. 7584/2020, nella quale si precisava che ”… nel caso di accertamento da studio di settore “misto”, ossia in cui lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori che basano la pretesa creditoria fiscale, la quale risulti altresì fondata sull’antieconomicità della gestione aziendale protratta per più anni di imposta e non adeguatamente giustificata dal contribuente, non sono applicabili le norme in materia di accertamento da studi di settore e neppure il relativo principio del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità”.

Tanto premesso e tornando al caso oggi dibattuto, una società contribuente, ricevuti alcuni avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva determinato un maggior reddito ai fini IRAP, IVA e IRPEF nei confronti dei soci, si rivolgeva alla giustizia tributaria per ottenere ragione. La CTP aveva riunito e accolto i ricorsi della società e dei soci, ritenendo che l’ufficio non aveva dimostrato con quale modalità aveva comunicato l’anomalia risultante dallo studio di settore alla società e ritenendo, tra l’altro, che la differenza rispetto alle risultanze di cui allo studio di settore poteva giustificarsi in relazione alle politiche di prezzi praticate dalla società. La CTR, nell’accogliere l’appello dell’ufficio e assenti i contribuenti, ha dapprima evidenziato che le eccezioni sollevate in primo grado nelle memorie illustrative hanno introdotto fatti nuovi, ampliando inammissibilmente il thema decidendum, in violazione dell’art. 24 del D.lgs. 546/1992. Quanto alla gestione antieconomica dell’attività, eccepita dall’ufficio, la CTR ha ritenuto inattendibile la documentazione contabile e giustificato un accertamento analitico induttivo, integrante presunzioni gravi, precise e concordanti, con il conseguente spostamento dell’onere probatorio in capo al contribuente, non assolto.

Da qui il ricorso della parte contribuente in Cassazione, composto da due motivi nei quali essenzialmente si lamenta la violazione degli artt. 39 DPR 600/1973, 54 DPR 633/1972 e dell’art. 2697 c.c., in riferimento al comma 4-bis dell’art. 10 della legge 146/1998 (inserito dall’art.1, comma 17, della L. 296/2000), in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. per non avere la CTR rilevato il giudicato sulla parte della sentenza di primo grado che ha statuito sul mancato assolvimento dell’onere della prova sulla corretta attivazione del contraddittorio.

La Suprema Corte ha respinto l’appello e ha invece affermato che “… Con riferimento alla corretta attivazione del contraddittorio, questa Corte ha avuto modo di specificare che: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore … nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (Cass.27617/2018). 3.2.Nel caso di specie, attesa la mancata costituzione degli odierni ricorrenti nel giudizio di appello, le argomentazioni in ordine alla mancata ricezione della comunicazione costituiscono un autonomo motivo del ricorso introduttivo, considerato che i giudici di primo grado, pur avendo accennato alla stessa, non si sono pronunciati su di essa, con conseguente omissione di pronuncia (cfr. Cass. civ. sez. V. 6672/2017) o, al limite, realizzandosi una situazione di assorbimento improprio del predetto motivo (cfr. Cass. civ. sez. VI. Ord.2334/2020). 3.3.Vanno pertanto confermati i principi secondo cui “nel processo tributario, l’art.346 c.p.c, riprodotto, per il giudizio di appello davanti alla CTR, dall’art.56 d.lgs.546/1992, per cui le questioni ed eccezioni dell’appellato non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate, si applica anche quando il contribuente non si sia costituito in giudizio, restando contumace – come nella fattispecie- e va riferita a qualsiasi questione proposta dal ricorrente, a condizione che sia suscettibile di essere dedotta come autonomo motivo di ricorso o di impugnazione” (Cass. civ. sez. V.20062/2014). Peraltro, anche a voler ritenere che si verta in un’ipotesi di assorbimento improprio, si deve considerare che l’Ufficio ha proposto appello nei confronti dell’intera sentenza, chiedendone l’integrale riforma, indicando tra l’altro in modo specifico anche il passo sui cui i ricorrenti nel presente ricorso pretendono si sia formato il giudicato. Attraverso l’impugnazione di tutti i passaggi motivazionali della sentenza di primo grado, è esclusa la formazione di qualsiasi eventuale giudicato interno, nel solco dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità stando alla quale: “nel caso di assorbimento cd. improprio, ricorrente nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa”. (Cass. civ. sez. I, sent.14190/2016). 3.4.Per quanto concerne la seconda parte del motivo di ricorso – il cui presupposto è che l’accertamento emesso nei confronti della società sia fondato esclusivamente sul mero scostamento dagli studi di settore e pertanto l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituirebbe condizione prevista a pena di nullità dello stesso – data la natura “mista” dell’avviso di accertamento, fondato sull’antieconomicità della gestione societaria rispetto alla quale lo scostamento dallo studio di settore costituisce solo uno degli elementi preso in considerazione al fine dell’accertamento dei maggiori ricavi, non sussisteva l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo a pena di nullità dell’avviso di accertamento. 3.5.51 veda in argomento Cass. sez. V. Ord.7584/2020, secondo cui “…nel caso di accertamento da studio di settore “misto”, ossia in cui lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori che basano la pretesa creditoria fiscale, la quale risulti altresì fondata sull’antieconomicità della gestione aziendale protratta per più anni di imposta e non adeguatamente giustificata dal contribuente, non sono applicabili le norme in materia di accertamento da studi di settore e neppure il relativo principio del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità”. 4. Conclusivamente il ricorso, in parte inammissibile in parte infondato, va respinto”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 1 marzo 2023, n. 6103

sul ricorso 27267-2020 proposto da:

A. E., C. G., C. P., A. F. SAS DI C. G. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO POLLAIOLO 5, presso lo studio dell’avvocato YURI PICCIOTTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANLUCA BIANCAMANO;

 – ricorrenti –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 280/11/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA, depositata il 14/01/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/11/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

Ritenuto che

A. F. Sas di G. C. & C., E. A., G. C., Piero C., propongono ricorso per la cassazione della sentenza della CTR della Campania, indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di avvisi di accertamento della società e dei soci con cui l’Agenzia delle entrate aveva determinato nei confronti della società un maggiore reddito, ai fini IRAP, IVA ed IRPEF nei confronti dei soci, per l’anno d’imposta 2012 (in relazione alla anomalia costituita dal fatto che nello studio di settore allegato alla dichiarazione per l’anno 2012, le rimanenze finali erano state indicate in misura pari a € 0,00 e nello studio di settore per l’anno 2013, le esistenze iniziali erano indicate in misura pari a € 1.085.176,00, con conseguente antieconomicità della gestione), ha accolto l’appello dell’Ufficio, in riforma della sentenza di primo grado.

La CTP aveva riunito e accolto i ricorsi della società e dei soci, ritenendo che l’Ufficio non aveva dimostrato con quale modalità aveva comunicato l’anomalia risultante dallo studio di settore alla Società, ritenendo, tra l’altro, che la differenza rispetto alle risultanze di cui allo studio di settore poteva giustificarsi in relazione alle politiche di prezzi praticate dalla Società. La CTR, nell’accogliere l’appello dell’Ufficio, assenti i contribuenti, ha dapprima evidenziato che le eccezioni sollevate in primo grado dai contribuenti nelle memorie illustrative hanno introdotto fatti nuovi, ampliando inammissibilmente il thema decidendum, in violazione dell’art.24 del d.lgs.546/1992.

Quanto alla gestione antieconomica dell’attività, eccepita dall’Ufficio, la CTR ha ritenuto inattendibile la documentazione contabile e giustificato un accertamento analitico induttivo dell’Ufficio, integrante presunzioni gravi, precise e concordanti, con il conseguente spostamento dell’onere probatorio in capo al contribuente, non assolto.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Considerato che

1. Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 32 del D.Igs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. – e omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione all’art.360 n.5 c.p.c.- per avere la CTR ritenuto di non dover prendere in considerazione le precisazioni effettuate dai ricorrenti (non solo G. C. come erroneamente riportato in sentenza) con le memorie illustrative circa l’errore di compilazione dello studio di settore commesso.

2. Il motivo è inammissibile.

 2.1.La CTR ha correttamente escluso dal suo esame il fatto nuovo, dedotto solo in memoria dai contribuenti, (in dispregio degli artt.24 e 32 del d.lgs.546/1992), con conseguente mutatio libelli, costituito dal diverso fatto estintivo della pretesa tributaria, in quanto l’indicazione del valore delle rimanenze, accorpato con il valore delle vendite nella voce dello studio di settore deputato ai ricavi, prospettata nelle memorie illustrative, costituisce situazione di fatto e giuridica ontologicamente diversa dal motivo di ricorso fondato sulla mera omissione della indicazione delle stesse.

2.2.Sul punto, questa Corte ha statuito che: “si ha mutati libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo” (Cass. civ. sez. V.12621/2012).

 2.3.Va pertanto sul punto confermata la sentenza impugnata ribadendo che: “nel processo tributario, mediante le memorie illustrative di cui all’art.32 del d.lgs.546/1992 non possono essere proposte domande nuove, ma solo specificate quelle già contenute nel ricorso introduttivo, in ragione della natura impugnatoria del giudizio” (Cass. civ. sez. V. Ord.1161/2019).

2.4.Va altresì dichiarata inammissibile la doglianza quanto alla violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., mancandone i presupposti, cioè l’individuazione del fatto storico di cui si sarebbe omesso l’esame e per avere i giudici di appello esaminati i fatti esposti nel ricorso di primo grado.

2.5.Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno individuato la circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una decisione diversa sulla domanda ed inoltre i giudici di appello non si sono resi responsabili di alcuna omissione in quanto hanno preso in esame i motivi di ricorso e li hanno valutati.

Va sul punto ribadito che: “il ricorso per Cassazione per mezzo del quale si deduce il solo vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, è inammissibile qualora tutti i punti contestati nel motivo sono stati oggetto di esame e valutazione da parte del giudice” (Cass. civ. sez. VI. Ord.232/2017).

3. Col secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 39 del DPR 600/1973,54 del DPR 633/1972 e dell’art.2697 c.c., in riferimento al comma 4-bis dell’art.10 della 1.146/1998 inserito dall’art.1, comma 17, della 1.296/2000, in relazione all’art.360 n.3 c.p.c., per non avere la CTR rilevato il giudicato sulla parte della sentenza di primo grado che ha statuito sul mancato assolvimento dell’onere della prova sulla corretta attivazione del contraddittorio.

Secondo la ricorrente l’Agenzia non ha impugnato la parte della sentenza di primo grado che ha affermato il mancato assolvimento dell’onere della prova circa la corretta attivazione del contraddittorio, con conseguente nullità del procedimento ed esenzione di ogni onere della prova in capo al contribuente anche e, soprattutto, in riferimento alla soglia del 40% di discostamento dei ricavi.

Il motivo è infondato.

3.1.Con riferimento alla corretta attivazione del contraddittorio, questa Corte ha avuto modo di specificare che: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore … nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’Ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri” (Cass.27617/2018).

 3.2.Nel caso di specie, attesa la mancata costituzione degli odierni ricorrenti nel giudizio di appello, le argomentazioni in ordine alla mancata ricezione della comunicazione costituiscono un autonomo motivo del ricorso introduttivo, considerato che i giudici di primo grado, pur avendo accennato alla stessa, non si sono pronunciati su di essa, con conseguente omissione di pronuncia (cfr. Cass. civ. sez. V. 6672/2017) o, al limite, realizzandosi una situazione di assorbimento improprio del predetto motivo (cfr. Cass. civ. sez. VI. Ord.2334/2020).

3.3.Vanno pertanto confermati i principi secondo cui “nel processo tributario, l’art.346 c.p.c, riprodotto, per il giudizio di appello davanti alla CTR, dall’art.56 d.lgs.546/1992, per cui le questioni ed eccezioni dell’appellato non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate, si applica anche quando il contribuente non si sia costituito in giudizio, restando contumace – come nella fattispecie- e va riferita a qualsiasi questione proposta dal ricorrente, a condizione che sia suscettibile di essere dedotta come autonomo motivo di ricorso o di impugnazione” (Cass. civ. sez. V.20062/2014). Peraltro, anche a voler ritenere che si verta in un’ipotesi di assorbimento improprio, si deve considerare che l’Ufficio ha proposto appello nei confronti dell’intera sentenza, chiedendone l’integrale riforma, indicando tra l’altro in modo specifico anche il passo sui cui i ricorrenti nel presente ricorso pretendono si sia formato il giudicato.

Attraverso l’impugnazione di tutti i passaggi motivazionali della sentenza di primo grado, è esclusa la formazione di qualsiasi eventuale giudicato interno, nel solco dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità stando alla quale: “nel caso di assorbimento cd. improprio, ricorrente nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa”. (Cass. civ. sez. I. sent.14190/2016).

3.4.Per quanto concerne la seconda parte del motivo di ricorso – il cui presupposto è che l’accertamento emesso nei confronti della società sia fondato esclusivamente sul mero scostamento dagli studi di settore e pertanto l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituirebbe condizione prevista a pena di nullità dello stesso – data la natura “mista” dell’avviso di accertamento, fondato sull’antieconomicità della gestione societaria rispetto alla quale lo scostamento dallo studio di settore costituisce solo uno degli elementi preso in considerazione al fine dell’accertamento dei maggiori ricavi, non sussisteva l’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo a pena di nullità dell’avviso di accertamento.

3.5.51 veda in argomento Cass. sez. V. Ord.7584/2020, secondo cui”…nel caso di accertamento da studio di settore “misto”, ossia in cui lo scostamento dagli indici parametrici è soltanto uno degli elementi probatori che basano la pretesa creditoria fiscale, la quale risulti altresì fondata sull’antieconomicità della gestione aziendale protratta per più anni di imposta e non adeguatamente giustificata dal contribuente, non sono applicabili le norme in materia di accertamento da studi di settore e neppure il relativo principio del contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità”.

4. Conclusivamente il ricorso, in parte inammissibile in parte infondato, va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in C. 3.500,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Roma, 23 novembre 2022

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