CASSAZIONE

Limitazione all’impugnabilità dell’estratto di ruolo applicabile anche ai giudizi pendenti

Tributi – Contenzioso – Impugnabilità degli atti impositivi tributari – Agente della riscossione -Ruolo – Cartella di pagamento – Notifica – Necessità –  Legittimità costituzionale – Esclusione

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022 si sono  pronunciate sulla portata applicativa dell’art. 3-bis, Dl 146/2021, che ha in parte novellato l’articolo 12 del DPR 602/1973, cioè della disposizione che sancisce la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, introducendo anche precisi limiti all’impugnabilità del ruolo e affermando, ai sensi del nuovo comma 4-bis, che l’estratto di ruolo non è impugnabile sostenendo che “… Va quindi affermato, ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: in tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata  o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione”.

Ricordiamo che con l’art. 3-bis del Dl 146/21 è stato inserito il comma 4-bis, che ha stabilito che l’estratto di ruolo non è impugnabile, se non a distinte condizioni, come infatti si specifica: “…Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Secondo la Suprema Corte, pertanto, il contribuente non può essere privato della possibilità di impugnare un atto che rechi una pretesa tributaria, esplicitando le ragioni concrete dell’impugnazione: ed è questo il caso del ruolo o della cartella di pagamento, della cui esistenza il contribuente può venire a conoscenza con la richiesta dell’estratto di ruolo, che non è altro che un documento riepilogativo dei debiti del contribuente iscritti a ruolo. Si tratta, in estrema sintesi, di un atto interno all’ Agenzia Entrate Riscossione, contenente gli elementi di riferimento delle cartelle di pagamento emesse nei confronti del contribuente. Nonostante sia privo di qualsiasi valore ufficiale e, soprattutto, non contenga alcuna richiesta di pagamento, può essere impugnato tutte le volte in cui riporti debiti per cartelle mai correttamente consegnate al contribuente o mai spedite. Il contribuente può farne richiesta all’agente per la riscossione al fine di verificare la presenza di carichi iscritti a ruolo dei quali non ha mai avuto formale conoscenza. Il ruolo e la cartella di pagamento, tuttavia, che si assume invalidamente notificata, possono essere direttamente impugnati in tre casi, come il pregiudizio per la partecipazione a procedura di appalto o il blocco di pagamenti da parte della Pa e, infine, la perdita di un beneficio nei rapporti con una Pa.

Come è noto il ruolo è l’elenco dei debitori e delle somme dovute al fisco da ciascuno di essi (art. 10, DPR 602/1673), che una volta sottoscritto è il titolo esecutivo che giustifica l’invio delle cartelle (art. 12 e 25, DPR 602/1973).

Orbene, in caso di mancata notifica delle cartelle, il contribuente, per difendersi dalla pretesa del Fisco, aveva due possibilità:

1) attendere l’atto successivo alla cartella (intimazione, preavviso di ipoteca, pignoramento, ecc.) e impugnare tale atto, contestando anche le pretese della cartella non notificata (art. 19, comma 3, D.lgs. 546/1992);

2) andare dal Riscossore a ritirare l’estratto di ruolo e impugnarlo chiedendo la cancellazione dei debiti riportati nelle cartelle non notificate.

Ora, con la definitiva conversione il legge del decreto fisco-lavoro sono state proposte diversi novità e tra queste anche la cancellazione del ruolo dalla lista dell’art. 19, D.lgs. 602/1973: il contribuente, per impugnare il ruolo, deve dimostrare di avere uno degli interessi riportati nell’emendamento.

Ricordiamo, nello specifico, che proprio l’argomento sollevato all’attenzione delle SS.UU. dalla sezione tributaria della Cassazione con l’ordinanza n. 4526/2022 aveva, in modo estremamente deciso e articolato, espresso il proprio orientamento e rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, specificando che “… La questione che è stata sottoposta alla delibazione di questa Corte attiene alla possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto la rituale notifica dei provvedimenti impositivi (cartella, intimazione di pagamento, avviso di iscrizione ipotecaria), e che scopra “occasionalmente” la sussistenza di iscrizioni a ruolo, come pure delle cartella di pagamento e dell’iscrizione ipotecaria, di impugnare “in via diretta” tali atti tributari, con tutela “anticipata”, quindi prima della loro rituale notificazione nei suoi confronti. Nella specie, il contribuente ha affermato di essere venuto a conoscenza della iscrizione ipotecaria, delle cartelle di pagamento e del ruolo, solo a seguito della comunicazione degli estratti di ruolo. La questione, risolta da questa Corte, con pronuncia a sezioni unite n. 19704 del 2015, deve ora essere affrontata alla luce dell’art. 3-bis del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito in legge 17 dicembre 2021, n. 215, avente ad oggetto la “non impugnabilità dell’estratto di ruolo e limiti all’impugnabilità del ruolo”. In particolare, deve verificarsi se lo ius superveniens suindicato abbia o meno valore retroattivo, con eventuale applicabilità anche ai giudizi tributari in corso e, quindi, anche alla controversia in esame”.

La soluzione del tema in dottrina è stata più incerta di quanto sembri, perché rendendo parzialmente inoppugnabili gli estratti di ruolo si rischierebbe di entrare in contrasto con il precedente orientamento della Cassazione, la quale aveva spiegato che l’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’articolo 19 del D.lgs. 546/92 (Codice del processo tributario) non è tassativo e deve essere interpretato in modo estensivo. Tale orientamento era del resto in linea con le norme norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della Pubblica amministrazione (articoli 24, 53 e 97).

Al massimo consesso di piazza Cavour era stato quindi chiesto di stabilire se la nuova norma si potesse applicare ai giudizi pendenti, se fosse esente dai dubbi di legittimità costituzionale che si potrebbero prospettare e se ci fosse la possibilità per il contribuente che assume di non aver ricevuto la rituale notificazione di atti di riscossione e ne scopra l’esistenza, di impugnarli immediatamente, anche insieme con il ruolo.

Su questa possibilità ha inciso il menzionato art. 3-bis, Dl 146/2021, che ha limitato l’accesso alla tutela immediata configurata, invece, dalle Sezioni Unite con la sentenza 19704/2015, come alternativa, e rimessa alla facoltà della parte rispetto a quella prevista dall’art. 3, ultima parte, art. 19, D.lgs. 546/1992. In più, ricordano gli Ermellini, l’articolo 3-bis da una parte dichiara non impugnabile l’estratto di ruolo, e dall’altra indica i casi nei quali è possibile la tutela diretta per il contribuente che sostiene di non aver ricevuto la notifica della cartella. Per le Sezioni Unite l’art. 3-bis, nel regolare specifici casi di azione diretta, stabilisce anche quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sé bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, plasma l’interesse ad agire.

Questa condizione dell’azione, secondo gli Ermellini, ha natura dinamica e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione.

La disciplina sopravvenuta si applica allora ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell’impugnazione. In armonia con il principio costituzionale del giusto processo (art. 111, Cost.), l’interesse ad agire deve essere dimostrato e la dimostrazione si può anche dare nel corso dei giudizi pendenti.

Da questo ragionamento il Supremo Consesso osserva che l’interesse ad agire lo si può considerare come un vantaggio che vuole conseguire il contribuente: è ammissibile quindi che tale interesse ad agire vale solo se vi sia un pregiudizio, come una notifica di una intimazione ad agire oppure un pignoramento in corso.  

In definitiva si potrebbe anche valutare che l’attesa pronuncia dei Supremi Giudici rifletta appieno la volontà del legislatore di limitare fortemente le impugnazioni tramite l’estratto di ruolo per far annullare le cartelle di pagamento e, in buona sostanza, di attuare l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata, in quanto le Sezioni Unite hanno confermato la legittimità della novella normativa  e considerata applicabile ai processi in corso, pure non tributari (artt. 17 e 18, D.lgs. 46/1999 per i contributi, come l’art. 27, legge 689/1981 per violazioni del Codice della Stradae delle sanzioni amministrative).

In ultimo, preme sottolineare che la Suprema Corte, rispondendo ai dubbi di legittimità costituzionale prospettati dalla dottrina con riguardo agli artt. 3, 24, 113 e 117 della Costituzione, quest’ultimo nella prospettiva CEDU, ha confermato che la disciplina in questione non è irragionevole, né arbitraria.

Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle e al cospetto dell’inattività dell’Agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso. In particolare, le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza n. 77/18), che  “… a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera”, escludendo dunque “… che sia minato il sistema, come si è adombrato in relazione al giudizio tributario, al modello del quale è soltanto apportata una modesta deroga”.

Tanto premesso e tornando al caso esaminato, la vicenda trae origine dall’impugnazione di una iscrizione d’ipoteca con la quale un contribuente veniva a conoscenza dell’esistenza di alcuni debiti tributari riportati in cartelle a lui mai notificate e, quindi, impugnava anche le iscrizioni a ruolo, le cartelle e le relative intimazioni di pagamento. La giustizia tributaria adita accoglieva in primo grado il ricorso, ritenendolo tempestivo, mentre in sede regionale i giudici rigettavano l’appello e la decisione veniva impugnata avanti la Cassazione. La Suprema Corte rinviava la decisione alle Sezioni Unite anche in considerazione dei principi già affermati dalla precedente decisione sull’argomento, delle Sezioni Unite con la sent. n. 19740/2015, sopratutto in considerazione della novella introdotta dall’articolo 3-bis del Dl 146/2021. Il Supremo Collegio osserva che: “… La disciplina in questione non è difatti irragionevole, né arbitraria. Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso (per considerazioni almeno in parte analoghe, si veda Corte cost. n. 155/14). In particolare le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza n. 77/18), che, «a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera». – Nel contempo, però, la norma nuova assicura comunque tutela anche al contribuente, e nonostante la struttura impugnatoria del processo tributario, nei casi in cui ne ravvisa il bisogno, ossia qualora vi sia lo specifico pregiudizio ivi contemplato. – Questa tutela, in base al tenore della norma, e alle ragioni che ne sono alla base (fronteggiare le impugnazioni «avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese…»), riguarda i soli atti invalidamente notificati (o non notificati) ivi contemplati e nelle sole ipotesi stabilite. I casi indicati sono quindi tassativi e non esemplificativi, per cui l’interprete non può crearne altri. – È allora escluso che sia minato il sistema, come si è adombrato in relazione al giudizio tributario, al modello del quale è soltanto apportata una modesta deroga. – Proprio perché la tutela riguarda atti invalidamente notificati o non notificati, e quindi inefficaci, inoltre, è ultronea la ricerca di un termine al quale ancorare il dies a quo per l’impugnazione: questa ricerca, che ha senso soltanto se il termine sia da ritenere perentorio, è volta a ricavare la certezza della definitività dell’atto dall’omessa impugnazione entro quel termine. La definitività è, tuttavia, predicato degli effetti dell’atto, laddove gli effetti dell’atto non notificato o invalidamente notificato, o che si assume sia stato tale, mai prodottisi, mai a maggior ragione possono divenire definitivi. – Si tratta, come si è già sottolineato ad altri fini in passato (cfr. ancora Cass., sez. un., nn. 16412/07 e 5791/08, cit.), di una tutela facoltativa: la disposizione in esame non impone, ma consente di sperimentarla, come emerge con chiarezza dall’uso della locuzione «sono suscettibili di diretta impugnazione». – L’art. 24 Cost., anche in combinazione con l’art. 113, d’altronde, là dove garantisce l’accesso alla giurisdizione, non predetermina alcuna forma di tutela, né vincola il legislatore sul contenuto dei poteri da attribuire agli organi giurisdizionali: effettività della tutela giurisdizionale non significa che necessariamente deve essere consentito di sperimentare la tutela immediata, ma vuol dire che la pretesa deve trovare, se fondata, la sua concreta soddisfazione (Corte cost. n. 63/82), senza l’imposizione di oneri o di modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (Corte cost., n. 23/15; n. 44/16; n. 121/16). – Il che è nel caso in esame da escludere, anzitutto perché, almeno quanto al giudizio tributario, si discute di un ampliamento, e non di una compressione della tutela ordinariamente esperibile; inoltre, perché il potere cautelare del quale sono muniti il giudice tributario e quello ordinario, anche dell’esecuzione, scongiura il rischio che si configurino zone franche da interventi giurisdizionali. – Pure a fronte dell’invalida o dell’omessa notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento, difatti, c’è sempre un giudice chiamato a pronunciarsi sulle doglianze del contribuente, che impugni l’atto successivo, anche se esecutivo, o alternativo all’esecuzione, perché volto a indurre il debitore all’adempimento (Cass., sez. un., n. 959/17; n. 40763/21), come ha fatto P. D. impugnando l’iscrizione ipotecaria (tra varie, Cass., sez. un., n. 7822/20, cit.; sez. un., n. 8465/22). – Analogamente, nei giudizi non tributari, in caso di omessa o invalida notificazione di cartella o intimazione, il debitore può impugnare l’iscrizione ipotecaria o il fermo di beni mobili registrati, o il relativo preavviso, anche per far accertare l’insussistenza della pretesa (Cass., sez. un., n. 15354/15; n. 28528/18; n. 18041/19; n. 7756/20); può proporre opposizione all’esecuzione, qualora contesti il diritto di procedere in executivis, purché ci sia almeno la minaccia di procedere all’esecuzione forzata, mediante atto equipollente alla cartella di pagamento o comunque prodromico all’esecuzione (Cass., n. 477/71; n. 16281/16; nn. 16512 e 24461/19);e può proporre opposizione agli atti esecutivi qualora intenda far valere l’omessa notificazione dell’atto presupposto come ragione di invalidità (derivata) dell’atto successivo, posto che, nel sistema delle opposizioni esecutive secondo il regime ordinario, l’irregolarità della sequenza procedimentale dà appunto luogo ad un vizio deducibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., quindi nel termine di venti giorni decorrente dal primo atto del quale l’interessato abbia avuto conoscenza legale (Cass., sez. un., n. 22080/17, punto 8.3, nonché, tra varie, n. 1558/20; n. 20694/21; n. 40763/21, cit.). – Nessun vuoto di tutela si configura anche nell’ipotesi del pignoramento di crediti ex 72-bis del d.P.R. n. 602/73, in relazione al quale si paventa in dottrina il rischio di un so/ve et repete incompatibile col diritto al rispetto dei beni, perché la tutela giurisdizionale risulterebbe tardiva in relazione alla decurtazione patrimoniale già subita dalla parte privata. – Questa speciale forma di pignoramento, pur svolgendosi in via stragiudiziale in mancanza di opposizioni delle parti, dà comunque luogo a un processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi. E l’intervento del giudice dell’esecuzione è sempre possibile, pure per sospendere l’efficacia dell’ordine al terzo di pagare direttamente all’agente per la riscossione, su istanza del debitore e, comunque, in generale, in caso di proposizione di una delle opposizioni previste dagli artt. 615 e 617 c.p.c. e, quindi, anche inaudita altera parte, al fine di evitarne l’attuazione nelle more della comparizione delle parti (Cass. n. 2857/15; n. 26549/21; proprio in relazione, d’altronde, a opposizioni all’esecuzione concernenti questo pignoramento si è pronunciata la richiamata Corte cost. n. 114/18). – Fuori bersaglio sono pure i dubbi relativi al preteso vuoto di tutela che si produrrebbe nel caso del fallimento, in seno al quale è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo ai fini dell’ammissione al passivo del credito da esso risultante. Il ruolo non rileva certo come titolo esecutivo, ma serve a individuare, anche ai fini degli accessori, i crediti opponibili alla massa e i relativi privilegi. E altrettanto vale per l’estratto di ruolo, il quale, benché non sia atto impositivo, comunque contiene e, quindi, documenta gli elementi del ruolo. La notificazione della cartella è dunque quantomeno irrilevante: la funzione d’informare il curatore è assolta dal deposito della domanda d’insinuazione corredata di documenti dimostrativi come, appunto, l’estratto di ruolo, che consente, qualora siano ancora ammesse contestazioni, quanto ai crediti tributari, di proporre impugnazione dinanzi alle Commissioni tributarie in base all’art. 88, comma 2, del d.P.R. n. 602/73 (a meno che non si tratti di fatti sopravvenuti, ossia a valle dell’iscrizione a ruolo: Cass., sez. un., n. 34447/19; conf., n. 13767/21), e, in relazione agli altri, d’integrare la documentazione giustificativa già prodotta (Cass., sez. un., n. 33408/21; conf., n. 5430/22). – La norma sopravvenuta, quindi, non è applicabile, perché non si discute di tutela immediata a fronte di un atto della riscossione non notificato: nel caso del fallimento, non si prospetta alcun atto successivo alla cartella, posto che la riscossione è esclusa dall’esecuzione concorsuale in atto, e l’interesse, che è quello a opporsi all’ammissione del credito, è in re ipsa. Manifestamente infondati sono anche i dubbi concernenti gli adombrati profili di discriminazione. Non sussiste, difatti, «un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali» (Corte cost. n. 101/06; Ric. 2015 n. 22798 sez. (it SU – ud. 19-07-2022 -20- n. 67/07; n. 393/08). Non solo: la selezione dei pregiudizi operata dal legislatore è espressione di discrezionalità non irragionevole, in quanto identifica una coerente serie di rapporti con la pubblica amministrazione, di modo che la ponderazione che ne risulta è espressione di attenzione rivolta anche ai risvolti applicativi e di un bilanciamento effettuato in concreto. – Quanto poi all’asimmetria della norma sottolineata dalla Procura generale, perché tutta a favore dell’amministrazione finanziaria, che si riverbererebbe per altro profilo sulla violazione dell’art. 3 Cost., basti il richiamo dell’esigenza, di rilievo costituzionale, del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (tra varie, Corte cost. nn. 281/11; 90/18; 175/2018; 104/19; 142/20). – Sono quindi palesemente infondati anche i sospetti adombrati nella prospettiva dei diritti presidiati dalla CEDU e dal relativo Protocollo addizionale n. 1.- Il diritto a un processo equo, di cui l’accesso alla giustizia è aspetto, non è difatti assoluto e si presta a limitazioni concernenti le condizioni di ammissibilità della domanda, che richiedono per loro natura una regolamentazione da parte dello Stato, il quale gode di un certo margine di apprezzamento (Corte EDU, Trevisanato c. Italia, n. 32610/07, 15 settembre 2016, §33; Corte EDU, Zubac c. Croazia, n. 40160/12, 5 aprile 2018, §78). Le limitazioni, d’altronde, sono legittime, poiché legittimo è lo scopo che perseguono, laddove l’accesso ridotto alla tutela immediata non incide sul diritto a un processo, poiché resta piena e ampia la tutela generale, presidiata anche dai poteri cautelari del giudice. – Evidentemente infondati sono, allora, gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale proposti dalla Procura generale, in relazione agli artt. 101 e 104 Cost., per il mancato rispetto delle funzioni costituzionalmente assegnate al giudice, che sino al giorno prima – dell’introduzione della norma avrebbe potuto esaminare nel merito i ricorsi in questione. 29.1. – Il giudice è difatti chiamato all’interpretazione evolutiva della norma, e dei nuovi significati che essa possa assumere per effetto di successive modificazioni, abrogazioni e sostituzioni, quando ne fa applicazione, fissando il “momento” di inveramento di tale evoluzione (in termini, Cass., sez. un., n. 15144/11). – Va quindi affermato, ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “In tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla I. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione”.

Corte di Cassazione SS. UU. – Sentenza 6 settembre 2022, n. 26283 

sul ricorso 22798-2015 proposto da:

ADER – AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE – quale successore di EQUITALIA SUD S.P.A., in persona del Direttore pro tempore, domiciliatosi in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente –

contro D. P., elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIA CATONE 15, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MAZZUCCHIELLO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO PISANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1640/49/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 18/02/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/07/2022 dal Consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale ALESSANDRO PEPE, che ha concluso affinché le Sezioni Unite della Corte sollevino la questione di costituzionalità in ordine all’applicabilità ed efficacia del comma 4 -bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602/73;

in caso contrario, chiede la parziale cessazione della materia del contendere, l’accoglimento del secondo motivo e che vengano respinti gli altri;

uditi gli avvocati Gianni De Bellis per l’Avvocatura generale dello Stato e Maria Rosaria Pinto per delega dell’avvocato Angelo Pisani.

Fatti di causa

Emerge dalla sentenza del giudice d’appello che P. D. ha impugnato l’iscrizione ipotecaria compiuta in proprio danno per un debito tributario, dell’esistenza del quale ha riferito di avere appreso perché emergeva da un estratto di ruolo. Egli ha quindi impugnato anche le iscrizioni a ruolo, le cartelle e le intimazioni di pagamento che figuravano nell’estratto e di cui ha affermato di non aver mai avuto conoscenza, eccependo la prescrizione delle pretese e l’illegittimità dell’iscrizione ipotecaria.

La Commissione tributaria provinciale di Napoli ha accolto il ricorso, che ha ritenuto tempestivo perché ha considerato impugnabile l’estratto di ruolo, in conseguenza della mancanza di prova della rituale notificazione delle cartelle e dell’omessa specificazione del relativo contenuto. Inoltre, ha aggiunto, l’agente per la riscossione non aveva dimostrato di aver notificato, o inviato per raccomandata, la comunicazione concernente l’iscrizione ipotecaria.

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da Equitalia Sud, convenendo col giudice di primo grado sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo, in quanto parziale riproduzione del ruolo, annoverato tra gli atti impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Nel merito, ha ribadito la nullità dell’iscrizione ipotecaria, perché non preceduta dalla comunicazione preventiva contenente l’avviso d’iscrizione del vincolo sull’immobile, secondo il giudice d’appello necessaria anche prima dell’introduzione del comma 2-bis dell’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione Equitalia Sud s.p.a., che affida a tre motivi, cui il contribuente replica con controricorso. La sezione tributaria di questa Corte ha individuato, ai fini della decisione del giudizio, la questione di massima di particolare importanza concernente i limiti d’impugnazione fissati dall’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con I. 17 dicembre 2021, n. 215, e ha conseguentemente sottoposto al Primo Presidente la valutazione dell’assegnazione del ricorso alla cognizione delle sezioni unite.

Ne è seguita la fissazione della pubblica udienza dinanzi a queste sezioni unite, in prossimità della quale l’Agenzia delle entrate- Riscossione, quale successore di Equitalia, ha depositato memoria e la Procura generale ha illustrato per iscritto le proprie conclusioni. Si è quindi disposto il rinvio del giudizio all’odierna udienza.

Ragioni della decisione

1 – La questione sottoposta dalla sezione tributaria concerne la possibilità per il contribuente, che assuma di non aver ricevuto rituale notificazione di atti di riscossione, e che ne scopra l’esistenza, di impugnarli immediatamente, anche insieme col ruolo.  Su questa possibilità ha inciso l’art. 3-bis del d.l. n. 146/21, come convertito, che ha limitato l’accesso alla tutela immediata, configurata, invece, da queste sezioni unite (con la sentenza n. 19704/15) come alternativa, e rimessa alla facoltà della parte, rispetto a quella differita prevista dall’art. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546/92. V’è quindi da stabilire se la nuova norma si applichi ai giudizi pendenti e se vada esente dai dubbi di legittimità costituzionale che si potrebbero prospettare secondo la Procura generale e la stessa ordinanza interlocutoria.

1.1 – Il tema è evocato dal secondo motivo di ricorso, col quale l’agente per la riscossione lamenta la violazione dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546/92, evidenziando che l’estratto di ruolo è mero atto interno dell’amministrazione finanziaria, di modo che i vizi che lo concernono possono essere fatti valere soltanto con l’impugnazione di un atto impositivo in senso proprio, ossia della cartella di pagamento, in cui esso è trasfuso. In mancanza della notificazione di un tale atto, non sussisterebbe in capo al contribuente un interesse concreto e attuale ex art. 100 c.p.c. a proporre un giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, perché non è ammissibile richiedere l’accertamento negativo del credito tributario.

2 – Il motivo è, tuttavia, inammissibile perché non è congruente con la materia giustiziabile definita dalla sentenza impugnata, calibrata sull’iscrizione ipotecaria relativa al debito tributario oggetto delle cartelle di pagamento indicate nell’estratto di ruolo.

2.1 – Non si discute, quindi, dell’impugnazione immediata degli atti emergenti dall’estratto di ruolo, ma, per quest’aspetto, di un’impugnazione recuperatoria: il contribuente, impugnando l’iscrizione ipotecaria e gli atti in base ai quali essa è avvenuta, ha contestato anche il debito tributario che ne è a fondamento (in termini, con riguardo a iscrizione ipotecaria relativa a un debito per sanzioni pecuniarie irrogate per violazioni di norme del codice della strada, vedi Cass. n. 20489/18).

3 – Né a diverse conclusioni è possibile pervenire in base al primo motivo di ricorso, col quale l’agente per la riscossione lamenta l’illogicità e l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata, là dove il giudice d’appello avrebbe, tra l’altro, trascurato di esaminare sei cartelle di pagamento, che si assumevano non notificate, diverse da quelle sottese all’iscrizione ipotecaria e impugnate insieme con questa.

Il motivo è difatti carente di specificità, in quanto con esso ci si limita a dedurre genericamente che «si era dimostrato documentalmente che gli estratti di ruolo impugnati erano di due categorie, 6 erano relativi a cartelle di pagamento che si assumeva non essere state notificate e quindi impugnati di per sé come semplici estratto di ruolo; 26 invece erano relativi ad altrettante cartelle sottese all’iscrizione ipotecaria in uno ad essa impugnate»; e ciò sebbene di tale dimostrazione documentale non vi sia traccia nell’enumerazione delle ragioni poste a fondamento delle difese di primo e di secondo grado e indicate nella narrativa del ricorso, e benché il giudice di primo grado avesse rimarcato la genericità delle difese svolte dall’agente per la riscossione, proprio per mancanza di adeguata documentazione del contenuto delle cartelle. In relazione a questo profilo la censura è dunque inammissibile.

3.1 – Risulta quindi irrilevante la richiesta di parziale cessazione della materia del contendere avanzata in memoria dall’Agenzia delle entrate-Riscossione, la quale ha rappresentato che alcune cartelle, ivi enumerate, sono da ritenere annullate in base rispettivamente all’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119/18, come convertito, e all’art. 4, comma 4, del d.l. n. 41/21, come convertito. Non emerge difatti che l’annullamento delle cartelle in questione abbia condotto alla riduzione dell’iscrizione ipotecaria, che è l’atto lesivo dell’interesse materiale dedotto in giudizio (v. Cass. n. 5098/22); e, coerentemente, il contribuente, in sede di discussione, non ha convenuto con l’Agenzia che sia stato anche parzialmente eliminato il contrasto tra le parti. Il motivo è inammissibile anche per gli altri profili in cui si articola: quanto alla dedotta omessa motivazione in relazione all’eccezione di parziale difetto di giurisdizione, esso sconta il deficit di genericità in relazione alla descrizione delle cartelle già evidenziato; in relazione all’eccezione d’indeterminatezza della domanda per mancanza d’indicazione in ricorso dei numeri identificativi di ciascuna cartella di pagamento, l’inammissibilità, per mancanza di decisività, deriva dall’oggetto del giudizio e dal tenore delle difese del contribuente, che assume di non aver conosciuto l’esistenza delle cartelle prima dell’iscrizione ipotecaria.

4 – Inammissibile è altresì il terzo motivo di ricorso, col quale si deduce l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla produzione da parte di Equitalia della documentazione comprovante la regolare notificazione delle cartelle di pagamento: sotto le spoglie del vizio di motivazione s’introduce, quanto alla rilevanza probatoria delle fotocopie, una censura di violazione dell’art. 2719 c.c., di modo che nessun fatto in senso storico-naturalistico è allegato. Il ricorso è, in definitiva, inammissibile in relazione a tutti i motivi ai quali è affidato.

5 – La questione evocata dal primo motivo di ricorso va comunque affrontata, perché di particolare importanza, ex art. 363 c.p.c.: essa comporta la verifica della tenuta dei principi fissati da queste sezioni unite, nonché della portata del diritto sopravvenuto. Con l’indicata sentenza n. 19704/15 si è stabilito che il ruolo e/o la cartella sono immediatamente impugnabili, anche in mancanza di rituale notificazione, e che non vi è d’ostacolo l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, secondo il quale «la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo» (conf., fra varie, Cass. nn. 27799/18, 22507/19 e 12070/22).

5.1 – La lettura costituzionalmente orientata di questa norma, si è argomentato, comporta che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notificazione di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza. Non è, quindi, esclusa la possibilità di far valere tale invalidità anche prima: l’accesso alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile oppure più gravoso, quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione.

6 – Ai fini dell’immediata giustiziabilità del ruolo e/o della cartella invalidamente notificata o addirittura non notificata non è, tuttavia, sufficiente, anche nella prospettiva dell’orientamento così maturato, il fatto in sé dell’invalidità o dell’omissione della notificazione, che non vizia la cartella, ma può incidere sul merito della controversia, ai fini della prescrizione, e può determinare la decadenza dal potere di riscossione (Cass. sez. un. n. 7514/22, punto 6 della motivazione).

6.1 – La notificazione non è difatti elemento costitutivo dell’atto, ma condizione di efficacia (Cass., sez. un., n. 40543/21; in termini, in relazione alla cartella, n. 26310/21), e quella della cartella equivale, uno actu, alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto (Cass., sez. un., n. 7822/20).

7 – Coerentemente, proprio con la sentenza n. 19704/15, queste sezioni unite, appunto prendendo le mosse dall’«indiscutibile recettizietà» dell’atto tributario, in virtù della quale «il ruolo è atto che deve essere notificato e la sua notificazione coincide con la notificazione della cartella di pagamento», hanno fondato l’ammissibilità dell’impugnazione sul bisogno di tutela dato dall’interesse a contrastare l’avanzamento della sequenza procedimentale in corso: l’invalidità della notificazione (e, a maggior ragione, l’omissione di essa), hanno ritenuto, rileva in quanto, impedendo la conoscenza dell’atto e quindi la relativa impugnazione, produca l’avanzamento del procedimento sino alla conclusione dell’esecuzione.

7.1 – D’altronde, anche quanto alla tutela successiva, l’ultima parte del comma 3 dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/92 comunque esige o il bisogno di tutela recuperatoria, di modo che il contribuente possa impugnare con l’atto consequenziale anche quello presupposto (non notificato) facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo e contestando alla radice il debito tributario reclamato nei propri confronti, oppure, appunto, il bisogno d’interrompere la sequenza procedimentale che sia proseguita illegittimamente, perché viziata dall’omessa, o dall’irrituale notificazione dell’atto presupposto, del quale il destinatario non abbia avuto conoscenza (Cass., sez. un., n. 16412/07, e sez. un., n. 5791/08; conf., tra varie, nn. 1144/18 e 19982/19, punti 8 e 9).

8 – Il bisogno di tutela immediata scaturisce dunque, nella prospettazione delle sezioni unite, dalla necessità di evitare che il danno derivante dall’esecuzione divenga irreversibile, se non in termini risarcitori.

8.1 – Si ritenevano difatti sussistenti gravi limitazioni al diritto di difesa, nel caso in cui fosse progredita l’azione esecutiva nonostante l’invalidità o anche l’omessa notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento:

a) per un verso, si escludeva che si potesse adire il giudice tributario per l’impugnazione di un atto esecutivo come il pignoramento, in quanto tale estraneo ai confini della giurisdizione tributaria, come delineati dall’art. 2 del d.lgs. n. 546/92 (Cass., sez. un., n. 21690/16);

b) per altro verso, la possibilità di proporre opposizione ex art.615 c.p.c., inizialmente esclusa dall’art. 54 del d.P.R. n. 602/73, nel regime antecedente alla novella dovuta al d.lgs. n. 46/99 (Cass., sez. un., n. 212/99; sez. un., n. 2090/2002; n. 25855/13), è stata poi limitata, nel regime successivo, in base all’art. 57 del d.P.R. n. 602/73, alla deduzione dell’impignorabilità dei beni; laddove non è consentita, quanto alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo, ossia, appunto, alla regolarità del ruolo e alla notificazione della cartella, l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

9. Quelle limitazioni, tuttavia, non sono più attuali.

 Dapprima queste sezioni unite (Cass., sez. un., nn. 13913 e 13916/17; in termini, tra varie, sez. un. n. 7822/20, cit.) hanno stabilito che il pignoramento che costituisca il primo atto col quale si esprime la volontà di procedere alla riscossione di un credito, in mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, suscita l’interesse ad agire e va impugnato davanti al giudice tributario, in base agli artt. 2, comma 1, secondo periodo, e 19 del d.lgs. n. 546/92.

9.1 – Poi, anche sulla scia di questa giurisprudenza, la Corte costituzionale (con sentenza n. 114/18) ha escluso qualsivoglia vuoto di tutela nel caso di omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o dell’eventuale successivo avviso contenente l’intimazione ad adempiere: se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, o la regolarità formale e la notificazione di esso, la tutela c’è ed è garantita in maniera piena dal giudice tributario (al riguardo, si veda Cass., sez. un., n. 28709/20).

Quella Corte ha inoltre posto rimedio alla carenza di tutela che si profilava dinanzi al giudice ordinario, affermando l’illegittimità costituzionale del suddetto art. 57 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella o all’intimazione di pagamento, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c. E, a fondamento della decisione, ha appunto evidenziato che la pur marcata peculiarità dei crediti tributari non è tale da giustificare che «…non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori». Il principio della tutela immediata affermato dalla richiamata sentenza delle sezioni unite del 2015 è dunque superato, come ineludibile e pronosticabile conseguenza del descritto ampliamento delle tutele esperibili a fronte dell’ingiusta prosecuzione della sequenza procedimentale, che quella giurisprudenza considerava; non si configura quindi affidamento tutelabile per chi vi abbia confidato (v. Cass., sez. un., n. 4135/19).

10 – In realtà, proprio perché nei casi in cui si contestino il ruolo e/o la cartella o l’intimazione di pagamento non notificate o invalidamente notificate, conosciute perché risultanti dall’estratto di ruolo, l’esercizio della pretesa tributaria non emerge da alcun atto giuridicamente efficace, l’azione è da qualificare di accertamento negativo (in termini, da ultimo, Cass. n. 3990/20, punto 2.6). E, in quanto tale, essa, in considerazione della struttura impugnatoria del giudizio tributario, è improponibile (Cass., sez. un., n. 24011/07; sez. un., n. 21890/09).

11 – Per i giudizi non tributari, che questa struttura non hanno, l’interesse a promuovere azione di accertamento negativo della sussistenza dei crediti riportati nell’estratto di ruolo è stato variamente configurato. Lo si è escluso, qualora la cartella sia stata notificata in precedenza, in mancanza di iniziative esecutive, per l’insussistenza di un “conflitto” riconoscibile come tale (Cass. nn. 20618 e e 22946/16, in relazione a sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada; conf., con riguardo all’estratto di ruolo contributivo, n. 6723/19).

11.1 – Si è, però, anche sottolineato che in un’azione di mero accertamento l’interesse ad agire non implica necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato d’incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo (tra varie, Cass. n. 16022/02; n. 16262/15). Sicché si è ravvisato l’interesse nella contestazione dell’avvenuta prescrizione del credito in epoca successiva alla notificazione della cartella (Cass., n. 29294/19, nonché sez. un., n. 7514/22, cit., punto 13, che lo identifica con la negazione di essere debitore, ma che risolve altra questione di diritto; in termini, n. 7593/22, relativa a un caso in cui si discuteva della regolarità della notificazione della cartella).

11.2 – In posizione mediana si è poi stabilito che l’istante non si può limitare ad affermare l’acquisita conoscenza, tramite l’estratto di ruolo, della pretesa indicata come prescritta, ma deve specificare da quali elementi disponibili emerga lo stato d’incertezza che sorregge l’azione (Cass. n. 7353/22).

12 – In questo composito panorama le impugnazioni degli atti e le contestazioni dei crediti riportati negli estratti di ruolo hanno continuato a proliferare, come emerge dalla relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021, per «far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese, e perfino nei casi in cui avesse rinunciato anche all’esercizio della tutela».

12.1 – L’inefficienza della riscossione coattiva, difatti, che ha indotto la Corte costituzionale a sollecitare il legislatore a riformarne i meccanismi (Corte cost., n. 120/21; in precedenza, anche Corte cost. n. 51/19 stigmatizzava le inefficienze del sistema riscossivo), e l’adozione, in esito a distinti processi di discarico per inesigibilità delle quote iscritte a ruolo, del sistema scalare inverso, che prevede lo scaglionamento in ordine cronologico, inverso a quello dell’affidamento in carico, dei termini di presentazione e controllo delle comunicazioni di inesigibilità (art. 1, comma 684, della I. n. 190/14), hanno determinato l’accumularsi di un magazzino della riscossione caratterizzato, secondo quanto segnala in memoria l’Agenzia delle entrate-Riscossione, da una stratificazione di crediti vetusti, non riscossi e, di fatto, non suscettibili di riscossione, rispetto ai quali, essa sostiene, nessuna iniziativa esecutiva verrà giammai attivata.

13 – È allora intervenuto il legislatore, il quale, con l’art. 3-bis del d.l. n. 146/21, inserito in sede di conversione dalla I. n. 215/21, novellando l’art. 12 del d.P.R. n. 602/73, intitolato alla “Formazione e contenuto dei ruoli”, in cui ha inserito il comma 4-bis, ha stabilito non soltanto che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», ma anche che «Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’art. 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».

13.1 – La norma riguarda la riscossione delle entrate pubbliche anche extratributarie: in base, in particolare, alla combinazione degli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 46/99 quanto ai crediti contributivi e previdenziali (vedi, a proposito dell’art. 49 del d.P.R. n. 602/73, Cass., sez. un., n. 33408/21), e giusta gli artt. 27 della I. n. 689/81 e 206 del d.lgs. n. 285/92, in relazione alle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, la riscossione delle quali è disciplinata dalle norme previste per l’esazione delle imposte dirette (cfr., con riguardo al fermo, Cass. n. 22018/17).

14 – La prima disposizione del comma 4-bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602/73 è ricognitiva della natura dell’estratto di ruolo, mero elaborato informatico contenente gli elementi della cartella, ossia gli elementi del ruolo afferente a quella cartella, che non contiene pretesa impositiva alcuna, a differenza del ruolo, il quale è atto impositivo, in quanto tale annoverato dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/92 tra quelli impugnabili: sulla distinzione si sono soffermate queste sezioni unite (con la già citata sentenza n. 19704/15) e non constano voci dissonanti (in linea, anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4/22).

14.1 – Quel che s’impugna è quindi l’atto impositivo o riscossivo menzionato nell’estratto di ruolo; di modo che inammissibile è l’impugnazione dell’estratto di ruolo che riporti il credito trasfuso in una cartella di pagamento che sia stata precedentemente notificata, e non impugnata (tra varie, Cass. n. 21289/20), o che sia rivolta a far valere l’invalidità di un’intimazione, regolarmente notificata e non contestata, per l’omessa notificazione delle cartelle di pagamento (sempre tra varie, v. Cass. n. 31240/19).

15 – È la seconda disposizione della disciplina sopravvenuta che ha suscitato accesi fermenti, dei quali si fornisce ampio riscontro nell’ordinanza interlocutoria.

15.1 – Non si tratta, come pure si è sostenuto, di una norma d’interpretazione autentica, men che mai dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/92. Non soltanto essa non si qualifica come tale, ma nemmeno assegna ad altra disposizione un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (v. tra varie, Corte cost. nn. 257 e 271/11, n. 132/16 e n. 167/18, nonché Cass., sez. un., nn. 9560/14 e 12644/14).

16 – Né la norma è retroattiva, perché non disconosce le conseguenze già realizzate del fatto compiuto, né ne impedisce le conseguenze future per una ragione relativa a questo fatto soltanto: essa non incide sul novero degli atti impugnabili e, specificamente, non ne esclude il ruolo e la cartella di pagamento; né introduce motivi d’impugnazione o foggia quelli che già potevano essere proposti.

16.1 – È quindi manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale posto in relazione all’art. 3 Cost. dalla Procura generale, secondo cui la norma potrebbe mutare gli esiti dei processi in corso, violando i principi di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di coerenza e certezza dell’ordinamento (sull’accesso al sindacato di costituzionalità attraverso il giudizio ex art. 363, comma 3, c.p.c., cfr. Cass., sez. un., n. 20661/14 e Corte cost. n. 119/15).  Questi principi, applicabili anche in materia processuale, limitano l’efficacia retroattiva della legge, di modo che l’inosservanza di essi si risolve in irragionevolezza e comporta, di conseguenza, l’illegittimità della norma retroattiva (tra varie, Corte cost. nn. 103 e 170/13; n. 69/14; da ultimo, n. 145/22).

17 – Con la norma in questione, invece, il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per sé bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, tenendo conto dell’incisivo rafforzamento del sistema di garanzie, di cui si è detto, plasma l’interesse ad agire.

17.1 – Questa condizione dell’azione ha difatti natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (tra varie, Cass.n. 9094/17; sez. un., n. 619/21), e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione. La disciplina sopravvenuta si applica, allora, ai processi pendenti perché incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno uno degli effetti dell’impugnazione.

18 – È quindi coerente che l’interesse, così come conformato dal legislatore, debba essere dimostrato: «Sarebbe in contrasto con la funzione del processo una struttura di questo che fosse regolata in modo da consentire l’eventuale abuso delle misure giudiziarie ai fini dell’utile di una sola parte, mossa da intenti defatigatori…, e pertanto non meritevole di tutela giuridica» (Corte cost. n. 113/63), in armonia col principio costituzionale del giusto processo, ex art. 111 Cost.

18.1 – La dimostrazione si può dare anche nel corso dei giudizi pendenti. Quanto alle fasi di merito, se il pregiudizio sia già insorto al momento della proposizione del ricorso, utile è il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini, applicabile anche al processo tributario (tra varie, v. Cass. n. 268/22), posto che l’assolutezza dell’impedimento a rappresentare quel pregiudizio è determinata dalla novità della norma che l’ha previsto; a maggior ragione esso può essere fatto valere in giudizio se insorto dopo.

L’interesse in questione può poi essere allegato anche nel giudizio di legittimità, il quale non è sull’operato del giudice, ma sulla conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico, definito dalle norme applicabili quando la sentenza è resa (Cass., sez. un., n. 21691/16, punto 16), mediante deposito di documentazione ex art.372 c.p.c. (sull’ammissibilità del deposito di documenti concernenti la persistenza dell’interesse ad agire, cfr., tra varie, Cass. n. 26175/17), o anche fino all’udienza di discussione, prima dell’inizio della relazione, o fino all’adunanza camerale, se insorto dopo; qualora occorrano accertamenti di fatto, vi provvederà il giudice del rinvio.

19 – Manifestamente infondati sono poi i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati dalla dottrina con riguardo agli artt. 3, 24, 113 e 117 Cost., quest’ultimo nella prospettiva CEDU, perché, per un verso, la misura, indirizzata a scoraggiare impugnazioni “pretestuose”, non sarebbe proporzionata, finendo col punire anche le scelte che pretestuose non siano. Per altro verso, le ipotesi tipizzate di tutela immediata sarebbero discriminatorie rispetto a fattispecie ad esse omogenee, ed evidenzierebbero vuoti di tutela, per l’assenza nell’elenco di casi in cui non si configurerebbero atti successivi mediante l’impugnazione dei quali si possa recuperare l’impugnazione del ruolo e della cartella non notificati, tra i quali campeggerebbe quello regolato dall’art. 72-bis del d.P.R. n. 602/73. Sicché potrebbero essere lesi i principi fissati dall’art. 6 della CEDU (Diritto a un equo processo) e dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione (Protezione della proprietà).

19.1 – Su direttrice opposta, si è segnalata, con riguardo al giudizio tributario, l’intrinseca irrazionalità della norma sopravvenuta, perché ammette un’impugnativa di atti scardinati dalla notificazione, senza ancorarla a un termine decadenziale, in modo da collocarla ordinatamente nell’ambito della sequenza generalmente prevista dalla normativa vigente. La manifesta infondatezza di questi dubbi scaturisce dall’ampia discrezionalità di cui dispone il legislatore in tema di disciplina del processo, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà (tra varie, Corte cost. nn. 58 e 80/20; 13/22; n. 73/22).

20 – La disciplina in questione non è difatti irragionevole, né arbitraria. Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso (per considerazioni almeno in parte analoghe, si veda Corte cost. n. 155/14). In particolare le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza n. 77/18), che, «a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera».

20.1 – Nel contempo, però, la norma nuova assicura comunque tutela anche al contribuente, e nonostante la struttura impugnatoria del processo tributario, nei casi in cui ne ravvisa il bisogno, ossia qualora vi sia lo specifico pregiudizio ivi contemplato.

21 – Questa tutela, in base al tenore della norma, e alle ragioni che ne sono alla base (fronteggiare le impugnazioni «avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese…»), riguarda i soli atti invalidamente notificati (o non notificati) ivi contemplati e nelle sole ipotesi stabilite. I casi indicati sono quindi tassativi e non esemplificativi, per cui l’interprete non può crearne altri.

21.1 – È allora escluso che sia minato il sistema, come si è adombrato in relazione al giudizio tributario, al modello del quale è soltanto apportata una modesta deroga.

22 – Proprio perché la tutela riguarda atti invalidamente notificati o non notificati, e quindi inefficaci, inoltre, è ultronea la ricerca di un termine al quale ancorare il dies a quo per l’impugnazione: questa ricerca, che ha senso soltanto se il termine sia da ritenere perentorio, è volta a ricavare la certezza della definitività dell’atto dall’omessa impugnazione entro quel termine. La definitività è, tuttavia, predicato degli effetti dell’atto, laddove gli effetti dell’atto non notificato o invalidamente notificato, o che si assume sia stato tale, mai prodottisi, mai a maggior ragione possono divenire definitivi.

22.1 – Si tratta, come si è già sottolineato ad altri fini in passato (cfr. ancora Cass., sez. un., nn. 16412/07 e 5791/08, cit.), di una tutela facoltativa: la disposizione in esame non impone, ma consente di sperimentarla, come emerge con chiarezza dall’uso della locuzione «sono suscettibili di diretta impugnazione».

23 – L’art. 24 Cost., anche in combinazione con l’art. 113, d’altronde, là dove garantisce l’accesso alla giurisdizione, non predetermina alcuna forma di tutela, né vincola il legislatore sul contenuto dei poteri da attribuire agli organi giurisdizionali: effettività della tutela giurisdizionale non significa che necessariamente deve essere consentito di sperimentare la tutela immediata, ma vuol dire che la pretesa deve trovare, se fondata, la sua concreta soddisfazione (Corte cost. n. 63/82), senza l’imposizione di oneri o di modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (Corte cost., n. 23/15; n. 44/16; n. 121/16).

23.1 – Il che è nel caso in esame da escludere, anzitutto perché, almeno quanto al giudizio tributario, si discute di un ampliamento, e non di una compressione della tutela ordinariamente esperibile; inoltre, perché il potere cautelare del quale sono muniti il giudice tributario e quello ordinario, anche dell’esecuzione, scongiura il rischio che si configurino zone franche da interventi giurisdizionali.

24 – Pure a fronte dell’invalida o dell’omessa notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento, difatti, c’è sempre un giudice chiamato a pronunciarsi sulle doglianze del contribuente, che impugni l’atto successivo, anche se esecutivo, o alternativo all’esecuzione, perché volto a indurre il debitore all’adempimento (Cass., sez. un., n. 959/17; n. 40763/21), come ha fatto P. D. impugnando l’iscrizione ipotecaria (tra varie, Cass., sez. un., n. 7822/20, cit.; sez. un., n. 8465/22).

24.1 – Analogamente, nei giudizi non tributari, in caso di omessa o invalida notificazione di cartella o intimazione, il debitore può impugnare l’iscrizione ipotecaria o il fermo di beni mobili registrati, o il relativo preavviso, anche per far accertare l’insussistenza della pretesa (Cass., sez. un., n. 15354/15; n. 28528/18; n. 18041/19; n. 7756/20);  può proporre opposizione all’esecuzione, qualora contesti il diritto di procedere in executivis, purché ci sia almeno la minaccia di procedere all’esecuzione forzata, mediante atto equipollente alla cartella di pagamento o comunque prodromico all’esecuzione (Cass., n. 477/71; n. 16281/16; nn. 16512 e 24461/19); e può proporre opposizione agli atti esecutivi qualora intenda far valere l’omessa notificazione dell’atto presupposto come ragione di invalidità (derivata) dell’atto successivo, posto che, nel sistema delle opposizioni esecutive secondo il regime ordinario, l’irregolarità della sequenza procedimentale dà appunto luogo ad un vizio deducibile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., quindi nel termine di venti giorni decorrente dal primo atto del quale l’interessato abbia avuto conoscenza legale (Cass., sez. un., n. 22080/17, punto 8.3, nonché, tra varie, n. 1558/20; n. 20694/21; n. 40763/21, cit.).

25 – Nessun vuoto di tutela si configura anche nell’ipotesi del pignoramento di crediti ex 72-bis del d.P.R. n. 602/73, in relazione al quale si paventa in dottrina il rischio di un so/ve et repete incompatibile col diritto al rispetto dei beni, perché la tutela giurisdizionale risulterebbe tardiva in relazione alla decurtazione patrimoniale già subita dalla parte privata.

25.1 – Questa speciale forma di pignoramento, pur svolgendosi in via stragiudiziale in mancanza di opposizioni delle parti, dà comunque luogo a un processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi. E l’intervento del giudice dell’esecuzione è sempre possibile, pure per sospendere l’efficacia dell’ordine al terzo di pagare direttamente all’agente per la riscossione, su istanza del debitore e, comunque, in generale, in caso di proposizione di una delle opposizioni previste dagli artt. 615 e 617 c.p.c. e, quindi, anche inaudita altera parte, al fine di evitarne l’attuazione nelle more della comparizione delle parti (Cass. n. 2857/15; n. 26549/21; proprio in relazione, d’altronde, a opposizioni all’esecuzione concernenti questo pignoramento si è pronunciata la richiamata Corte cost. n. 114/18).

26 – Fuori bersaglio sono pure i dubbi relativi al preteso vuoto di tutela che si produrrebbe nel caso del fallimento, in seno al quale è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo ai fini dell’ammissione al passivo del credito da esso risultante. Il ruolo non rileva certo come titolo esecutivo, ma serve a individuare, anche ai fini degli accessori, i crediti opponibili alla massa e i relativi privilegi. E altrettanto vale per l’estratto di ruolo, il quale, benché non sia atto impositivo, comunque contiene e, quindi, documenta gli elementi del ruolo. La notificazione della cartella è dunque quantomeno irrilevante: la funzione d’informare il curatore è assolta dal deposito della domanda d’insinuazione corredata di documenti dimostrativi come, appunto, l’estratto di ruolo, che consente, qualora siano ancora ammesse contestazioni, quanto ai crediti tributari, di proporre impugnazione dinanzi alle Commissioni tributarie in base all’art. 88, comma 2, del d.P.R. n. 602/73 (a meno che non si tratti di fatti sopravvenuti, ossia a valle dell’iscrizione a ruolo: Cass., sez. un., n. 34447/19; conf., n. 13767/21), e, in relazione agli altri, d’integrare la documentazione giustificativa già prodotta (Cass., sez. un., n. 33408/21; conf., n. 5430/22).

26.1 – La norma sopravvenuta, quindi, non è applicabile, perché non si discute di tutela immediata a fronte di un atto della riscossione non notificato: nel caso del fallimento, non si prospetta alcun atto successivo alla cartella, posto che la riscossione è esclusa dall’esecuzione concorsuale in atto, e l’interesse, che è quello a opporsi all’ammissione del credito, è in re ipsa.

27 – Manifestamente infondati sono anche i dubbi concernenti gli adombrati profili di discriminazione. Non sussiste, difatti, «un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali» (Corte cost. n. 101/06; Ric. 2015 n. 22798 sez. (it SU – ud. 19-07-2022 -20- n. 67/07; n. 393/08). Non solo: la selezione dei pregiudizi operata dal legislatore è espressione di discrezionalità non irragionevole, in quanto identifica una coerente serie di rapporti con la pubblica amministrazione, di modo che la ponderazione che ne risulta è espressione di attenzione rivolta anche ai risvolti applicativi e di un bilanciamento effettuato in concreto.

27.1 – Quanto poi all’asimmetria della norma sottolineata dalla Procura generale, perché tutta a favore dell’amministrazione finanziaria, che si riverbererebbe per altro profilo sulla violazione dell’art. 3 Cost., basti il richiamo dell’esigenza, di rilievo costituzionale, del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (tra varie, Corte cost. nn. 281/11; 90/18; 175/2018; 104/19; 142/20).

28 – Sono quindi palesemente infondati anche i sospetti adombrati nella prospettiva dei diritti presidiati dalla CEDU e dal relativo Protocollo addizionale n. 1.

28.1 – Il diritto a un processo equo, di cui l’accesso alla giustizia è aspetto, non è difatti assoluto e si presta a limitazioni concernenti le condizioni di ammissibilità della domanda, che richiedono per loro natura una regolamentazione da parte dello Stato, il quale gode di un certo margine di apprezzamento (Corte EDU, Trevisanato c. Italia, n. 32610/07, 15 settembre 2016, §33; Corte EDU, Zubac c. Croazia, n. 40160/12, 5 aprile 2018, §78). Le limitazioni, d’altronde, sono legittime, poiché legittimo è lo scopo che perseguono, laddove l’accesso ridotto alla tutela immediata non incide sul diritto a un processo, poiché resta piena e ampia la tutela generale, presidiata anche dai poteri cautelari del giudice.

29 – Evidentemente infondati sono, allora, gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale proposti dalla Procura generale, in relazione agli artt. 101 e 104 Cost. per il mancato rispetto delle funzioni costituzionalmente assegnate al giudice, che sino al giorno prima – dell’introduzione della norma avrebbe potuto esaminare nel merito i ricorsi in questione.

29.1 – Il giudice è difatti chiamato all’interpretazione evolutiva della norma, e dei nuovi significati che essa possa assumere per effetto di successive modificazioni, abrogazioni e sostituzioni, quando ne fa applicazione, fissando il “momento” di inveramento di tale evoluzione (in termini, Cass., sez. un., n. 15144/11).

30 – Va quindi affermato, ex art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “In tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla I. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione”.

30.1 – La rilevanza della questione trattata comporta la compensazione delle spese del giudizio.

Per questi motivi

dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 363 c.p.c., detta il principio di diritto indicato al punto 30 della motivazione. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto. Roma, il 19 luglio 2022

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