CASSAZIONE

Licenza taxi, il subentro è cessione d’azienda

La Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 4945 del 2 marzo 2018, ha sentenziato che anche la licenza per l’esercizio del servizio di taxi va ricompresa tra i beni primari organizzati per svolgere l’attività individuale di trasporto di persone, e il suo trasferimento, che si presume a titolo oneroso, realizza una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito d’impresa a prescindere dall’eventuale nullità della cessione per contrasto con norme imperative.

Le ragioni tengono evidentemente in conto che in un contesto notoriamente caratterizzato dal numero limitato delle licenze di taxi rilasciate dai Comuni, è palese (salvo prova contraria da parte del contribuente) che la “cessione della licenza” venga effettuata a titolo oneroso, avendo tale bene un valore commerciale di mercato in quanto bene essenziale e primario nell’ambito del complesso dei beni (licenza e autoveicolo avente i requisiti di legge) organizzati per l’esercizio dell’attività individuale di trasporto di persone.

Conclusioni peraltro ben avvalorate dal fatto notorio dell’esistenza di un vero e proprio mercato di “rivendita” delle licenze taxi (Cassazione, nn. 17476 e 23143 del 2017).

Ricordiamo, però, che in passato non sempre vi sono state univoche interpretazioni sul tema oggi in discussione. Citiamo, ad esempio, la Commissione tributaria provinciale di Milano, che con la sentenza n. 1886/8/2015, pur non escludendo in senso assoluto l’assoggettabilità a imposta di registro di un simile contratto, escludeva che la stessa cessione poteva costituire una vera cessione d’azienda.

La Cassazione era conseguentemente intervenuta più volte su questo tema, soffermandosi in particolare sugli accertamenti induttivi, sulla determinazione del valore della plusvalenza e sulla mancata allegazione di documentazione richiamata nell’atto impositivo.

Con la pronunzia n. 23143/2017 la S.C. aveva infine espressamente affermato che la cessione di una licenza taxi è da considerarsi come una cessione di azienda a tutti gli effetti e che, quindi, genera plusvalenza tassabile ai fini IRPEF.

In buona sostanza si può riassumere che i Supremi Giudici hanno voluto meglio specificare che il trasferimento della licenza per l’esercizio del servizio di taxi, che consente al titolare di ottenere la c.d. “volturazione” da parte del Comune, a determinate condizioni e a favore di un terzo avente i requisiti di legge realizza, se avvenuta a titolo oneroso, una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito ex art. 86, comma 1, TUIR, non essendo rilevante ai fini tributari la nullità della cessione per contrasto con norme imperative.

Quindi i giudici di legittimità, nel confermare le decisioni precedenti dei giudici tributari che negano le tesi del contribuente, hanno voluto precisare che “ … La legge 15 gennaio 1992, n. 21 («Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea»), per quanto qui interessa, qualifica i titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi come «titolari di impresa artigiana di trasporto» (art. 7) e prevede che la licenza è rilasciata dalle amministrazioni comunali (art. 8) e che la stessa, in presenza di determinate condizioni, può essere trasferita, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, iscritta nel ruolo di cui all’art. 6 e in possesso dei requisiti prescritti (art. 9). In primo luogo, pertanto, il trasferimento della licenza è effettuato dall’autorità comunale, munita del potere di rilascio, su domanda del titolare e alla persona da lui indicata, previa verifica dei presupposti di legge; in secondo luogo, trattandosi, come detto, di attività d’impresa, alla “cessione” della licenza, effettuata con le indicate modalità, è applicabile la disciplina dettata dall’art. 86 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel nuovo testo, vigente ratione temporis, già art. 54), secondo il quale concorrono alla formazione del reddito d’impresa le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni relativi all’impresa, costituendo la licenza un bene immateriale strumentale all’esercizio di tale attività. Ne consegue che, qualora il reddito che si contesta non sia stato indicato in dichiarazione, si rende applicabile il disposto dell’art. 39, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 600 del 1973, che, in tale ipotesi, abilita l’Ufficio ad utilizzare, ai fini dell’accertamento, dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (cfr. Cass. n. 21762 del 2017, in motivazione); analoga abilitazione è contenuta nella successiva lettera d bis), introdotta nel secondo comma del detto art. 39 dall’art. 25 della legge n. 28 del 1999, per l’ipotesi, in cui il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo coma, n. 3 e 4, come nel caso in esame, riconducibile, appunto al numero 4. Questa Corte ha infatti chiarito come “la licenza per l’esercizio del servizio di taxi costituisce un bene primario nell’ambito dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività individuale di trasporto di persone ed il suo trasferimento, previsto dall’art. 9 della 1. n. 21 del 1992, che consente al titolare di ottenere la cd. volturazione da parte del comune, a determinate condizioni ed a favore di un terzo avente i requisiti di legge, realizza, se, come si presume, avviene a titolo oneroso, una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito giusta l’art. 86, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, risultando irrilevante, ai fini tributari, la nullità della cessione per contrasto con norme imperative” (Cass. n. 17476 del 2017), vigendo in ambito tributario il principio della tassabilità dei proventi illeciti “derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo”, a norma dell’art.14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n.537 (id., in motivazione)”.

 

Corte di Cassazione Sentenza 2 marzo 2018, n. 4945

sul ricorso 461-2012 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA RAFFAELE CAVERNI 6, presso lo studio dell’avvocato PAOLA ARMELLIN, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 77/2010 della COMM.TRIB.REG. di TORINO, depositata il 25/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CALDERONE per delega dell’Avvocato ARMELLIN che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha Chiesto il rigetto.

FATTI DI CAUSA

E.M. propone ricorso per cassazione con tre motivi nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che, rigettandone l’appello, ed accogliendo l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la legittimità della pretesa avanzata con l’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF per l’anno 2003 con il quale gli veniva contestata la mancata dichiarazione della plusvalenza sulla cessione ad A.N.G., per euro 110.000, della licenza per l’esercizio del servizio di taxi.

E ciò a seguito di segnalazione del Comune di Torino e della quantificazione del detto importo derivante da dichiarazione dello stesso Giardino, che rivelava di aver corrisposto tale somma per perfezionare l’acquisizione della licenza.

Il giudice d’appello, dichiarati inammissibili in quanto domande nuove i motivi di gravame con i quali si censurava la sentenza di primo grado per non aver dichiarato la nullità dell’avviso per nullità dell’accordo per la cessione, e per aver abbattuto del 35% il valore di trasferimento accertato, laddove “avrebbe dovuto dichiarare l’annullamento integrale” – in ragione dell’illiceità del negozio di compravendita di licenza di taxi -, riteneva nondimeno che la pretesa ed asserita illiceità della cessione della licenza di taxi era priva del “supporto o dell’ancoraggio di un qualsivoglia riferimento normativo o regolamentare”.

In ordine al valore della cessione, osservava che la circostanza pacifica che sul conto del cedente M. era transitata la somma di euro 40.000 proveniente dal G., acquirente della licenza, costituiva prova dell’effettiva volontà delle parti di stipulare un negozio oneroso di trasferimento della licenza di taxi, ma non costituiva affatto motivo per ritenere che tale somma ammessa fosse esaustiva di quanto effettivamente incassato a seguito della stipula del negozio di trasferimento della licenza, tanto più che l’acquirente aveva riferito ed ammesso di aver di aver corrisposto la somma complessiva di euro 110.000. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il contribuente denuncia omessa nonché contraddittoria motivazione ed errata applicazione degli artt.1418, 1346 e 1421 cod. civ., con riguardo alla rilevabilità d’ufficio della nullità assoluta del negozio, laddove la CTR aveva ritenuto inammissibili le domande formulate nell’appello per essere state dedotte per la prima volta in appello;

con il secondo motivo denuncia omessa nonché contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alla ritenuta carenza di prova dell’abbattimento del valore di cessione disposto in primo grado, laddove il giudice d’appello avrebbe dovuto escludere la “possibilità di determinazione dell’imposta da applicare su un contratto insanabilmente nullo”;

col terzo motivo denuncia vizio di motivazione della sentenza per il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia ai fini della determinazione del quantum del valore del trasferimento.

I primi due motivi si rivelano inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi della pronuncia, la quale ha escluso la rilevanza, nella presente sede, della nullità del negozio di cessione della licenza di taxi.

La legge 15 gennaio 1992, n. 21 («Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea»), per quanto qui interessa, qualifica i titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi come «titolari di impresa artigiana di trasporto» (art. 7) e prevede che la licenza è rilasciata dalle amministrazioni comunali (art. 8) e che la stessa, in presenza di determinate condizioni, può essere trasferita, su richiesta del titolare, a persona dallo stesso designata, iscritta nel ruolo di cui all’art. 6 e in possesso dei requisiti prescritti (art. 9).

In primo luogo, pertanto, il trasferimento della licenza è effettuato dall’autorità comunale, munita del potere di rilascio, su domanda del titolare e alla persona da lui indicata, previa verifica dei presupposti di legge;

in secondo luogo, trattandosi, come detto, di attività d’impresa, alla “cessione” della licenza, effettuata con le indicate modalità, è applicabile la disciplina dettata dall’art. 86 del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel nuovo testo, vigente ratione temporis, già art. 54), secondo il quale concorrono alla formazione del reddito d’impresa le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni relativi all’impresa, costituendo la licenza un bene immateriale strumentale all’esercizio di tale attività.

Ne consegue che, qualora il reddito che si contesta non sia stato indicato in dichiarazione, si rende applicabile il disposto dell’art. 39, comma 2, lett. a), del d.P.R. n. 600 del 1973, che, in tale ipotesi, abilita l’Ufficio ad utilizzare, ai fini dell’accertamento, dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (cfr. Cass. n. 21762 del 2017, in motivazione);

analoga abilitazione è contenuta nella successiva lettera d bis), introdotta nel secondo comma del detto art. 39 dall’art. 25 della legge n. 28 del 1999, per l’ipotesi, in cui il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo coma, n. 3 e 4, come nel caso in esame, riconducibile, appunto al numero 4.

Questa Corte ha infatti chiarito come “la licenza per l’esercizio del servizio di taxi costituisce un bene primario nell’ambito dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività individuale di trasporto di persone ed il suo trasferimento, previsto dall’art. 9 della 1. n. 21 del 1992, che consente al titolare di ottenere la cd. volturazione da parte del comune, a determinate condizioni ed a favore di un terzo avente i requisiti di legge, realizza, se, come si presume, avviene a titolo oneroso, una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito giusta l’art. 86, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, risultando irrilevante, ai fini tributari, la nullità della cessione per contrasto con norme imperative” (Cass. n. 17476 del 2017), vigendo in ambito tributario il principio della tassabilità dei proventi illeciti “derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo”, a norma dell’art.14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n.537 (id., in motivazione).

Il terzo motivo è infondato, perché, con riguardo alla determinazione del quantum del “prezzo” del trasferimento, il giudice d’appello dà conto delle ragioni che ne costituiscono il fondamento, tra le quali è la dichiarazione del cessionario G., il quale “riferisce ed ammette di aver corrisposto la somma complessiva di euro 110.000,00”. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in euro 3.800 per compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.

 

 

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