CASSAZIONE

L’ex amministratore della S.r.l. non risponde dei debiti fiscali della società estinta

Tributi – IRPEF e IVA- IRES – Accertamento – Notifica alla società e all’amministratore di fatto e ai suoi amministratori – Art. 7 del d.l. n. 269/2003 (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003) – Sanzioni tributarie – Insussistenza – Art. 36 D.P.R. 602/73

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25530 del 21 settembre 2021, intervenendo in particolare sul tema della solidarietà tributaria, che vedeva coinvolto l’amministratore di fatto di una società estinta, ha dichiarato che l’art. 7 del D.L. 269/2003 prevede la responsabilità per le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle società esclusivamente a carico della società stessa. Pertanto, nessuna sanzione di carattere tributario può essere mossa verso l’amministratore di fatto della persona giuridica. E’ del resto noto che la vita di una società non termina sempre al momento della cancellazione dal Registro delle imprese, ma è anche ugualmente palese che deve essere sempre tenuta in considerazione la responsabilità patrimoniale dei soci della società cancellata per il pagamento delle imposte.

Nei fatti gli amministratori o liquidatori, infatti, possono essere portatori di profili di responsabilità parziaria o solidale e per i debiti tributari e per le possibili sanzioni amministrative pecuniarie. L’emergere di queste sopravvenienze tributarie (e degli oneri accessori) comporta non poche complessità.

Ebbene, per meglio comprendere la questione in esame, sarà fondamentale procedere, da un lato, all’analisi delle modifiche normative che si sono susseguite nel tempo e, dall’altro, agli interventi giurisprudenziali attraverso i quali sono stati forniti i chiarimenti interpretativi necessari ai fini di una corretta applicazione normativa. Di fatto, l’estinzione delle società (tanto di capitali, quanto di persone) comporta sempre inevitabili e notevoli problemi, in virtù dei quali sarà fondamentale capire entro quale lasso di tempo e in che modo l’Amministrazione finanziaria potrà agire per poter vedere soddisfatti i propri crediti.

Ciò posto, occorre rilevare che le pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite in seguito alla riforma normativa del 2003 non sempre hanno espresso un giudizio uniforme.

La Suprema Corte di Cassazione a Sezione Unite è dovuta infatti intervenire, nel 2010, con un trittico di sentenze gemelle, nn. 4060, 4061 e 4062, al fine di meglio individuare la giusta interpretazione da attribuire all’art. 2495 c.c. Nello specifico proprio l’articolo 2495, nell’ambito della normativa sullo scioglimento e liquidazione delle società di capitali che interessa, in quanto ne disciplina la cancellazione, al comma 2 prevede un fenomeno successorio di “migrazione” delle obbligazioni sociali dal soggetto estinto ai soci e, insieme una limitazione di responsabilità dei soci stessi.

Gli Ermellini, al fine di comporre l’annoso contrasto interpretativo, hanno, dunque operato una ricostruzione precisa e dettagliata dell’excursus interpretativo formatosi negli anni, chiarendo specificamente che “…in seguito alla cancellazione dal Registro Imprese, la società deve intendersi estinta anche in presenza di crediti rimasti insoddisfatti e di rapporti giuridici non ancora definiti. Di fatto, con la cancellazione, l’ente da soggetto esistente, diviene totalmente inesistente ed è, pertanto, privo di legittimazione sostanziale e processuale; b) gli atti impositivi notificati alla società estinta devono considerarsi inesistenti e privi di ogni effetto giuridico; la cancellazione/estinzione della società ha, infatti, come effetto il venir meno della legittimazione attiva e passiva della stessa, nonché la preclusione per l’ufficio di emanare o notificare atti impositivi, o anche solo istruttori (inviti a comparire, pvc, etc.), nei confronti di soggetto estinto”. (Cass. SS.UU. n. 4060/2010).

In sostanza, stante l’orientamento giurisprudenziale, gli atti impositivi dovranno essere notificati ai soggetti fiscalmente responsabili (soci o liquidatori, solo se ne sussistono i presupposti) e non più alla società.

In seguito, nonostante il tema della cancellazione della società dal Rdi e quello degli effetti che ne derivano abbiano trovato un’importante e decisiva definizione, i Giudici di legittimità, con la sentenza n. 7676/2012 sono nuovamente ritornati sulla questione al fine di meglio chiarire cosa accade nelle ipotesi in cui si determini l’estinzione di una società facente parte di un giudizio tributario.

Ebbene, secondo la Suprema Corte in queste ipotesi, a subentrare nella posizione processuale della società cancellata è il socio cha abbia riscosso la quota ad esso spettante sulla base del bilancio finale di liquidazione (in senso contrario, la Cassazione si era espressa con sentenza 16758/2010). Di fatto, con tale pronunzia la Cassazione ha voluto chiarire che nelle ipotesi in cui sussista un giudizio che vede coinvolta una società estinta, il procedimento potrà comunque proseguire nei confronti dei soci che risponderanno se, e nella misura in cui, abbiano riscosso la quota loro spettante a seguito dell’approvazione del bilancio finale di liquidazione, in ciò confortata dalla giurisprudenza tributaria che aveva affermato che il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal Registro delle imprese, succede a questa nel processo a norma dell’art. 110, c.p.c. (che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte) solo, però, laddove abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto dispone l’art. 2495, comma 2, c.c.

In più, con le sentenze nn. 6070/6071/6072 del 2013 le Sezioni Unite della Corte, tornando a pronunciarsi sulla sorte dei rapporti sostanziali e processuali pendenti al momento della cancellazione di una società dal Registro delle imprese, dopo la riforma del diritto societario attuata dal D.lgs. n. 6/2003, qualora all’estinzione della società di persone o di capitali conseguente alla cancellazione dal Registro delle imprese non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale si ha:  1) il trasferimento delle obbligazioni ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso in conseguenza della liquidazione o senza limiti a seconda anche, in pendenza dell’esistenza della società, essi avessero responsabilità limitata o illimitata per i debiti;  2) il trasferimento ai soci, in regime di contitolarità e di comunione indivisadei diritti e dei beni non facenti parte del bilancio di liquidazione della società estinta, ma non pure delle mere pretese anche se azionate o azionabili in giudizio e neppure dei diritti di credito che non siano ancora certi o liquidi e la cui comprensione nel citato bilancio avrebbe richiesto una ulteriore attività (giudiziale ed extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore induce a ritenere che vi sia stata rinuncia da parte della società. Di fatto, secondo il Collegio, all’atto i soci saranno chiamati a rispondere delle obbligazioni nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione oppure illimitatamente, a seconda che la società cancellata fosse o meno una società di capitali. 

Con l’emanazione del D.lgs. 175/2014, il decreto semplificazioni fiscali, specificatamente all’art. 28, comma 5,  non si è solo limitato a disciplinare gli effetti fiscali e contributivi dell’estinzione delle società, ma è anche intervenuto modificando l’art. 36 del DPR 602/1973 (disciplinante la responsabilità fiscale dei liquidatori, dei soci e degli amministratori), in senso peraltro favorevole all’Amministrazione finanziaria: in buona sostanza, è stato sancito che quando i liquidatori non dovessero dimostrare di aver assolto tutti gli oneri tributari (a nulla rilevando l’intervenuta estinzione della società), essi stessi saranno tenuti a rispondere in proprio del versamento dei tributi dovuti dalla società estinta, nei limiti dei crediti erariali che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.

La modifica introdotta dal decreto semplificazioni all’art. 36 del DPR 602/1973, con riferimento alla responsabilità dei liquidatori per il pagamento delle imposte dovute dalla società liquidata, ha acceso dibattiti alla luce delle conseguenze che avrebbe sulla velocità e sui rischi con cui le procedure liquidatorie possono essere condotte a termine. Va però chiarito che anche nel caso de quo la novellata normativa non ha riguardato tanto la responsabilità personale e patrimoniale dei liquidatori, bensì l’inversione dell’onere della prova. Infatti, mentre prima era l’ufficio fiscale a dover provare che i liquidatori non avessero adempiuto all’obbligo del soddisfacimento privilegiato dei crediti tributari, ora spetterà ai liquidatori fornire tale prova dimostrando, appunto, di aver gestito la fase di liquidazione secondo legge e di non aver né assegnato beni ai soci, né soddisfatto crediti di rango inferiore rispetto a quelli tributari prima di aver onorato questi ultimi.

In seguito all’entrata in vigore del decreto semplificazioni e alle note conseguenze ad esso connesse, al fine di meglio inquadrare la questione è intervenuta la Suprema Corte con la sentenza n. 6743/2015, che ripercorrendo il percorso interpretativo compiuto dalle Sezione Unite nel 2010 e 2013 ha consentito  di chiarire definitivamente che la cancellazione della società origina un fenomeno successorio in virtù del quale  l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda della responsabilità limitata o illimitata per i debiti sociali.

Tale orientamento, poi risultato quasi dominante in giurisprudenza, si è dunque posto nel senso di ritenere che nel fatto stesso della cancellazione della società dal Registro delle imprese sia ravvisabile automaticamente una remissione del debito (v. Cass. n. 23269/2016; Cass. n. 25974/2015; Cass. n. 15782/2016; Cass. n. 19302/2018 e Cass. n. 16511 /2019).

Un diverso indirizzo si è al contrario mosso nella direzione di dare invece rilevanza a ogni fattispecie concreta, stabilendo, in un caso, che dall’avvenuta cancellazione può al massimo desumersi una presunzione semplice di rinuncia al credito suscettibile di prova contraria (Cass. n. 18250/ 2014), in un altro, che la prosecuzione del giudizio da parte del liquidatore costituisce un elemento incoerente con l’avvenuta rinuncia al credito (Cass. n. 21517/2016) e, in un altro ancora, che la differenza circa la possibilità o meno di ravvisare nella cancellazione dal Registro delle imprese una volontà implicita di dar vita a una vicenda di remissione del debito dipende dalla conoscenza o meno del credito ancora pendente al momento dell’estinzione della società (Cass. n. 24788/2018).

Torniamo al caso di specie, che riguarda anche la liquidazione di soggetti IRES dove è prevista, in ambito fiscale, una peculiare forma di responsabilità dettata dal cennato art. 36 del DPR 602/1973. In base a questa norma è stato introdotto un privilegio indiretto in capo all’Erario, posto che il liquidatore è responsabile se soddisfa i creditori che, nell’ordine stabilito dal codice civile, non dovevano essere preferiti all’Erario, nella misura in cui non vengano pagate le imposte.

La responsabilità in oggetto, quindi, trova la sua fonte nella legge e, per consolidata giurisprudenza, è invocabile qualora i ruoli in cui sono stati iscritti i tributi dovuti dalla società possano essere posti in riscossione, e sia acquisita la legale certezza che i medesimi non sono stati soddisfatti con le attività della liquidazione (v. Cass. n. 12546/2001 e Cass. n. 7327/2012).

Al riguardo vogliamo citare anche la sentenza n. 8334/2016, nella quale viene messo in evidenza che “… Denuncia la ricorrente la violazione dell’art. 36 comma 1 DPR 602/73. L’art. 36 prevede una responsabilità sussidiaria solo nei casi in cui le imposte siano iscritte a ruolo, ed il liquidatore abbia comunque esaurito le disponibilità senza pagare i debiti tributari. E’ regola che: “In tema di riscossione delle imposte sui redditi, la responsabilità del liquidatore, prevista dall’art. 36 del DPR. 29 settembre 1973, n. 602, ha una funzione sussidiaria, in quanto è esercitabile a condizione che i tributi a carico della 7 società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima. Incombe, pertanto, al liquidatore, per contestare la pretesa fiscale, l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti del debito (quali la mancanza di attività nel patrimonio sociale) ovvero l’incertezza del debito stesso, mentre l’Amministrazione, in costanza di giudizi proposti dalla società in liquidazione avverso gli accertamenti, deve comunque provare di avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali può pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore, alle condizioni previste dall’art. 15 del citato decreto” (cfr. Cass. 23.4.2008, n. 10508)”.

Va peraltro osservato che, stante la responsabilità per fatto proprio del liquidatore, questa non può configurarsi né come responsabilità solidale, né come conseguenza di successione in caso di estinzione della società per cancellazione della stessa dal Registro delle imprese, ex art. 2495, comma 2, c.c., ne può esservi responsabilità solidale perché questa non trova origine nel presupposto d’imposta, da cui deriva il debito tributario della società, come anche osservato in dottrina.

In altre parole, la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell’integrazione delle distinte fattispecie previste dall’art. 36 del DPR 602/1973, per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati, è responsabilità per obbligazione propria ex lege (per gli organi, in base agli articoli 1176 e 1218 del codice civile, e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal Registro delle imprese.

Tanto premesso e tornando ai fatti in esame, il contenzioso ha origine dall’impugnazione da parte di un contribuente di alcuni atti tributari emessi a carico della società che era stata destinataria di distinti avvisi di accertamento per l’anno 2010 ai fini IRES, IRAP e IVA, che erano stati notificati al presupposto amministratore di fatto.

Ricorrendo ai giudici tributari di primo grado l’amministratore riceveva parere favorevole, che però veniva respinto in sede tributaria regionale. Da qui il ricorso in Cassazione, nel quale la parte contribuente insiste sulla fondatezza del quarto motivo del ricorso relativo alla mancata imputabilità delle imposte della società a persona fisica: in buona sostanza, costui aveva impugnato gli atti deducendo la propria carenza di legittimazione passiva, nonché il difetto di prova e motivazione in merito alla sussistenza della sua responsabilità. La Suprema Corte ha condiviso questa tesi difensiva proposta dalla parte contribuente, affermando, per maggiore chiarezza, che “…Il terzo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. Ed invero non può configurarsi una responsabilità diretta del C. in relazione al pagamento delle imposte evase dalle società Progedil srl, dovendo escludersi una responsabilità solidale dell’amministratore e liquidatore nell’obbligazione tributaria di una società di capitali. L’autonomia patrimoniale perfetta che caratterizza le società di capitali implica infatti l’esclusiva imputabilità alla società dell’attività svolta in suo nome e dei relativi debiti e tale principio non conosce alcuna deroga con riferimento alle obbligazioni di carattere tributario della società. La particolare ipotesi di responsabilità posta dall’art. 36 Dpr 602/73 a carico di liquidatori, amministratori e soci di società in liquidazione, è infatti una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege, ed ha natura civilistica e non tributaria, in quanto trova il suo fondamento in un credito civilistico fondato sulla violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., non ponendo detta norma alcuna coobbligazione di debiti tributari a carico di tali soggetti (Cass. Ss. Uu. nn. 2079/1989 e 2767/1989, Cass. n. 9688/95, n. 12546/2001, n.10508/2008, n. 7327/2012 e n. 179/2014). Va quindi esclusa una responsabilità diretta dell’ex amministratore per le obbligazioni tributarie della società. Nel caso di specie, non viene eccepita dall’Agenzia tale peculiare ipotesi di responsabilità dell’amministratore, né viene allegata la sussistenza dei relativi elementi costituivi. Questa Corte (v. dal ultimo n. 15378/2020) ha statuito che la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell’integrazione delle distinte fattispecie previste dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati, è responsabilità per obbligazione propria ex lege (per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 cod. civ., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal Registro delle Imprese (cfr. Cass.n. 7327/2012; conf. Cass. nn. 29969/2019, 17020/2019); Con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati a carico della società, è riconosciuta, infatti, all’amministrazione finanziaria dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 (applicabile ratione temporis alle sole imposte sui redditi di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 19) azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, nel caso in cui egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento, con azione esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr. SU 2820/1985; conf. Cass. nn. 2768/1989, 9688/1995, 8685/2002), e tale azione è parimenti esercitabile, ai sensi dell’art. 36, 4 0 co., DPR n. 602/1973, nei confronti degli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta, precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili; quello verso il liquidatore e l’amministratore è, in conclusione, credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (S.U. 2767/1989), ancorché detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario ex art. 36 cit., penult. e ult. c.c. (cfr. Cass. nn. 7327/2012, 11968/2012);  essa è, sempre, riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 c.c. (Cass. 12546/2001), con onere per l’Amministrazione di provare d’avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore (Cass. 10508/2008);  con riguardo al caso in esame manca quell’atto motivato che accerti la responsabilità dell’amministratore in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute, ed ogni eventuale integrazione avvenuta sul punto solo in corso di causa trascura che nel giudizio tributario, l’oggetto del dibattito processuale è delimitato da un lato dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato, e dall’altro dagli specifici e correlati motivi d’impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo (cfr. Cass. n. 10779/2007). In conclusione vanno accolti terzo e quarto motivo del ricorso, rigettati il primo e secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla CTR della Lombardia anche per le spese”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 21 settembre 2021, n. 25530

sul ricorso 33416-2019 proposto da: C. G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio dell’avvocato FAUSTO CIAPPARONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro AGENZIA DELLE ENTRATE 06363991001, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente-

avverso la sentenza n. 3227/13/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata l’ 11/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ENZA LA TORRE.

Ritenuto che

G. C. ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Lombardia, che in relazione ad avvisi di accertamento per Iva e Irap anno 2010, emessi a seguito di verifica della GG.FF. nei confronti della società P. srl in liquidazione, nell’ambito di un processo penale, ha accolto l’appello dell’Ufficio, in riforma della sentenza di primo grado.

Il contenzioso ha origine dall’impugnazione da parte del C. degli indicati atti tributari emessi a carico di P. srl, per Ires, Irap Iva e sanzioni – notificati alla società e ai suoi amministratori nonché al C. nella sua qualità di amministratore di fatto e responsabile solidale della P. srl. – con i quali erano stati recuperati a tassazione maggiori proventi relativi a costi ritenuti fittizi, iscritti in contabilità, con indebita detrazione degli acquisti. Il C. contestava la qualità di amministratore di fatto, avendo prestato per la società P. srl solo consulenza fiscale contabile e societaria; deduceva pertanto l’inefficacia dell’atto notificato a soggetto del tutto estraneo e carente di legittimazione passiva, oltre al difetto di motivazione dell’atto impugnato; mancanza di prova; illegittimità della sanzione.

La CTP accoglieva il ricorso del contribuente, ritenendo non raggiunta con certezza la prova in ordine alla qualifica del C. come amministratore di fatto, assolto nei processi penali a suo carico quale organizzatore di una consistente frode fiscale e contributiva; quanto alle sanzioni, riteneva unica responsabile la società P. srl.

La CTR ha accolto l’appello dell’Ufficio, non avendo il giudice di primo grado valutato adeguatamente il materiale documentale e probatorio allegato dall’Ufficio per dimostrare il ruolo di amministratore svolto dal C.; ha ridimensionato la rilevanza dell’assoluzione in sede penale, stante l’autonomia del processo tributario, nonché la neutralità delle sentenze di merito, alcune delle quali favorevoli al C.

Nel merito ha riformato la sentenza della CTP, ritenendo che avesse contraddittoriamente motivato quanto al mancato raggiungimento della prova della qualità di amministratore di fatto del C.; in base a plurimi elementi probatori, ha invece ritenuto acclarata la tale ruolo, in relazione all’attività svolta, caratterizzata da poteri di gestione significativi.

Conclude sul punto che “C. opera con apporto concreto, senza il quale il meccanismo fraudolento non avrebbe potuto perfezionarsi e senza mai risultare in prima persona, ricorrendo alla creazione di società, strumentalmente costituite allo scopo della commissione delle violazioni fiscali descritte nel pvc di Manerbio”.

Ne segue che è riferibile al C. come amministratore di fatto una pluralità di atti di gestione e che risulta l’anello di congiunzione e il destinatario dei benefici connessi alle operazioni svolte, in ipotesi di società di capitali costituita allo scopo di porre in essere operazioni fraudolente.

L’Agenzia si costituisce con controricorso.

Il ricorrente e deposita successiva memoria, insistendo sulla fondatezza del quarto motivo del ricorso, per la mancata imputabilità delle imposte della società a persona fisica.

Considerato che

1. Col primo motivo si deduce motivazione inesistente e contraddittoria sulle ragioni che hanno portato la CTR a ritenere il C. responsabile per le sanzioni contestate alla società di capitali (P. srl), ex art. 360 n. 4 c.p.c., in violazione dell’art. 32, comma 2 n. 4 del dl.gs. 546/92 e art. 132 c.p.c comma 2 n. 4 e disp. att. C.p.c.

 2. Col secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione a falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia poiché, dopo avere definito il C. come amministratore di fatto, ha poi omesso di pronunciarsi sull’estensione della responsabilità delle sanzioni dovute dalla società.

3. I motivi, suscettibili di trattazione unitaria, sono infondati, emergendo dalla lettura della motivazione della sentenza nel suo complesso che il C., al quale viene riconosciuto il ruolo di amministratore di fatto, è stato ritenuto responsabile per le imposte della società; quanto alle sanzioni, la CTR, enunciando correttamente il principio in base al quale sussiste la responsabilità dell’amministratore di fatto laddove la creazione della società costituisce una mera fictio nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, ha in tal modo giustificato l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio e la conferma degli atti impugnati, con ciò includendo anche l’accertamento sulle sanzioni.

3.1.Questa Corte ha infatti escluso la configurabilità dell’omessa pronuncia quando, nonostante la mancanza di una specifica, espressa statuizione su una tesi difensiva o un’eccezione, la decisione adottata dal giudice risulti in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte e ne abbia comportato il suo rigetto o assorbimento, ovvero, come nel caso di specie, il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico-giuridica con la quale venga accolta una tesi incompatibile con la relativa eccezione (Cass. 15882/2007, Cass. n.12007 del 2015).

3.2. Peraltro la decisione, nella parte in cui ha riconosciuto la imputabilità delle sanzioni all’amministratore di fatto, è conforme alla giurisprudenza secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv., con modif., in I. n. 326 del 2003), che in linea di principio sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non opera nell’ipotesi di società artificiosamente costituita, poiché in tal caso la persona giuridica è una mera “fictio” creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, sicché non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass. n. 10975/2019).

3.3. In ogni caso nella fattispecie, non vengono in rilievo i presupposti fattuali sulla base dei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto in alcuni casi che, nonostante il dettato dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, trovi applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio, e sia quindi sanzionabile la persona fisica autrice della violazione che non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale (Cass. 09/05/2019, n. 12334, e giurisprudenza ivi citata in motivazione, ex plurimis), trattandosi di società costituita artificiosamente per fini illeciti, poiché in tal caso la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica, esclusiva beneficiaria delle violazioni, sicché non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (Cass. n. 9448/2020, n. 10975/2019; cfr. altresì, in motivazione, Cass. 08/03/2017, n. 5924 e Cass. 28/08/2013, n. 19716). 4. Col terzo motivo si deduce violazione dell’art. 36 d.lgs. 546/92 e art.132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. per motivazione inesistente o contraddittoria, ex art. 360 n. 4 c.p.c., sulle ragioni che hanno indotto la CTR a ritenere il C. responsabile per le imposte imputabili alla società.

5. Nel quarto motivo si censura l’estensione della responsabilità del C. per violazione di legge, art. 73 TUIR e art. 3 d.lgs. 446/1997 e art. 1 e 17 dpr 633/72 e art. 36 dpr 602/73 e 2642 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., mancando i presupposti per richiedere al ricorrente le imposte imputabili alla società (P. srl)

6. Il terzo e il quarto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.

6.1.Ed invero non può configurarsi una responsabilità diretta del C. in relazione al pagamento delle imposte evase dalle società Progedil srl, dovendo escludersi una responsabilità solidale dell’amministratore e liquidatore nell’obbligazione tributaria di una società di capitali. L’autonomia patrimoniale perfetta che caratterizza le società di capitali implica infatti l’esclusiva imputabilità alla società dell’attività svolta in suo nome e dei relativi debiti e tale principio non conosce alcuna deroga con riferimento alle obbligazioni di carattere tributario della società.

6.2.La particolare ipotesi di responsabilità posta dall’art. 36 Dpr 602/73 a carico di liquidatori, amministratori e soci di società in liquidazione, è infatti una particolare ipotesi di responsabilità per obbligazione propria ex lege, ed ha natura civilistica e non tributaria, in quanto trova il suo fondamento in un credito civilistico fondato sulla violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., non ponendo detta norma alcuna coobbligazione di debiti tributari a carico di tali soggetti (Cass. Ss. Uu. nn. 2079/1989 e 2767/1989, Cass. n. 9688/95, n. 12546/2001, n.10508/2008, n. 7327/2012 e n. 179/2014).

6.3.Va quindi esclusa una responsabilità diretta dell’ex amministratore per le obbligazioni tributarie della società. Nel caso di specie, non viene eccepita dall’Agenzia tale peculiare ipotesi di responsabilità dell’amministratore, né viene allegata la sussistenza dei relativi elementi costituivi.

6.4.Questa Corte (v. dal ultimo n. 15378/2020) ha statuito che la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, in presenza dell’integrazione delle distinte fattispecie previste dall’art. 36 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per l’ipotesi di mancato pagamento delle imposte sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati, è responsabilità per obbligazione propria ex lege (per gli organi, in base agli artt. 1176 e 1218 cod. civ., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal Registro delle Imprese (cfr. Cass.n. 7327/2012; conf. Cass. nn. 29969/2019, 17020/2019);

6.5.Con riguardo ai crediti per imposta sul reddito delle persone giuridiche i cui presupposti si siano verificati a carico della società, è riconosciuta, infatti, all’amministrazione finanziaria dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 36 (applicabile ratione temporis alle sole imposte sui redditi di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, ex art. 19) azione di responsabilità nei confronti del liquidatore, nel caso in cui egli abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al loro pagamento, con azione esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr. SU 2820/1985; conf. Cass. nn. 2768/1989, 9688/1995, 8685/2002), e tale azione è parimenti esercitabile, ai sensi dell’art. 36, 4 0 co., DPR n. 602/1973, nei confronti degli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta, precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.

6.6. Quello verso il liquidatore e l’amministratore è, in conclusione, credito dell’amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (S.U. 2767/1989), ancorché detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario ex art. 36 cit., penult. e ult. c.c. (cfr. Cass. nn. 7327/2012, 11968/2012).

6.7. Essa è, sempre, riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 c.c. (Cass. 12546/2001), con onere per l’Amministrazione di provare d’avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore (Cass. 10508/2008).

6.8. Con riguardo al caso in esame manca quell’atto motivato che accerti la responsabilità dell’amministratore in relazione agli elementi obiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società e della distrazione di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute, ed ogni eventuale integrazione avvenuta sul punto solo in corso di causa trascura che nel giudizio tributario, l’oggetto del dibattito processuale è delimitato da un lato dalle ragioni di fatto e di diritto esposte dall’Ufficio nell’atto impositivo impugnato, e dall’altro dagli specifici e correlati motivi d’impugnazione dedotti dal contribuente nel ricorso introduttivo (cfr. Cass. n. 10779/2007).

7. In conclusione vanno accolti terzo e quarto motivo del ricorso, rigettati il primo e secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla CTR della Lombardia anche per le spese.

P.Q.M.

Accoglie il terzo e il quarto motivo del ricorso; rigetta il primo e secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR della Lombardia, anche per le spese del presente giudizio. Roma, 27 aprile 2021.

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