CASSAZIONE

L’elemento oggettivo del reato di induzione indebita e concussione

Tributi – Professionista -Verifica fiscale – Induzione indebita e concussione – Artt. 317 e 319- quater cod. pen. – Frasi intimidatorie – Contesto ambientale – Elemento oggettivo del reato – Prescrizione– Annullamento

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11138  del 15 marzo 2023 è intervenuta per chiarire la distinzione tra concussione e induzione indebita – artt. 317 e 319-quater c.p. –  pronunciandosi sul ricorso proposto da un contribuente professionista reo di aver accettato la richiesta di un militare della Guardia di Finanza di rivedersi dopo la verifica fiscale per un “obolo a piacere”, affermando  la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione. In buona sostanza gli Ermellini hanno validato che la distinzione tra i due delitti è da ricercarsi nella condotta tenuta dall’agente pubblico: la fattispecie di cui all’art. 317, infatti, prevede una condotta di “costrizione”, mentre l’art. 319-quater è costruito intorno a un comportamento induttivo.

Quindi concussione e induzione indebita sono reati propri, configurabili esclusivamente da coloro che rivestano una certa posizione soggettiva. Ambedue le fattispecie sono punite a titolo di dolo generico e contemplano, quale elemento costitutivo, l’abuso di poteri e qualità da parte del pubblico ufficiale: tale requisito si risolve nella strumentalizzazione della qualifica pubblicistica, adoperata dal funzionario amministrativo al fine di porsi in posizione di supremazia rispetto al privato cittadino. Identico è, da ultimo, l’evento tipico delle due fattispecie, che possono perfezionarsi alternativamente mediante l’indebita dazione o la promessa di utilità.

Le principali differenze si ravvisano, invece, nella condotta tipica e nella posizione del privato. Nella concussione il cittadino è considerato vittima del reato; nell’induzione indebita è concorrente necessario ed è pertanto soggetto a pena, sebbene in misura minore rispetto al pubblico ufficiale.

L’argomento in trattazione merita qualche ulteriore commento.

Citiamo inizialmente la sentenza n. 28952/2020, resa dalla VI Sezione penale della Corte di Cassazione, che pronunciatasi su un caso di concussione commessa dal professionista operante in una clinica convenzionata, traccia gli elementi di differenziazione tra le similari fattispecie di concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità. In particolare la Suprema Corte, con la sentenza in commento enuncia il principio di diritto secondo cui elemento costitutivo del delitto di concussione è l’abuso costrittivo, esercitato mediante violenza o minaccia, tale da porre il soggetto passivo in una posizione di sostanziale mancanza di alternativa per cui, per evitare di subire un danno ingiusto, la vittima si piega alla dazione o promessa dell’indebito.

Diversamente, la fattispecie di induzione indebita a dare o promettere utilità, si configura in caso di abuso prevaricatore del soggetto agente tale non da costringere, bensì da condizionare l’extraneus – con pressioni psichiche di vario genere, ma diverse dalla violenza e minaccia – alla dazione o promessa di utilità per il conseguimento di un vantaggio indebito per l’extraneus stesso.

Parimenti può sembrare utile accennare brevemente alla giurisprudenza di riferimento, accennando in primis alla sentenza n.13411/2019, nella quale si evidenzia che integra il delitto di concussione e non quello di induzione indebita la condotta del professionista pubblico che prospetti al proprio paziente quale unica alternativa l’illecita esecuzione degli aborti presso il suo studio privato, previo versamento di un corrispettivo in danaro. La condotta, dunque, deve consistere in una induzione a dare o promettere denaro o altra utilità in considerazione che per molto tempo è prevalsa in dottrina l’idea che l’induzione consistesse in un comportamento avente come scopo quello di determinare la vittima a una condotta determinata per effetto di inganno, nelle forme dell’artifizio o raggiro, della menzogna, del silenzio così come del consiglio o esortazione.

Per quanto attiene all’elemento oggettivo del reato in commento, occorre innanzitutto che il fatto sia commesso con abuso dei poteri e delle qualità. Altro elemento costitutivo della fattispecie è rappresentato dalla dazione o promessa indebita di denaro o di altra utilità, che ricomprende qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente. La induzione, richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall’art. 319-quater c.p., così come introdotto dall’art. 1, comma 75, della legge 190/2012, non è diversa, sotto il profilo strutturale, da quella che già integrava una delle due possibili condotte del previgente delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p. e consiste, quindi, nella condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, abusando delle funzioni o della qualità, attraverso le forme più varie di attività persuasiva, di suggestione, anche tacita, o di atti ingannatori, determini taluno, consapevole dell’indebita pretesa, a dare o promettere, a lui o a terzi, denaro o altra utilità (Cass. pen., n. 28412/2013).

Si tratta di un qualsiasi comportamento, non tassativamente determinato dalla legge, avente per effetto quello di determinare nel soggetto passivo una sorta di soggezione psicologica che lo determini a dare o promettere per evitare un male. Come affermato anche dalla giurisprudenza più recente: “Il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità è configurabile anche in presenza di una condotta ingannevole del soggetto investito di qualifica pubblicistica nei confronti del privato, quando essa sia finalizzata alla falsa rappresentazione non della doverosità della promessa o della dazione (nella quale ipotesi potrebbe configurarsi il reato di truffa), ma a quella dell’esistenza di una situazione costituente il presupposto perché il privato possa convincersi della convenienza per lui di addivenire a detta promessa o dazione” (Cass. pen., n. 53436/2016).

In altre parole, la condotta di induzione è integrata da un’attività di suggestione, di persuasione o di pressione morale, posta in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nei confronti del privato che, avvertibile come illecita da quest’ultimo, non ne condiziona gravemente la libertà di autodeterminazione, rendendo a lui possibile di non accedere alla richiesta di denaro o di altra utilità. Sussiste quindi una continuità normativa fra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p. e il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319-quater c.p., introdotto dalla legge 190/2012. (Cass. pen., SS.UU., 24 ottobre 2013, n. 12228).

Sulla questione prospettata si sono pronunciate, nel 2014, le Sezione Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12228/2014, mettendo in evidenza che  il delitto di concussione, di cui all’art. 317 c.p. nel testo modificato dalla legge 190/2012 è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita: si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater c.p. introdotto dalla medesima legge n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico, equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta.

La Corte, in particolare, prende le mosse ricordando come la legge 190/2012 abbia sostituito l’art. 317 c.p., con la previsione di una “diversa” fattispecie di concussione e abbia introdotto l’art. 319-quater c.p., riguardante l’innovativa figura criminosa della “induzione indebita a dare o promettere utilità”, sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e quella dell’accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall’art. 318 c.p. o dall’art. 319 c.p. 

Il Legislatore nazionale ha cioè proceduto al cosiddetto spacchettamento dell’originaria ipotesi delittuosa della concussione che, nel testo previgente dell’art. 317 c.p. parificava le condotte di costrizione e di induzione, creando due nuove fattispecie di reato. La prima, che resta disciplinata dall’art. 317 c.p., prevede la punizione del “pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità”. La seconda fattispecie di reato, scorporata dal previgente art. 317 c.p. e ora regolata dall’art. 319-quater c.p., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, è configurabile, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, laddove “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità”.

Ciò posto sul piano definitorio, dottrina e giurisprudenza hanno cercato, nel corso degli anni, di individuare i criteri alla cui stregua operare in concreto la distinzione tra costrizione e induzione. Sul punto si sono succeduti due principali orientamenti ermeneutici.

Secondo una prima impostazione, la differenza tra le due condotte sarebbe di tipo quantitativo: concussione e induzione divergerebbero in virtù esclusivamente della maggiore o minore intensità di pressione psicologica operata. La più grave fattispecie di cui all’art. 317 si configurerebbe a fronte di un atteggiamento intimidatorio esplicito del pubblico ufficiale; all’opposto, ricadrebbero entro il perimetro applicativo dell’art. 319-quater minacce solo velate, veicolate attraverso riferimenti impliciti.

Tale criterio, adoperato dalla giurisprudenza prevalente in epoca antecedente al 2012 (quando la classificazione in parola assumeva rilievo al limitato fine di dosare in concreto il trattamento sanzionatorio applicabile al pubblico ufficiale), è stato tuttavia ritenuto di per sé inidoneo a giustificare la punibilità del privato ex art. 319 c.p.

Un secondo indirizzo ermeneutico ha posto in evidenza la necessità di ricorrere a un indice di tipo qualitativo che avesse riguardo ai diversi strumenti adoperati dall’intraneus al fine di coartare la libertà di autodeterminazione del cittadino. In ipotesi di concussione, la condotta tipica si sostanzia nella costrizione. Il pubblico ufficiale agisce il più delle volte mediante minaccia: l’adesione all’indebita proposta è dettata, quindi, dalla necessità di evitare il pregiudizio paventato contra legem. All’opposto, nella fattispecie di induzione ex art. 319 c.p., il privato è destinatario di un’attività di persuasione: egli si determina alla dazione o promessa in quanto motivato dalla possibilità di conseguire un vantaggio ingiusto.

Tornando al caso oggi in esame, gli Ermellini confermano che nessuna prospettiva di tornaconto personale poteva esservi in favore del contribuente e che nessuna particolare anomalia o criticità da “risolvere” gli era stata indicata poiché, come confermato, la condotta induttiva prevista dalla fattispecie incriminatrice in questione si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. La previsione di cui all’art. 317 c.p., tuttavia, tutela altresì la libertà di autodeterminazione del singolo.

I giudici di legittimità, evidenziando come il discrimine tra costrizione e induzione vada individuato sul piano qualitativo e che ciò che rileva è l’utilizzo della minaccia piuttosto che della mera suggestione, hanno accolto la tesi con la quale la difesa ha smontato l’intero impianto accusatorio, spiegando che il reato di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge 190/2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen., la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Insomma, i giudici di merito avrebbero dovuto approfondire le diverse implicazioni sottese alle specifiche emergenze probatorie, delle quali hanno pur dato conto nella motivazione, là dove hanno mostrato di ritenerle, per certi aspetti, sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, anche indiretta, nei confronti dell’imputato, con il rischio di non lasciargli alcuna possibilità di opzione in vista di una diversa alternativa comportamentale.

Tanto premesso e tornando alla vicenda processuale, un rappresentante legale di una società contribuente era stato indebitamente indotto, durante una verifica fiscale compiuta dai militari della GdF, a corrispondere loro la somma in contanti di 1.000 euro; la Corte di appello confermava la precedente sentenza di condanna dell’imputato alla pena di mesi sei per il reato di cui all’art. 319-quater cod. pen.

La parte contribuente adiva allora in Cassazione fornendo due motivi di ricorso nei quali essenzialmente lamentava che i giudici avevano erroneamente esclusa la natura intimidatoria delle frasi rivolte dal pubblico ufficiale al privato e che non era stato valutato l’esito favorevole di un ricorso proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che ulteriormente dimostrava l’assenza di alcuna effettiva utilità nell’adesione alla richiesta del pubblico ufficiale. La Suprema Corte ha ritenuto meritevole di attenzione la tesi difensiva del contribuente prospettando che: “ … La sentenza impugnata ha escluso che nel caso in esame sia emersa una patente condotta di coartazione del privato, riconoscendo, al contempo, che nei suoi confronti è stata posta in essere una “evidente azione di manipolazione”, per il fatto di essersi il pubblico ufficiale limitato ad esprimere una blanda allusione alla necessità di rivedersi dopo la verifica ispettiva in corso, con la successiva richiesta di elargire in suo favore un “obolo” di indeterminato valore, in presenza di un interesse del privato ad accogliere tale sollecitazione pur di evitare i disagi connessi al protrarsi dell’accertamento fiscale in corso presso la società da lui amministrata. 3. Deve preliminarmente richiamarsi, al riguardo, il pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470; Sez. 6, n. 32594 del 14/05/2015, Nigro, Rv. 264424; Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277), secondo cui il delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen.,, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. Con la richiamata decisione la Corte ha inoltre precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta. 4. Di tale quadro di principi la sentenza impugnata non ha fatto buon governo, non avendo adeguatamente approfondito, in relazione all’applicazione del su indicato criterio discretivo, le diverse implicazioni sottese alle specifiche emergenze probatorie delle quali ha pur dato conto nella motivazione, là dove ha mostrato di ritenerle, per certi aspetti, sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, anche indiretta, nei confronti dell’imputato, con il rischio di non lasciargli alcuna possibilità di opzione in vista di una diversa alternativa comportamentale. Rilevano, al riguardo, non solo il tenore delle frasi intimidatorie cui fa esplicito riferimento la stessa formulazione del tema d’accusa, ma le stesse peculiarità del contesto ambientale in cui sono state pronunciate, in quanto connotato dalla prospettata prosecuzione di una verifica fiscale nell’azienda, pur a fronte della dedotta assenza di un vantaggio personale direttamente correlabile alla sollecitata dazione, in ragione del fatto che alcuna particolare criticità sembrava essere stata individuata all’esito del relativo controllo fiscale. Si è inoltre affermato, senza il supporto di specifici elementi di prova, che il privato si sarebbe mostrato disponibile ad accogliere la sollecitazione del pubblico ufficiale, ritenendo apoditticamente dimostrata la circostanza di fatto che la sua reazione alla sollecitazione del pubblico ufficiale sarebbe rimasta priva di conseguenze negative. Né risulta essere stata puntualmente valutata l’ulteriore circostanza di fatto relativa al prospettato esito favorevole di un ricorso che sarebbe stato proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che, in tesi, avrebbe ulteriormente posto in rilievo l’assenza di alcuna effettiva utilità nella scelta di aderire alla richiesta avanzata dal pubblico ufficiale. 5. Ciò posto, occorre tuttavia considerare che, a fronte di un ricorso non inammissibile, il rinvio ad un successivo giudizio di merito per colmare le su indicate lacune della motivazione risulterebbe inutiliter datum a fronte dell’intervenuta maturazione del termine prescrizionale necessario per la declaratoria di estinzione del reato. Avuto riguardo, infatti, al termine massimo di prescrizione previsto per il reato de quo dagli artt. 157, 158 e 161, secondo comma, cod. pen. (pari ad anni sette e mesi sei), decorrente nel caso di specie dalla data di consumazione del 1 dicembre 2014 (avendo i Giudici di merito fatto riferimento, nel capo di imputazione, ad una data successiva al 25 novembre 2014, e, nella motivazione, alla generica indicazione di una condotta induttiva temporalmente collocata qualche “ … qualche giorno prima delle festività natalizie… “ di quell’anno), il reato deve ritenersi estinto per prescrizione alla data finale del 24 agosto 2022 (aggiungendo allo spirare del su richiamato termine massimo, verificatosi il giorno 1 giugno 2022, giorni diciannove di sospensione per incombenti processuali ed ulteriori giorni sessantaquattro di sospensione per l’emergenza epidemiologica legata alla diffusione del virus cd. “covid-19”, sì da raggiungere il termine finale testé indicato).  6. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione”.

Corte di Cassazione – Sentenza 15 marzo 2023, n. 11138

sul ricorso proposto da:

X. X., nato a (Omissis);

(…)

(…)

(…)

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15 marzo 2022 la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che condannava (…) alla pena di mesi sei di il reato di cui all’art. 319-quater cod. pen., per essere stato, quale rappresentante legale di “(…) s.r.l.”, indebitamente indotto da (…), separatamente giudicato, a corrispondergli la somma in contanti di euro mille, al termine di una verifica fiscale da lui condotta presso la predetta società.

2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia, deducendo, con un primo motivo, violazioni di legge e vizi della motivazione. in ordine alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato di induzione indebita in luogo della diversa fattispecie di concussione, là dove:.

a) è stata erroneamente esclusa la natura intimidatoria delle frasi rivolte dal pubblico ufficiale al privato, non avendo i Giudici di merito considerato il profilo della prospettata prosecuzione sine die delle verifiche fiscali, in un contesto in cui il destinatario dell’accertamento era in stato di soggezione e si trovava dinanzi ad operazioni ispettive e a frequenti richieste di documentazione che, di fatto, paralizzavano l’attività d’impresa;

b) non sono state valorizzate, sotto tale profilo, specifiche emergenze probatorie sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, sì da non lasciare alcuna possibile alternativa all’imputato;

c) si è affermato, senza elementi di prova, che il privato si sarebbe mostrato disponibile ad accogliere la sollecitazione del pubblico ufficiale;

d) nell’assenza di un tornaconto personale per l’imputato, è stata contraddittoriamente ritenuta la dimostrazione del fatto che la reazione alla sollecitazione del pubblico ufficiale sarebbe rimasta priva di conseguenze negative;

e) l’accettazione della sollecitazione sarebbe autonomamente avvenuta pur in assenza di un vantaggio personale correlabile alla dazione, tenuto conto del fatto che alcuna criticità era possibile individuare sul piano fiscale;

f) non è stato valutato l’esito favorevole di un ricorso proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che ulteriormente dimostrava l’assenza di alcuna effettiva utilità nell’adesione alla richiesta del pubblico ufficiale;

g) è stata ignorata la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato.

2.1. Con un secondo motivo si deducono analoghi vizi in ordine alla ritenuta esclusione della configurabilità del diverso reato di concussione, per avere la sentenza impugnata erroneamente interpretato ed applicato, nel peculiare contesto del caso di specie, i criteri direttivi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla individuazione del corretto discrimen rispetto all’ipotesi di induzione indebita, avuto riguardo al fatto che nessuna prospettiva di tornaconto personale poteva esservi in favore del ricorrente e che nessuna particolare anomalia o criticità da “risolvere” gli era stata indicata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato e va accolto entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2. La sentenza impugnata ha escluso che nel caso in esame sia emersa una patente condotta di coartazione del privato, riconoscendo, al contempo, che nei suoi confronti è stata posta in essere una “evidente azione di manipolazione”, per il fatto di essersi il pubblico ufficiale limitato ad esprimere una blanda allusione alla necessità di rivedersi dopo la verifica ispettiva in corso, con la successiva richiesta di elargire in suo favore un “obolo” di indeterminato valore, in presenza di un interesse del privato ad accogliere tale sollecitazione pur di evitare i disagi connessi al protrarsi dell’accertamento fiscale in corso presso la società da lui amministrata.

3. Deve preliminarmente richiamarsi, al riguardo, il pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258470; Sez. 6, n. 32594 del 14/05/2015, Nigro, Rv. 264424; Sez. 6, n. 9429 del 02/03/2016, Gaeta, Rv. 267277), secondo cui il delitto di concussione di cui all’art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen.,, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Con la richiamata decisione la Corte ha inoltre precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta.

4. Di tale quadro di principi la sentenza impugnata non ha fatto buon governo, non avendo adeguatamente approfondito, in relazione all’applicazione del su indicato criterio discretivo, le diverse implicazioni sottese alle specifiche emergenze probatorie delle quali ha pur dato conto nella motivazione, là dove ha mostrato di ritenerle, per certi aspetti, sintomatiche dell’utilizzo delle attività di accertamento fiscale come strumento di persuasione, anche indiretta, nei confronti dell’imputato, con il rischio di non lasciargli alcuna possibilità di opzione in vista di una diversa alternativa comportamentale.

Rilevano, al riguardo, non solo il tenore delle frasi intimidatorie cui fa esplicito riferimento la stessa formulazione del tema d’accusa, ma le stesse peculiarità del contesto ambientale in cui sono state pronunciate, in quanto connotato dalla prospettata prosecuzione di una verifica fiscale nell’azienda, pur a fronte della dedotta assenza di un vantaggio personale direttamente correlabile alla sollecitata dazione, in ragione del fatto che alcuna particolare criticità sembrava essere stata individuata all’esito del relativo controllo fiscale.

Si è inoltre affermato, senza il supporto di specifici elementi di prova, che il privato si sarebbe mostrato disponibile ad accogliere la sollecitazione del pubblico ufficiale, ritenendo apoditticamente dimostrata la circostanza di fatto che la sua reazione alla sollecitazione del pubblico ufficiale sarebbe rimasta priva di conseguenze negative.

Né risulta essere stata puntualmente valutata l’ulteriore circostanza di fatto relativa al prospettato esito favorevole di un ricorso che sarebbe stato proposto dall’imputato avverso l’accertamento tributario, ciò che, in tesi, avrebbe ulteriormente posto in rilievo l’assenza di alcuna effettiva utilità nella scelta di aderire alla richiesta avanzata dal pubblico ufficiale.

5. Ciò posto, occorre tuttavia considerare che, a fronte di un ricorso non inammissibile, il rinvio ad un successivo giudizio di merito per colmare le su indicate lacune della motivazione risulterebbe inutiliter datum a fronte dell’intervenuta maturazione del termine prescrizionale necessario per la declaratoria di estinzione del reato. Avuto riguardo, infatti, al termine massimo di prescrizione previsto per il reato de quo dagli artt. 157, 158 e 161, secondo comma, cod. pen. (pari ad anni sette e mesi sei), decorrente nel caso di specie dalla data di consumazione del 1 dicembre 2014 (avendo i Giudici di merito fatto riferimento, nel capo di imputazione, ad una data successiva al 25 novembre 2014, e, nella motivazione, alla generica indicazione di una condotta induttiva temporalmente collocata qualche “ … qualche giorno prima delle festività natalizie… “ di quell’anno), il reato deve ritenersi estinto per prescrizione alla data finale del 24 agosto 2022 (aggiungendo allo spirare del su richiamato termine massimo, verificatosi il giorno 1 giugno 2022, giorni diciannove di sospensione per incombenti processuali ed ulteriori giorni sessantaquattro di sospensione per l’emergenza epidemiologica legata alla diffusione del virus cd. “Covid-19”, sì da raggiungere il termine finale testé indicato).

6. Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, conclusivamente, la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.

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