CASSAZIONE

Legittima la definizione agevolata di importi già condonati se la seconda controversia è effettiva e non meramente apparente

Tributi – Cartella di pagamento – Contenzioso – Cd. di “condono di condono” – Definibilità – Questione – Ammissibilità – D.l. n. 98/2011, art. 39, comma 12

Con l’ordinanza n. 709 del 12 gennaio 2023 la Corte di Cassazione, occupandosi di alcune importanti questioni relative alla definizione delle liti fiscali pendenti, ha affermato il seguente principio di diritto: “… La

controversia insorta in sede di impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e concernente l’ammissibilità di una dichiarazione integrativa con la quale vengono rettificati in diminuzione gli importi dovuti, già quantificati in una precedente istanza di condono presentata ai sensi dell’art. 9 della l. n. 289 del 2002, non integra un’ipotesi di “condono su condono”, non involgendo direttamente il mancato pagamento delle somme dovute a titolo di definizione agevolata, ma l’esatta determinazione di dette somme in applicazione delle norme di legge; trattasi, pertanto, di una controversia effettiva e non meramente apparente, come tale ulteriormente condonabile ai sensi dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011”.

Per una più chiara comprensione della questione oggi sollevata, è allora possibile ritenere che non può essere escluso che in un momento successivo possa insorgere una nuova controversia, effettiva e non meramente apparente, relativa all’applicazione della normativa di condono o alla sua interpretazione o alla valutazione della relativa istanza del contribuente: poiché, spiega la S.C., è solo quando la lite fiscale originaria sia stata utilmente definita mediante l’applicazione di un primo condono, che ovviamente non può esserlo nuovamente una seconda volta. (v. Cass. n. 27542/2022)

Al riguardo la Suprema Corte richiama espressamente la citata pronunzia n. 27542/2022, nella quale gli Ermellini testualmente affermavano che “… Secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale disposizione normativa si pone «in termini di sostanziale continuità» con buona parte della precedente disciplina condonistica (Cass., Sez. U., 25 giugno 2021, n. 18298) e, in particolare, con la disciplina di cui all’art. 2-quinquies d.l. 30 settembre 1994, n. 564, nonché con l’art. 16 l. 27 dicembre 2002, n. 289, nonché con l’art. 39, comma 12, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, che opera rinvio all’art. 16 l. n. 289/2002, disciplina rispetto alla quale eccentrica risulta quella di cui all’art. 11, comma 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50, che riguarda in generale l’atto impugnato in cui sia parte l’Agenzia delle Entrate. Diversamente, le ulteriori menzionate disposizioni – e in particolare, l’art. 16, comma 3, l. n. 289/2002 – fanno riferimento ad atti impositivi e di irrogazione delle sanzioni, nell’ambito dei quali rientrano anche le cartelle di pagamento, ove rappresentino «il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo, come tale, impugnabile, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva» (Cass., Sez. U., n. 18298/2021, cit.). 4. Non può, pertanto, ritenersi dirimente la delimitazione dell’oggetto della controversia a termini dell’art. 6 d.l. n. 119/2018 cit. – definibile sulla base della suddetta disposizione normativa quale «unica e autosufficiente fonte di disciplina di tale specifica forma di condono», come nota il contribuente in memoria (pag. 7) – alle controversie «aventi ad oggetto atti impositivi», che non si rinviene nell’art. 39, comma 12, d.l. n. 98/2011, in quanto quest’ultima disposizione opera un rinvio recettizio all’art. 16 l. n. 289/2002, che ha per oggetto «ogni […] atto di imposizione», comprese le cartelle di pagamento che costituiscano il primo atto impositivo, in dichiarata continuità normativa tra le varie disposizioni agevolative. 5. Ulteriore punto rilevante ai fini della decisione è costituito dalla circostanza in fatto che, nel caso di specie, non vi è mai stata una definizione agevolata della originaria controversia, rappresentata dalla cartella avente ad oggetto tributi del periodo di imposta 1996, notificata all’originaria società contribuente. L’orientamento secondo cui non è ammissibile, di regola, l’applicabilità di un condono ad una controversia relativa a un precedente condono, non potendo la lite fiscale essere definita una seconda volta mediante l’applicazione del provvedimento di condono (Cass., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 5865; Cass., Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 23900), riguarda, invece, la diversa ipotesi in cui il contribuente abbia già usufruito di una disposizione agevolativa e intenda usufruire di una ulteriore disposizione agevolativa in relazione alla medesima pretesa impositiva. Differente risulta, pertanto, il caso di specie, come correttamente nota la società contribuente in memoria, ove osserva che «non è affatto escluso che in un momento successivo possa insorgere una nuova controversia, effettiva e non meramente apparente, relativa all’applicazione della normativa di condono oppure alla sua interpretazione o alla valutazione della relativa istanza del contribuente […] poiché è solo quando la lite fiscale originaria sia stata utilmente definita mediante l’applicazione di un primo condono che ovviamente non può esserlo nuovamente una seconda volta». 6. Ne consegue che, in assenza di precedente definizione agevolata, il provvedimento di diniego di condono ha mantenuto viva l’originaria pretesa impositiva, costituita dalla originaria cartella di pagamento, relativa al periodo di imposta 1996, emessa nei confronti dell’originaria contribuente Ente Fiuggi S.p.A., di cui non vi è stata definizione agevolata in quanto denegata dall’ente impositore. Il diniego di condono non costituisce, propriamente, il petitum mediato della controversia oggi pendente (Cass., Sez. V, 22 settembre 2011, n. 19310), ossia il bene della vita che forma oggetto della domanda proposta al giudice tributario, rappresentato invero dalla originaria pretesa impositiva, mai definita (per effetto dell’impugnato diniego di condono) e, quindi, ancora definibile in via agevolata e della quale si chiede la definizione a termini dell’art. 6 d.l. n. 119/2018”.

E’ del tutto pacifico che il decreto legge 98/2011 introduce, all’art. 39, comma 12, la possibilità di definire le liti fiscali pendenti secondo un meccanismo che ricalca in buona parte quello proprio dell’analogo istituto disciplinato dall’art. 16 della legge 289/2002.

In buona sostanza, come del resto appare nella giurisprudenza di riferimento, è sufficientemente chiaro che la lite è da considerarsi definibile quando la cartella è il primo e unico atto con cui la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, visto che l’impugnazione della cartella di pagamento, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida, in sede di controllo automatizzato ex art. 36-bis, DPR 600/1973, le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a controversia definibile in forma agevolata, ai sensi dell’art. 6, Dl 119/2018, come convertito, con modificazioni, dalla legge 136/2018, quando detta cartella rappresenti il primo e unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile, ai sensi dell’art. 19, D.lgs. 546/1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva. 

Del resto le SS. UU. avevano già fatto chiarezza sull’argomento con la sentenza n. 18298/21, ponendosi in linea di continuità con quello che nell’ordinanza interlocutoria n. 1913/21 era stato definito come “orientamento mediano”, secondo cui la controversia è condonabile ammesso che la cartella costituisca il primo atto impositivo e vi sia una controversia effettiva, e non apparente, sulla legittimità sotto qualsiasi profilo della pretesa medesima, tranne che su aspetti relativi a meri errori di calcolo (Cass., 29 novembre 2017, n. 28611; Cass., 27 febbraio 2017, n. 4967; Cass., 24 giugno 2016, n. 13136; Cass., 8 luglio 2015, n. 14196; Cass., 22 gennaio 2014, n. 1263; Cass., 10 febbraio 2014, n. 2986; Cass., 8 marzo 2013, n. 5879; Cass., 27 settembre 2013, n. 22158; Cass., 6 ottobre 2010, n. 20731). In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano osservato che “… l’iscrizione a ruolo, esattamente come gli avvisi di accertamento, svolge la duplice funzione di pretendere l’imposta dovuta e di irrogare la sanzione, ai sensi dell’art. 17, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, tanto da essere invalsa la nozione di “atto contestuale”, per evidenziare la natura polifunzionale dei provvedimenti impositivi». Ne deriva che, «quando la cartella […], pur resa nell’ambito di procedura di controllo cartolare su dichiarazione del contribuente, si ponga come atto di irrogazione della sanzione, essa configuri un atto impositivo, non diversamente da come sarebbe accaduto se fosse stato impugnato un avviso di accertamento, unicamente nel suo contenuto sanzionatorio, o un atto di contestazione e, pertanto, può costituire oggetto di definizione agevolata”. 

Per corroborare la propria soluzione interpretativa, il Collegio richiamava la disciplina degli atti impugnabili di cui all’art. 19, D.lgs. 546/1992 e ne valorizzava il collegamento ai principi costituzionali di buon andamento della Pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., di difesa ex art. 24 Cost. e di capacità contributiva ex art. 53 Cost. 

In definitiva e in materia di condono fiscale, secondo tale giurisprudenza, attesa la natura restrittiva ed eccezionale della relativa disciplina, non è ammissibile il cd. “condono di condono”, visto che in caso contrario il contribuente fruirebbe irragionevolmente per due volte, con riguardo alla stessa imposta, di un atto clemenziale dettato da contingenti ed eccezionali esigenze finanziarie e di carico giudiziario, così determinandosi un vulnus al principio di parità di trattamento di fronte al fisco, ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost. (Cass. n. 14993/2018; Cass. n. 1317/2018; Cass. n. 21328/2006).

Tuttavia, come ricordato dalla Corte, con riguardo all’ammissibilità di un “condono su condono”, ove successivamente alla presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione integrativa sulla base di un precedente provvedimento di condono insorga una seconda controversia, effettiva e non meramente apparente, relativa all’applicazione della normativa di favore, si è in presenza di una lite pendente, suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 16, comma 3, lett. a), della legge 289/2002 (Cass. n. 4967/2017; Cass. n. 27542/2022).

Occorre quindi verificare in concreto, riportano gli Ermellini, che: “… se la nuova istanza di condono attenga alla controversia insorta in ragione del semplice mancato pagamento delle somme dovute ovvero alla controversia, reale e non meramente apparente, concernente l’esatta misura delle somme dovute a seguito della definizione agevolata potendo il contribuente beneficiare nuovamente, in tale ultima ipotesi, della stessa o di una nuova legge di condono”.

Tanto premesso e tornando alla vicenda in esame, una S.r.l. presentava una prima istanza di definizione e, in seguito, una dichiarazione integrativa relativa al successivo anno d’imposta, con la quale si correggeva in diminuzione la misura degli importi dovuti. L’Agenzia delle entrate emetteva una cartella di pagamento con riferimento agli importi indicati nella prima dichiarazione, disconoscendo la validità dell’agevolazione applicata con la successiva dichiarazione integrativa. La società contribuente impugnava la cartella ottenendo soddisfazione in entrambi i gradi della giustizia tributaria. In particolare, nella decisione della CTR i giudici annotavano sostanzialmente che era legittima la richiesta di condono presentata da LTM ai sensi del Dl 98/2011, conv. con modificazioni nella legge 111/2011, concernente la somma ancora ritenuta dovuta in base alla cartella di pagamento impugnata.

L’ufficio ricorreva per Cassazione dolendosi del fatto che le somme recate dalla cartella di pagamento riguardassero somme già dovute a seguito di definizione agevolata (ai sensi dell’art. 9, legge 289/2002), sicché in ordine alle stesse non era possibile procedere a ulteriore definizione (ai sensi dell’art. 39, Dl 98/2011). La Corte, respinto il ricorso dell’Agenzia, ha pertanto chiarito che “…L’Amministrazione finanziaria ha emesso cartella di pagamento con riferimento agli importi indicati nella prima dichiarazione, disconoscendo la validità della agevolazione applicata con la successiva dichiarazione integrativa. 3.2.2. Con l’impugnazione della cartella di pagamento è sorta, pertanto, controversia in ordine alla validità della dichiarazione integrativa e, quindi, agli importi effettivamente dovuti da LTM ai fini della definizione agevolata. 3.2.3. Tale ultima controversia – effettiva e non meramente apparente – è stata legittimamente definita dalla società contribuente ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011. 3.3. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «la controversia insorta in sede di impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e concernente l’ammissibilità di una dichiarazione integrativa con la quale vengono rettificati in diminuzione gli importi dovuti, già quantificati in una precedente istanza di condono presentata ai sensi dell’art. 9 della l. n. 289 del 2002, non integra un’ipotesi di “condono su condono”, non involgendo direttamente il mancato pagamento delle somme dovute a titolo di definizione agevolata, ma l’esatta determinazione di dette somme in applicazione delle norme di legge; trattasi, Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 di 6 pertanto, di una controversia effettiva e non meramente apparente, come tale ulteriormente condonabile ai sensi dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011». 3.4. La CTR si è pienamente conformata al superiore principio di diritto, dichiarando l’estinzione del giudizio, con conseguente assorbimento di ogni ulteriore questione, anche quella oggetto del secondo motivo di ricorso e concernente l’omessa pronuncia sulla declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in sede di appello da LTM. 4. In conclusione, il ricorso va rigettato; nulla per le spese in ragione della mancata costituzione in giudizio della società contribuente”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 12 gennaio 2023, n. 709

sul ricorso iscritto al n. 20642/2016 R.G. proposto da

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

–ricorrente –

contro L. M. T. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

–intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise n. 203/03/15, depositata il 14 luglio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 dicembre 2022 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 203/03/15 del 14/07/2015 la Commissione tributaria regionale del Molise (di seguito CTR), respingeva l’appello proposto dalla Agenzia dell’entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 55/01/09 della Commissione tributaria provinciale di Campobasso (di seguito CTP), la quale aveva a sua volta accolto il ricorso proposto da L. M. T. s.r.l. (di seguito LMT) nei confronti di una cartella di pagamento emessa in ragione delle somme dovute a titolo di condono concernenti gli anni 1997-2002.

1.1. Come si evince anche dalla sentenza della CTR, la cartella di pagamento era stata emessa per ottenere il pagamento:

i) della somma di euro 13.122,11 quale somma ancora dovuta in relazione al condono presentato per gli anni 1997-2001 ai sensi degli artt. 8, 9 e 14 della l. 27 dicembre 2002, n. 289;

ii) della somma di euro 123.812,22 dovuta in relazione ad altra istanza di condono presentata con riferimento all’anno d’imposta 2002.

1.2. La CTR motivava il rigetto dell’appello dell’Ufficio (cui aveva aderito Equitalia Sud s.p.a., pure costituitasi in giudizio) – appello proposto unicamente con riferimento alla somma sub i), non essendo contestata la cessazione della materia del contendere con riferimento all’anno 2002 – evidenziando che:

a) la richiesta di condono presentata da LTM ai sensi del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. con modif. nella l. 15 luglio 2011, n. 111, concernente la somma ancora ritenuta dovuta in base alla cartella di pagamento impugnata era legittima;

b) invero, oggetto della controversia era l’accertamento dell’imposta dovuta con riferimento per l’anno 1998, avendo l’Amministrazione finanziaria ritenuto che la società contribuente non potesse beneficiare del regime di favore di cui all’art. 9, comma 3 bis, della l. n. 289 del 2002 come richiesto con dichiarazione integrativa del 16/06/2003;

c) tale convincimento era stato espresso con una cartella di pagamento, emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che costituiva il primo atto impositivo, per il quale era, dunque, ammissibile il condono.

2. Avverso la sentenza della CTR, AE proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

3. LMT non si costituiva in giudizio e restava, pertanto, intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, dell’art. 46 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 16, comma 8, della l. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.

1.1. In particolare, AE si duole del fatto che:

a) le somme recate dalla cartella di pagamento riguarderebbero somme già dovute a seguito di definizione agevolata (ai sensi dell’art. 9 della l. n. 289 del 2002), sicché in ordine alle stesse non sarebbe possibile procedere ad ulteriore definizione (ai sensi dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011);

b) la motivazione della cartella di pagamento sarebbe sufficiente ed idonea allo scopo;

c) la declaratoria di cessazione della materia del contendere e di estinzione del giudizio sarebbe stata erroneamente emessa pur in presenza di espresso diniego di condono.

2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine alla questione concernente la tempestività dell’integrazione dei motivi di ricorso, effettuata da LTM unicamente con ricorso integrativo depositato nel corso del giudizio di appello.

3. Il primo motivo è infondato e le motivazioni dell’infondatezza implicano l’assorbimento del secondo motivo.

3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in materia di condono fiscale, attesa la natura restrittiva ed eccezionale della relativa disciplina, come tale non estensibile analogicamente, ed in difetto di un’esplicita disposizione legislativa, non è ammissibile il cd. “condono di condono”, giacché, in caso contrario, il contribuente fruirebbe irragionevolmente per due volte, con riguardo alla stessa imposta, di un atto clemenziale dettato da contingenti ed eccezionali esigenze finanziarie e di carico giudiziario, così determinandosi un “vulnus” al principio di parità di trattamento di fronte al fisco, ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., sia per l’esiguità delle somme recuperate dall’Erario, sia per il contenzioso che ne deriverebbe, con conseguenti ricadute sul funzionamento del sistema giudiziario» (Cass. n. 14993 del 08/06/2018; conf. Cass. n. 1317 del 19/01/2018; Cass. n. 21328 del 03/10/2006).

3.1.1. Peraltro, la Corte ha anche affermato che: «con riguardo all’ammissibilità di un “condono su condono”, ove successivamente alla presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione integrativa sulla base di un precedente provvedimento di condono insorga una seconda controversia, effettiva e non meramente apparente, relativa all’applicazione della normativa di favore, si è in presenza di una lite pendente, suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 16, comma 3, lett. a), della l. n. 289 del 2002» (Cass. n. 4967 del 27/02/2017; si veda, da ultimo, anche Cass. n. 27542 del 20/09/2022).

3.1.2. In buona sostanza, occorre verificare in concreto, se la nuova istanza di condono attenga alla controversia insorta in ragione del semplice mancato pagamento delle somme dovute ovvero alla controversia, reale e non meramente apparente, concernente l’esatta misura delle somme dovute a seguito della definizione agevolata, potendo il contribuente beneficiare nuovamente, in tale ultima ipotesi, della stessa o di una nuova legge di condono.

3.2. Nel caso di specie, LTM ha presentato una prima istanza di definizione relativa agli anni d’imposta 1997-2001 e una dichiarazione integrativa relativa all’anno d’imposta 1998, con la quale rettificava in diminuzione la misura degli importi dovuti in applicazione dell’art. 9, comma 3 bis, della l. n. 289 del 2002.

3.2.1. L’Amministrazione finanziaria ha emesso cartella di pagamento con riferimento agli importi indicati nella prima dichiarazione, disconoscendo la validità della agevolazione applicata con la successiva dichiarazione integrativa.

3.2.2. Con l’impugnazione della cartella di pagamento è sorta, pertanto, controversia in ordine alla validità della dichiarazione integrativa e, quindi, agli importi effettivamente dovuti da LTM ai fini della definizione agevolata.

3.2.3. Tale ultima controversia – effettiva e non meramente apparente –è stata legittimamente definita dalla società contribuente ai sensi dell’art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011. 3.3. Va, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «la controversia insorta in sede di impugnazione di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e concernente l’ammissibilità di una dichiarazione integrativa con la quale vengono rettificati in diminuzione gli importi dovuti, già quantificati in una precedente istanza di condono presentata ai sensi dell’art. 9 della l. n. 289 del 2002, non integra un’ipotesi di “condono su condono”, non involgendo direttamente il mancato pagamento delle somme dovute a titolo di definizione agevolata, ma l’esatta determinazione di dette somme in applicazione delle norme di legge; trattasi, pertanto, di una controversia effettiva e non meramente apparente, come tale ulteriormente condonabile ai sensi dell’art. 39 del d.l. n. 98 del 2011».

3.3. La CTR si è pienamente conformata al superiore principio di diritto, dichiarando l’estinzione del giudizio, con conseguente assorbimento di ogni ulteriore questione, anche quella oggetto del secondo motivo di ricorso e concernente l’omessa pronuncia sulla declaratoria di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in sede di appello da LTM.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato; nulla per le spese in ragione della mancata costituzione in giudizio della società contribuente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma il 6 dicembre 2022

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