FISCALITA

Le risposte dell’Agenzia ai quesiti della stampa specializzata

Con la circolare n. 6/E del 2015 l’Agenzia delle Entrate ha fornito una nutrita serie di chiarimenti interpretativi relativi a problematiche di varia natura.

Ravvedimento operoso e definizione delle violazioni già contestate. Nella nuova disciplina del ravvedimento operoso (art. 13, D.Lgs. n. 472/1997, modificato dalla Legge di Stabilità 2015), riguardo alla definizione delle violazioni già constatate, è da ritenere confermato l’orientamento delle circolari n. 180 e n. 192 del 1998, riguardo il regolarizzare distintamente le violazioni prodromiche (omessa fatturazione, ad esempio) e quelle conseguenziali (omesso versamento, infedele dichiarazione)?

In proposito, l’obiettivo della Legge di Stabilità 2015 è di agire in maniera significativa sulle modalità di gestione del rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e i contribuenti, puntando su un nuovo modello di cooperazione al fine di ottenere il massimo adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte dei contribuenti, potenziando l’istituto del ravvedimento operoso (art. 13, D.Lgs. n. 472/1997). Ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate si applicano le novità in materia di ravvedimento, comprese quelle relative alla eliminazione della preclusione secondo la quale il ravvedimento può essere adottato a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata o che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento. Le novità introdotte, comunque, non modificano l’assetto generale dell’istituto del ravvedimento e pertanto, anche riguardo alla definizione delle violazioni già constatate, si deve ritenere confermato l’orientamento delle due circolari citate circa l’onere di regolarizzare distintamente le violazioni prodromiche e quelle conseguenziali.

Ravvedimento e modalità di applicazione delle nuove norme. È corretto ritenere (in linea con la circolare 180/E del 1998, ispirata al favor rei) che le nuove regole sul ravvedimento operoso si applicano anche alle violazioni che alla data dell’1/1/2015 siano già state constatate dall’ufficio – ad esempio, con emissione di un Processo verbale di constatazione (Pvc) – ma non siano ancora state interessate da atti accertativi, liquidatori o da cartelle di pagamento?

Le nuove regole sul ravvedimento operoso, nell’osservanza del principio di legalità contenuto nell’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, si applicano anche alle violazioni che al 1° gennaio 2015 siano già state constatate dall’ufficio ma non siano ancora state interessate da atti accertativi, liquidatori o da cartelle di pagamento.

Modalità pratiche. Alla luce della possibilità di regolarizzare le violazioni già contestate in un Pvc ma non ancora inserite in un avviso di accertamento, al momento dell’integrazione della dichiarazione dell’anno oggetto di ravvedimento, come potranno essere distinti i rilievi ai quali si intende prestare acquiescenza rispetto a quelli per i quali non si accetta la contestazione e dunque si intende proseguire l’iter contenzioso?

A seguito delle modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2015 sono cambiati i presupposti per l’accesso al ravvedimento. È possibile infatti accedere all’istituto nonostante la violazione sia stata già constatata mediante Pvc, il che in ogni caso non cambia la natura e le finalità del ravvedimento operoso – un atto di regolarizzazione spontanea da parte del contribuente – nel senso che non lo trasforma in un atto di acquiescenza ai rilievi contenuti nel Pvc. Per questo motivo il contribuente potrà sanare le stesse violazioni ravvedibili in base alla precedente formulazione normativa anche nel caso in cui – questa è la novità – gli sia stato consegnato un Pvc, fermo restando l’assenza di notifiche degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni previste dagli artt 36-bis e 36-ter, DPR n. 600/1973 e 54-bis, DPR n. 633/1972. Sarà compito del contribuente comunicare agli Uffici i distinti rilievi per i quali si intende prestare acquiescenza.

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Possibilità di ravvedimento in caso di violazioni rilevate con procedure automatizzate e/o formali. Gli avvisi bonari derivanti da controlli automatizzati e controlli formali sulle imposte dirette e l’IVA precludono il ravvedimento solo sulle violazioni rilevabili con queste procedure o anche con altre violazioni come, ad esempio, una omessa fatturazione?

Già prima della modifica introdotta dalla Legge di Stabilità 2015 al ravvedimento operoso, la comunicazione degli esiti del controllo automatizzato e del controllo formale rappresentava un ostacolo alla possibilità di accedere all’istituto. Con la Circolare n. 18/E del 10/5/2011 è stato chiarito che la preclusione al ravvedimento opera in relazione alle irregolarità riscontrabili nell’ambito di questi controlli. E’ stato quindi ammesso che il contribuente che abbia ricevuto la comunicazione degli esiti del controllo automatizzato e/o di quello formale possa avvalersi del ravvedimento per sanare altre violazioni che non gli siano state contestate con tale procedura. Gli stessi chiarimenti trovano applicazione con riferimento al nuovo ravvedimento operoso.

Avvisi di recupero di crediti d’imposta e di irrogazione di sanzioni. Gli avvisi di recupero di crediti di imposta e gli avvisi di irrogazione di sanzioni sono cause ostative del nuovo ravvedimento anche se non citate espressamente?

Gli avvisi di recupero di crediti di imposta e gli avvisi di irrogazione di sanzioni, anche se non espressamente menzionate, si devono ritenere cause ostative del nuovo ravvedimento, per la loro natura di atti autoritativi impositivi recanti una pretesa tributaria.

Termine di regolarizzazione delle violazioni. La diversificazione delle due soglie temporali per la regolarizzazione (termine fisso, ad esempio un anno dalla violazione, e termine mobile, ad esempio scadenza della presentazione della dichiarazione) è collegata alla distinzione tra “tributi periodici” (o meglio, con dichiarazione periodica) e “tributi istantanei”, come chiarito dalla circolare n. 180/1998, oppure ci si deve basare su altri criteri, come emerge dalle circolari n. 41/2005 e n. 2/2011 per talune violazioni in materia di IVA?

In relazione alle due soglie temporali previste dall’art. 13 del D.Lgs. n. 472/97, “termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione” e “un anno dall’omissione o dall’errore”, la diversificazione è in sostanza collegata alla distinzione tra i “tributi periodici” relativi a un obbligo dichiarativo che si rinnova periodicamente, (ad esempio, imposte sui redditi, IVA) e i “tributi istantanei” per i quali non si configura un obbligo dichiarativo (ad esempio, imposta di registro, sulle successioni), come già chiarito dalla circolare n. 180/1998. In proposito sono da ritenere ancora attuali le precisazioni contenute nei documenti di prassi sulla correlazione tra “tributi periodici” e “tributi istantanei” da un lato, e le soglie temporali previste dalla disposizione dall’altra, nonché gli specifici chiarimenti resi con i citati documenti del 2005 e del 2011. Considerato, poi, che le disposizioni della Legge di Stabilità 2015 sono entrate in vigore il 1° gennaio 2015, per il principio del favor rei è possibile ravvedere le violazioni constatate prima di tale data, fermo restando la mancata notifica di atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973 e 54-bis del DPR n. 633/1972 relative alle violazioni oggetto di regolarizzazione.

Adesione alla procedura in caso di preventiva definizione dell’avviso di accertamento. È possibile aderire alla procedura di collaborazione volontaria nel caso in cui gli eventuali avvisi di accertamento relativi all’ambito oggettivo di applicazione della procedura sono stati definiti prima della presentazione della domanda di collaborazione volontaria?

Considerato che la definizione di eventuali avvisi di accertamento sana le violazioni in essi contestate, il contribuente accertato potrà aderire alla procedura di collaborazione volontaria, se con la definizione si rimuove l’esistenza della causa ostativa.

Dichiarazioni d’intento. In relazione alla disciplina prevista per le dichiarazioni d’intento, quali sono i nuovi obblighi?

Come chiarito con la Circolare n. 31/E del 2014, fino all’11 febbraio 2015 gli esportatori potevano consegnare o inviare la dichiarazione d’intento al proprio cedente o prestatore secondo le previgenti modalità: il fornitore non era tenuto a verificare l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate. A partire dal 12 febbraio 2015 sussiste l’obbligo di applicare la nuova disciplina, in base alla quale l’esportatore abituale è tenuto a trasmettere telematicamente la dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate curandone la consegna al fornitore, insieme alla relativa ricevuta di presentazione. Il fornitore è tenuto a verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle Entrate.

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Esportazioni. Le cessioni all’esportazione effettuate dai contribuenti che adottano il regime forfetario con la Città del Vaticano o San Marino rientrano nel calcolo del limite massimo di ricavi?

L’art. 1, comma 54, della Legge di stabilità 2015, prevede che possano accedere al regime forfetario le persone fisiche esercenti attività di impresa, arte o professione che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi o percepito compensi non superiori ai limiti stabiliti nell’allegato 4 per ogni tipologia di attività. Il successivo comma 55 stabilisce che non concorrono all’individuazione di questo limite esclusivamente i ricavi e i compensi derivanti dall’adeguamento agli studi di settore e ai parametri. Ogni altro ricavo o compenso concorre, pertanto, alla formazione delle soglie di accesso al regime forfetario, compresi quelli derivanti da operazioni effettuate con la Città del Vaticano e con San Marino.

Rimborsi IVA con obbligo di garanzia. Si chiede: a) conferma che l’obbligo di prestare garanzia ai sensi dell’art. 38-bis, comma 4, lett. a), del DPR n. 633/1972 riguardi soltanto le imprese che esercitano l’attività da meno di due anni e non anche i neo-lavoratori autonomi; b) come debba essere computato il periodo di due anni, sia per i rimborsi annuali che infrannuali.

L’art. 38-bis del Decreto IVA, alla lett. a) del comma 4 dispone che i rimborsi di importo superiore a 15.000 euro sono eseguiti previa prestazione della garanzia, qualora gli stessi siano richiesti da soggetti passivi che esercitano una “attività di impresa” da meno di due anni: dall’espresso riferimento all’attività di impresa discende che l’obbligo di prestazione della garanzia in caso di esercizio dell’attività da meno di due anni non si riferisce a contribuenti che svolgono attività di lavoro autonomo. Per quanto riguarda il calcolo dei due anni si precisa che per esercizio dell’attività di impresa si intende l’effettivo svolgimento dell’attività stessa, che inizia con la prima operazione effettuata e non con la sola apertura della partita IVA. Inoltre, il termine temporale è riferito ai due anni antecedenti la data di richiesta del rimborso annuale o trimestrale: ad esempio, il contribuente che ha presentato la richiesta di rimborso annuale o trimestrale in data 11/4/2015 non era tenuto a prestare la garanzia se aveva iniziato l’attività di impresa, nei termini sopra indicati, in data 11 aprile 2013 o in data anteriore.

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Meccanismo dello split payment. Si chiede conferma che le operazioni soggette a regimi speciali IVA che non prevedono l’evidenza dell’imposta in fattura (come, ad esempio, regime del margine, agenzie di viaggio e regime di franchigia delle piccole imprese), pur senza una espressa previsione normativa, devono ritenersi escluse dal meccanismo dello split payment.

La Legge di stabilità 2015 ha introdotto l’art. 17-ter del DPR n. 633/1972, che dispone l’adozione del modello di scissione dei pagamenti, il cosiddetto “split payment”, per le operazioni effettuate nei confronti di determinati enti pubblici. Secondo la nuova disposizione “per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli enti pubblici interessati, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi…”. In base a questo meccanismo le Pubbliche amministrazioni, anche se non rivestono la qualità di soggetto passivo dell’IVA devono versare direttamente all’Erario l’IVA che è stata addebitata loro dai fornitori: questi, infatti, devono emettere regolare fattura con le indicazioni prescritte dall’art. 21 del DPR 633, tra cui l’evidenziazione dell’imposta, apponendo l’annotazione “scissione dei pagamenti” sulla medesima. Ne consegue che il citato meccanismo non trova applicazione in relazione alle operazioni assoggettate a regimi speciali che non prevedono l’evidenza dell’imposta in fattura e che ne dispongono l’assolvimento secondo regole proprie.

Reddito d’impresa, operazioni straordinarie. Il decreto Semplificazioni dispone che le società di persone, in presenza di operazioni straordinarie, devono effettuare i versamenti entro il giorno 16 del mese successivo a quello di “scadenza del termine di presentazione della dichiarazione”. È rilevante o meno il mese in cui la società presenta effettivamente il modello, se anteriore a quello di legge?

Il decreto Semplificazioni dispone che le società o associazioni di cui all’art. 5 del TUIR, nei casi di operazioni di liquidazione trasformazione, fusione e scissione, effettuano il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione dei redditi e dell’IRAP entro il giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione. Il termine per effettuare il versamento è quindi il giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza prescritto dalla legge per cui non è rilevante il mese in cui la società presenta effettivamente la dichiarazione, se è anteriore a quello di legge.

Società in perdita sistematica e decorrenza. Con riferimento alla precedente formulazione dell’art. 2, comma 36-decies e seguenti, del DL n. 138/2011, l’Agenzia delle Entrate (Circ. 25/E/2012) ha precisato che, considerato che la disciplina sulle società in perdita sistematica richiede un “periodo di osservazione” di tre anni, la disciplina di tali società trovava applicazione solo a decorrere dal quarto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività o dal quinto anno di attività. Pertanto, vista la novità introdotta dal D.Lgs. n. 175/2014, è possibile affermare che la disciplina delle società in perdita sistematica opera dal sesto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ovvero dal settimo anno di attività?

L’art. 18 del decreto Semplificazioni ha esteso da tre a cinque periodi d’imposta il cosiddetto periodo di osservazione ai fini dell’applicazione della disciplina sulle società in perdita sistematica. Di conseguenza, per i soggetti (con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare) costituiti da meno di sei anni, la disciplina sulle società in perdita sistematica non trova applicazione per mancanza del relativo presupposto. Il primo periodo d’imposta astrattamente utile (considerando anche la causa di disapplicazione automatica prevista dall’art. 1, lettera m), del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dell’11 giugno 2012) di applicazione della disciplina in esame sarà il settimo anno dalla costituzione.

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Società estinte. La retroattività della norma sulle società estinte opera solo sugli atti notificati e non ancora impugnati in primo grado oppure in via generalizzata su tutti gli atti non definitivi?

L’art. 28 del D.Lgs. n. 175 prevede che ai soli fini di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. Come precisato nella Circolare n. 31/E del 2014, trattandosi di una norma procedurale che disciplina le fasi di attuazione del tributo, a partire dal 13/12/2014 (data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175), la stessa, per sua natura, trova applicazione anche per le attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima della predetta data, e per attività di controllo riguardanti periodi precedenti a tale data (ovviamente nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla legge). Di conseguenza, tutti gli avvisi di accertamento saranno notificati alle società cancellate secondo le nuove regole. L’art. 28 trova applicazione anche riguardo agli atti di accertamento, liquidazione e riscossione, anche interessati da contenzioso, notificati prima dell’entrata in vigore del decreto Semplificazioni e relativi a società cancellate prima dell’entrata in vigore della norma in esame.

Cancellazione dal Registro delle imprese. Nell’art. 28 del D.Lgs. n. 175/2014 non è prevista alcuna decorrenza per la irrilevanza degli effetti della cancellazione della società dal Registro delle imprese, nel periodo quinquennale. Di conseguenza, tale disciplina deve ritenersi di natura “non procedimentale”, nel rispetto del “principio del legittimo affidamento” e in assenza di un supporto legislativo che affermi il contrario, con la conseguente applicazione alle sole società cancellate dalla data di entrata in vigore del provvedimento (13/12/2014), senza alcun effetto retroattivo?

Il citato art. 28 ha stabilito che, ai soli fini della liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese. Come precisato nella Circolare n. 31/E del 2014, trattandosi di norma procedurale in quanto tesa proprio a salvaguardare le azioni di recupero della pretesa erariale, la stessa si applica anche per attività di controllo riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle imprese o già cancellate dallo stesso registro prima del 13/12/2014, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175 e per attività di controllo riguardanti periodi precedenti a tale data, ovviamente nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza previsti dalla legge.

Detassazione delle plusvalenze. Il reinvestimento richiesto per usufruire della detassazione al 90% delle plusvalenze derivanti dalla cessione di beni immateriali (comma 40 della Legge n. 190/2014) riguarda l’intero ammontare del corrispettivo della cessione (come risulta dal tenore letterale della norma), o il solo importo della plusvalenza determinato secondo l’art. 86 del TUIR?

Come si evince dal tenore letterale della norma, ai fini dell’esclusione dalla formazione del reddito delle plusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immateriali, il reinvestimento deve riguardare almeno il 90% del corrispettivo derivante dalla cessione e non dell’importo della plusvalenza.

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