Le piccole cause esenti da bollo e registro
Sulle sentenze relative alle cause di modesta entità non è più dovuto il pagamento dell’imposta di registro e di bollo: lo dispone la risoluzione n. 97/E del 10/11/2014 (“Tassabilità ai fini dell’imposta di registro delle sentenze emesse su appello delle pronunce del giudice di pace – Art. 46 della legge 21 novembre 1991, n. 374”),
con la quale l’Agenzia delle Entrate, visto anche l’orientamento della Corte di Cassazione, applica l’esenzione anche alle sentenze di appello dei provvedimenti emessi dal Giudice di pace. La riduzione dei costi della giustizia, dunque, viene estesa alle cause e alle attività conciliative “in sede non contenziosa” il cui valore non è superiore a 1.033 euro: nessun pagamento di bollo e registro anche per gli atti e i provvedimenti emessi dai giudici ordinari nei gradi di giudizio successivi. L’esenzione “va riconosciuta sia ai riti dinanzi al Giudice di pace sia alle decisioni assunte nei successivi gradi di giudizio”.
La risoluzione n. 48/2011
In base all’art. 46 della legge n. 374/1991, la norma che introduce la figura del Giudice di pace, “Le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede la somma di euro 1.033,00 e gli atti e i provvedimenti ad esse relativi sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato, secondo gli importi previsti dall’articolo 13 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni”.
La norma è stata oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia per quanto concerne l’ambito applicativo del regime di esenzione dall’imposta di registro e di bollo, che già con la Risoluzione n. 48 del 2011 ha precisato che la disposizione agevolativa si applica soltanto agli atti e i provvedimenti relativi al giudizio dinanzi al Giudice di pace ma non a quelli emessi dal Tribunale ordinario in sede di appello contro i medesimi provvedimenti.
Nel documento di prassi si è osservato, in proposito, che l’inserimento del citato art. 46 (rubricato “regime fiscale”) nel testo della legge istitutiva del Giudice di pace faceva considerare che il regime previsto si potesse applicare esclusivamente per il grado di giudizio innanzi, appunto, al Giudice di pace. Sempre nella risoluzione n. 48 l’Amministrazione finanziaria ha precisato che il riferimento della norma alle “attività conciliative in sede non contenziosa” non potesse riguardare altro che le attività del Giudice di pace poiché, come previsto dall’articolo 322 c.p.c. è a questa figura che spetta la competenza esclusiva in materia di conciliazione in sede non contenziosa, senza alcun limite di valore e per tutte le materie che non risultino di competenza esclusiva di altri giudici.
Interpretazione, questa, che è stata considerata coerente anche con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale le norme che stabiliscono agevolazioni fiscali non sono soggette a interpretazione analogica o estensiva. In base a tali considerazioni gli uffici finanziari hanno ritenuto opportuno “coltivare anche innanzi ai giudici di legittimità il contenzioso pendente relativo alla impugnazione degli avvisi di liquidazione con i quali sono state assoggettate a tassazione ai fini dell’imposta di registro le sentenze emesse dai tribunali ordinari in sede di appello avverso i provvedimenti del giudice di pace”.
Le pronunce della Suprema Corte
In proposito la Corte di Cassazione, con una sentenza del luglio 2014, seguita da altre di identico contenuto, ha precisato che “…l’art. 46…nel suo significato ampiamente comprensivo…si riferisce genericamente alle cause ed alle attività conciliative in sede non contenziosa il cui valore non eccede € 1.033,00, ciò che abilita l’interprete a ritenere che il legislatore abbia voluto fare riferimento, ai fini dell’esenzione…alle sentenze adottate in tutti i gradi di giudizio”.
La pronuncia si basa, inoltre, proprio sulla motivazione della disposizione agevolativa, che secondo la Suprema Corte è “…quella di alleviare l’utente dal costo di servizio di giustizia per le procedure di valore più modesto, in relazione alle quali è evidentemente apparso incongruo pretendere l’assolvimento di un tributo che, per il fatto di essere determinato in termini ordinariamente percentuali rispetto alla rilevanza economica della causa avente valore determinato, ammonta comunque ad importo irrisorio e spesso inadeguato a giustificare una complessa procedura di esazione”. Per questa ragione gli Ermellini affermano che “…appare del tutto coerente la previsione di una esenzione generalizzata, in deroga alla previsione dell’art. 37 del DPR n. 131/1986, dal pagamento della tassa di registro per tutte le sentenze adottate nelle procedure giudiziarie di valore modesto, indipendentemente dal grado di giudizio e dall’ufficio giudiziario adito, sicché la norma qui in esame non può considerarsi…né oggetto di applicazione analogica né soggetta ad interpretazione di genere estensivo ma semplicemente applicata nel suo lineare e chiaro tenore testuale”.
La risoluzione n. 97/2014
Sulla base, quindi, di quanto enunciato dalla Corte di Cassazione e del parere reso dall’Avvocatura generale dello Stato con numerose note del 2014, con la risoluzione n. 97/E del 2014 l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il regime di esenzione per valore previsto dal citato art. 46 della legge n. 374 per le cause e le attività conciliative in sede non contenziosa di valore non eccedente il limite di 1.033 euro debba essere applicato non solo per gli atti e i provvedimenti relativi al giudizio dinanzi al Giudice di pace, ma anche agli atti e provvedimenti emessi dai giudici ordinari nei successivi gradi di giudizio.
Di conseguenza, si legge nel documento di prassi, “Alla luce di quanto esposto, in adesione all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, devono considerarsi superate le indicazioni di prassi fornite in precedenza, contenute da ultimo nella risoluzione n. 48/E del 2011”.
La risoluzione 97/E si conclude con l’invito rivolto alle strutture territoriali a riesaminare le controversie pendenti che hanno per oggetto l’esenzione in questione e “ove l’attività accertativa dell’ufficio sia stata effettuata secondo criteri non conformi a quelli espressi dai giudici di legittimità, ad abbandonare – con le modalità di rito, tenendo conto dello stato e del grado di giudizio – la pretesa tributaria, sempre che non siano sostenibili altre questioni”.