FOCUS

Le false comunicazioni sociali e la responsabilità amministrativa degli Enti

In altre occasioni abbiamo esaminato gli elementi caratteristici del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, da considerare una sorta di svolta culturale in campo giuridico perché ha introdotto nel sistema italiano la responsabilità individuale “penal-amministrativa” delle società, ma pure degli enti e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

Giova ricordare il rilievo dei cosiddetti reati presupposto che possono comportare un addebito di responsabilità criminale ”personale” dell’ente, un catalogo di fattispecie tassative di reato che dal 2001 ad oggi è stato ampliato da una serie di provvedimenti legislativi integrativi e modificativi dell’impianto originario, sia in termini di nuove ipotesi che di aggravamento delle sanzioni (da ultimo, cfr Legge 27 maggio 2015 n. 69 recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio” in G.U. 30 maggio 2015, n. 124; Legge 29 ottobre 2016, n. 199, recante “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo” in G.U. n. 257 del 3-11-2016; Decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 38, recante “Attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato” in G.U. n. 75 del 30 marzo 2017).

Su altro numero di questa rubrica FOCUS abbiamo affrontato il tema delle “false comunicazioni sociali” – reato societario tra i più insidiosi e controversi – ricostruendone le vicende giuridiche a seguito dei numerosi, e non sempre largamente condivisi, interventi legislativi.

Il più recente è costituito dalla citata Legge 22 maggio 2015 nr 69 che, nel riformulare in modo sostanziale la disciplina, ha introdotto innovazioni significative specie sul versante sanzionatorio.

Su questo aspetto rammentiamo che la determinazione delle sanzioni pecuniarie irrogabili ai sensi del decreto 231 poggia su un sistema di quote: per ciascun illecito la legge (articolo 10) fissa il numero di quote (mai inferiore a cento e superiore a mille) e sancisce che l’importo delle singole quote può oscillare tra un minimo di circa 258 euro a un massimo di circa 1549 euro.

Sulla base di queste coordinate il giudice, accertata la responsabilità dell’ente, determina la sanzione pecuniaria applicabile nel caso concreto, commisurata alla gravità del fatto, al grado di responsabilità dell’ente, all’attività eventualmente svolta per riparare le conseguenze dell’illecito commesso e per prevenirne altri. L’importo delle singole quote è invece fissato in base alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, al fine di garantire l’effettività della sanzione.

 

In sintesi, la condotta illecita del reato di false comunicazioni sociali di cui all’art 2621 c.c. (concernente le società non quotate) risultante dalla riforma, è articolata in due tipologie: la prima consiste nell’esporre consapevolmente nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico previste dalla legge, fatti rilevanti non rispondenti al vero; la seconda nell’omettere fatti materiai rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene.

Dalla fattispecie è stata eliminata la locuzione “ancorchè oggetto di valutazioni” riferito ai fatti materiali, che era invece presente nel testo precedente.

Non era difficile immaginare il dibattito interpretativo che sarebbe sorto su un punto così rilevante, peraltro anticipato negli stessi lavori preparatori della legge dai quali emerge letteralmente la consapevolezza delle incertezze della formula proposta/approvata ed il “rinvio” all’intervento sussidiario dei giudici.

Per l’interesse diretto che riveste ai nostri fini, è da sottolineare che nella legge di riforma 69/2015 sono state aumentate anche le sanzioni pecuniarie amministrative (da 200 a 400 quote) a carico degli enti in relazione alla commissione dei reati societari, già previste dal D.L.gs 231 del 2001.

 

Le posizioni interpretative assunte dalla dottrina e dai Giudici possono essere così sintetizzate.

Da un lato, minoritario tra gli studiosi (Corte Cass, Sez V, 16 giugno 2015 nr 33774 e, in modo conforme, Corte Cass, Sez V, 8 gennaio 2016 nr 6916), è stata accolta la tesi di una vera e propria successione di leggi con effetto abrogativo: le nuove fattispecie non contemplavano più le valutazioni di bilancio e l’evidente eliminazione dell’inciso non poteva che rappresentare la effettiva volontà del legislatore, secondo il classico canone ubi lex vuluit dixit, ubi noluit tacuit.

D’altra parte (Corte Cass, Sez V, 12 novembre 2015 nr 890, depositata il 12 gennaio 2016 e Corte Cass, Sez V, 2 marzo 2016 nr 12793), sembrava ragionevolmente sostenibile la opposta tesi secondo la quale la locuzione oggetto di disputa doveva essere considerata esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della proposizione principale, con la conseguenza che nei “fatti materiali” erano e sono ricompresi anche quelli oggetto di valutazioni.

Un diverso approccio ermeneutico, escludendo dai falsi punibili quello valutativo, avrebbe condotto all’inaccettabile effetto di frustrare lo spirito della legge di riforma.

Auspicammo in quella sede (“novità in tema di false comunicazioni sociali”, Focus; 18 gennaio 2016) un tempestivo intervento delle Sezioni Unite per definire una situazione di incertezza giuridica, sembra utile rammentare, causata da una discutibile tecnica, fortemente criticata da ampia parte della dottrina che ha stigmatizzato in più sedi la scelta di conferire “..l’ennesima delega in bianco al giudice, chiamato a riempire di significato espressioni normative di estrema genericità…che sembrano ormai il frutto di precise scelte strategiche se non di mera sciatteria tecnica” (Cfr A.Traversi “Le nuove false comunicazioni sociali”, in Rivista della Guardia di Finanza, nr 5/2016, pp1239).

In effetti, con sentenza 31 marzo 2016 nr 6916, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definito la controversia giuridica facendo ricorso ad una interpretazione sistematica, ritenuta prevalente su quella meramente letterale.

E’ stato stabilito che sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo all’esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Ha inoltre respinto l’opzione ermeneutica che vorrebbe contrapporre i fatti materiali, da esporsi in bilancio, alle valutazioni che pure in bilancio compaiono sostenendo che”.., un bilancio non contiene fatti ma il racconto di tali fatti; vale a dire, un fatto, per quanto materiale, per trovare collocazione in un bilancio, deve comunque essere raccontato in unità monetarie e, dunque, valutato.

E sullo stesso versante, le Sezioni Unite hanno sottolineato che l’atto valutativo in tema di bilanci comporta necessariamente un apprezzamento discrezionale del valutatore: si tratta però di una discrezionalità tecnica, con gran parte dei parametri valutativi vincolati normativamente e/o tecnicamente.

La sentenza in esame ha poi definitivamente archiviato l’argomento che appariva a prima vista maggiormente suggestivo e basato sulla volontarietà legislativa dell’omissione dell’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni”: la Corte ha affermato che – qualificata la sua natura come meramente concessiva/specificativa e, dunque, superflua – la scomparsa delle ricordate quattro parole dal testo dell’articolo 2621 c.c non comporta – rispetto a quella previgente – una diversa configurazione della norma incriminatrice.

E’ ormai acclarato che anche le false valutazioni nei termini precisati dalla Corte di Cassazione possono essere oggetto di reati di cui agli articoli 2121 e 2622 c.c. e, come tali, costituire titolo di responsabilità personale societaria ai sensi del D.Lgs 231 del 2001 (art 25 ter, aggiunto dal D.Lgs. 11 aprile 2002 n. 61, art. 3 e modificato dalla Legge 69/15, in vigore dal 14 giugno 2015)

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