LEGGI E SENTENZE

Le dichiarazioni scritte rese da terzi non hanno valore probatorio

I giudici tributari dell’Emilia –Romagna, con la Sentenza n. 21/8 del 05/01/2016, ha stabilito che le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo fiscale, non a titolo di fonti di prova in senso proprio, ma piuttosto a titolo di ausilio all’accertamento, che deve, comunque, essere sostenuto da ulteriori elementi e considerati come meri elementi indiziari. Sul punto i giudici emiliani si attengono all’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione secondo cui: “… l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 546 del 1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo”.

Inoltre  le dichiarazioni testimoniali, se non possono costituire prova nel processo tributario, in virtù dell’esplicita previsione di cui al comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, hanno, tuttavia, una funzione di conferma “esterna” rispetto ad un quadro probatorio di per sé già sufficiente.

In forza di quanto sopra dichiarato, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 18/2000 ha stabilito che “va necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale”, dando così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, per garantire l’effettivo principio “della parità delle armi processuali” nonché l’effettività del diritto di difesa.

WCENTER 0WIIDASJNN -  08301841 FOTO WEBSERVER - imgrogani300808184053 - TRIBUNALE ANCONA 30 AGOSTO 2008  -     -  Michele Rogani

Sul punto, poi, negli anni, si sono susseguite varie sentenze della Corte di Cassazione, ribadendo il criterio secondo il quale “in forza del principio di parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi” (Cass., sez. trib., 16 aprile 2008, n. 9958); e ancora statuendo che “il valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria, cioè quello proprio degli elementi indiziari” (Cass., sez. trib., 17 giugno 2008, n. 16348; Cass., sez. trib., 14 gennaio 2011, n. 767). Da ultimo, anche la sentenza Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707 ha confermato questo orientamento per cui “il contribuente può produrre in giudizio “testimonianze” scritte; (queste) non costituiscono prova ma comunque il giudice deve tenerne conto come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come la prova logica, la documentazione acquisita, la mancata contestazione dell’Amministrazione finanziaria, ecc. In ogni caso, il giudice è sempre tenuto a motivare l’inutilizzazione delle dichiarazioni del terzo. Infatti, “in osservanza del principio delle parità delle parti – applicabile anche nel processo tributario – il giudice tributario deve prendere in considerazione le dichiarazioni extraprocessuali di persone informate dei fatti, sia che siano rese all’Ufficio finanziario o alla Guardia di Finanza, sia che siano rese al contribuente o a chi lo assiste” (Cass., sez. trib., 26 marzo 2003, n. 4423). Nel caso di specie infine anche i Giudici tributari hanno riconosciuto che : “… Orbene, secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte di Cassazione, che questo Collegio condivide, “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 546 del 1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo” (cfr., in termini, Cass., Sez. V, n. 703 del 15.01.2007; nello stesso senso cfr. anche Cass., Sez. V, n. 6755 del 19.03.2010 e Cass., Sez. V, n. 1663 del 24.01.2013)”.

A cura di Redazione

 

CTr Emilia Romagna – Sezione/Collegio 8

Sentenza del 05/01/2016 n. 21/8

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società “F. s.a.s.” ha proposto ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, chiedendo l’annullamento dell’atto di recupero del credito d’imposta IVA annuale 2006 emesso dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Reggio Emilia. A sostegno della propria richiesta ha osservato che:

– la F. s.a.s., vantando per l’esercizio 2006 un credito d’imposta di euro 8.455, aveva utilizzato in compensazione una quota del predetto credito (euro 512,04) e aveva richiesto a rimborso un’ulteriore quota di euro 5.100;

– l’ufficio aveva eseguito un controllo sulla società, appurando che per il periodo d’imposta 2006 la società era stata “non operativa” ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’art. 30 L. 724/94, essendo risultati i ricavi presunti (E 5.417,00) superiori a quelli effettivamente dichiarati (euro 4.089,00); pertanto, non poteva richiedere il rimborso del credito i.v.a. afferente al suddetto periodo;

– la società aveva presentato regolare istanza di interpello disapplicativo ai sensi dell’art. 37 bis C. VIII D.P.R. 600/73, spiegando che il mancato conseguimento dei ricavi e del reddito presunto risiedeva nel fatto che il 25 luglio 2003 (un mese dopo essere stata costituita, il 27 giugno 2003) aveva acquistato un fabbricato a uso ufficio sito nella via XXX di Reggio Emilia, che era riuscita a locare soltanto il 12 maggio 2005 alla società “C. s.r.l.” per il corrispettivo annuo di euro 7.500,00;

– l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale dell’Emilia-Romagna il 25 ottobre 2010 aveva notificato alla persona giuridica l’atto di recupero del credito i.v.a. e del rimborso erogato alla società, per un importo complessivo di euro 5.612,04, con applicazione della sanzione del 30%.

L’Ufficio impositore si è costituito in giudizio domandando il rigetto della domanda di controparte e assumendo a sostegno delle proprie istanze che:

– la società non aveva dimostrato l’impossibilità oggettiva di locare l’immobile;

– invero, la mancata locazione nel caso di specie pareva essere riconducibile a una situazione soggettiva, quale l’inerzia della persona giuridica.

Con memoria di replica la ricorrente ha contestato le osservazioni di controparte, ribadendo l’esistenza di una situazione di fatto tale da averle impedito di ottenere ricavi congrui ai sensi della citata normativa.

La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con sentenza n. 365/01/11 del 27 giugno 2011 (depositata il 12 settembre 2011), ha respinto il ricorso, condannando la F. s.a.s. al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 900.

Avverso quest’ultima decisione la società F. s.a.s. ha presentato appello, ribadendo le richieste e le argomentazioni svolte in primo grado e sostenendo in particolare:

– l’ammissibilità nel giudizio tributario della produzione di dichiarazioni scritte da parte del contribuente;

– l’implausibilità e l’infondatezza dell’assunto dell’Agenzia delle Entrate secondo cui la mancata locazione dell’immobile sarebbe stata dovuta a inerzia della proprietaria; da un lato, infatti, era di tutta evidenza l’interesse di quest’ultima all’acquisizione del reddito derivante dalla stipula di un contratto di locazione e dall’altro lato essa aveva incaricato ben due agenzie (la CM e la CC) di individuare un conduttore, come dimostrato dalle dichiarazioni scritte dei rispettivi titolari C.S. e L.M.

Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia, contestando le domande e le argomentazioni di controparte e domandando il rigetto del gravame e la condanna di controparte al pagamento delle spese di lite.

In particolare, a supporto delle proprie conclusioni ha argomentato che:

– le dichiarazioni del C.S. e del L.M. non hanno alcun valore probatorio, secondo l’orientamento largamente maggioritario della Suprema Corte;

– le fatture emesse dalle agenzie immobiliari per le attività di intermediazione immobiliare svolte sono datate 16 maggio 2005 (quella dell’agenzia CM) e 27 maggio 2010 (quella della CC) e pertanto sono prive di valenza probatoria in ordine allo svolgimento di una tale attività nel biennio 2003/2004;

– da ultimo, la circostanza di avere tentato senza successo di locare l’immobile non costituisce un impedimento oggettivo; gli impedimenti di questo genere, infatti, sono per loro natura del tutto indipendenti dalle condizioni soggettive della società e ricorrono, ad esempio, nel caso di inagibilità anche temporanea dell’immobile o di preesistenza di contratti di locazione in corso (e quindi non modificabili), o ancora di stipula di negozi che prevedono canoni pari a quelli di mercato, anche se non tali da soddisfare il test di operatività.

L’appellante ha presentato una memoria illustrativa nella quale ha ribadito le proprie argomentazioni. La causa è stata discussa nell’udienza del 7 dicembre 2015.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La F. s.a.s. -costituita il 27 giugno 2003- il 25 luglio successivo ha acquistato la piena proprietà di un fabbricato sfitto a uso ufficio, ubicato nella via — di Reggio Emilia.

Con contratto del 12 maggio 2005, registrato il 25 maggio 2005, la persona giuridica ha locato l’immobile alla società C. s.r.l. per il corrispettivo annuo di E 7.500, oltre a IVA.

Secondo la prospettazione dell’appellante il mancato superamento del test di operatività per il triennio 2003/2005 -dovuto al fatto che la stessa non ha altri beni e che quello in esame non ha assicurato ricavi fino al maggio del 2005 (e dunque per quasi due anni)- è dipeso esclusivamente dall’oggettiva impossibilità di locare prima il fabbricato.

A dimostrazione della sua pronta attivazione per locare l’immobile ha prodotto:

– le dichiarazioni scritte rese da C.S. e dal L.M. (titolari rispettivamente delle agenzie immobiliari C.M. e C.C.), dalle quali emerge che la società già verso la fine del 2003 ha loro conferito l’incarico di reperire un conduttore;

– le fatture n. 11 del 16 giugno 2005 e n. 11 del 27 maggio 2010, emesse dalle predette agenzie e relative alle provvigioni riconosciute per l’attività di intermediazione immobiliare svolta in favore della F. s.a.s. (cfr. allegati 9 al ricorso introduttivo e 5 alla memoria di replica).

Orbene, secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte di Cassazione, che questo Collegio condivide, “l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. 546 del 1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fiori del processo” (cfr., in termini, Cass., Sez. V, n. 703 del 15.01.2007; nello stesso senso cfr. anche Cass., Sez. V, n. 6755 del 19.03.2010 e Cass., Sez. V, n. 1663 del 24.01.2013).

Ne discende che non può essere attribuito alcun valore probatorio nel presente procedimento alle dichiarazioni del C.S. e del L.M.. D’altra parte, le fatture emesse il 16 giugno 2005 e il 27 maggio 2010 dalle agenzie C.M. e C.C. non dimostrano, in virtù della loro data di emissione, che l’incarico di reperire un conduttore per l’immobile in oggetto è stato loro conferito negli anni 2003 e 2004.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, la F. s.a.s. non ha adempiuto all’onere di provare che la mancata locazione dell’immobile fino al maggio 2005 (e il conseguente non superamento del test di operatività) è stata dovuta a un’impossibilità oggettiva e non a situazioni di carattere soggettivo, quale ad esempio l’inerzia della società stessa.

In particolare non appare decisivo in tal senso l’argomento, pur suggestivo, secondo cui la persona giuridica non avrebbe avuto alcun motivo per disinteressarsi del reddito che -con un modestissimo dispendio di energie- poteva acquisire con la locazione del bene.

Infatti, l’esistenza di un indubbio interesse dell’appellante a locare il fabbricato non implica automaticamente che la stessa si sia effettivamente e tempestivamente attivata a tale scopo.

Del resto, la situazione di anomalia reddituale della persona giuridica trova una significativa conferma nel fatto che essa, pur essendo stata costituita per svolgere attività di vendita e locazione di immobili nel corso di sette anni ha comprato un solo fabbricato e per di più lo ha ceduto in locazione a distanza di circa due anni dall’acquisto.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere rigettato.

Le spese di lite del secondo grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, Sezione Ottava, respinge l’appello proposto dalla società F. s.a.s. contro la sentenza n. 365/01/11 della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia; condanna l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 800.

 

Così deciso in Bologna, il 7 dicembre 2015.

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