DIRITTO FISCALITA LAVORO

Lavoro e studio, il periodo minimo di residenza all’estero

Continua a essere oggetto di richieste di chiarimenti il regime speciale dei lavoratori impatriati, del quale peraltro abbiamo trattato di recente nella rivista (“Agevolazioni per gli impatriati, quali requisiti”).

Il tema torna a divenire oggetto di quesito con la risposta 36/2019 del 12 febbraio, affrontando le problematiche connesse, in particolare, all’attività di lavoro e di studio all’estero, periodo minimo di residenza fiscale all’estero e durata e contestualità di maturazione dei requisiti.

I fatti

Una cittadina italiana residente in Gran Bretagna si è iscritta il 31 agosto 2012 a una università per un corso di laurea specialistica, che ha conseguito il 4 febbraio 2014. Durante il corso di studi ha firmato un contratto di stage con una società ivi residente per il periodo dal 5 agosto 2013 al 7 febbraio 2014. Con la stessa società, in data 15 gennaio 2014 ha sottoscritto, senza soluzione di continuità con il contratto di stage e in virtù del titolo accademico conseguito, un contratto di lavoro a tempo indeterminato. La signora, residente abituale all’estero dal 2012, ha presentato domanda di iscrizione all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire), alla quale risulta iscritta dal 14 ottobre 2015. Il 3 ottobre 2017 ha risolto il contratto a tempo indeterminato e dal successivo 16 ottobre ha sottoscritto un nuovo contratto dello stesso tipo con un’altra società. La signora dichiara che rientrerà in Italia nel 2019 con un contratto di lavoro dipendente, chiudendo l’impegno lavorativo all’estero, stabilendo la propria residenza nel nostro Paese e impegnandosi a mantenerla per il futuro.

L’applicazione del regime speciale

L’istante intende chiedere l’applicazione, a decorrere dall’eventuale trasferimento in Italia della residenza, del regime speciale per lavoratori impatriati previsto dall’articolo 16, D.lgs. 147/2015, facendo presente che: secondo il comma 1 i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2 del TUIR concorrono alla formazione del reddito complessivo per il 50% del suo ammontare; il comma 2 prevede che “il criterio di determinazione del reddito di cui al comma 2 si applica anche ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, della legge 238/2010, “le cui categorie vengono individuate tenendo conto delle specifiche esperienze e qualificazioni scientifiche e professionali con il decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze di cui al comma 3. Il criterio di determinazione del reddito si applica anche ai cittadini di Stati diversi da quelli appartenenti all’Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un diploma di laurea, che hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream”. Come precisato nella circolare delle Entrate 17/E del 2017, per fruire del regime in questione i soggetti di cui al comma 2 che trasferiscono la residenza in Italia devono avere i seguenti requisiti: a) essere in possesso di un titolo di laurea; b) avere svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più; c) essere cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale; d) svolgere attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia.

L’incertezza

Il margine di “obiettiva incertezza” è legato al passaggio del citato comma 2, ribadito dalla circolare, dove si legge che il beneficio della tassazione del reddito per il 50% spetta ai soggetti “che hanno svolto continuativamente un’attività … fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o che hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un diploma di laurea”. La circolare n. 17/ 2017 specifica, inoltre, che il requisito dello svolgimento dell’attività di lavoro o studio all’estero continuativa negli ultimi 24 mesi non deve obbligatoriamente far riferimento all’attività svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, essendo sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno 24 mesi. Come ha precisato nell’istanza, il lavoro svolto nel Regno Unito è stato interrotto solo dal 3 al 16 ottobre 2017, con la risoluzione del contratto di dipendente con la prima società e l’inizio del nuovo lavoro presso la seconda. Inoltre, la signora ha svolto effettivamente attività di studio e di lavoro dipendente fuori dall’Italia per 24 mesi continuativi, ma è iscritta all’AIRE solo dal 14 ottobre 2015. Chiede quindi di capire se i due requisiti della residenza all’estero e del lavoro continuativo fuori dall’Italia debbano coesistere per tutto l’arco temporale dei 24 mesi, ritenendo, comunque, che risultino soddisfatti i requisiti richiesti dall’art. 16, comma 2, del D.lgs. 147/2015.

Le condizioni sono alternative

Il citato art. 2, comma 2 considera residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni o 184 in caso di anno bisestile) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza. L’agevolazione in questione è applicabile dal periodo d’imposta in cui il soggetto trasferisce la residenza in Italia e per i quattro periodi d’imposta successivi, se ricorrono i requisiti e le condizioni previsti, alternativamente, dal comma 1 o dal comma 2 dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015.

Per accedere al regime agevolativo la norma prevede, inoltre, che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio: per i soggetti di cui al comma 2 del citato art. 16 non è indicato specificamente un periodo minimo di residenza estera, come invece previsto per i soggetti di cui al comma 1 (permanenza all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti al trasferimento in Italia). Considerato che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro o di studio all’estero di due anni, secondo l’Agenzia per questi soggetti la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisce il periodo minimo sufficiente di non residenza in Italia e a permette l’accesso al regime agevolativo (risoluzione 51/E del 2018): gli stessi possono fruire all’agevolazione se trasferiscono la residenza in Italia (art. 2 del TUIR) e si impegnano a rimanervi per almeno due anni.

Le condizioni sopra indicate sono alternative fra loro, per cui la presenza anche di una sola basta a far ritenere un soggetto residente nel territorio dello Stato.

Nel caso prospettato l’interpellante, iscritta all’Aire dal 10 ottobre 2015, risulta fiscalmente non residente in Italia dall’anno 2016, per cui la condizione di un periodo minimo di residenza fiscale all’estero risulta soddisfatta con il periodo d’imposta 2017.

In riferimento all’attività di lavoro all’estero continuativo negli ultimi 24 mesi, non si deve necessariamente fare riferimento a un’attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa svolta nei due anni direttamente precedenti il rientro: è sufficiente che l’interessato, prima di rientrare in Italia, abbia svolto tali attività all’estero per un periodo minimo e ininterrotto di almeno 24 mesi. Poiché la signora ha lavorato ininterrottamente dal 5 agosto 2013 al 3 ottobre 2017, il requisito risulta soddisfatto.

Riguardo la perplessità evidenziata dall’istante sulla mancata piena coincidenza temporale tra il lavoro all’estero per 24 mesi o più e l’iscrizione all’Aire per il periodo minimo di due periodi d’imposta, l’Agenzia evidenzia che i due requisiti devono essere presenti al rientro in Italia per lavorare acquisendo la residenza fiscale, per cui non ha rilevanza la loro contemporaneità.

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