ECONOMIA LAVORO

Lavoro dipendente, telefono cellulare e spese rimborsate

Una società ha presentato istanza di interpello in materia di reddito di lavoro dipendente, in particolare rispetto al trattamento fiscale delle spese rimborsate dal datore di lavoro in relazione all’utilizzo del telefono cellulare per finalità anche aziendali (art. 51, comma 1, DPR n. 917/1986, TUIR).

Questo perché la società istante mette abitualmente a disposizione di molti dipendenti telefoni cellulari utilizzati a finalità esclusivamente aziendali: il relativo costo per l’acquisto e le spese relative al traffico effettuato risultano, quindi, a totale carico della stessa e non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dei dipendenti che ne usufruiscono. Nell’istanza si precisa che il dipendente è autorizzato a utilizzare il telefono cellulare anche per finalità diverse da quelle aziendali – il cosiddetto “utilizzo privato” – nel qual caso la chiamata è preceduta da un prefisso identificativo che permette di calcolare il traffico complessivo delle telefonate per utilizzo privato e il conseguente addebito al dipendente dei costi relativi. Inoltre, l’azienda rileva che i telefoni messi a disposizione dei dipendenti rispondono a stringenti requisiti di sicurezza imposti dalle policy aziendali e, di conseguenza, non permettono l’accesso completo a tutte le varie potenzialità offerte oggi dalla tecnologia degli apparecchi, per cui i dipendenti che ne vogliano disporre appieno si trovano a dove avere a disposizione, oltre a quello fornito dalla società, anche un altro telefono per fruire delle funzionalità impedite al primo.

Per evitare queste complicazioni – ma anche in un’ottica di riduzione delle spese di telefonia a proprio carico e di una maggiore efficienza – la società istante vorrebbe introdurre una diversa modalità di gestione del servizio in grado di permettere ai dipendenti di avere un unico telefono con tutte le funzionalità ritenute necessarie e utili sulla base delle specifiche esigenze: in particolare, pur mantenendo le attuali modalità di utilizzo del servizio – telefoni cellulari impiegati per finalità esclusivamente aziendali e possibilità di utilizzo di un prefisso per l’addebito dell’utilizzo privato – vorrebbe permettere, ai dipendenti che ne facciano esplicita richiesta, di adottare la seguente modalità alternativa di gestione del servizio di telefonia mobile:

  1. a) il telefono viene acquistato dal dipendente a sua scelta e a sue spese;
  2. b) il contratto relativo al servizio di telefonia e traffico dati viene stipulato dal dipendente con il gestore da lui scelto e tutte le spese sono quindi sostenute direttamente dallo stesso.

Poiché il dipendente usa il telefono sia per finalità private che aziendali, il problema che si pone è di verificare il trattamento applicabile ai fini della tassazione del reddito di lavoro dipendente (art. 51 del TUIR) degli importi rimborsati dalla società in relazione all’utilizzo del telefono per finalità aziendali.

 

La soluzione secondo la società

Ritenendo che il rimborso del 50% delle spese di telefonia e traffico dati sostenute dal dipendente non rientri nell’ambito delle somme da inserire nella determinazione del reddito di lavoro dipendente (art. 51 del TUIR), la società istante, in qualità di sostituto sui redditi di lavoro dipendente, pensa di non dover includere tali rimborsi nel conteggio della base imponibile delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente.

A questo punto espone le motivazioni a sostegno della soluzione prospettata.

Con la riforma del reddito di lavoro dipendente attuata con il D.Lgs. n. 314/1997 è stato riscritto l’art. 48 (attuale 51) del TUIR, che prevede di considerare come reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Tale norma afferma il principio di “onnicomprensività” del reddito di lavoro dipendente, secondo il quale la tassabilità di un certo compenso viene del tutto disgiunta dalla circostanza che lo stesso “si ponga in nesso sinallagmatico con la prestazione effettuata dal dipendente”. La onnicomprensività deve essere correttamente collocata nel contesto dei principi del nostro ordinamento tributario, “con la conseguenza che intanto potrà manifestarsi la potestà impositiva, in quanto vi sia un presupposto atto a sorreggerla”: in tale ottica risulta essenziale la verifica della sussistenza di un indice di capacità contributiva, che secondo l’art. 53 della Costituzione rappresenta la condizione necessaria per l’obbligo di concorrenza alla spesa pubblica e, coerentemente, dunque, si deve concludere per l’esclusione dall’imposizione fiscale per le erogazioni “che soddisfano un interesse esclusivo o prevalente del datore di lavoro e che, quindi, si pongono come presupposto logico per lo svolgimento stesso della prestazione lavorativa”. Peraltro, da parte della stessa Amministrazione finanziaria non sono mancati gli spunti per compiere alcune riflessioni di carattere generale sulla nozione di reddito di lavoro dipendente e, in particolare, sui limiti del principio di onnicomprensività sui cui si fonda la determinazione della base imponibile da assoggettare a imposizione.

In proposito l’azienda segnala, inoltre, una pronuncia della Corte di Cassazione che ha riconosciuto la non imponibilità del rimborso del canone telefonico ai dipendenti impegnati in turni periodici di reperibilità: secondo la Corte, non compare un compenso con natura retributiva nel caso in cui l’utilizzo di un servizio richiesto e offerto nell’interesse proprio del datore di lavoro, non tanto per consentire al lavoratore di svolgere la prestazione, quanto, piuttosto, per realizzare gli obiettivi aziendali, “dove la concreta attuazione della prestazione, per la sua efficienza, necessita della convergente disponibilità di uno specifico fattore di produzione, ossia dello strumento di telefonia fissa”. La Corte prosegue sostenendo che “il lavoratore non potrebbe adempiere all’obbligazione contrattuale utilizzando, per il pagamento del canone e dunque per mantenere attiva la linea telefonica, le sole somme corrispondenti alle percentuali dei giorni di reperibilità nel mese, perché o il lavoratore paga l’intero canone, ed allora avrà la linea telefonica attiva sempre, dunque anche nei giorni di reperibilità, oppure non lo paga, ed allora non la avrà mai, nemmeno nei giorni di reperibilità: tertium non datur”. Questo ultimo passaggio risulta particolarmente interessante, visto che tratta proprio un tipo di utilizzo promiscuo di beni e servizi di spettanza del dipendente a fronte, però, di un concorrente (se non prevalente) interesse del datore di lavoro. La prassi e la giurisprudenza citata sono indicative di una rilevante apertura verso il riconoscimento della non imponibilità dei rimborsi di costi necessari per consentire al dipendente di svolgere la propria prestazione lavorativa, costi che:

– possono essere sostenuti direttamente dal datore di lavoro, come ad esempio, computer, attrezzature d’ufficio e impianti di telecomunicazione;

– possono essere sostenuti direttamente dal dipendente e rimborsati dal datore di lavoro, fra i quali si trovano quelli connessi alla specifica modalità di svolgimento della prestazione (come nel caso del lavoro a distanza).

Alla luce di quanto sopra esposto, è quindi legittimo ritenere che le spese rimborsate al dipendente secondo la nuova modalità di fruizione del servizio di telefonia mobile prevista dal progetto della società istante siano da escludere dalla base imponibile del reddito di lavoro dipendente, risultando evidente che l’ipotesi del rimborso sulla base di un resoconto di spesa analitico è sicuramente la più aderente alla normativa, anche se solo teoricamente in quanto risulterebbe di difficile (se non impossibile) applicazione dal punto di vista pratico: non si può infatti non considerare che la forma tariffaria più utilizzata sul mercato è quella del pagamento fisso periodico (la tariffa “flat”), il che rende ancora più complessa, rispetto a una tariffa “a consumo” o una mista (“flat” fino a un certo numero di telefonate e/o di traffico dati e “variabile” per l’eccedenza), una precisa ripartizione dei costi fra utilizzo privato e per esigenze di lavoro. Entrano in campo variabili in base alle quali, prescindendo dalla durata delle telefonate, il solo criterio ragionevole ma comunque approssimativo di demarcazione sarebbe rappresentato dal numero delle telefonate, per non parlare del traffico di dati relativo alla connessione Internet. La società cita, infine, una pronuncia della Cassazione Civile (Sez. I, 26 maggio 1999, n. 5081) secondo la quale la forfetizzazione del rimborso effettuato a favore di dipendenti incaricati di funzioni ispettive non risulta in contrasto con la determinazione dei reddito di lavoro dipendente, in quanto “la soluzione adottata dal datore di lavoro trae la sua origine dall’esigenza di semplificare il controllo dell’inerenza, senza tuttavia incidere sul carattere risarcitorio dei rimborso stesso”.

In conclusione, il rimborso al dipendente del 50% delle spese dallo stesso sostenute per il servizio di telefonia mobile e connessione internet in base a documentate esigenze aziendali, può ritenersi escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente.

 

Il parere delle Entrate

E’ contenuto nella risoluzione n. 74/E del 20 giugno 2017, nella quale si legge che i redditi di lavoro dipendente sono disciplinati, ai sensi dell’art. 51, comma 1, dal principio di onnicomprensività, in applicazione del quale “ tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” costituiscono reddito imponibile per il dipendente per cui, in generale, anche gli importi corrisposti dal datore di lavoro a titolo di rimborso spese costituiscono, per il dipendente, reddito di lavoro dipendente salvo quanto previsto, per trasferte e trasferimenti, dai commi 5 e seguenti del citato articolo 51. Per quanto concerne la rilevanza reddituale dei rimborsi spese l’Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 326 del 1997 ha ritenuto che “possano essere esclusi da imposizione quei rimborsi che riguardano spese, diverse da quelle sostenute per produrre il reddito, di competenza del datore di lavoro anticipate dal dipendente per snellezza operativa, ad esempio per l’acquisto di beni strumentali di piccolo valore, quali la carta della fotocopia o della stampante, le pile della calcolatrice, ecc.”.

Inoltre, con la risoluzione n. 357 del 2007 (richiamata dall’istante), per i rimborsi documentati delle spese sostenute dal telelavoratore si è ritenuto che “le somme erogate per rimborsare i costi dei collegamenti telefonici non siano da assoggettare a tassazione essendo sostenute dal telelavoratore per raggiungere le risorse informatiche dell’azienda messe a disposizione dal datore di lavoro e quindi poter espletare l’attività lavorativa”. Alla luce di tali argomentazioni, la risoluzione 357 ha precisato che il rimborso documentato dei costi relativi ai collegamenti telefonici configura “l’ipotesi considerata dalla citata circolare n. 326 del 1997 di rimborso di spese di interesse esclusivo del datore di lavoro anticipate dal dipendente” e, come tali, non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Dopo questa premessa, l’Agenzia fa presente che in sede di determinazione del reddito di lavoro dipendente le spese sostenute dal lavoratore e rimborsategli in modo forfetario sono escluse dalla base imponibile solo nell’ipotesi in cui tale criterio forfetario sia stato previsto dal legislatore; in assenza dell’indicazione di tale criterio forfetario, i costi sostenuti dal dipendente nell’esclusivo interesse del datore di lavoro devono essere individuati sulla base di elementi oggettivi, documentalmente accertabili, per evitare che il relativo rimborso concorra alla determinazione del reddito di lavoro dipendente.

Per questa ragione l’Agenzia delle Entrate sostiene che la parte di costo relativo al servizio di telefonia e al traffico dati che la società istante rimborsa al dipendente sulla base di un criterio forfetario, non supportato da elementi e parametri oggettivi quali numero e/o durata delle telefonate, ad esempio, in assenza di una norma specifica al riguardo, non possa essere escluso dalla determinazione del reddito di lavoro dipendente; rileva, inoltre, che nell’ipotesi rappresentata nell’istanza non compare neanche il costo rimborsato per il servizio di telefonia utilizzato nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, visto che la stessa società afferma che tale rimborso è determinato forfetariamente per venire incontro alle esigenze dei dipendenti ai quali, in tal modo, verrebbe consentito “un pieno accesso a tutte le funzionalità oggi fruibili .. e offerte dalla tecnologia presente sul mercato”. Inoltre, il collegamento tra l’uso del cellulare e l’interesse del datore di lavoro è dubbio, poiché il contratto per il servizio di telefonia e traffico dati è stipulato dal dipendente con il gestore da lui scelto, e non dal datore di lavoro, che limitandosi a concorrere al sostenimento dei costi rimarrebbe estraneo al rapporto negoziale istaurato con il gestore telefonico.

Viene infine ritenuto “non pertinente” il riferimento alla pronuncia della Corte di Cassazione n. 10367 del 2004 che ha riconosciuto la non imponibilità, ai fini previdenziali, del rimborso erogato dall’ENEL ai propri dipendenti per l’intera spesa da loro sostenuta per il canone telefonico, visto che i giudici della Suprema Corte hanno motivato l’esclusione da contribuzione del citato rimborso “in ragione delle peculiarità della prestazione lavorativa caratterizzata dall’obbligo di reperibilità, circostanza questa che non emerge nella fattispecie rappresentata dalla società istante che, inoltre, non indica i lavoratori destinatari del rimborso”.

Sulla base di quanto argomentato nella risoluzione 74 del 2017, l’Agenzia ritiene che il rimborso del 50% dei costi sostenuti dai propri dipendenti per l’utilizzo del telefono cellulare “rilevino fiscalmente nei confronti di questi ultimi ai sensi dell’articolo 51, comma 1 del TUIR”.

 

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