CASSAZIONE LAVORO

L’assenteismo in azienda può condizionare gli studi di settore

Tributi – Accertamento – Scostamento tra reddito dichiarato e risultato degli studi di settore – Motivazione e documentazione giustificativa dei minori ricavi ritenuta inadeguata dal giudice – Mancata illustrazione della decisione – Nullità della sentenza

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.1495 del 23 gennaio 2020, occupandosi di un caso di accertamento basato sugli studi di settore ha stabilito che la continue assenze maturate dai lavoratori, soprattutto se effettuate in una società di piccole dimensioni, possono rappresentare un elemento rilevante per giustificare la differenza del reddito dichiarato rispetto a quello presuntivamente accertato, ricordando poi l’assoluta competenza del giudice di merito e non dei funzionari fiscali a valutare le ragioni per cui le informazioni e i documenti addotti dal contribuente in sede di contraddittorio sono da considerarsi inadeguati a giustificare lo scostamento.

In breve si rammenta che secondo il principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto agli standard, in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

Gli studi di settore rappresentano l’indicatore di una possibile anomalia del comportamento del contribuente e l’Amministrazione è tenuta ad attivare un contraddittorio con il contribuente stesso, che è chiamato a fornire giustificazioni se la sua redditività è gravemente incongruente rispetto alla normale redditività dello studio di settore applicato. Il contribuente ha, quindi, l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, secondo quanto affermato  dalla sent. n. 26635/09 della  stessa Corte a Sezioni Unite, che così recita: “ … in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una grave incongruenza, espressamente prevista dall’art. 62- sexies del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, aggiunto dalla legge di conversione 29 ottobre 1993, n. 427, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento”.

E’ pacifico, quindi, che a fondamento dell’accertamento basato sull’applicazione degli studi di settore occorre l’indicazione da parte dell’ufficio di una “grave incongruenza”, e non del semplice scostamento, tra il reddito dichiarato e quello risultante dall’applicazione dello studio di settore.

Il giudice deve verificare e valutare sempre la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 62-bis e ss. D.L. n. 331/1993 sotto il profilo della sussistenza delle” gravi incongruenze”, altrimenti incorre nella prevista violazione di legge.

Di opposta interpretazione appare, però, la recente ordinanza 23252/19, depositata il 18 settembre 2019, nella quale si sostiene che  l’accertamento mediante studi di settore ha valore di presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare valido fondamento all’accertamento tributario. La sentenza de quo può quindi risultare in manifesto contrasto con l’univoco e consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, che ha più volte affermato che gli studi di settore, così come i parametri, rappresentano un sistema di presunzioni semplici. In questo senso, è facilmente riscontrabile, tra le tante,  gli assunti delle sentenze nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, della Cassazione a Sezioni Unite, depositate il 18 dicembre 2009.

La differenza tra presunzioni semplici e legali è notevole ed è difficile ammettere che, in tema di studi di settore, la stessa Cassazione abbia idee  così dissimili nell’interpretazione.

Del resto, l’articolo 2727 del codice civile qualifica come “presunzione” l’operazione logico-intuitiva in base alla quale dalla conoscenza di un fatto noto si deduce la prova di un fatto ignoto. Il “passaggio” dalle presunzioni semplici a quelle legali ha indubbiamente la facoltà di destare molte incertezze e poche  giustificazioni, anche perché nelle realtà operative di tutti i giorni il confronto con il Fisco si rivela spesso  come un surrogato di contraddittorio, perché non sempre vengono con attenzione valutate le osservazioni del contribuente.

Tanto premesso e tornando alla controversia oggi esaminata, essa trae origine dal ricorso proposto da una società di persone di piccole dimensioni, contrario a un avviso di accertamento, con cui le Entrate avevano accertato che il reddito  dichiarato risultava ampiamente difforme rispetto a quello calcolato mediante gli studi di settore. I giudici tributari aditi avevano entrambi dato torto alla contribuente, con la CTR che riteneva legittime le ragioni erariali in quanto la parte contribuente non aveva dimostrato adeguatamente l’insussistenza dei maggiori ricavi presentando una documentazione idonea a sostenere le ragioni dello scostamento.

Da qui il ricorso in Cassazione, dove gli impugnanti contestano la nullità della sentenza in conseguenza della “omessa pronuncia sul motivo di gravame relativo al rigetto del ricorso nel merito”. I Supremi Giudici di legittimità hanno accolto le motivazioni della contribuente, affermando che “… Merita di essere preliminarmente ricordato che i contribuenti affermano essere intervenuta una ripetuta interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria prima dell’emissione degli avvisi di accertamento, anche se non trasfusa in uno specifico verbale. Il dato non assume comunque un rilievo decisivo ai presenti fini, in quanto deve confermarsi che, in materia di accertamento tributario effettuato dall’Amministrazione finanziaria valendosi degli studi di settore, assume un indubbio rilievo il contraddittorio istituito con il contribuente, che già in sede precontenziosa può proporre ogni difesa. Tuttavia, “l’esito del contraddittorio … non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa”, Cass. sez. V, 12.4.2017, n. 9484. Tanto premesso i ricorrenti, operando specifico riferimento agli argomenti proposti nel corso delle fasi di merito, e non mancando di riportare le formule utilizzate, evidenziano di avere proposto una pluralità di argomenti per giustificare le ragioni in conseguenza delle quali la società, nell’anno 2004, ha conseguito ricavi in misura significativamente inferiore rispetto a quanti avrebbe dovuto conseguirne applicandosi gli studi di settore. In particolare operano riferimento alla ridotta attitudine lavorativa del socio S. O., colpito da infarto ed affetto da angina da sforzo; ai 136 documentati giorni di assenze di operai registrati nel corso dell’anno 2004; alla ridotta dimensione dell’impresa, che opera pure in territorio caratterizzato da scarsa redditività delle attività imprenditoriali, all’avere l’impresa operato con un solo committente, in grado pertanto di imporre compensi molto ridotti, ed altro. Non è questa la sede, nell’ambito di un giudizio di legittimità, per esaminare la fondatezza nel merito queste prospettazioni, peraltro tutte contrastate dall’Agenzia delle Entrate. Occorre però rilevare che, effettivamente, dei motivi in conseguenza dei quali la CTR abbia ritenuto la infondatezza di questi argomenti non si rinviene la illustrazione nella decisione impugnata. La Commissione Tributaria Regionale afferma che “il contribuente non ha dimostrato l’insussistenza dei maggiori ricavi presentando documentazione idonea a sostenere le ragioni dello scostamento … nel caso specifico le ragioni dello scostamento non sono mai state evase dagli appellanti” (sent. CTR, p. 2), come si è parzialmente anticipato in premessa, ma non chiarisce perché gli argomenti sostenuti dai contribuenti, neppure riprodotti in sintesi nella decisione, e la documentazione che essi hanno allegato, neppure richiamata, siano stati ritenuti inadeguati a giustificare, se del caso in parte, i minori ricavi dichiarati dall’impresa rispetto a quelli calcolati mediante ricorso agli studi di settore. La motivazione adottata in merito dalla CTR si rivela pertanto soltanto apparente, ed i primi due motivi di ricorso devono perciò essere accolti”.

Corte di Cassazione – Ordinanza 23 gennaio 2020, n. 1495

Sul ricorso proposto da: S.O. e S. Snc in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e da S.S. e S. O., tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’ Avv.to Giorgio Pongelli, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Davide Gastaldi, alla via F.A. Gualtierio n. 70 in Roma;

– ricorrenti –

contro Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 941, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, il 4.2.2014 e pubblicata il 13.2.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

Fatti di causa

La società S.O. e S. Snc ed i suoi due soci, S.O. e S. S. ricevevano, in data 3.10.2008, separati avvisi di accertamento, recanti nn. RC101T200331, RC101T200385 e RC101T200386, notificati dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’anno 2004. Gli avvisi erano stati emessi dall’Ente impositore perché il reddito conseguito dalla società, come dichiarato, risultava ampiamente difforme rispetto a quello calcolato mediante gli studi di settore. L’Agenzia accertava maggiori ricavi della società nella misura di € 54.478,00 e rettificava il reddito conseguito da essa, e conseguentemente dai soci, richiedendo il versamento dei maggiori tributi, oltre accessori.

I contribuenti impugnavano gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, che respingeva il ricorso.

La decisione adottata dalla CTP era gravata da appello dai contribuenti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riproponendo le proprie contestazioni di legittimità e di merito; si costituiva e resisteva l’Agenzia delle Entrate. La CTR riteneva che l’Agenzia, a seguito della mancata partecipazione al contraddittorio dei contribuenti, avesse fatto correttamente riferimento allo studio di settore, ed aveva basato il proprio accertamento, comunque, non solo su questo ma pure su quanto emergeva dalle scritture contabili dell’impresa. In ogni caso, “il contribuente non ha dimostrato l’insussistenza dei maggiori ricavi presentando documentazione idonea a sostenere le ragioni dello scostamento ed in conseguenza le ragioni dell’Ufficio sono legittime” (sent. CTR, p. 2). Il giudice dell’appello, pertanto, rigettava i ricorsi.

Avverso la decisione adottata dalla CTR hanno proposto ricorso per cassazione la società ed i soci, affidandosi a quattro motivi di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Ragioni della decisione

1.1. – Con il primo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., gli impugnanti contestano la nullità della sentenza in conseguenza della “omessa pronuncia sul motivo di gravame relativo al rigetto del ricorso nel merito” (ric., p. 17).

1.2. – Mediante il loro secondo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti censurano la violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., in cui è incorsa la CTR omettendo di valutare le prove decisive fornite dai ricorrenti a giustificazione dello scostamento accertato dall’Ufficio.

1.3. – Con il terzo motivo di gravame, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., i ricorrenti, premesso che nel caso di specie non trova applicazione il divieto di contestazione del vizio di motivazione in ipotesi di c.d. doppia conforme (art. 348 ter, cod. proc. civ.) per avere la CTP e la CTR emesso pronunce fondate su motivazioni diverse, criticano che “la CTR, in modo del tutto tautologico, senza esaminare i fatti decisivi addotti dai ricorrenti e senza il supporto di una benché minima argomentazione riferita ai profili fattuali della fattispecie concreta, si è limitata ad affermare che il contribuente non avrebbe dimostrato l’insussistenza dai maggiori ricavi” (ric., p. 33).

1.4 – Mediante il loro quarto motivo d’impugnazione, nuovamente proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., i ricorrenti lamentano il vizio di motivazione in cui è incorsa la CTR omettendo di valutare la loro richiesta di applicazione dello studio di settore evoluto elaborato nell’anno 2009, in riferimento ai redditi conseguiti nell’anno 2004.

2.1. – 2.2. – (2.3. – 2.4. -) Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione. I ricorrenti contestano infatti, in relazione ai profili della nullità della sentenza e della violazione di legge, la omessa valutazione e pronuncia della CTR circa le documentate affermazioni proposte dai contribuenti al fine di giustificare il conseguimento di minori ricavi rispetto a quelli desumibili dallo studio di settore.

Merita di essere preliminarmente ricordato che i contribuenti affermano essere intervenuta una ripetuta interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria prima dell’emissione degli avvisi di accertamento, anche se non trasfusa in uno specifico verbale.

Il dato non assume comunque un rilievo decisivo ai presenti fini, in quanto deve confermarsi che, in materia di accertamento tributario effettuato dall’Amministrazione finanziaria valendosi degli studi di settore, assume un indubbio rilievo il contraddittorio istituito con il contribuente, che già in sede precontenziosa può proporre ogni difesa. Tuttavia, “l’esito del contraddittorio … non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa”, Cass. sez. V, 12.4.2017, n. 9484.

Tanto premesso i ricorrenti, operando specifico riferimento agli argomenti proposti nel corso delle fasi di merito, e non mancando di riportare le formule utilizzate, evidenziano di avere proposto una pluralità di argomenti per giustificare le ragioni in conseguenza delle quali la società, nell’anno 2004, ha conseguito ricavi in misura significativamente inferiore rispetto a quanti avrebbe dovuto conseguirne applicandosi gli studi di settore.

In particolare operano riferimento alla ridotta attitudine lavorativa del socio S. O., colpito da infarto ed affetto da angina da sforzo; ai 136 documentati giorni di assenze di operai registrati nel corso dell’anno 2004; alla ridotta dimensione dell’impresa, che opera pure in territorio caratterizzato da scarsa redditività delle attività imprenditoriali, all’avere l’impresa operato con un solo committente, in grado pertanto di imporre compensi molto ridotti, ed altro. Non è questa la sede, nell’ambito di un giudizio di legittimità, per esaminare la fondatezza nel merito queste prospettazioni, peraltro tutte contrastate dall’Agenzia delle Entrate. Occorre però rilevare che, effettivamente, dei motivi in conseguenza dei quali la CTR abbia ritenuto la infondatezza di questi argomenti non si rinviene la illustrazione nella decisione impugnata. La Commissione Tributaria Regionale afferma che “il contribuente non ha dimostrato l’insussistenza dei maggiori ricavi presentando documentazione idonea a sostenere le ragioni dello scostamento … nel caso specifico le ragioni dello scostamento non sono mai state evase dagli appellanti” (sent. CTR, p. 2), come si è parzialmente anticipato in premessa, ma non chiarisce perché gli argomenti sostenuti dai contribuenti, neppure riprodotti in sintesi nella decisione, e la documentazione che essi hanno allegato, neppure richiamata, siano stati ritenuti inadeguati a giustificare, se del caso in parte, i minori ricavi dichiarati dall’impresa rispetto a quelli calcolati mediante ricorso agli studi di settore. La motivazione adottata in merito dalla CTR si rivela pertanto soltanto apparente, ed i primi due motivi di ricorso devono perciò essere accolti.

Le contestazioni relative al vizio di motivazione, di cui al terzo e quarto mezzo di gravame, rimangono assorbite nell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso devono essere pertanto accolti nei limiti di ragione, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina perché, in diversa composizione, rinnovi il suo giudizio, nel rispetto dei principi esposti, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso proposti da S. O. e S. Snc in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e da S. S. e S. O., assorbiti il terzo ed il quarto, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina perché, in diversa composizione, proceda a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provveda anche a regolare le spese di lite del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

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